Dopo il grande raccordo anulare che attornia la capitale e la travagliata esistenza della piccola isola di Lampedusa, il regista Gianfranco Rosi allarga gli orizzonti della sua indagine cinematografica ai territori e alle genti martoriate dai conflitti in Medio Oriente. Un lungo viaggio di tre anni sui confini fra Iraq, Kurdistan, Siria e Libano a caccia di storie che possano testimoniare una qualsiasi forma di resilienza umana agli orrori generati delle continue guerre civili, dittature, invasioni straniere e atti di terrorismo estremista che da anni mettono a ferro e fuoco quelle zone del pianeta. Zone, confini, paesi ridisegnati a tavolino dalle grandi potenze occidentali dopo le guerre mondiali – tra i responsabili della tragedia che si consuma in quei luoghi con la loro ingerenza – senza tener conto delle differenze etniche e culturali dei popoli che vi abitano.

Ma non è della questione medio orientale che il regista vuole occuparsi nel suo Notturno – non tenta di spiegare le dinamiche e le cause dei conflitti, le motivazioni delle parti, alla ricerca di un colpevole, tant’è che la guerra non appare mai direttamente ma è nei canti luttuosi delle madri, nei balbettii dei bambini traumatizzati, nello spettacolo organizzato dai pazienti di un istituto psichiatrico.

Rosi è alla ricerca di quel bagliore di umanità negato dalla narrazione della landa di devastazione e miseria che è il confine di ogni paese che il regista ha attraversato nel suo viaggio. L’oggetto del suo interesse sono le storie e le persone, in grado davvero di trascendere le divisioni geografiche e il tempo dei calendari. La quotidianità di un cacciatore di frodo, un cantore di strada, un gruppo di guerrigliere, l’angoscia di una madre in contatto con la figlia rapita dagli uomini dell’isis, la forza che è negli occhi di Ali, un ragazzino che fatica giorno e notte per sfamare i fratelli. Sono coloro che trascorrono le proprie esistenze nei luoghi del conflitto, tra i segni profondi che si lascia alle spalle una distruzione cieca. È la loro vitalità il cuore del film insieme al concetto di frontiera, la cui percezione Rosi tenta di azzerare. Costantemente ridefinito a causa di esigenze politiche, questo solco immaginario genera minoranze, odio, desiderio di vendetta, una guerra tra poveri che sembra interminabile.

I personaggi di questa storia da cinema del reale sono affascinati, segnati da un destino avverso che lì lega a quei confini coloniali e vetusti. Generose, coraggiose e curiose sono le persone che affollano le storie di Notturno, requisiti necessari per entrare a far parte della squadra di Rosi. Non fa domande ne interviste per non modificare la “storia” ma già sa che quando accenderà la telecamera il soggetto non potrà che trasformarsi in attore e il racconto in cinema. Un cinema premiato a Berlino e a Venezia, che fa dell’estetica ancor più che dell’etica un’arte, forse peccando di auto indulgenza in questo racconto (bello) del brutto.