E’ un Natale amaro e pieno di preoccupazione quello che si apprestano a vivere i 92 dipendente del Gruppo Coin. E’ arrivata proprio a ridosso delle festività la notizia che altri sette negozi chiuderanno nel 2025.

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Cinquanta lavoratori sono impiegati a Roma. A gennaio 2025 chiuderà i battenti il punto vendita di Grugliasco, nel torinese. Da anni la situazione finanziaria della storica catena di grandi magazzini, simbolo del Made in Italy, è difficile: l’azienda ha accumulato debiti per 80 milioni di euro. Una crisi iniziata prima del Covid 19 ma che la pandemia ha contribuito ad aggravare.

Coin, Uiltucs spiega la situazione finanziaria del Gruppo

Coin ha utilizzato degli ammortizzatori per crisi e per ristrutturazione prima del Covid – spiega, in esclusiva a Tag24, Samantha Merlo, segretaria nazionale di Uiltucs – Ha risentito della crisi della vendita al dettaglio e della crisi su tessile che l’Italia vive da anni. Tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020 noi avevamo già avuto l’autorizzazione presso il Ministero per la cassa integrazione per ristrutturazione aziendale. Questo fa capire che c’erano già dei problemi”. Ma nonostante i problemi l’azienda mette in campo un piano di investimenti e apre alcuni nuovi punti vendita in Italia. “Come quello di Taranto e di Firenze – precisa Merlo – poi però tra il 2023 e il 2024 il Gruppo comunica ai sindacati un arresto degli investimenti e di tenere sotto osservazione alcuni punti vendita”.

Procedura della composizione negoziata della crisi

Il 2024 è stato un anno di assestamento fino a quando l’azienda comunica di essere in grande difficoltà, di essere fortemente esposta dal punto di vista economico, e che avrebbe attivato immediatamente la procedura della composizione negoziata“, continua Samantha Merlo che spiega cosa sia e come funzioni la composizione negoziata della crisi: “E’ una procedura di protezione per le aziende per evitare che i fornitori, i creditori in generale, aggrediscano la società. Quando un’impresa esposta economicamente e finanziariamente non riesce a ottemperare ai debiti che ha accumulato chiede di poter essere inserita in un pianto di rientro e di investimenti. Può, in sostanza, congelare i debiti. Questa procedura può essere attivata per 120 giorni con una proroga di altri 120, per un totale quindi di 8 mesi”. E’ un escamotage per prendere tempo e, afferma Merlo “per negoziare dei piani di rientro con i fornitori”.

La chiusura di 7 negozi Coin nel 2025

Sembrano così lontani i tempi del massimo splendore della Coin, un marchio tutto italiano legato, tra l’altro, all’abbigliamento e alla cosmetica di brand prestigiosi, a prodotti per la casa di alta qualità. Una storia iniziata più di 100 anni fa, nel 1916, in Veneto, grazie a Vittorio Coin che ottiene la licenza di ambulante per la vendita di tessuti e mercerie. Un uomo pratico e moderno, precursore del concetto di outlet: dà vita prima a Coinette e poi a Oviesse (acronimo di Organizzazione Vendite Speciali), una sorta di succursale di periferia di Coin, in cui si svendono i resti di magazzino. Un passato glorioso che stride con la realtà di oggi che fa conti con chiusure e licenziamenti. L’azienda ha deciso di superare la crisi anche attraverso la dismissione di sette punti vendita. “Otto se si considera anche quello di Grugliasco – aggiunge Samantha Merlo – Di questa chiusura siamo stati avvisati tra giugno e luglio scorsi. I dipendenti diretti sono 19, il loro ultimo giorno di lavoro sarà il 15 gennaio 2024. Per loro abbiamo chiesto a gran voce l’attivazione della cassa integrazione per cessazione attività che darebbe respiro per un ulteriore anno ai lavoratori. Coin non ha più negozi sulla piazza di Torino e quello che auspichiamo è che torni a investire. Non dimentichiamoci poi tutto l’indotto”.

A rischio 92 dipendenti, in maggioranza donne

In totale i dipendenti del Gruppo Coin in tutta Italia solo 1331, 92 rischiano di rimanere senza lavoro nel 2025. “Ma il clima di incertezza purtroppo riguarda tutti e l’incertezza genera preoccupazione – spiega la segretaria di Uiltucs che da anni si occupa della vicenda – lo abbiamo fatto presente diverse volte all’azienda. Il piano industriale o commerciale, come lo vogliamo chiamare, non è mai stato illustrato alle organizzazioni sindacali né ai lavoratori“. La situazione è stata più chiara il 18 dicembre 2024 in occasione del confronto avvenuto al Ministero delle Imprese e del Made in Italy alla presenza di rappresentanti della società, della Regione Veneto e dei sindacati di categoria Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs. L’incontro ha formalmente istituito il tavolo permanente al Mimit. “Al Ministero la società ci ha informato per la prima volta della chiusura dei negozi. Lo trovo un fatto grave”, dice Merlo. E sulle caratteristiche e tipologie dei lavoratori spiega: “Non ho il dato preciso ma da quello che vedo nei punti vendita e nelle assemblee posso dire che si tratta prevalentemente di donne tra i 35 e 55 anni, purtroppo di difficile ricollocazione”.

Prossime tappe: il 23 dicembre incontro in sede sindacale e il 4 febbraio 2025 al Mimit

Sono momenti convulsi, è una corsa contro il tempo. Anche la viglia di Natale non sarà risparmiata. “Il 23 dicembre alle 14 è previsto un incontro in plenaria, con la presenza di tutte le delegazioni sindacali collegate online, durante il quale finalmente potremo visionare il piano industriale che l’azienda avrebbe messo a punto – spiega Samantha Merlo – c’è poi un’altra importante data, quella del 24 dicembre. Scade infatti il termine della composizione negoziata della crisi. Dovrebbe esserci una proroga. Noi siamo fiduciosi”.

La crisi del Gruppo Coin spiegata in cinque punti

  • La storica catena di grandi magazzini, simbolo del Made in Italy, è in difficoltà economica con debiti accumulati per 80 milioni di euro, aggravati dalla pandemia.
  • Nel 2025, Coin chiuderà altri sette punti vendita in diverse città italiane, inclusi Roma, Milano, e Torino, con 92 lavoratori a rischio licenziamento.
  • L’azienda ha attivato una procedura per gestire i debiti, cercando di negoziare piani di rientro con i creditori, che potrebbe durare fino a 8 mesi.
  • I sindacati, che non hanno avuto accesso al piano industriale, esprimono preoccupazione per il futuro dei lavoratori, in particolare per le difficoltà di ricollocazione di molti dipendenti, prevalentemente donne tra i 35 e i 55 anni.