Nel 2011 la Corte di Cassazione ha condannato Olindo Romano e Rosa Bazzi all’ergastolo, riconoscendoli in via definitiva colpevoli di aver ucciso il piccolo Youssef Marzouk, la mamma Raffaella Castagna, la nonna Paola Galli e la vicina di casa Valeria Cherubini in quella che i giornali hanno rinominato “strage di Erba”.
Tredici anni dopo, gli avvocati che li assistono hanno provato a far riaprire il processo a loro carico, presentando – insieme al loro tutore legale e al sostituto procuratore di Milano Cuno Tarfusser – ben tre richieste di revisione. Al termine di varie udienze, dopo aver ascoltato tutte le parti, lo scorso 10 luglio i giudici le hanno respinte. Ecco perché.
Perché secondo i giudici il processo a Olindo e Rosa sulla strage di Erba non è da rifare
Secondo i togati, le istanze sarebbero inammissibili perché le prove in esse contenute non avrebbero carattere di novità né l'”idoneità a ribaltare il giudizio di penale responsabilità” nei confronti dei due coniugi. La difesa, ricordiamolo, aveva tentato di “scardinare” la fondatezza degli elementi raccolti a loro carico, quelli che hanno portato alla loro condanna.
Innanzitutto, la confessione; poi la testimonianza dell’unico sopravvissuto alla strage, Mario Frigerio; infine, la traccia di sangue rinvenuta dalla scientifica sul battitacco dell’auto di Olindo, attribuita a una delle vittime, Valeria Cherubini. E aveva proposto una ricostruzione alternativa degli eventi, ipotizzando che la strage si fosse consumata nell’ambito di una faida di droga.
L’ipotetico movente legato a un regolamento di conti nell’ambito del traffico di sostanze stupefacenti è stato invano approfondito nella prima fase delle indagini e non ha trovato alcun riscontro […]. Non può certo trovare nuova linfa nelle apodittiche affermazioni di Abdi Kais (ex compagno di cella di Azouz Marzouk, parente di alcune delle vittime, ndr) e nelle supposizioni degli altri pregiudicati intervistati,
scrivono ora i giudici della Corte di Cassazione nelle 90 pagine in cui motivano la sentenza con cui hanno respinto le richieste di revisione del processo. E aggiungono, come riporta Tgcom24:
Una parte delle prove presentate sono rappresentate da interviste, la natura di documenti di tali interviste non vale a conferire loro il rango di prova ammissibile in sede processuale. Diversamente dal testimone escusso in giudizio, il soggetto intervistato non ha l’obbligo di dire la verità e non assume alcun impegno in tal senso.
La testimonianza di Mario Frigerio e la confessione dei due coniugi
I giudici si soffermano poi sulla “questione Frigerio“, che fu accoltellato alla gola, salvandosi per una malformazione alla carotide, e indicò in Olindo l’autore della strage. Secondo la difesa, quando parlò non era “lucido”: le sue risposte “erano state fortemente condizionate da domande suggestive che avevano creato nella sua memoria un falso ricordo”.
Secondo loro, invece, l’uomo – morto a 73 anni nel 2014 – disse la verità, in autonomia. Ci mise del tempo “perché non riusciva ad esprimersi e voleva capire perché il vicino gli avesse fatto una cosa del genere”, come da lui stesso ammesso; ma non cambiò mai versione. E nel corso del processo raccontò ciò che aveva già detto “senza titubanze”.
Non proprio lo stesso comportamento dei due imputati, che prima ammisero le proprie colpe, poi si rimangiarono tutto, sostenendo di essere stati spinti a parlare con la promessa di essere incarcerati insieme. Contro di loro, secondo i giudici, non ci fu “nessun complotto”.
La questione della richiesta di revisione del pg Tarfusser
Insomma, per i giudici non ci sarebbero i presupposti per un nuovo procedimento. Così come, secondo loro, non ce ne erano perché il sostituto procuratore di Milano Cuno Tarfusser presentasse una richiesta di revisione.
La richiesta di revisione – scrivono – è stata formulata da un sostituto procuratore generale della Corte d’appello di Milano privo di delega relativamente alla materia delle revisioni, riservata, secondo il documento organizzativo dell’ufficio, all’avvocato generale, e non assegnatario del fascicolo ed è stata depositata nella cancelleria del Procuratore Generale di Milano, che l’ha trasmessa alla Corte, evidenziando la carenza di legittimazione del proponente, disconoscendone il contenuto e chiedendo che fosse dichiarata inammissibile.
I diversi punti di vista
Per la giustizia Olindo e Rosa restano colpevoli. Le prove che li hanno incastrati sono valide; non lo sono, invece, quelle che per la difesa avrebbero potuto dimostrare la loro innocenza.
I familiari delle vittime si erano già detti sollevati il giorno della sentenza. Ciò che si augurano adesso è che la vicenda si sia davvero chiusa: che per i due coniugi che secondo i giudici si macchiarono dei quattro omicidi commessi la sera dell’11 dicembre del 2006 in via Armando Diaz, a Erba, le porte del carcere possano non aprirsi mai.
Loro continueranno a sperarci. L’avvocato Fabio Schembri, che fa parte del team legale che li assiste, lo ha fatto sapere subito: ricorreranno in Cassazione.