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Tag: Stablecoin

Stablecoin meglio dei Bitcoin per gli investitori sudamericani, secondo una ricerca di Kaiko Research

Gli investitori del Sud America preferiscono le stablecoin al Bitcoin. Ad affermarlo è una recente ricerca condotta da Kaiko, un’azienda leader nell’analisi dei dati di mercato delle criptovalute. Si tratta di un dato non del tutto sorprendente, considerato come il continente latinoamericano sia gravato da sempre da livelli inflattivi elevatissimi, tali da abbattere rapidamente il potere d’acquisto delle valute fiat. Tra coloro che si stanno rivolgendo agli asset digitali, ne consegue, con ogni probabilità, una maggiore fiducia in quelli che sono espressamente ideati nell’intento di riuscire a garantire stabilità. Una dote che è estremamente ricercata negli strumenti monetari, tradizionali o meno, lungo l’intero continente.

Le stablecoin sono più ricercate del Bitcoin, in Sud America, a detta di Kaiko Research

Nel suo rapporto di mercato più recente dedicato al Sud America, che è stato pubblicato a giugno, Kaiko ha scoperto che il 40% dei volumi di scambio vedeva la presenza di USDT. Una preferenza, quella per la stablecoin di Tether, che rappresenta a prima vita una notevole sorpresa, considerato il forte utilizzo di Bitcoin da parte di un gran numero di persone di questa parte del mondo.

Analizzando le abitudini dei trader sudamericani, però, la preferenza verso USDT e altre stablecoin salta agli occhi con tutta evidenza. Come è accaduto nel caso della ricerca condotta da Kaiko, una delle più grandi aziende di ricerca e analisi del mercato criptovalutario, che ha pubblicato proprio di recente il rapporto in questione limitandolo al continente latinoamericano.

Gli analisti dell’azienda hanno focalizzato il proprio lavoro su sette exchange di criptovalute che offrono coppie di scambio includendo valute dei paesi latini: Kucoin, Binance, Mercado Bitcoin, Bitso, Htx, Okx e Bitfinex. Un lavoro il quale ha condotto ad una conclusione ben precisa: la regione preferisce le stablecoin a BTC.

Una tendenza in atto dal 2021

Nel corso della ricerca, gli analisti di Kaiko hanno appurato come la preferenza in questione discenda da una tendenza che è in atto ormai dal 2021. Se, come abbiamo visto, rapporto dichiara che il 40% degli scambi della regione include USDT, al momento la più grande stablecoin, il dato cresce in maniera considerevole nel caso del Brasile. La forte instabilità che continua ad affliggere il real, infatti, spinge quasi la metà dei trader brasiliani a rivolgersi al token di Tether.

Esaminando nel dettaglio i risultati, il dato che fuoriesce con maggiore evidenza è quello relativo al fatto che su tre degli exchange esaminati, le stablecoin erano gli strumenti più scambiati. Mentre i volumi di Bitcoin riescono a prevalere soltanto nel caso di Mercado, una piattaforma che gestisce quasi un decimo dei volumi della regione.

Anche Binance, cui fa riferimento quasi la metà degli scambi in America Latina, vede una preferenza per le stablecoin. Altro dato di rilievo è poi quello relativo alle coppie di scambio stablecoin-to-fiat, le quali hanno rappresentato il 63% dei dieci volumi di scambio principali.

Stablecoin meglio delle CBDC, secondo Kaiko

Secondo gli analisti di Kaiko, proprio l’interesse nei confronti delle stablecoin starebbe spingendo le banche centrali dell’area a riconsiderare l’ipotesi di lanciare Central Bank Digital Currency (CBDC). Potrebbero infatti non essere in grado di competere efficacemente con USDT e progetti analoghi. Resta solo da capire se sarà in grado di farlo la nuova criptovaluta che i BRICS hanno annunciato di recente.

La chiave di volta in tal senso, comunque, sembra ancora una volta da ravvisare nella capacità di conseguire un certo grado di stabilità. Una caratteristica che non è assolutamente nelle corde della valute sovrane dell’area. Come dimostra l’utilizzo sempre più intenso di criptovaluta da parte di lavoratori e pensionati a basso reddito, i quali preferiscono sottoporsi al rischio di cambio piuttosto che veder rapidamente deprezzarsi salari e pensioni.

USDT escluso dalle contrattazioni dell’exchange Uphold, il futuro di Tether desta qualche preoccupazione

Uphold, un popolare exchange di criptovalute con sede a New York, ha annunciato la rimozione dalle sue contrattazioni di sei stablecoin, tra cui USDT. Un atto che l’azienda ha giustificato come risposta all’imminente esecuzione delle disposizioni sulle stablecoin previste all’interno del Markets in Crypto Assets.

Il nuovo regolamento in tema di innovazione finanziaria dell’UE entrerà infatti in vigore il prossimo primo giorno di luglio. Tra le conseguenze più significative del suo debutto, il bando di USDT dall’eurozona, poiché non rispondente ai rigidi standard previsti in tale ambito.

USDT fuori dalle contrattazioni di Uphold: quali i motivi?

La decisione presa da Uphold è in linea con il nuovo regolamento dell’eurozona sugli asset digitali. Un regolamento il quale affronta anche il tema delle stablecoin, introducendo standard normativi molto rigidi, tesi a proteggere i consumatori europei.

Standard che non sono raggiunti nel caso del prodotto di punta di Tether, tanto da sollevare non poche preoccupazioni per il futuro di USDT, nella regione. Un tema che è stato affrontato da Tim Wang, COO di Elixir, secondo il quale gli effetti a breve termine potrebbero portare a una dislocazione del mercato della liquidità e di quelli di scambio, a causa della dominanza di USDC e USDT sugli scambi centralizzati.

In una dichiarazione esclusiva a CryptoPotato, il dirigente di Elixir ha poi aggiunto che sarebbe probabilmente necessaria una soluzione a medio termine. A meno che, ipotesi non proprio da scartare, l’UE non abbia l’intenzione di essere coinvolta il meno possibile in un nuovo ordine finanziario tale da vedere le criptovalute in una veste di rilievo.

Wang ha poi osservato che le stablecoin e gli asset sostenuti dal dollaro statunitense rappresentano ancora la forma principale di garanzia nei mercati delle criptovalute. Una funzione ad esse conferita dal fatto che le stablecoin europee non sono ancora riuscite a decollare in maniera significativa.

Stablecoin: cosa impone il MiCA

Le nuove leggi in tema crypto approvate dall’UE impongono norme rigorose sulle stablecoin e sui token di moneta elettronica garantiti da valuta fiat i quali vanno a superare una specifica soglia di adozione, definita da sette indicatori quantitativi e qualitativi. Il sistema che ne consegue, affida la supervisione alla Banca Centrale Europea (BCE) invece che alle autorità nazionali.

Le principali disposizioni del MiCA sono le seguenti:

  • un sostegno paritario delle stablecoin basate su valuta fiat con riserve liquide;
  • la rigida separazione dei conti delle società emittenti dalle attività di riserva;
  • il divieto nei confronti delle stablecoin algoritmiche.

Il nuovo quadro si presenta estremamente problematico e sta inducendo molti exchange a modificare le proprie linee guida relativo alle stablecoin. Uphold, infatti, si trova in buona compagnia, considerato come già in precedenza Binance, Kraken e OKX abbiano operato in tal senso. Spinti a farlo dal desiderio di evitare frizioni con le istituzioni finanziarie continentali.

La regolamentazione delle stablecoin sarà molto complessa

Se la normativa MiCA dell’UE potrebbe costituire un precedente in grado di influenzare quelle in tema crypto di altre regioni, compresi gli Stati Uniti, le disposizioni per le stablecoin potrebbero però non avere la stessa importanza.

