Una vita sola non sembra sufficiente per contenere le molte esperienze che hanno animato l’esistenza di Quincy Jones. Uno dei produttori musicali più influenti e giustamente celebrati del panorama musicale statunitense. Eppure la sua vita, giunta oggi, 4 novembre 2024, alla sua conclusione, potrebbe venire ricordata per qualcosa che non ha nulla a che vedere con i suoi molti trionfi. Almeno, apparentemente. E cioè di quel momento nel 1985 in cui Quincy Jones andò in soccorso di Bob Dylan, visibilmente in difficoltà durante la registrazione della famosa hit “We are the world“.
Un episodio davvero imbarazzante, immortalato da numerosi video su YouTube da migliaia di visualizzazioni, dal quale il ‘menestrello di Duluth’ riuscì a riprendersi proprio grazie all’intervento provvidenziale di Jones e di Stevie Wonder.
La scena in cui Dylan canta nel coro, con lo sguardo perso nel vuoto, ha dato origine a ‘meme’ di ogni tipo, alcuni venati da una perfidia forse eccessiva. Ma forse non tutti sanno che il momento peggiore per l’autore di “Like a rolling stone” fu quello della registrazione delle parti soliste. Un vero e proprio blocco che rischiò di far perdere al progetto benefico una delle sue voci più prestigiose.
Quincy Jones e Bob Dylan, quando il produttore salvò “We are the world”
Si dice spesso che la morte di una persona lascia un vuoto dietro di sé, ed è sicuramente vero. Ma quella di Quincy Jones lascia sicuramente anche tantissimo. Un gigante capace di legare il suo nome a quello di mostri sacri delle sette note, da Frank Sinatra a Barbra Streisand, da Tony Bennett a Ray Charles fino a Michael Jackson.
Tuttavia, pur non appartenendo alla ‘scuderia’ di talenti lanciati o affiancati da Jones nel corso della sua lunga carriera, è probabilmente Bob Dylan ad avere un debito smisurato nei confronti del celebre produttore e compositore di Chicago.
Bob Dylan e la sua crisi di panico di fronte al microfono
Il piccolo o grande dramma per il cantautore avviene la notte del 28 gennaio 1985, quando all’A&M Studio di Los Angeles si ritrovano 46 tra i più amati artisti della scena musicale americana per registrare “We are the world“, la canzone nata per raccogliere fondi contro la fame nel mondo.
Tra i presenti spicca proprio Dylan, un’icona forgiata negli anni della contestazione, con già all’attivo 22 album e pietre miliari come “Blowin’ in the wind“, “The Times They Are a-Changin’“, “Like a Rolling Stone” e “Knockin’ on Heaven’s Door“. Proprio lui è considerato da Jones e dagli altri ideatori di quel progetto benefico (Lionel Richie, Harry Belafonte e Michael Jackson) una delle punte di diamante.
Se non fosse che Dylan, quella notte, non sembra per niente a suo agio.
Una traccia del suo disagio è già visibile nel video ufficiale della canzone, nel quale si nota tutto lo spaesamento dell’artista, Premio Nobel per la Letteratura nel 2016. Serio, nel tentativo impacciato e fallimentare di intonare qualche strofa del brano, mentre chi lo circonda balla, canta e ride. Una scena ormai famigerata. Del resto, a chi non piace guardare i giganti crollare.
Ma la parte peggiore e meno nota riguarda la prova da solista. Ad alcuni dei membri del gruppo ‘USA for Africa’ nato per l’occasione, viene chiesto, infatti, di cantare in solitaria un passaggio del brano e Dylan è tra i prescelti.
Come si vede nel videoclip, gli artisti si esibiscono tutti insieme nella stessa sala di registrazione e non in altre sale più appartate. Una soluzione voluta proprio da Quincy Jones per creare un clima più rilassato e di reale divertimento, come se si trattasse di una jam session tra amici, ma che su Dylan ha un effetto devastante.
L’intervento di Quincy Jones
In alcune immagini impietose emerse grazie al documentario di Netflix “La notte che ha cambiato il pop“, dedicato proprio alla realizzazione di “We are the world“, si vede il cantante provare e riprovare la sua parte senza alcun successo. Ed è a questo punto che entra in scena Quincy Jones, dimostrando perché oggi, nel giorno della sua morte, viene celebrato come uno dei più importanti produttori musicali mai esistiti.
In una situazione che avrebbe messo in ginocchio o fatto perdere la pazienza a molti altri, Jones si affianca al cantante, lo incita e arriva addirittura a ricordargli di cantare davanti al microfono, senza allontanarsene troppo (a questi livelli era giunto lo stato di agitazione di Dylan…)
La registrazione sembra trasformarsi, a un certo punto, quasi in una sessione di terapia. Una tensione di cui si comprende appieno la portata ascoltando l’applauso (decisamente sproporzionato…) che accompagna il momento in cui Dylan, finalmente, riesce a ‘portare a casa’ un risultato soddisfacente.
Quincy Jones RIP.
— Iffy Pop (@iffypopireland) November 4, 2024
Here he is reassuring an uncomfortable Dylan through his We Are The World performance. pic.twitter.com/9VB7SZDrBb
“We are the world”, un capolavoro di Jones
Basta questo aneddoto per comprendere perché Quincy Jones viene oggi ricordato come una vera e propria leggenda dello show business americano.
Una fama e un prestigio che mette da subito a disposizione dei meno fortunati. Ben noto, infatti, il suo impegno nelle battaglie sociali, che lo portano negli anni ’60 al fianco del reverendo Martin Luther King e, in seguito, alla fondazione dell’Institute for Black American Music, impegnato nella raccolta fondi necessaria a sviluppare un archivio nazionale di arte e musica afroamericana.
Nella filosofia del lavoro di Jones, ogni trionfo va capitalizzato per sostenere chi è in difficoltà. Ecco, dunque, che quando nel 1982 produce per Michael Jackson “Thriller“, ancora oggi l’album più venduto nella storia della musica, coglie l’occasione per un’impresa senza precedenti: una canzone per scopi benefici cantata dalle voci più amate del pianeta all’epoca.
C’è chi sostiene che l’idea sia partita, in realtà, dall’insofferenza del grande Harry Belafonte di fronte al successo di “Do they know it’s Christmas“, canzone realizzata nel 1984 dai Band Aid di Bob Geldof per raccogliere finanziamenti necessari a contrastare la carestia che aveva colpito l’Etiopia. A indispettire Belafonte sarebbe stata la totale assenza di cantanti afroamericani. Per questo, contatta prima Lionel Richie che, a sua volta, si rivolge proprio a Jones che partorisce l’idea di “We are the world“.
Ora il problema è riuscire a radunare nello stesso posto e alla stessa ora tutti i grandi nomi della musica contemporanea che Jones ha in mente, da Michael Jackson a Bruce Springsteen, da Cyndi Lauper a Tina Turner, fino a Stevie Wonder, Diana Ross e Huey Lewis & The News (autori della hit “Power of love” della colonna sonora di “Ritorno al futuro“).
Ma la buona sorte viene in loro soccorso, con gli ‘American Music Awards’ previsti per Los Angeles la sera del 28 gennaio 1985. Ecco, dunque, che a seguito della cerimonia e per tutta la notte, il gruppo guidato da Jones e Richie si ritrova all’A&M Studio per registrare uno dei brani più famosi nella storia della musica.
Una notte che sarà per tutti indimenticabile. Sicuramente anche per Bob Dylan, ma forse per motivi diversi dagli altri.