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Tag: stefano bisi

Oggi la trasgressione è il rispetto

“Rispetto” è la parola scelta dall’Istituto dell’Enciclopedia Treccani per il 1924 “per la sua estrema attualità e rilevanza sociale”. Nel dizionario si legge che significa “sentimento e atteggiamento di stima, attenzione, riguardo verso una persona, un’istituzione, una cultura, che si può esprimere con azioni o parole”.

Secondo Valeria Della Valle e Giuseppe Patota, condirettori del Vocabolario Treccani, “questa parola dovrebbe essere posta al centro di ogni progetto pedagogico, fin dalla prima infanzia, e poi diffondersi nelle relazioni tra le persone, in famiglia e nel lavoro, nel rapporto con le istituzioni civili e religiose, con la politica e con le opinioni altrui, nelle relazioni internazionali. Il termine rispetto, continuazione del latino ‘respectus’, va oggi rivalutato e usato in tutte le sue sfumature, proprio perché la mancanza di rispetto è alla base della violenza esercitata quotidianamente nei confronti delle donne, delle minoranze, delle istituzioni, della natura e del mondo animale”.

La parola dell’anno per l’Istituto dell’Enciclopedia Treccani

Il rispetto si esercita con le parole e con le azioni, anche quelle piccole. E’ una parola fuori moda come un tempo era trasgressione. Poi, quest’ultima è diventata norma e consuetudine. Si è svalutata e ora sono trasgressivi valori opposti come il rispetto, un termine fuori moda in ogni campo.

Stefano Bisi

Matteotti, dirigente politico di grande spessore intellettuale 

Nell’anno del centenario dell’uccisione del deputato socialista Giacomo Matteotti l’editore Laterza ha pubblicato un libro a cura di Maurizio Degli Innocenti, che presiede il comitato nazionale delle celebrazioni, Andrea Giardina e Guido Roncaglia, entrambi soci dell’Accademia nazionale dei Lincei. 

“L’immaginazione collettiva – è scritto nell’introduzione – ha relegato a lungo Giacomo Matteotti nel pantheon dei martiri antifascisti, esemplificati per appartenenza alle famiglie politiche, in modo da rendere visibile la dimensione unitaria della Resistenza, e con essa dell’identità repubblicana. Questa tradizionale rappresentazione ha lasciato in ombra quella del dirigente politico di grande spessore intellettuale, oltre che civile e morale”.

Un volume per delineare un aspetto trascurato del martire antifascista

Per delineare questo aspetto di Matteotti hanno dato il loro contributo al volume lo stesso Degli Innocenti e Giampiero Buonomo, Stefano Caretti, John Foot, Guido Melis, Michela Minesso, Gianfranco Pasquino, Paolo Passaniti, Antonio Pedone, Donato Romano, Pier Giorgio Zunino.

Anche questo volume serve per non dimenticare quella stagione tragica contrassegnata, il 10 giugno del 1924, dal sequestro e poi dall’uccisione di Matteotti.

Stefano Bisi

Nasceva 50 anni fa il ministero dei Beni culturali

Cinquanta anni fa nasceva il ministero dei Beni culturali, una creatura di Giovanni Spadolini, il fiorentino, “un italiano”, come amava definirsi e come è scritto sulla sua tomba. Cosimo Ceccuti, presidente della Fondazione che porta nome dello statista, ricorda che il 14 dicembre 1974 Aldo Moro istituiva per Decreto legge il Ministero per i Beni culturali e ambientali, affidandone la guida a Spadolini.

Nel libro “Beni culturali. Diario, interventi, leggi” (Vallecchi Editore), si trovano due pagine con le riflessioni di Spadolini scritte alla vigilia della nascita del ministero: “È venerdì, e 13. Ma non sono superstizioso: anzi considero il 13, per non poche esperienze della mia vita, come un segno di fortuna. È convocato il Consiglio dei ministri del bicolore Moro-La Malfa che deve varare lo schema di provvedimento di urgenza destinato a costituire, pleno jure e non con la finzione del senza portafoglio, il ministero per i Beni culturali e per l’ambiente”.

Fu un’intuizione di Giovanni Spadolini e firmata dal presidente del consiglio Aldo Moro

Per Spadolini è una “denominazione che riflette, allo stato degli atti, la fusione fra i due tronconi realizzata col passaggio dal quarto al quinto governo Rumor. In parecchi colloqui sia con Moro sia con La Malfa, è stata decisa la via del decreto legge: l’unica che ci ponga al riparo dai rischi, troppo gravi in questo tormentato settore, di nuovi insabbiamenti, di ulteriori rinvii”. 

Sono passati cinquanta anni ed è giusto ricordare quei giorni e colui che ebbe la geniale intuizione. Nel 2025 è anche il centenario della nascita di Giovanni Spadolini ed è già in moto la macchina per organizzare celebrazioni degne dello statista che fu.

Stefano Bisi

Quale via d’uscita per i tanti e tante Cristina Seymandi?