È ancora Tim Wang a evidenziare questo punto. Diversamente da altri quadri normativi che hanno avuto origine in Europa e sono stati adottati negli Stati Uniti, come il GDPR, trasfuso nel CCPA in California, la regolamentazione delle stablecoin sarà secondo lui più complessa. A renderla tale il fatto che l’egemonia su di esse è destinato a diventare un argomento politico controverso.

A mettere in rilievo questo punto è stato di recente Howard Lutnick, CEO di Cantor Fitzgerald. Secondo lui, infatti, proprio questi token rappresentano lo strumento più potente a disposizione degli Stati Uniti per salvare la propria supremazia in ambito monetario dall’assalto dei BRICS.

Saranno le stablecoin a salvare il predominio globale del dollaro? A sostenerlo è il CEO di Cantor Fitgerald

Saranno le stablecoin lo strumento più forte a disposizione del dollaro per riuscire a conservare il suo predominio a livello globale. A sostenerlo è Howard Lutnick, CEO di Cantor Fitzgerald, secondo il quale questi token permettono ai cittadini dei mercati emergenti di utilizzare i loro dollari digitali per il commercio, stabilizzando la domanda e la rilevanza della valuta.

La sua affermazione si va ad inserire in un contesto che vede i BRICS sempre più decisi ad attaccare la posizione di dominio che il dollaro statunitense ha assunto nei commerci mondiali dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Dominio che consente agli Stati Uniti di fungere da sceriffo globale, sanzionando i Paesi che si mostrano riottosi e che è ormai visto con evidente fastidio da un numero crescente di essi.

Stablecoin per mantenere il dominio del dollaro: questa l’idea di Howard Lutnick

Le stablecoin sono al momento uno strumento rilevante per facilitare l’accesso ai dollari USA, nei mercati emergenti. Proprio per questo potrebbero giocare un ruolo di rilievo nella vera e propria guerra finanziaria che sta per essere scatenata dai BRICS, il gruppo di Paesi formato da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, cui si stanno accodando altri, a partire da Emirati Arabi Uniti, Iran, Egitto ed Etiopia.

Paesi che vedono nel dollaro lo strumento chiave nella posizione di leadership globale degli Stati Uniti e che, proprio per questo, sono decisi a detronizzarlo. Howard Lutnick, CEO di Cantor Fitzgerald, una società di servizi finanziari leader, ha affrontato il tema e discusso del ruolo che le stablecoin potrebbero giocare nel mantenere l’egemonia del dollaro statunitense in uno scenario di guerra valutaria imminente.

Le parole utilizzate da Lutnick non sembrano lasciare molto spazio alla fantasia: “Questa è letteralmente la lotta affinché il dollaro statunitense sia la valuta del mondo”. Per riuscire a mantenere tale posizione, però, dovrebbe utilizzare le stablecoin. Dovrebbe farlo in quanto questi asset digitali contano “ora più che mai”.

Secondo Lutnick, facilitare l’accesso al dollaro statunitense nei mercati emergenti fermerebbe i progressi delle valute nazionali digitali, o anche di una futura valuta nativa dei BRICS. Questo, a suo parere, contribuirebbe a mantenere il dollaro protagonista, assicurandone l’uso per regolare i pagamenti in diversi mercati.

Per capire le parole di Lutnick, occorre sottolineare che in un rapporto pubblicato a dicembre, è emerso che proprio l’azienda da lui diretta, Cantor Fitzgerald, è tra coloro che supportano USDT, la stablecoin di Tether. Ovvero la più grande attualmente sul mercato.

Stablecoin, un settore in continua evoluzione

Le parole di Lutnick arrivano in un momento in cui molti pesi massimi si stanno rivolgendo al settore delle stablecoin. Se PayPal ha già fatto il suo ingresso al suo interno, con PYUSD, prossimamente è atteso il token di Ripple, che parte con grandi ambizioni.

Un contesto in forte movimento che deve a sua volta fare i conti con una politica decisa a inserire le stablecoin in un contesto normativo rigido. Questo è in effetti l’intento del disegno di legge presentato da Cynthia Lummis e Kirsten Gillibrand. Al suo interno spiccano il bando alle stablecoin algoritmiche e il possibile ingresso delle banche nel settore.

Tra le possibili conseguenze di una sua approvazione occorre sottolineare il possibile bando proprio di USDT, lungo il territorio statunitense. Reso possibile dal fatto che questi coin non potrebbero essere emessi da aziende straniere, com’è di fatto Tether.

Tether che, però, è a sua volta tra i più grandi detentori di titoli del Tesoro USA, ambito in cui ha addirittura sorpassato la Germania. Un dato di fatto tale da far capire come in effetti la questione delle stablecoin stia assumendo una rilevanza sempre maggiore, in ambito finanziario. E non solo.

Ripple ha annunciato su X il nome della sua stablecoin: si chiamerà Ripple USD (RLUSD)

Real USD: così si chiamerà la nuova stablecoin targata Ripple. Ancora impegnata in una difficile battaglia con la SEC, l’azienda californiana ha deciso di rompere gli indugi e avviarsi con sempre maggior decisione verso la sua nuova avventura.

L’annuncio del nome è stato dato il passato 12 giugno tramite un messaggio pubblicato su X. Un annuncio che sembra non tenere però conto della possibile apertura di un nuovo fronte con la Securities and Exchange Commission degli Stati Uniti. In un momento in cui le controparti incrociano i ferri in tribunale, con la SEC che chiede una multa pari a poco meno di due miliardi di dollari.

Ripple USD: il momento dell’esordio sembra avvicinarsi sempre di più

Ripple USD: questo il nome della nuova stablecoin con cui Ripple Labs intende sfondare anche in un settore sempre più centrale, in ambito crypto. Un nuovo progetto il quale, secondo molti analisti, potrebbe consentire all’azienda di entrare in una nuova fase della sua esistenza.

Ancorata al dollaro statunitense, RLUSD si propone un obiettivo immediatamente ambizioso: installarsi nella Top Five delle stablecoin sin dal suo esordio, o quasi. Implementata sia sulla Ethereum Virtual Machine (EVM) che su XRP Ledger, la stablecoin si va a inserire in un modello di business, quello di Ripple, focalizzato sulle transazioni transfrontaliere.

A supportare il token saranno le riserve di dollari statunitensi sottoposte regolarmente ad uno strumento come la Proof-of-Reserve, sempre più in voga in questo particolare settore. L’intento è quindi quello di non causare frizioni con le autorità di vigilanza e mantenere elevata la fiducia dei consumatori.

Ripple USD, inoltre, potrà fare leva sull’integrazione con i servizi finanziari di Ripple, a partire da RippleNet, il suo network di pagamenti transfrontalieri. Il sistema congegnato per questa via dovrebbe essere in grado di assicurare agli utenti scambi efficienti, sicuri e veloci.

Il momento particolare delle stablecoin

L’annuncio relativo a Ripple USD arriva in un momento chiave, per le stablecoin. Nelle passate ore, infatti, è diventata ufficiale l’esclusione di UDST da un mercato come quello dell’eurozona. A provocarne il bando il mancato rispetto degli elevati standard previsti per questo genere di token dal Markets in Crypto Assets (MiCA). Ovvero la legge chiamata a regolamentare l’innovazione finanziaria lungo i confini europei.

Un provvedimento cui ben presto si potrebbe aggiungere quello presentato da Cynthia Lummis e Kirsten Gillibrand al Congresso. In caso di una sua approvazione, la stablecoin di Tether potrebbe ricevere un altro duro colpo, finendo fuori dal mercato statunitense, in quanto emesso da un’entità esterna.

Una serie di colpi i quali potrebbero ridimensionare il ruolo di Tether nel settore, come dimostra la decisione dell’azienda di allargare il suo raggio d’azione anche ad altre nicchie, a partire dall’intelligenza artificiale.

