Roma, 1976. Valerio, interpretato dal giovanissimo Mattia Garaci, ha dieci anni, è un bambino solitario, si rifugia spesso nel suo mondo fantastico. Con l’amico immaginario si chiude in soffitta, ricrea le grandi sfide calcistiche in attesa che il padre Alfonso lo porti allo stadio. Ad incrinare la preziosa spensieratezza di quei momenti, segnando una irreversibile e prematura perdita dell’innocenza, è proprio l’attentato ai danni dell’amato papà. La NAP l’ha condannato a morte ma Alfonso – che ha il volto di un Pierfrancesco Favino silenzioso, stoico, emotivamente distante – è più forte, resiste alla scarica di proiettili e ha salva la vita. Una vita che non sarà più la stessa. 

Da quel momento, la paura e un sentimento costante di precarietà segnano drammaticamente l’equilibrio della famiglia Le Rose, un nome di fantasia in una storia che ha una forte componente autobiografica. 

Claudio Noce regista di Padrenostro, racconta una storia di famiglia, antica e dolorosa. Nel dicembre del ‘76, quando all’epoca aveva solo due anni, il padre Alfonso Noce, vicequestore, subi davvero un attentato da parte dei Nuclei Armati Proletari. Da allora, l’affanno della paura – che nel film viene descritto anche come un soffio al cuore diagnosticato a Valerio in una visita a scuola – non l’ha mai abbandonato. 

Un’infanzia trascorsa affacciato alla finestra, nel cuore della notte, con la convinzione che il giorno seguente per suo padre sarebbe stato l’ultimo. Padrenostro è l’elaborazione di un trauma, ma anche una lettera aperta, indirizzata ad un’intera generazione di uomini incapaci di esprimere emozioni, di ammettere la paura, di creare rapporti virtuosi e sinceri con i figli. 

Claudio Noce fa i conti con il suo passato familiare e nell’attingere ai fatti per il suo racconto, ne fabbrica di nuovi, questa volta di fantasia, evocativi ma liberi dal ricordo. Da qui i due piani distinti su cui si muove il film, quello autobiografico e quello favolistico. 

Quest’ultimo, che mira a restituire lo sguardo fanciullesco sulla realtà proprio di ogni bambino, è incentrato sui valori dell’amicizia e strizza l’occhio al romanzo di formazione, concretizzandosi di fatto nella figura di Christian. Valerio vi si imbatte per puro caso, o quasi, e scorge in quel ragazzino come lui molto solitario, di poco più grande, ma ben più ribelle e sfrontato, un’occasione di crescita per eguagliare finalmente in forza e coraggio quel Favino eroico, granitico, padre e uomo del meridione, ma in cuor suo fragile e spaventato quanto il figlio.

Interpretazione che è valsa all’apprezzatissimo attore romano la Coppa Volpi alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, dove Padrenostro è stato presentato in concorso quest’anno. 

Ma la vera sorpresa nel film di Noce è non tanto la performance di Favino che ci ha abituato a ruoli di grande rilievo nella scorsa annata cinematografica – Hammamet di Amelio, Il traditore di Bellocchio – quanto quella dei due giovani protagonisti Valerio e Christian, Mattia Garaci e Francesco Gheghi, che hanno saputo dar corpo ad una storia originale costruita sul punto di vista dei bambini.