Non tutte e tutti si chiamano Cristina Seymandi, che ha avuto la possibilità di difendersi con interviste una dietro l’altra dopo la richiesta di archiviazione della procura per gli hater che avrebbero diffamato la donna dopo la tumultuosa fine della relazione affettiva con il suo compagno a pochi giorni dal matrimonio. Moltissimi, appunto, non si chiamano Cristina Seymandi, e vedono la loro reputazione calpestata da conigli da tastiera che spesso dietro l’anonimato offendono, deridono, diffamano senza per questo essere puniti.

Secondo quanto scrivono i giornali la decisione di archiviare le querele sarebbe supportata dal fatto che nei social “non pare più esigibile che la critica ai fatti privati delle persone si esprima sempre con toni misurati e eleganti. La progressiva diffusione di circostanze attinenti la vita privata e la diffusione dei social ha reso comune l’abitudine ai commenti, anche con toni robusti, sarcastici, polemici e inurbani”.

Il diritto di critica sui social non autorizza il diritto di offesa 

I commenti social erano stati postati dopo che l’ex fidanzato nel luglio del 2023 aveva annunciato pubblicamente la rottura del loro fidanzamento addebitando alla manager presunti tradimenti. È a questo punto che comparvero insulti sui social verso la donna. “Si vuole davvero – scrive l’avvocato nell’opposizione alla richiesta di archiviazione – fare passare la cattiveria e la brutalità dei commenti come fisiologiche espressioni di un diritto di critica in ragione del contesto dialettico nel quale sono realizzate le condotte? Tale epilogo si rivelerebbe assai pericoloso, in quanto legittimerebbe qualsivoglia individuo a esprimersi nelle più volgari, offensive e denigratorie maniere in qualunque contesto, sconfinando nella aggressione gratuita alla sfera morale altrui o nel dileggio o disprezzo”.

Il pubblico ministero nel motivare l’archiviazione ha sottolineato la difficoltà di identificare tutti gli odiatori che hanno agito sui social. E quindi che cosa può fare chi viene diffamato? Chi apre un profilo social dovrebbe lasciare alla piattaforma la propria identità.

Stefano Bisi

Corriere Mercantile, compleanno senza il festeggiato

Corriere Mercantile, compleanno senza il festeggiato

E’ una festa di compleanno senza il festeggiato, purtroppo, ma a Genova il Corriere Mercantile è ancora amato dai cittadini e per i 200 anni del quotidiano esce nelle edicole una pubblicazione interamente dedicata all’evento. E la Biblioteca della Camera di commercio, in occasione della celebrazione, espone volumi rilegati con copie del giornale dall’Ottocento agli anni Duemila. Inoltre il 16 dicembre nella sede del municipio Bassa Valbisagno si terrà l’iniziativa dal titolo “Il Corriere Mercantile, il bicentenario che non t’aspetti” e per festeggiare verrà affissa una targa in via Archimede, nel palazzo che per quasi 40 anni è stata la sede della redazione e della cooperativa Giornalisti e Poligrafici che editava il quotidiano.

I 200 anni del quotidiano genovese chiuso nel 2015

A questa storia genovese il Secolo XIX ha dedicato una pagina scritta da Andrea Bagorda, piena di ricordi di personaggi che hanno fatto la storia di quel giornale che non c’è più, dallo storico direttore Mimmo Angeli alla caporedattrice Sandra Ramella, “flemmatica, autorevole, preparata, l’unica capace con un solo sguardo di placarne le ire”. La leggenda narra che la Ramella al Ballo della Rosa di Montecarlo sia stata invitata a ballare dal cardiochirurgo Christian Barnard, autore del primo trapianto di cuore, affascinato dal carisma e dall’eleganza della giornalista.

Nel 2015 è finita l’avventura del Corriere Mercantile nell’indifferenza dell’economia e della politica. Bagorda ricorda l’amarezza di Mimmo Angeli al ritorno dall’ennesimo incontro con gli imprenditori locali: “Anche questa volta a forza di pacche ho una spalla più bassa dell’altra”. E purtroppo non è solo una storia genovese.

Stefano Bisi

Quell'Autosole che non è solo un'autostrada

Quell’Autosole che non è solo un’autostrada

Ogni volta che si registra un grave incidente sull’Autostrada del Sole ai più anziani torna in mente il periodo in cui quella infrastruttura non c’era e raggiungere una città e l’altra dell’Italia era un’impresa. A questa che è molto più di una strada il Ministero della Cultura e l’Archivio Storico Luce Cinecittà dedicano una mostra a sessanta anni dalla inaugurazione con le foto di Luca Campigotto, Silvia Camporesi, Barbara Cannizzaro.

Un’infrastruttura che ha sfidato i limiti dell’ingegneria, con 113 ponti, 38 gallerie e soluzioni progettuali d’avanguardia firmati da grandi nomi come Riccardo Morandi e Giorgio Macchi, scrive Artribune.