E quello non meno particolare di Ripple Labs

Anche Ripple, però, ha le sue gatte da pelare. Quelle collegate alla vertenza con la SEC, che sta riservando non poche spine all’azienda californiana. L’agenzia guidata da Gary Gensler, infatti, ha chiesto una multa pari a poco meno di due miliardi di dollari, come forma punitiva per aver venduto titoli non regolamentati.

L’entità della multa è stata definita abnorme dai responsabili legali di Ripple Labs. Che nel farlo hanno paragonato la richiesta alla multa inflitta a Terraform Labs e al suo fondatore Do Kwon, pari a 4,5 miliardi di dollari. Nel farlo hanno ricordato che l’emittente di Terra (LUNA) è stata riconosciuta colpevole di frode, mentre nel caso di Ripple non ci sarebbe stata alcuna intenzione di truffare gli investitori.

La cifra che secondo gli avvocati dell’azienda sarebbe adeguata alla gravità delle accuse è pari a dieci milioni di dollari. Il rischio è che, comunque, sia molto più elevata. Non resta quindi che attendere i successivi sviluppi della vicenda, per capire quale delle due tesi sarà riuscita a prevalere.

Stablecoin, al bando Tether e altre nell’Unione Europea, a partire da luglio

L’Unione Europea metterà al bando alcune delle principali stablecoin, a partire da Tether (USDT), a partire dal primo giorno di luglio. Questa decisione, da considerare storica, fa parte di una serie di nuove normative previste dal Markets in Crypto Assets (MiCA), il nuovo regolamento che mira a regolamentare in maniera coerente l’uso di criptovalute nei 27 paesi che compongono l’eurozona.

Si tratta di un cambiamento normativo estremamente significativo. A renderlo tale il fatto che potrebbe avere larghe conseguenze sugli stessi mercati delle criptovalute, portando non solo incertezza, ma anche nuove sfide. Cui dovranno rispondere proprio le aziende operanti nel settore della blockchain, per non finire fuori dal gioco a loro volta.

Tether e altre stablecoin bandite dal territorio dell’Unione Europea

Dal prossimo primo giorno di luglio, Tether e altre stablecoin non avranno più possibilità di circolare lungo il territorio dell’Unione Europea. Si tratta di una conseguenza dell’entrata in vigore del MiCA, il nuovo regolamento sulle criptovalute adottate dall’UE.

Le stablecoin sono valute digitali progettate con un preciso intento: mantenere un valore costante creando un ancoraggio ad asset del mondo reale, ad esempio l’oro o le valute sovrane, in particolare il dollaro statunitense. Sotto tale veste hanno rappresentato una opzione popolare per quegli investitori terrorizzati dall’eccessiva volatilità di Bitcoin e Altcoin.

Nel tentativo di creare questo ancoraggio, però, hanno spesso dato vita a comportamenti spesso opachi. In particolare, di scarsa trasparenza è accusato l’USDT di Tether, che più di una volta nel passato ha dichiarato riserve a garanzia che in realtà non esistevano. Un problema che ha messo in allarme anche le istituzioni continentali, spingendole infine ad attivarsi per evitare problemi come quelli evidenziati dal crac di Terra (LUNA).

La misura per ottenere il massimo di sicurezza: elevati standard di liquidità e revisione

Per impedire che si possano verificare casi come quello della stablecoin algoritmica lanciata da Do Kwon, che ha ingoiato oltre 40 miliardi di dollari nel suo fallimento, il MiCA ha messo in preventivo rigide misura tese ad appurare il reale livello di liquidità delle stablecoin. Oltre ad imporre severi obblighi in termine di revisione, che mettono in pratica fuori gioco molti di questi token. A partire proprio da quello dominante sul mercato, USDT.

A partire dal primo giorno di luglio, di conseguenza, Tether non sarà più disponibile sulle principali borse europee, ad esempio Kraken e Bitstamp. Mentre continueranno ad esserlo alternative come USD Coin (USDC) di Circle e EUR Coin di Société Générale. Queste opzioni sono infatti conformi alle nuove normative e potranno tentare di riempire il vuoto creato dalla scomparsa di Tether.

È in vista una fuga di capitali?

Le nuove regole, stanno in queste ore sollevando anche preoccupazioni su una potenziale fuga di capitali dall’eurozona. Ove ciò accadesse non solo si verrebbe a verificare una vera e propria divisione del mercato, ma anche un aumento in termini di volatilità. Secondo gli osservatori, però, si tratta di un rischio relativo, in quanto non sono eliminate le stablecoin, ma solo quelle che non rientrano nei nuovi standard indicati.

Naturalmente, proprio da Tether sono state elevate le maggiori critiche al provvedimento. Lo ha fatto in particolare Paolo Ardoino, l’amministratore delegato dell’emittente di USDT. Ha infatti definito estremamente restrittive le nuove regole (e in effetti intendono esserlo), oltre che dannose per l’innovazione nel settore crypto. Per poi affermare che andare in direzione di una piena supervisione bancaria sulle stablecoin cozza con il principio della decentralizzazione che ne è alla base.

Accuse cui i sostenitori della nuova normativa controbattono ricordando che si tratta di misure tese a garantire maggiori livelli di sicurezza agli investitori. Oltre che livelli di trasparenza di cui troppo spesso proprio Tether si è beffata nel passato.

Un’altra stablecoin fa temere il mercato crypto. Stavolta è Synthetix USD a lottare per mantenere l’ancoraggio

La stablecoin Synthetix USD sta lottando in queste ore per mantenere il suo ancoraggio al dollaro statunitense. Il token collegato in rapporto paritario con la valuta USA è infatti sceso sino ad un minimo di 0,915, prima di risalire a 0,958 dollari.

Stando alle ricostruzioni che circolano in queste ore, il calo della sua quotazione sarebbe dovuto a vendite massicce che stanno avvenendo su alcuni exchange decentralizzati (DEX). Alcune aziende collegate alla finanza decentralizzata si stanno a loro volta attivando per cercare di mitigare i potenziali rischi della situazione. Lo sta facendo, ad esempio, Chaos Labs, che ha allertato la comunità di Aave. I timori di una nuova deflagrazione come quella di Terra (LUNA) continuano però a circolare, anche se il progetto in questione non ha la stessa rilevanza di quello fondato da Do Kwon.

Synthetix USD: cosa sta accadendo

La criptosfera si trova di nuovo alle prese con il possibile crollo di un progetto stablecoin. Stavolta è Synthetix USD, gestita da Synthetix, a ritrovarsi nell’occhio del ciclone. Lo sganciamento dalla parità con il dollaro americano sarebbe avvenuto nella giornata di ieri.

A darne notizia è stato proprio Chaos Labs, che ha anche precisato le cause di questo evento. A provocare il disallineamento sarebbe stato un fornitore di liquidità SBTC/WBTC di un certo rilievo, il quale avrebbe provveduto a ritirare fondi utilizzando allo scopo il riscatto sintetico spot di Synthetix al fine di ottenere SUSD e poi rivenderne l’intero quantitativo nel pertinente liquidity pool di Curve.

Occorre anche precisare che quanto sta accadendo non rappresenta una sorpresa assoluta. Già nel mese di febbraio, infatti, Bluechip aveva dato una valutazione pari a “F” a Synthetix. Si tratta di una entità indipendente specializzata nella valutazione delle stablecoin, il cui giudizio avrebbe dovuto mettere in allerta gli investitori.

La stessa organizzazione aveva poi deciso di dare particolare enfasi al proprio giudizio. Per farlo aveva immesso Synthetix in una red list, accludendo il consiglio di non utilizzare il token. La speranza è naturalmente che in questo caso si tratti di un semplice incidente di percorso. Non è infatti la prima volta che una stablecoin dopo aver perso il suo ancoraggio lo abbia poi riconquistato nelle ore successive.

