Nella giornata che segna l’apertura del World Economic Forum (Wef) di Davos, fino al 19 gennaio, è stato comunicato il risultato di uno studio interno secondo cui il 66% dei sondaggisti (personalità economiche di spicco dei vari attori – istituti, banche, imprese) è convinto che il 2023 sarà un anno di recessione in tutto il mondo.
Non si tratta di una novità assoluta, in quanto il quesito viene posto quotidianamente tutti gli anni prima del meeting, ma sono le variazioni percentuali dei dati: il 18% degli intervistati, nello specifico, vede lo scenario come “altamente probabile”.
Wef 2023, anche la Cina ha uno spiraglio di recessione causa covid
Saadia Zahidi, direttore generale del Wef, sottolinea come “l’attuale contesto di alta inflazione, bassa crescita, alto debito e alta frammentazione riduca gli incentivi agli investimenti necessari”: questi i motivi indicati dal sondaggio sulle probabilità di recessione per l’anno in corso, che sarà tema chiave dell’intera discussione al Wef.
D’altronde, la verità si scoprirà con il passare dei mesi, tuttavia il futuro economico globale si costituisce nel presente. Ecco perché l’edizione 2023 sarà cruciale, per provare a sovvertire un pronostico dato per certo da una larga fetta di analisti. Pesante il fardello lasciato dal 2022 tra guerra, inflazione e rialzo dei tassi.
Se non altro, la recessione sarà abbastanza contenuta e in diversi casi potrà trasformarsi nel grado di stagflazione, dunque di assoluta immobilità. Eppure, anche chi non dovrebbe essere toccato dal problema come la Cina (data al 5%) vivrà ugualmente una netta disillusione delle attese (nonostante l’abbandono della politica Zero Covid). Per la cronaca, l’Europa ha una possibilità di contrazione del 57%.
Blitz degli attivisti all’aeroporto
Dati non così diversi tra Europa e Stati Uniti per quanto riguarda una stretta sulla politica monetaria, già promessa da Bce e Fed (rispettivamente 59% e 55%). Il fragile equilibrio tra la necessità di non tirare troppo la cinghia ma al contempo di fare tutto quello che serve per non mandare al collasso interi settori produttivi, a causa della mancanza di investimenti. Decisamente più unanime il pensiero secondo cui questo scenario andrà ad aumentare le disuguaglianze, facendo pagare nella quasi totalità il prezzo ai meno abbienti.
La giornata odierna, che segna l’arrivo delle principali personalità nella località svizzera, è stata anche l’occasione di alcuni blitz pacifici da parte degli attivisti contro il cambiamento climatico. All’aeroporto di Davos, infatti, un drappello di manifestanti ha accolto le figure che presenzieranno all’evento con striscioni e cori, mentre Greenpeace International ha pubblicato i dati di uno studio condotto sulle emissioni di anidride carbonica registrati per l’edizione 2022.
Con 1040 jet privati in arrivo e in partenza, l’inquinamento è stato paragonabile a quello di 350mila auto in una settimana. Nelle considerazioni, non manca un po’ di ironia quando si sottolinea che “è inutile discutere dei problemi attuali usando il mezzo di trasporto più iniquo e inquinante in circolazione“.
Osservando l’analisi qualitativa, emerge che il 53% dei voli ha coperto distanze fino a 750 km, il 38% inferiori a 500 chilometri. Francesco Spadini, direttore di GreenPeace Italia, rilancia il sondaggio all’attenzione del governo italiano per chiedere “di vietare i jet privati e i voli a corto raggio per garantire un futuro verde, giusto e sicuro per tutti e tutte”.