Una mostra a Roma ripercorre le fasi della costruzione dell’infrastruttura

La mostra è stata inaugurata il 4 dicembre alla Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea a Roma e resterà aperta fino al 25 febbraio e ripercorre le varie fasi della costruzione, dalla posa della prima pietra il 19 maggio 1956 con il presidente della Repubblica Giovanni Gronchi fino all’inaugurazione il 4 ottobre 1964 a Firenze con il presidente del consiglio Aldo Moro che disse: “E’ il simbolo di un’Italia moderna e civile”.

Questa infrastruttura costruita in otto anni, infatti, non è solo un’opera ingegneristica ma segna l’evoluzione di un Paese che voleva guardare al futuro. Molti operai, 74, morirono nei cantieri per un’Italia più moderna e unita, da Nord a Sud.

Stefano Bisi

Garibaldi, a Montevideo sbarrate le porte della casa-museo

A Montevideo, il 23 luglio 1882, si svolse un singolare funerale in onore di Giuseppe Garibaldi, privo però del corpo del defunto. Un corteo di circa 20-25 mila persone attraversò le vie della capitale uruguaiana per rendere omaggio a colui che non era presente. Garibaldi, infatti, era morto il 2 giugno dello stesso anno a Caprera, in Italia, ma il ricordo del suo fondamentale contributo all’indipendenza dell’Uruguay, durante i sette anni trascorsi nel Paese dal 1841 al 1848, era ancora vivo.

Mancanza di fondi e l’Uruguay dimentica chi rischiò la vita per la sua indipendenza

Oggi, però, la casa che Giuseppe e Anita Garibaldi abitarono al numero 314 di 25 de Mayo, nella Ciudad Vieja di Montevideo, è chiusa definitivamente dal 2018. La mancanza di fondi necessari per i lavori di restauro ha portato alla sua inagibilità, aggravata da crepe nei muri e infiltrazioni d’acqua dal soffitto. Questo edificio, un tempo casa-museo e custode di cimeli legati all’eroe dei due mondi, non può più accogliere visitatori. Inoltre, Montevideo conserva traccia del legame di Garibaldi con la città anche attraverso documenti storici che attestano la sua iniziazione in una loggia massonica locale.

Stefano Bisi

"C'era una volta l'Italia" in ricordo dei nostri nonni

“C’era una volta l’Italia” in ricordo dei nostri nonni

Un monumento per ricordare gli italiani che lavorarono in Francia. Il quotidiano “La Libertà” di Piacenza ha raccontato la vicenda di una realizzazione in ricordo di chi ha contribuito allo sviluppo di una nazione lavorando lontano dalla propria terra: “È stata una grande emozione già nel settembre del 2022 quando ci fu la posa della prima pietra – spiega Giovanni Piazza, in rappresentanza della Consulta degli emiliano-romagnoli nel mondo -. Un monumento nazionale voluto da tutti gli italiani presenti in Francia e che ci rende orgogliosi di essere piacentini. Innanzitutto perché è stato progettato da Louis Molinari, originario di Poverella di Groppallo, e in secondo luogo perché si tratta di un monumento che ricorda un pezzo di storia importante del nostro territorio quando l’emigrazione verso oltralpe fu la risposta alla richiesta d’aiuto da parte della Francia per la realizzazione di nuove infrastrutture”.

Un monumento in Francia celebra il lavoro degli italiani all’estero

Emozione e orgoglio anche nelle parole di Jean Claude Boeri, vicepresidente del circolo “Leonardo da Vinci”: “Un progetto iniziato cinque anni fa quando in pochi ci credevano – il suo commento -. Un monumento che rende omaggio ai nostri padri, ai nostri nonni che sono emigrati per costruirsi una nuova vita”.

“C’era una volta l’Italia” nasce dalle sottoscrizioni di oltre 400 famiglie che insieme hanno finanziato l’opera e raccolto fondi, 600mila euro, per completarla. Il monumento è una rappresentazione dell’Uomo vitruviano di Leonardo Da Vinci, alto sette metri circondato da quattro alberi rappresentativi di oltre 3.500 famiglie di emigrati italiani in Francia.

Stefano Bisi

Genio, innovazione e umanesimo nel dna dei toscani

Genio, innovazione e umanesimo nel dna dei toscani

Il genio e l’innovazione sono nel dna dei toscani. Il presidente della Regione Eugenio Giani lo ha detto in occasione della Festa della Toscana: “Pensiamo al Rinascimento, da Michelangelo a Leonardo e Galileo, fino alla contemporaneità – Nell’ epoca dei social ricordiamo come proprio in Toscana nel 1986 partiva la storia del digitale, veniva infatti captato dai ricercatori dell’ Università di Pisa il primo segnale della rete Internet in Italia”.

Il primo segnale della rete internet in Italia captato da ricercatori di Pisa

“Accanto al genio e all’innovazione – aggiunge il presidente – la Toscana ha nel suo dna anche il pilastro dei diritti, ecco che nel 1786 aboliva, primo Stato al mondo, la pena di morte per volere del granduca Pietro Leopoldo, il granduca delle riforme. Egli abolì non solo la pena di morte, ma anche la tortura e la confisca dei beni ai condannati. Un gesto profondo di civiltà che vogliamo portare avanti nella Toscana di oggi attraverso azioni concrete”.