Cosa potrebbe accadere ora

Come abbiamo già ricordato, lo sganciamento di Synthetix USD dal dollaro potrebbe essere temporaneo. Al tempo stesso stanno tornando ad aleggiare gli spettri collegati al clamoroso crollo di Terra. Spettri che non sono mai realmente scomparsi, proprio per le conseguenze apocalittiche del suo crollo.

Il fallimento dell’azienda di Do Kwon è infatti indicato da molti osservatori come l’evento che ha gelato il settore, innescando il crypto winter. Un lungo inverno che è stato superato soltanto da poco e che dovrebbe restare come un monito per gli investitori.

Proprio il soccorso prestato da alcune aziende operanti nella finanza decentralizzata fa capire aldilà delle parole la gravità della situazione. Chaos Labs e altri, in effetti, sanno perfettamente che un nuovo crollo, pur non avendo le stesse apocalittiche conseguenze di quello di Terra potrebbe andare a minare un bene estremamente prezioso per la criptosfera, ovvero la credibilità.

Anche perché arriverebbe in un momento molto particolare, come quello che ha visto due senatrici statunitensi, Cynthia Lummis e Kirsten Gillibrand, presentare un progetto di legge bipartisan teso a regolamentare il settore, almeno negli Stati Uniti.

Un progetto di legge i cui punti qualificanti sono l’ancoraggio alla valuta sovrana statunitense, la presenza di riserve a garanzia di ogni dollaro digitale emesso e, soprattutto, il divieto alle stablecoin algoritmiche. Proprio quelle che continuano a seminare il panico sui mercati finanziari, trattandosi di token sottocollateralizzati, progettati per mantenere il loro ancoraggio fondandosi su algoritmi.

Il duello tra Brad Garlinghouse e Paolo Ardoino prefigura quello ormai prossimo tra Tether e Ripple sulle stablecoin?

È bastato un semplice commento, abbastanza neutro all’apparenza, per scatenare un vero e proprio duello tra Brad Garlinghouse, CEO di Ripple, e il suo omonimo di Tether, Paolo Ardoino. Un duello il quale sembra prefigurare quello ormai prossimo tra le due aziende. Reso molto probabile dalla decisione di Ripple di dare vita ad una sua stablecoin. Per la quale occorre iniziare ad aprire la strada, presso l’opinione pubblica. Quale modo migliore di un campagna promozionale a costo zero, come quella che deriva dalla contrapposizione di queste ore tra Garlinghouse e Ardoino?

Stablecoin: le parole di Garlinghouse non suonano gradite a Ardoino

Cosa ha detto di così sconvolgente il CEO di Ripple, Brad Garlinghouse? La dichiarazione incriminata è la seguente: “Il governo degli Stati Uniti sta dando la caccia a Tether, questo mi è chiaro. Considero Tether una parte molto importante dell’ecosistema.”

Parole all’apparenza non solo neutre, ma di appoggio nella discussione in atto tra il governo federale e l’azienda che emette la stablecoin più grande, USDT. In tal modo, però, non sono state interpretate da Paolo Ardoino, il numero uno di Tether.

Garlinghouse ha espresso il suo parere nel corso di un episodio del World Class Podcast. Per poi aggiungere che potrebbe verificarsi un altro evento di cigno nero legato alle criptovalute, simile al crollo di FTX. Forse proprio questa è la parte del discorso che è andata di traverso a Ardoino, il quale non si è fatto pregare per replicare.

La risposta del numero uno di Tether

Paolo Ardoino ha infatti risposto a stretto giro di posta, indicando come infondati e allarmistici i commenti di Garlinghouse. Espressi, secondo lui, da un “CEO disinformato” la cui società è peraltro anch’essa impegnata in una battaglia legale di alto profilo con la Securities and Exchange Commission degli Stati Uniti.

Il CEO di Tether ha poi affermato che USDT si è giustamente guadagnata la posizione di stablecoin leader nel mercato grazie alla sua comprovata esperienza, al sostegno di custodi fidati e a rigorose misure di conformità. Un novero in cui vanno inclusi il rispetto degli elenchi di sanzioni OFAC, il monitoraggio dell’attività blockchain e la collaborazione con le forze dell’ordine e le agenzie statali tesa ad affrontare e combattere la criminalità. 

Sempre secondo Ardoino, la collaborazione di Tether con le forze dell’ordine oltre confine ha dato sinora frutti copiosi. In particolare ha condotto al blocco di 1,3 miliardi di dollari in criptovalute illecite e di circa 339 portafogli legati ad attività finanziarie illegali. Il CEO di Tether ha poi concluso affermando che, a differenza di altri emittenti di stablecoin, l’azienda sta collaborando fattivamente con i regolatori.

Un duello da ricondurre al prossimo debutto della stablecoin di Ripple?

Per molti osservatori non è stato complicato fare due più due, ricordando che Ripple prevede di lanciare una stablecoin in dollari USA nel 2024. Il chief technology officer della società ha infatti dichiarato che il token sarà garantito con depositi in dollari, buoni del Tesoro governativi a breve termine e altri equivalenti in contanti.

Un debutto molto atteso e che con ogni probabilità Garlinghouse ha deciso di sostenere con una campagna pubblicitaria a costo zero. Come quella che sta derivando dalle sue parole in queste ore, che stanno rimbalzando nelle cronache dei media finanziari.

Se questo era l’intento del CEO di Ripple, Ardoino non sembra però essersene accorto. Rispondendo a quella che è stata vista come una provocazione ha semplicemente portato sotto l’occhio dell’opinione pubblica l’ormai prossimo debutto della stablecoin di Ripple. Permettendo quindi a Garlinghouse di conseguire agevolmente il suo vero obiettivo. Forse neanche quest’ultimo si attendeva un risultato così facile. La cosa realmente difficile, però, deve ancora arrivare, ovvero la competizione sul mercato con USDT. Che potrebbe essere un boccone difficile da digerire anche per Ripple.

Lightning Labs si accinge a portare le stablecoin sulla blockchain di Bitcoin

Lightning Labs è ormai sul punto di portare le stablecoin nell’ecosistema di Bitcoin. Ad affermarlo è stata Elizabeth Stark, il CEO dell’azienda, nel corso di un intervento al Financial Times Crypto and Digital Assets Summit in fase di svolgimento proprio nel corso di questa settimana.

Sempre stando alle sue dichiarazioni, una prova in tal senso è stata eseguita di recente, una transazione su Lightning Network con una risorsa creata all’uopo tramite il protocollo Taproot Assests. Si tratta di una novità di grande rilievo, alla luce della crescente importanza che vanno assumendo le stablecoin.

Stablecoin sulla blockchain di Bitcoin, l’esordio è ormai alle porte

Stablecoin sulla rete di Bitcoin: questa è la novità prospettata da Elizabeth Stark nel corso del Financial Times Crypto and Digital Assets Summit. Una prova in tal senso sarebbe già stata effettuata su Lightning Network. Ecco le parole che sono state da lei pronunciate al proposito: “Abbiamo rilasciato una prima parte del codice in ottobre e, in realtà, proprio giovedì scorso, abbiamo eseguito una demo della prima transazione in assoluto su Lightning di un asset. L’idea è quella di avere cripto-dollari e stablecoin sulla blockchain di Bitcoin”.

Per poi aggiungere: “Ci tengo davvero molto a risolvere problemi reali per persone reali, al contrario delle monete meme o del gioco d’azzardo”. Una stoccata a Solana, in particolare, che proprio dalle meme coin sta avendo un notevole contributo per l’arricchimento del proprio ecosistema.

Il CEO di Lightning Labs ha poi aggiunto che la capacità di posizionare stablecoin e altri asset sopra Bitcoin è destinata a facilitare nuovi casi d’uso. Utilizzi i quali, a loro volta, si tradurranno nell’ingresso di più persone sul mercato delle risorse digitali.

L’annuncio ha naturalmente suscitato molto interesse, proprio in considerazione del ruolo sempre più ampio che stanno assumendo le stablecoin. Tanto da spingere un numero sempre maggiore di aziende di rilievo a scendere in campo, come ha fatto PayPal con PYUSD.

Lo studio di Visa e Bloomberg che lascia forti dubbi

La dichiarazione di Elizabeth Stark si cala in un contesto molto particolare. Le stablecoin, infatti, sono sempre più al centro di accuse derivanti dal loro utilizzo nell’economia criminale. Accusa che riguarda in particolare Tether, con USDT indicata dall’ONU come lo strumento preferito per i traffici criminali nel sud-est asiatico.

Ad essa si aggiunge poi quella relativa al loro utilizzo da parte dei Paesi sottoposti a sanzioni da parte di Stati Uniti e alleati. In particolare, si starebbero segnalando in tal senso il Venezuela e la Russia.

Accuse le quali potrebbero spingere ad un irrigidimento le autorità governative, in particolare quelle degli Stati Uniti. Lo stesso Paese ove è iniziata la discussione su un progetto di legge che potrebbe consentire alle banche di entrare sul mercato. Ove ciò accadesse, ad essere colpito potrebbe essere proprio USDT, in quanto Tether è un’entità non statunitense. Il token, di conseguenza, non potrebbe essere detenuto dalle banche interessate dal provvedimento.

Occorre però segnalare anche un recente rapporto stilato da Visa e pubblicato da Bloomberg, il quale ha seminato non pochi dubbi. Stando agli analisti che lo hanno compilato, infatti, meno del 10% dei volumi delle transazioni di stablecoin provengono da persone reali.

A spiegare il paradosso è stato però Cuy Sheffield, responsabile crypto per Visa. Proprio lui ha ricordato che le stablecoin possono essere utilizzate in una serie di casi d’uso con transazioni che possono essere avviate manualmente da un utente finale o programmate tramite bot. Un’interpretazione confermata del resto da un altro dato, quello relativo all’aumento di utenti. Sarebbero infatti ormai 27,5 milioni quelli attivi mensilmente su tutte le catene, con una crescita continua che non sembra destinata a calare d’intensità nell’immediato futuro.

Stablecoin, meno del 10% delle transazioni proviene da utenti reali

Le stablecoin stanno assumendo un’importanza sempre crescente nell’ambito dei pagamenti. Tanto da essere indicate in alcuni rapporti come uno strumento in grado di rafforzare il dollaro reale. Uno studio condotto da Bloomberg in collaborazione con Visa, però, è destinato a sollevare qualche dubbio negli osservatori. Su circa 2,2 trilioni di dollari di transazioni totali nel corso del mese di aprile, solo 149 miliardi di dollari provenivano infatti da “attività di pagamenti organici”. Ovvero da utenti reali.

Stablecoin, lo studio di Bloomberg e Visa

Stando ai risultati presenti all’interno dello studio di Visa e della piattaforma dati Allium Labs, meno del 10% dei volumi delle transazioni di stablecoin sono organici o provengono da persone reali. A riferirlo è Bloomberg, che ha pubblicato il rapporto.

Il dato in questione è desunto da quelli fatti registrare nel corso del passato mese di aprile. Nel periodo in questione, infatti, su circa 2,2 trilioni di dollari di transazioni totali, soltanto 149 miliardi di dollari provenivano da “attività di pagamento organiche”. Dall’’analisi sono infatti state escluse le transazioni effettuate da bot e trader su larga scala in modo tale da poter isolare quelle effettuate da persone reali.

L’offerta di mercato delle stablecoin ammonta al momento a circa 150 miliardi di dollari. Una nicchia di mercato in espansione e dominata da Tether (USDT) e USD Coin (USDC), che detengono rispettivamente quote pari al 75% e al 22%. Dati, questi ultimi, rilasciati dal broker Bernstein.

A commentare il dato è stato Cuy Sheffield, responsabile crypto per Visa: “C’è anche molto rumore in questi dati dato che le blockchain sono reti di uso generale in cui le stablecoin possono essere utilizzate in una serie di casi d’uso con transazioni che possono essere avviate manualmente da un utente finale o programmaticamente tramite bot”.

Occorre comunque sottolineare che, nonostante la discrepanza in oggetto, l’analisi ha rilevato una crescita costante degli utenti mensili attivi di stablecoin. Sarebbero infatti ormai 27,5 milioni quelli attivi mensilmente su tutte le catene. Un dato il quale sembra destinato ad aumentare nell’immediato futuro.

Un settore che desta molti appetiti

Le stablecoin sono una tipologia di criptovaluta molto particolare e dedicata al conseguimento di quella stabilità impossibile per le crypto normali. Sono legate ad un asset reale, solitamente il dollaro statunitense, e si prefiggono di mantenere un legame paritario con lo stesso.

Il continuo espandersi del loro mercato, sta provocando grandi attenzioni in altri attori dei pagamenti elettronici. In particolare da parte di PayPal, che ha varato di recente il suo token, PYUSD, con fondate speranze di assumere un ruolo di rilievo al suo interno.

Un settore che sta attirando l’attenzione anche della politica statunitense, con una proposta di legge elaborata da Cynthia Lummis e Kirsten Gillibrand. Il suo obiettivo è di dare vita ad un quadro di assoluta sicurezza, ad esempio mettendo al bando le stablecoin algoritmiche. Secondo gli osservatori, è il provvedimento in tema criptovalutario che ha le maggiori possibilità di essere approvato al Congresso USA.

Le stablecoin sono utilizzate per aggirare le sanzioni

Al tempo stesso, occorre anche sottolineare come le accuse nei confronti delle stablecoin stiano crescendo d’intensità. In particolare, infatti, è Tether ad essere finito nel mirino, a causa del suo utilizzo da parte di Venezuela e Russia per sfuggire alle sanzioni statunitensi.

Inoltre, USDT è stato espressamente citato all’interno di un rapporto elaborato dalle Nazioni Unite come strumento privilegiato per le attività criminali e l’evasione fiscale nel sud-est asiatico. Accuse che l’azienda ha rigettato con decisione, ma le quali restano sul tavolo.

Tether, però, ha un motivo di preoccupazione molto più forte, al momento. Essendo una realtà non statunitense, ove passasse il provvedimento sulle stablecoin il token non potrebbe più essere utilizzato dalle banche USA. Il suo modello di business, quindi, sarebbe colpito in maniera molto forte. Questo, secondo gli analisti, spiegherebbe la sua decisione di diversificare gli investimenti, in particolare indirizzandosi sull’intelligenza artificiale.

Tether, nel primo trimestre dell’anno registra utili per 4,52 miliardi di dollari

Oltre quattro miliardi e mezzo di utili: questo è il risultato fatto registrare da Tether nel corso del primo quadrimestre dell’anno in corso. Il dato è contenuto all’interno della relazione sul periodo in considerazione e fa capire in maniera eloquente lo stato di salute dell’azienda.

Nello stesso periodo, il patrimonio netto si è attestato a quota 11,37 miliardi di dollari, mentre l’emissione è pari a 12,5 miliardi di USDT. Dati che sono stati attestati da BDO, una società di revisione contabile indipendente. Il risultato è stato ottenuto per un miliardo dalle operazioni collegate direttamente alla stablecoin, in particolare tramite i titoli del Tesoro statunitense. Il resto è invece frutto della rivalutazione degli investimenti effettuati da Tether in oro e Bitcoin.