E sottolinea una di queste: “Penso per esempio all’opportunità degli asili nido gratis, come elemento pedagogico di grande innovazione e anche a tutte le azioni che  la Toscana riesce a sviluppare sulla parità di genere, che la rendono avanguardia sul piano dei diritti”.

Genio, innovazione e umanesimo i tratti caratteristici di quella che possiamo chiamare “toscanità” e che da 25 anni è sottolineata dalla festa della regione.

Stefano Bisi

Il centenario della morte di Alberto Manzi

Grosseto ricorda il maestro che insegnò a leggere e a scrivere in tv

“Non è mai troppo tardi” per imparare a scrivere e Alberto Manzi lo insegnò a milioni di italiani con la fortunata trasmissione televisiva messa in onda dalla Rai dal 1960 al 1968 ed esportata in 72 Paesi. Manzi venne scelto per la sua esperienza di maestro elementare nel quartiere romano della Garbatella e per il suo modo di rapportarsi con gli alunni ebbe anche qualche contrasto con i dirigenti scolastici.

Nelle pagelle scriveva: “Fa quel che può, quel che non può non fa”. Quest’anno ricorre il centenario della nascita e la Fondazione Luciano Bianciardi di Grosseto ha organizzato nella città maremmana alcune iniziative. Per il 29 novembre propone la giornata di studi “Il disegno che insegna” alla quale parteciperanno tante classi delle scuole grossetane. Manzi era stato sindaco di Pitigliano e il suo valore è particolarmente riconosciuto da queste parti.

L’idea, dicono i promotori, nasce dall’interesse dello scrittore Luciano Bianciardi per il famoso maestro che contribuì all’alfabetizzazione dei tanti italiani ancora privi, negli anni Sessanta, della licenza elementare.

Il centenario della morte di Alberto Manzi

“Con questo progetto abbiamo voluto coinvolgere le scuole su uno dei piani più originali dell’insegnamento di Manzi, quello del disegno – dice Lucia Matergi, direttrice di Fondazione Bianciardi – e la risposta che abbiamo registrato è la prova del grande interesse che ancora suscita il personaggio trattato”.

“La riscoperta dei numerosi articoli su Manzi, solo di recente resi noti grazie alla pubblicazione dell’intero corpus degli articoli giornalistici di Bianciardi dal titolo ‘Tutto sommato’ (ExCogita 2022) – dichiara Massimiliano Marcucci, presidente della Fondazione Bianciardi -, ci permette di dare il nostro contributo al centenario di un personaggio importante per la storia del nostro Paese”. La giornata di studi si svolge venerdì 29 novembre dalle 9.30 alle 13, nella sede del Polo universitario grossetano, in via Ginori 43 a Grosseto.

Stefano Bisi

L'anno in cui morì la libertà di stampa e non solo

L’anno in cui morì la libertà di stampa e non solo

“1924: anatomia di un omicidio. Come si uccide la libertà di stampa” (Edizioni All Around, 255 pagine) è il nuovo libro di Giancarlo Tartaglia, scritto per la Fondazione per il Giornalismo Paolo Murialdi di cui il direttore storico del sindaco dei giornalisti è segretario generale.

“Un libro che dovrebbe leggere, dalla prima all’ultima pagina, non solo chi di mestiere fa il giornalista – commenta Pino Nano -, ma anche chi fa il politico e grida al regime o per malafede o semplicemente perché non conosce la storia. Un libro che dovrebbero leggere anche tutti i giovani cronisti che non sanno cosa sia stato il fascismo per l’Italia e, quindi, non hanno neanche l’idea esatta del grande eldorado in cui sono cresciuti”.

Il 1924, anatomia di un omicidio anzi due

Il 1924 è stato l’anno delle elezioni per il nuovo parlamento che avrebbe assicurato una maggioranza al fascismo e cancellato; l’anno del rapimento e dell’uccisione del deputato socialista Giacomo Matteotti e l’anno dell’entrata in vigore del nuovo regolamento sulla stampa, per imbavagliare la libertà di espressione.

Giancarlo Tartaglia ricostruisce quei giorni del 1924 con molti dettagli e poi definisce Benito Mussolini “benché presidente del Consiglio, ancora direttore di un quotidiano, ponendo la massima attenzione alla stampa, considerandola il termometro su cui regolare la propria azione politica”.

“Lo ha scritto lo stesso Giovanni Spadolini – ricorda Tartaglia – che proveniva dal giornalismo militante, e Mussolini era un giornalista nell’intimo delle fibre, nella sua sfrenata passione pubblicitaria, nel suo calcolato dialogo con le folle”. Per Tartaglia il duce aveva un’ossessione per la stampa e come addomesticarla era il suo obiettivo.