Un trimestre eccellente, per Tether

Per capire il risultato conseguito da Tether nel corso del primo trimestre del 2024, basta partire da un dato: alla fine dell’anno passato il suo patrimonio netto ammontava a sette miliardi di dollari.

È stato Paolo Ardoino, il CEO dell’azienda, a commentare il risultato conseguito. Ha infatti affermato: “nel riportare non solo la composizione delle nostre riserve, ma ora anche il patrimonio netto del gruppo, di 11,37 miliardi di dollari, Tether sta ancora una volta alzando l’asticella nell’industria delle criptovalute in termini di trasparenza e fiducia.”

Altro dato di grande interesse è poi quello relativo alle riserve. Tether, infatti, rende nota l’esposizione a oltre 90 miliardi di dollari in titoli di Stato statunitensi, registrati sotto forma di contanti ed equivalenti di cassa. Ciò si traduce nella copertura del 90% dei token emessi con titoli caratterizzati da alta liquidità. Tali da poter garantire il rimborso rapido degli USDT emessi.

Un risultato non proprio scontato, considerati i tanti sospetti, più di una volta giustificati, sulla mancata copertura dei token emessi. E che, soprattutto, potrebbe diventare difficilmente ripetibile nel caso fosse approvato il Lummis-Gillibrand Payment Stablecoin Act presentato alla metà del mese passato.

La nuova legge sulle stablecoin potrebbe colpire con forza Tether

Il provvedimento presentato dalle due senatrici Cynthia Lummis e Kirsten Gillibrand, si propone di delineare i paletti entro i quali dovrebbero operare le stablecoin. I punti qualificanti del provvedimento sono il divieto a quelle algoritmiche e la sicurezza delle riserve a garanzia dei token emessi.

A giovarsi del nuovo quadro sarebbero le banche, cui sarebbe permessa l’entrata nel settore. Mentre a rimetterci, secondo gli osservatori, potrebbe essere proprio Tether. In particolare, il suo non essere un’entità statunitense potrebbe contribuire ad eroderne la posizione di dominio sinora esercitata tra le stablecoin.

Ad affermarlo è un rapporto pubblicato dagli analisti di S&P Global Ratings. A loro detta, infatti, la legge darebbe un vantaggio competitivo alle banche. Tutto ciò, “potrebbe anche ridurre il dominio di Tether nel mercato globale delle stablecoin”. Il motivo di questa previsione è da collegare proprio al fatto che le banche statunitensi non possono effettuare transazioni collegate a stablecoin non riconducibili a entità estere. Di conseguenza andrebbero a ridurre la domanda di USDT.

Intanto Tether sta diversificando gli investimenti

Al tempo stesso, occorre ricordare che già ora Tether effettua una parte maggioritaria delle proprie operazioni all’estero. Operazioni che avvengono in gran parte sulla blockchain di Tron, dando il destro all’ONU di indicare USDT come lo strumento preferito per il riciclaggio di denaro e le frodi informatiche che avvengono nel sud-est asiatico.

Nel frattempo, l’azienda sta investendo in maniera massiccia per cercare di diversificare il proprio modello di business. In particolare lo sta facendo nel settore dell’intelligenza artificiale, nel mining di Bitcoin e nella produzione di energia pulita.

Inoltre ha investito 200 milioni di dollari in Blackrock Neurotech, azienda impegnata nella costruzione di interfacce cervello computer (BCI). Mosse che potrebbero aiutarla a reggere meglio il contraccolpo di una nuova normativa USA sulle stablecoin.

Il senatore crypto scettico Sherrod Brown si dichiara pronto a votare una legge sulle stablecoin

Sherrod Brown, senatore crypto-scettico dell’Ohio che dirige l’influente Comitato bancario del Senato, sarebbe disposto ad appoggiare un provvedimento teso a regolamentare le stablecoin. A riferirlo è Bloomberg, riprendendo le parole da lui pronunciate nel corso di un’intervista.

Si tratta in effetti di una novità di un certo rilievo. Brown, infatti, più di una volta ha espresso opinioni ferocemente avverse nei riguardi degli asset virtuali. In particolare li ha criticati come fonte di possibili problemi per i consumatori, cercando di metterli in guardia da un utilizzo incauto di Bitcoin e Altcoin.

L’apertura di Sherrod Brown

Sherrod Brown potrebbe appoggiare un disegno di legge teso a regolamentare le stablecoin. L’apertura in tal senso è arrivata nel corso di un’intervista rilasciata a Bloomberg, durante la quale il senatore democratico dell’Ohio, noto per il suo scetticismo sugli asset virtuali, ha anche indicato una importante premessa: prima di poterlo sostenere apertamente, tale provvedimento dovrebbe fugare le sue preoccupazioni.

Nonostante la premessa, si tratta di un’apertura di rilievo, almeno stando ad alcuni analisti. Il Congresso, infatti, è ormai da anni alle prese con una discussione faticosa sulle criptovalute. La divisione in merito è abbastanza netta e tale da impedire, almeno al momento, il conseguimento di un compromesso.

Da una parte ci sono veri a propri criptofans, a partire dalla senatrice repubblicana del Wyoming Cynthia Lummis. Dall’altra gli scettici conclamati, come Sherrod Brown. I primi non sembrano prendere in considerazione gli evidenti pericoli connessi all’utilizzo di valuta virtuale, senza un quadro di regole ben definite. I secondi appaiono del tutto alieni all’idea di aggiungere uno strumento finanziario il quale potrebbe semplificare i pagamenti da parte dei consumatori.

Se la divisione resta sul tavolo, con tutta evidenza, proprio sul tema delle stablecoin potrebbe essere raggiunta un’intesa meno faticosa, tra le controparti. A renderla tale il fatto che USDT e consorelle, mostrano molti punti di somiglianza con altri prodotti regolamentati, a partire dai fondi del mercato monetario. Senza contare che le aziende emittenti detengono quantitativi rilevanti di asset convenzionali, ad esempio i titoli del Tesoro statunitense.

Cosa comporta la timida apertura di Sherrod Brown sulle stablecoin?

Naturalmente, le parole di Sherrod Brown non sono passate inosservate. Soprattutto perché il personaggio è noto per le sue intemperanze, non solo verbali, contro l’innovazione finanziaria.

Basti pensare in tal senso a quanto proposto nel dicembre del 2022, dopo il crac di FTX. In un’intervista, infatti, il potente esponente democratico affermò la necessità che si attivassero sia la Securities and Exchange Commission (SEC) che la Commodity Futures Trading Commission (CFTC), per prendere provvedimenti adeguati. Intendendo per tali un vero e proprio bando verso le criptovalute.

Una dichiarazione stemperata solo dalla constatazione che una tale misura comporterebbe una serie di difficoltà. La prima delle quali da ravvisare nel fatto che le valute virtuali andrebbero offshore, diventando difficili da sanzionare.

Alla luce di quelle parole di fuoco, non pochi hanno indicato la sua pur timida apertura alla stregua di un segnale interessante. Il partito di cui è un rappresentante, quello democratico, controlla infatti il Senato. Ciò vuol dire avere il controllo sulle scadenze e priorità legislative.

L’altro ramo del Congresso, la Camera dei Rappresentanti, è invece sotto il controllo dei repubblicani, più favorevoli alle criptovalute. Proprio dall’interno della Camera, è giunta di recente una dichiarazione sul tema delle stablecoin. Il deputato Patrick McHenry, rappresentante della Carolina del Nord, ha infatti affermato il suo ottimismo sulla possibilità di arrivare ad una legge su questo comparto entro la fine della legislatura.

Resta ora da capire se le dichiarazioni dell’una e dell’altra parte siano destinate a incastrarsi. O se, al contrario, sarà necessario attendere il nuovo Congresso, per avere risposte in tal senso. La seconda ipotesi sembra ancora la più probabile.

Anche Ripple ha deciso di lanciare una stablecoin: vediamo i motivi della decisione

Ripple è l’ultimo grande attore ad entrare nel mercato delle stablecoin, almeno per ora. Ovvero, in un mercato che vale 150 miliardi di dollari e che sta attirando sguardi estremamente interessati. L’azienda ha infatti dichiarato la sua intenzione di lanciare una valuta digitale ancorata in rapporto paritario al dollaro statunitense.

Naturalmente, almeno nelle intenzioni, per ogni dollaro virtuale emesso ce ne sarà uno come riserva sotto forma di asset reali, ovvero dollari, titoli di Stato ed equivalenti in contanti. Altro particolare importante, le riserve saranno analizzate da una società di revisione contabile mese dopo mese, coi risultati costantemente disponibili per il pubblico. Non è stato però reso noto, almeno per ora, chi sarà incaricato di farlo.

Ripple si appresta a sfidare un lotto estremamente qualificato di concorrenti

La nuova stablecoin di Ripple sarà rivolta al mercato statunitense, ma l’azienda non esclude l’offerta di altri prodotti sui mercati europei e asiatici. Con questa decisione si aggiunge un ulteriore sfidante in un settore per ora dominato da Tether e Circle, l’emittente di USDC. La prima vanta una capitalizzazione di mercato superiore ai 106 miliardi di dollari, la seconda oltrepassa la soglia dei 32 miliardi.

Già PayPal, il gigante dei pagamenti elettronici, aveva deciso in precedenza di lanciare il suo guanto di sfida in un settore che prospetta molte opportunità. Il CEO di Ripple, Brad Garlinghouse, ha però dichiarato di essere fiducioso sulla riuscita dell’operazione. Secondo lui, infatti, il settore è destinato ad aumentare le proprie dimensioni nel futuro. Aprendo di conseguenza nuove opportunità, di cui anche l’azienda californiana intende usufruire.

I motivi dietro il lancio di una stablecoin da parte di Ripple

Quali sono i motivi alla base della decisione di Ripple? È stato proprio Garlinghouse ad affermare che la società ha deciso di introdurre una stablecoin sul mercato lo scorso anno in risposta al “depegging” del token USDT di Tether e dell’USDC di Circle.

USDT, infatti, ha temporaneamente perso il suo ancoraggio al dollaro nel 2022, in concomitanza con il crac di Terra (LUNA). Mentre USDC è sceso temporaneamente sotto la fatidica quota di un dollaro nel 2023, dopo la rivelazione della propria esposizione al collasso di Silicon Valley, l’istituto di credito focalizzato sulla tecnologia blockchain.

Proprio a proposito di Tether, non sono pochi i critici che contestano l’origine delle sue riserve, tanto da dubitare che la società sia capitalizzata a sufficienza per reggere a una corsa allo sportello. Una tesi contestata da Tether, affermando che il suo token è pienamente supportato da riserve di qualità e di essere sempre stata in grado di far fronte ai prelievi, anche in tempi di difficoltà.

Una tesi che è però stata contestata ripetutamente e sulla quale grava un fatto di non poco conto: il certificatore delle sue riserve è noto per aver indicato come sani, nel novembre del 2022, i bilanci di The Rock Trading, la più grande piattaforma italiana di criptovalute. Soltanto tre mesi dopo la stessa società è fallita, ingoiando oltre 20 milioni di euro nel suo crac.  

La stablecoin potrebbe fungere da valuta ponte

Alcuni analisti, dal canto loro, hanno avanzato l’ipotesi che una stablecoin Ripple sarebbe del tutto funzionale al suo prodotto On-Demand Liquidity, teso a regolare rapidamente le transazioni tra banche e altre società finanziarie.

Sinora è stato utilizzato XRP come valuta “ponte”, incontrando però ostacoli di rilievo con banche e società di pagamento. Santander, ad esempio, ha scelto di non utilizzare il token dopo aver appurato che Ripple non era ancora attiva in un numero di mercati sufficiente per supportarne le esigenze.

La nuova stablecoin quindi, potrebbe ovviare a questo problema. Lo stesso Garlinghouse, però, ha affermato che l’azienda non intende rinunciare a XRP e che la stablecoin rappresenterebbe un prodotto complementare per l’ecosistema di Ripple.

Intanto, Tether ha già iniziato le schermaglie con Ripple. Alla domanda di un commento da parte della CNBC sulla mossa di Ripple e sui commenti di Garlinghouse, un suo portavoce ha detto testualmente: “Ci auguriamo che il team di Ripple abbia più successo con la sua nuova stablecoin di quanto non abbia avuto finora.”

Cynthia Lummis presenta una proposta di legge contro le stablecoin

Cynthia Lummis, senatrice statunitense nota per le sue posizioni favorevoli a Bitcoin, sta elaborando una normativa in grado di fare definitivamente chiarezza sulle stablecoin. Il suo testo, scritto insieme alla collega Kirsten Gillibrand, mira a varare un quadro legislativo all’interno del quale le criptovalute dedite alla stabilità siano in grado di proteggere realmente i consumatori. Una protezione che è venuta totalmente a mancare nel caso di Terra (LUNA), la stablecoin di Do Kwon fallita nel 2022.

Cynthia Lummis vuole rendere sicure le stablecoin

Le stablecoin sono criptovalute le quali si propongono di bypassare la volatilità tipica degli asset come Bitcoin. Per farlo, si agganciano ad asset del mondo reale, in particolare alle valute fiat come il dollaro statunitense. In tal modo sono in grado di assicurare prezzi stabili, tali da muoversi sempre all’interno di una forchetta molto limitata.

A volte, però, questo ancoraggio viene a saltare e nei casi più estremi le conseguenze sono drammatiche. Come è accaduto nel caso di Terra, il progetto varato da Do Kwon crollato nel 2022, aprendo in pratica il crypto winter. Nella vicenda, che prosegue in questi giorni nelle aule di tribunale, sono stati inghiottiti, secondo le stime, non meno di 60 miliardi di dollari.

Per cercare di evitare nuovi casi di questo genere, ora ha deciso di impegnarsi Cynthia Lummis. Si tratta di una senatrice repubblicana del Wyoming, già nota per il suo fervente sostegno al Bitcoin. Ormai da mesi proprio lei sta lavorando con Kirsten Gillibrand ad un disegno di legge con il quale sarebbe possibile regalare un quadro più sicuro agli investitori. A riferirlo è stata l’agenzia di stampa Axios, il passato 7 marzo.

Stando alle conversazioni avute coi rispettivi portavoce, il rapporto afferma che Lummis e Gillibrand sperano di poter dare presto l’annuncio ufficiale. E, particolare non proprio secondario, che avrebbero ottenuto un riscontro positivo da personaggi della criptosfera.

Stando a quanto pubblicato, a fornire l’assistenza tecnica per la stesura del disegno di legge sarebbero stati la Federal Reserve, il Department of Financial Services di New York, il Treasury Department e il National Economic Council.

Per la Lummis non è una novità

L’impegno della Lummis non rappresenta una novità. Già in passato, sempre insieme alla Gillibrand, aveva annunciato l’intenzione di presentare un provvedimento volto a regolare in maniera completa gli asset digitali.

La dichiarazione, risalente al passato mese di luglio, può essere considerata l’ultima manifestazione pubblica sul tema. La senatrice del Wyoming, infatti, negli anni precedenti non si era risparmiata nel suo appoggio nei confronti del Bitcoin. Tanto da affermare nell’ottobre del 2021 che il governo statunitense avrebbe dovuto ringraziare Dio per la sua creazione. Un giudizio motivato dal fatto che la sua decentralizzazione avrebbe potuto essere sfruttato a proprio vantaggio dal governo federale.