“Oltre che proseguire nella tradizione dei suoi predecessori di finanziare giornalisti e giornali vicini al governo – continua Tartaglia – aveva fatto avviare dal capo del suo ufficio stampa, Cesare Rossi, un’indagine, tramite le prefetture, per ottenere una precisa mappatura di tutti i giornali del Regno: la loro collocazione politica, i costumi dei direttori e dei redattori, gli interessi industriali che rappresentavano, chi erano i finanziatori dell’impresa, eccetera”. Il controllo totale del mondo della comunicazione, “altro che Telemeloni” commenta Pino Nano.

Stefano Bisi

Castello di Sammezzano, non c'è pace per il luogo del cuore

Castello di Sammezzano, non c’è pace per il luogo del cuore

Sembrava la rinascita per il castello di Sammezzano, l’edificio in provincia di Firenze la cui origine risale a prima dell’anno mille che poi nel diciannovesimo secolo l’eclettico marchese Ferdinando Panciatichi Ximenes d’Aragona trasformò in uno dei principali esempi di architettura orientalista in Italia, ma le speranze sono perdute.

Ginevra Moretti, amministratrice della Smz Srl, la società controllata dalla sua famiglia, aveva presentato al curatore fallimentare dell’attuale proprietà, la Sammezzano Castle, una proposta di concordato che avrebbe dovuto togliere l’affascinante castello dall’ennesima asta e soprattutto dal degrado in cui è accaduto dopo anni di abbandono.

Verso un’altra asta dopo la proposta di concordato di un mecenate culturale

La notizia era stata accolta con soddisfazione dai tanti che da anni guardano con preoccupazione allo stato del castello di Leccio, a pochi chilometri da Firenze, dopo due aste andate deserte. Pare che il curatore fallimentare, l’avvocato romano Luca Gratteri, non abbia ritenuto adeguato agli interessi della curatela il concordato proposto da un’azienda che già si è distinta come mecenate culturale.

“Non sappiamo esattamente cosa sia accaduto – è il commento di Save Sammezzano il movimento civico che da tempo chiede il recupero e il ritorno alla fruibilità pubblica del castello – ma certo siamo preoccupati perché si perde ulteriore tempo, si dovrà passare un altro inverno. Poi se l’asta andrà di nuovo deserta che succederà?”. Per il castello di Sammezzano, uno dei luoghi del cuore per il Fondo ambiente italiano, non c’è pace.

Stefano Bisi

Creatività e perseveranza fanno raggiungere risultati impossibili

Creatività e perseveranza fanno raggiungere risultati impossibili

“Quando hai un problema che non riesci a risolvere,  prova a fare esattamente il contrario di come si è sempre fatto. Ignorando l’opinione degli altri, esperti inclusi” è il consiglio dello scrittore Gianrico Carofiglio che prende spunto da un atleta che ha segnato la storia del salto in alto. Si chiamava Dick Fosbury ed era nato il 6 marzo del 1947 in Oregon. Era alto e magro e sembrava poco adatto a primeggiare in una disciplina sportiva ma aveva una grande forza di volontà e dopo aver provato diverse discipline, dal calcio al basket, dal nuoto al baseball si dedicò al salto in alto.

La storia di Fosbury, il saltatore in alto che doveva rompersi l’osso del collo

Racconta Carofiglio che Fosbury, nonostante l’impegno e gli sforzi non riusciva a superare la modesta misura di 1 metro e 63 centimetri seguendo la tecnica dell’epoca che prevedeva lo scavalcamento dell’asticella mantenendo il corpo in una posizione orizzontale durante il volo. Fosbury decise di cambiare tecnica, scavalcando l’asticella con un balzo all’indietro e atterraggio di schiena. Un allenatore disse che si sarebbe rotto l’osso del collo e invece perfezionò la tecnica che ora è adottata dagli atleti di tutto il mondo. Morale della favola: la storia leggendaria di Fosbury ci insegna che con la creatività, l’intelligenza e la perseveranza si possono raggiungere risultati che sembrano impossibili.

Stefano Bisi

Quelle pettorine gialle che non guardano la partita

Quelle pettorine gialle che non guardano la partita

Quando guardo le partite di calcio non posso fare a meno di notare gli steward che stanno a bordo campo con la casacca gialla e lo sguardo rivolto esclusivamente verso le tribune. Hanno il compito di osservare il comportamento dei tifosi e intervenire per segnalare eventuali intemperanze. Non possono guardare la partita. Secondo me corrono anche qualche rischio per la loro incolumità fisica perché dal campo di gioco può arrivare una pallonata improvvisa che può far male come un proiettile per il motivo che non te l’aspetti.

Durante la gara Fiorentina-Verona è successo un episodio di questo tipo segnalato da un lettore di violanews.com che ha sottolineato anche la sensibilità del calciatore dei toscani Dodò che è andato a sincerarsi delle condizioni della steward colpita alla testa da una bordata. Il calciatore della Fiorentina “prima di raccogliere la sfera per battere il fallo laterale si accerta delle condizioni della ragazza, in una fase di gioco piuttosto concitata – ha scritto – . Questa vicenda mi è rimasta particolarmente impressa, sia per la sensibilità del campione brasiliano, sia per dedicare un pensiero a questi ragazzi che tutte le domeniche stanno a sedere fermi come statue per far svolgere regolarmente le partite di serie A. Spesso sono studenti che vanno a guadagnare qualcosa per mantenersi gli studi”. 

Rischiano di prendere una pallonata che è pericolosa come un colpo di fucile

Lavorano per cinque ore con sole, pioggia, freddo, vento e neve e sono costretti a disinteressarsi della partita. Il lettore aggiunge: “Durante l’orario di lavoro vengono rifocillati con tè caldo, specialmente nelle notturne nei periodi invernali. A loro va il mio più sincero ringraziamento e apprezzamento, tutti coloro che lottano con qualsiasi tipologia di lavoro per andare avanti sono nel mio cuore. Grazie Dodò per le tue percussioni in campo e per la tua sensibilità, non comune”. Ci uniamo a queste considerazioni.

Stefano Bisi

La laicità secondo un teologo e un monaco 

La laicità secondo un teologo e un monaco 

Che cosa è la laicità? Può sembrare singolare che a spiegarlo sia un teologo ma non è così perché Vito Mancuso riesce con chiarezza a dare una definizione che può soddisfare tutti coloro che amano fare esercizio di laicità. Scrive che “è un metodo che si applica a un contenuto sostanziale, il quale è dato dalla relazione tra il foro interiore delle convinzioni ideali e il foto esteriore della convivenza con altri soggetti, spesso diversi, talora antagonisti”. 

Sottolinea che “nessuna negoziazione a livello interiore, dove è in gioco l’anima e il grado dell’adesione personale alla verità e alla giustizia, cioè (per chi vi crede) la salvezza eterna; ma concrete negoziazioni a livello di foro esteriore, dove è in gioco la relazione armoniosa degli uomini tra loro, uomini sempre più diversi, plurali, differenti. Riuscire a mediare tra queste due dimensioni della vita significa fare esercizio di laicità”.

Le riflessioni di Vito Mancuso ed Enzo Bianchi e l’esercizio quotidiano

Sul tema è interessante leggere il pensiero di un monaco, Enzo Bianchi, per il quale “la laicità dello Stato è allora quella opzione di fondo che consente di reinventare continuamente strumenti condivisibili e linguaggi comprensibili da tutti, di garantire presidi di libertà e di non sopraffazione, di difendere la dignità di ciascuno, a cominciare da quelli cui viene negata, di consentire a ciascuno di ricercare, anche assieme ad altri, la pienezza di senso per la propria vita”. La laicità quindi si esercita ogni giorno. E’ un esercizio, appunto, per fare, per provare a costruire.

Stefano Bisi

Due super mamme ma dovrebbe essere la normalità

Due super mamme ma dovrebbe essere la normalità

Due storie di neomamme che meritano di essere raccontate. Una ha come protagonista la campionessa italiana di Pentathlon Alice Sotero che è stata multata perché è passata sulla pista di atletica con il passeggino ad Asti. L’atleta sui social ha scritto: “Vita da mamma atleta: mi hanno fatto un verbale perché sono passata sulla pista con il passeggino. Il passeggino rovina la pista. Fine della storia”. E’ il regolamento del Comune a proibire l’ingresso sulla pista con bici, passeggini e monopattini. L’amministrazione ha affidato a una ditta privata la vigilanza: sono loro che hanno fatto il verbale all’atleta, applicando il regolamento. Il caso è diventato politico e il dibattito si è sviluppato sulla società che rende difficile coniugare il ruolo di mamma con la vita lavorativa.

E Gabriele, a due mesi, partecipa alle riunioni di giunta

L’altra storia arriva da Firenze dove l’assessore allo sport e politiche giovanili Letizia Perini, 30 anni, il figlio Gabriele, nato il 24 settembre, lo porta alle riunioni della giunta e del consiglio comunale. “E’ un bambino buono. Dopo una settimana dal parto io sono riuscita già a fare le prime riunioni online, sempre prendendo i momenti necessari per il bambino: gli strumenti smart mi hanno aiutato” dice l’assessora che divide il ruolo di genitore con il padre di Gabriele, l’ex vicepresidente del consiglio comunale Emanuele Cocollini. Insomma, sembra un predestinato ma chissà se sceglierà il centrodestra o il centrosinistra visto che la madre è del Pd e il babbo dalla parte opposta.

Stefano Bisi

“L’allenatore è come un prete” parola di Eziolino Capuano

Non ha vinto un Mondiale come Marcello Lippi ma Eziolino Capuano è un Personaggio del calcio con la P maiuscola. A lui dedicano una lunga intervista il Corriere della Sera e la Gazzetta dello Sport, eppure a 59 anni non ha ancora allenato in serie A. E’ un personaggio scomodo per un mondo fatto di lustrini. L’ultima impresa di Capuano è aver lasciato il Foggia per il dolore umano non risarcibile della morte di tre tifosi e la partita che non è stata rinviata perché doveva essere trasmessa in televisione.

Eziolino racconta la sua carriera: “Ho iniziato a Empoli, poi sono diventato campione d’Italia con l’Heraion, ma l’inizio della carriera tra i grandi è avvenuto con l’Ebolitana. Il giorno prima, con la Beretti, avevamo sconfitto il Napoli per 2-0 e, complice l’esonero del tecnico della prima squadra, mi chiamarono sulla panchina dei grandi. Ricordo che per essere ritenuto più credibile, dissi di avere 28 anni e invece ne avevo 24. Ma la verità è che la personalità o ce l’hai o non ce l’hai”. 

Un personaggio del calcio senza aver allenato in serie A

E Capuano ce l’ha. E’ di parola: “Quando ho dato una parola, l’ho sempre mantenuta. Una volta misi una firma su un mutuo di 200mila euro per un amico. Lui non ha pagato e io continuo a farlo. Al di là di questo, se una cosa non mi piace, io vado via”. Si sente come un prete: “Fare l’allenatore è una vocazione. Sono uno del popolo e vivo per il popolo. Ho un rapporto stupendo con i tifosi e gli ultras. E dico con chiarezza una cosa: gli ultras non sono delinquenti. Quella ultras è una mentalità che nel bene e nel male va rispettata. Davanti a 12mila tifosi ai funerali dei ragazzi foggiani c’era tutto il mondo ultras d’Italia. Questi sono grandi ideali”. Parola di Ezio Capuano detto Eziolino perchè è basso di statura ma di alti ideali.

Stefano Bisi

La storia di Vito, da Sambuca di Sicilia alla Capraia

“Un po’ Checco Zalone alla ricerca del posto fisso in ‘Quo Vado’, un po’ Paolo Villaggio in ‘Io speriamo che me la cavo’. Con una spolverata del Tom Hanks di ‘Cast Away’, ma solo per la destinazione isolana e parecchio isolata (soprattutto in inverno) che da qualche settimana è diventata la sua nuova casa”. E’ la storia di Vito Bilello, 32 anni, laureato a pieni voti in Biotecnologie all’università di Pavia nel 2019, a cui è seguito un master in Bioinformatica e un contratto da ricercatore, che Federico Lazzotti racconta nel Tirreno.

E’ la storia vera di aspirante professore di matematica, fisica e scienze, oggi residente a Sambuca di Sicilia, in provincia di Agrigento, costretto a trasferirsi sull’isola di Capraia, distante 37 miglia marine, per inseguire il sogno di insegnare. Per la cronaca la cattedra che gli è stata affidata fino a giugno consta di undici ore a settimana in una multiclasse della scuola secondaria, alla quale sono iscritti quattro ragazzini tra gli undici e i tredici anni. 

Il sogno di insegnare inseguito a caro prezzo

Il motivo di una scelta tanto coraggiosa quanto difficile, lo svela il professor Bilello al Tirreno: “Con i dodici punti che conquisterò attraverso questa supplenza non perderò posizioni in graduatoria. E nel frattempo sto studiando, il prossimo anno mi iscriverò al Tfa, il corso di specializzazione per diventare insegnante di sostegno, anche se ha un costo elevato: circa 4.000 euro. Una cosa è certa: non lo faccio per soldi visto che lo stipendio è tra i 1.000 e i 1.100 euro”. 

A fine ottobre Bilello è salito in cattedra, anzi in auto, poi in aereo da Palermo a Pisa e infine in traghetto da Livorno alla Capraia. Per 1.100 euro e la gioia di insegnare.

Stefano Bisi

Lo stadio fiorentino è un monumento, copriamolo

Quando viene restaurato un monumento o un palazzo storico da qualche anno va di moda coprirlo con una gigantografia che nasconde il cantiere. Lo stadio Artemio Franchi di Firenze, progettato da Pier Luigi Nervi e inaugurato il 13 settembre del 1931, è un monumento nazionale e come tutte le bellezze ha bisogno di qualche ritocco di notevole importanza. Per anni si è discusso su come fare, come conciliare le partite con i lavori. Il risultato è che la capienza è quasi dimezzata e la curva Fiesole, centro del tifo della Fiorentina è desolatamente vuota, con crateri, buche, ruspe. Manca solo il cartello “Lavori in corso”.

Il Franchi di Firenze è un cantiere da abbellire con maxi pannelli

E mentre la squadra viola è a un passo dalla vetta e il cuore dei tifosi si scalda, uno di loro, Filippo è il suo nome, ha lanciato una proposta al sito internet violanews.com. E’ un’idea semplice: copriamo il cantiere con “una grande pannellatura che oscuri la curva e riproduca, ad esempio, la coreografia della Fiesole del 1991 quando Baggio tornò a Firenze con la maglia della Juve, che riproduceva lo skyline della città di viola”. Firenze è tra le città più belle e lo stadio dedicato a uno dei più grandi dirigenti del calcio italiano e internazionale è un monumento nazionale che ha bisogno di cure. Per rendere meno evidente il cantiere l’idea di maxi pannelli è da prendere in considerazione.

Stefano Bisi

Le lacrime possono diventare perle

“Il mondo spezza tutti e poi molti sono forti nei punti spezzati” scriveva Ernest Hemingway. In una parola la capacità delle singole persone, dei gruppi e delle comunità è la resilienza, un termine che è andato di moda durante la pandemia e subito dopo ma va bene per ogni stagione.

La crisi economica che ci accompagna da anni, le guerre in molte parti del mondo e anche vicino a noi, le ondate di immigrazione, le catastrofi naturali hanno stimolato sempre più ad occuparsi della resilienza. Sull’argomento sono usciti alcuni libri e tra questi è da segnalare il volume di Patrizia Meringolo e Moira Chiodini con Giorgio Nardone che si intitola “Che le lacrime diventino perle” edito da Ponte alle Grazie. 

Un libro-invito a cercare le energie in noi stessi nei momenti più bui

Scrivono che è nei momenti di crisi e di sofferenza che gli individui, i gruppi, le associazioni devono trovare in se stessi le energie per andare avanti e possono farlo dimostrando elasticità e assorbendo l’urto dell’evento negativo per indirizzarlo verso traiettorie differenti, costruttive invece che distruttive. E questo modo di agire è chiamato resilienza che, scrivono gli autori, in termini psicologici è un processo di creazione, di competenze, nuovi obiettivi e fiducia in sé necessari per affrontare una prova, riprendersi e uscirne rafforzati. In tempi di incertezza ed emergenza la parola resilienza si è imposta nel linguaggio.

Stefano Bisi

Un tesoro di vecchie foto scoperto per caso

Ci sono dei giornalisti che riescono a trovare dei tesori sconosciuti. E’ successo al Corriere fiorentino che qualche settimana fa ha scovato un archivio fotografico ungherese che rappresenta un viaggio nella bellezza di Firenze, con gli occhi delle persone qualsiasi che erano in visita e che parte dal 1900 per arrivare al 1979. Un tuffo nel passato reso possibile da Fortepan, con oltre 100mila fotografie disponibili gratuitamente per chiunque e scaricabili in alta definizione, con licenza Creative Commons. 

Firenze com’era nell’archivio di fotografi ungheresi

“All’inizio – scrive il quotidiano – gli uomini hanno tutti il cappello, le donne ampie gonne e sembra di sentire il silenzio. Poi arrivano le prime automobili, le carrozzelle dei fiaccherai, le camicie nere e le distruzioni della guerra voluta dal fascismo per eternarsi. Quindi la motorizzazione di massa, i turisti, qualche immagine a colori, fino ai beat e le minigonne, con i monumenti e i luoghi celebri della città sempre al centro delle inquadrature”. 

L’archivio è nato nel 2010 per iniziativa di Ákos Szepessy e Miklós Tamási da fotografie trovate per caso per le strade di Budapest e poi è stato  ampliato grazie a donazioni di famiglie, fotografi amatoriali e professionisti. Un mondo che non c’è più ma che merita di essere osservato e ammirato.

Stefano Bisi

Giornali a scuola e giornalini di classe

I giornali bisogna cominciare a leggerli da bambini per poi proseguire la buona abitudine da grandi. Sul tema si sono incontrati il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’informazione e all’editoria Alberto Barachini e la segretaria generale della Federazione nazionale della Stampa italiana Alessandra Costante.

Il ministro Valditara ha sottolineato “il pieno sostegno alla collaborazione tra il mondo dell’istruzione e quello dell’informazione professionale perché la scuola deve essere un luogo in cui i giovani imparano a sviluppare un pensiero critico, consapevole e autonomo, e in questo processo l’informazione giornalistica di qualità riveste un ruolo essenziale”. Il ministro si è soffermato sulla necessità di “sostenere i giornali in classe e promuovere la lettura critica aiuta i giovani a comprendere meglio il mondo che li circonda”.

Istituzioni e giornalisti insieme per sostenere la lettura consapevole

Dello stesso parere è il sottosegretario Barachini: “Credo che i giornali in classe debbano costantemente accompagnare il percorso di studi per sensibilizzare i giovani all’importanza dell’informazione come strumento di crescita e di consapevolezza, cruciale nel processo democratico che regola la vita del Paese. Per questo ho reso più facile l’accesso ai contributi del Dipartimento Editoria per l’acquisto di giornali e riviste da parte delle scuole”.

La segretaria generale della Fnsi, Alessandra Costante, ha sottolineato la necessità di “formare oggi i lettori di domani, indirizzandoli verso scelte consapevoli che rafforzino l’uso dell’informazione professionale. In epoca di piena espansione dell’Ai, uno dei rischi maggiori della società è rappresentato dalle fake news veicolate attraverso i social, ma non solo”. Compito di tutti, istituzioni e giornalisti, è agire con senso di responsabilità e sostenere la lettura dei giornali a scuola e la preparazione dei giornalini di classe, strumento solo all’apparenza antiquato.

Stefano Bisi