Un giudizio forse contraddittorio, alla luce del fatto che proprio la decentralizzazione impedisce allo stesso governo degli Stati Uniti di poterlo controllare, aprendo varchi in cui potrebbero infilarsi magari i Paesi sottoposti a sanzioni.

Un tema che peraltro potrebbe farsi scottante se fosse confermato che proprio Washington è l’altro Paese che, insieme a El Salvador, sta acquistando BTC. A dichiararlo è stato di recente Edward Snowden, l’ex analista riparato in Russia dopo aver rivelato le attività di spionaggio di Stati Uniti e Regno Unito nei confronti dei propri cittadini.

Se è una fervente sostenitrice delle criptovalute, a partire da quel Bitcoin su cui ha del resto investito, la Lummis non è però altrettanto entusiasta nei confronti di stablecoin e CBDC (Central Bank Digital Currency).

Nel passato mese di ottobre, infatti, ha attaccato frontalmente Tether. Nel farlo ha preso come base le notizie che volevano l’azienda coinvolta in transazioni finanziarie illecite. Tanto da chiedere al Department of Justice di considerare l’idea di elevare accuse penali contro Tether. Accuse che hanno spinto la stessa azienda ad una veemente protesta, fondata sull’affermazione di voler collaborare coi regolatori statunitensi.

Non meno veemente l’attacco contro le CBDC, accusate di essere un mezzo di controllo e censura finanziaria. Una posizione del resto in linea con quella di Donald Trump e Ted Cruz.

Do Kwon, il fondatore di Terra riesce ancora una volta a sfuggire alla giustizia

Quella di Do Kwon è ormai una vera e propria saga. Se sembrava ormai prossima la sua estradizione negli Stati Uniti, in vista del processo sulle vicende del fallimento di Terra (LUNA), ora le carte in tavola sono mutate di nuovo.

Il fondatore della stablecoin fallita ha infatti vinto il ricorso presentato presso una corte d’appello montenegrina. È la seconda volta che accade, frustrando i tentativi del governo statunitense di processarlo. Tutto da rifare, quindi, con la prospettiva di nuovi colpi di scena nei prossimi mesi.

Do Kwon: cosa sta accadendo

La Corte d’Appello del Montenegro ha annullato la sentenza con cui l’Alta Corte di Podgorica aveva sancito l’estradizione del Terraform Labs negli Stati Uniti. Ad affermarlo è un comunicato ufficiale rilasciato per l’occasione.

La motivazione del verdetto è derivante dalla constatazione delle “significative violazioni delle disposizioni di procedura penale e delle leggi locali” da parte del precedente ordine dell’Alta Corte di Podgorica. Aggiungendo inoltre che “…non sussistono ragioni chiare e valide per fatti decisivi riguardanti l’ordine di arrivo della missiva di richiesta..

Si tratta in effetti di un nuovo colpo di teatro, il quale sembra avviare una nuova fase di stallo nella questione riguardante Do Kwon. Il fondatore di Terra è infatti richiesto sia dagli Stati Uniti che dal suo paese natale, la Corea del Nord. Entrambi sembrano ansiosi di poter processare il protagonista numero uno di una vicenda, il fallimento di Terra (LUNA), che ha inghiottito nel disastro non meno di 60 miliardi di dollari.

Quali i motivi della decisione?

Al di là di quanto affermato nel comunicato emesso, la sentenza della Corte d’Appello è fondata su un elemento ben preciso: la data di arrivo delle due richieste di estradizione.

Se, infatti, l’Alta Corte di Podgorica aveva fondato la sua decisione sul fatto che la richiesta statunitense era arrivata un giorno prima di quella sudcoreana, il tribunale di grado superiore ha ribaltato questa tesi. Stando ai record di posta elettronica, i pubblici ministeri asiatici avevano battuto i colleghi statunitensi di diversi giorni.

Una buona notizia per Do Kwon? Questo è ancora tutto da vedere. In Montenegro, infatti, non esistono limiti al numero di volte in cui un caso di questo genere può essere reiterato e nuovamente impugnato. Per ora il caso torna per la terza volta davanti ai tribunali di grado inferiore del Montenegro, ma resta complicato capire quale potrà essere l’epilogo.

Intanto, però, le vicende legali di Do Kwon negli Stati Uniti proseguono senza curarsi della sua presenza in aula. Il fondatore di Terraform Labs è infatti al centro di un processo penale federale a New York e di una causa legale della Securities and Exchange Commission (SEC). In entrambi i casi è sotto esame il ruolo da lui ricoperto nella vicenda del fallimento della stablecoin. In particolare, sarebbe all’esame della giustizia la sua presunta orchestrazione di uno schema di frode multimiliardario attraverso le offerte di UST e LUNA. La vertenza della SEC avrà comunque inizio alla fine di questo mese, indipendentemente dalla sua presenza in aula.

Cosa potrebbe accadere ora

Al momento è abbastanza complicato capire cosa potrebbe accadere. Il dispositivo della sentenza dell’Alta Corte montenegrina lascia trapelare un dato certo: la richiesta di estradizione della Corea del Sud è arrivata prima di quella statunitense. Da qui le gravi violazioni alla base dell’annullamento della sentenza dell’Alta Corte di Podgorica.

Sulla situazione rischia di riverberarsi anche la geopolitica. Il Montenegro, infatti, è dato nel corso degli ultimi anni in avvicinamento agli Stati Uniti e per ingraziarsi il governo di Washington ci potrebbero essere pressioni politiche tese alla consegna di Do Kwon alle forze dell’ordine federali.

In un caso o nell’altro, comunque, per l’ex numero uno di Terraform Labs si prospetta un futuro non proprio esaltante. Un dato il quale, comunque, non sembra fatto per consolare del tutto chi ha perso i propri soldi nel crac di Terra.

Tether ora vale 100 miliardi di dollari, nonostante le critiche

Tether ha superato quota 100 miliardi di dollari in termini di capitalizzazione di mercato. Lo ha fatto nella giornata di ieri, almeno stando ai dati di CoinGecko, aumentando il divario rispetto alla seconda stablecoin più importante, USD Coin, che è sua volta attestata a 71 miliardi di dollari.

Se altre fonti, ad esempio CoinMarketCap, forniscono dati leggermente diversi, la sostanza non cambia: Tether è cresciuta nell’ordine del 9% dall’inizio dell’anno. E promette di continuare questo trend positivo anche nel futuro, nonostante le tante critiche che attira ormai da anni.

Tether, il futuro si presenta roseo

Tether è una stablecoin, ovvero una criptovaluta che si propone di superare la tradizionale volatilità di Bitcoin e Altcoin. Per farlo stabilisce un ancoraggio paritario con il dollaro statunitense: per ogni dollaro virtuale che emette, ce n’è uno reale a garanzia, nelle sue riserve. O almeno ci dovrebbe essere, considerato che più volte, nel passato più o meno recente, tale garanzia era soltanto teorica.

Oltre al fatto che più di una volta Tether ha mancato al suo dovere di avere a riserva la stessa quantità di denaro digitale emesso, c’è un altro aspetto che preoccupa non poco gli osservatori. Ovvero la qualità degli asset reali messi a garanzia dall’azienda.

Tether, infatti, ha una tesoriera che è costituita per buona parte da buoni del tesoro statunitensi (T-Bills), in pratica prestiti a breve termine concessi al governo di Washington. Il rapporto sul quarto trimestre dell’anno appena terminato ha rivelato una disponibilità di T-Bills tale da superare gli 80 miliardi di dollari. Un dato tale da fare della società uno dei principali acquirenti di debito pubblico statunitense a livello globale.

Una promessa disattesa

Di fronte alle perplessità espresse da più parti, Tether alla fine del 2022 aveva fornito ampie rassicurazioni sulla sua intenzione di mutare rotta. In particolare, aveva promesso che entro la fine del 2023 avrebbe cessato la sua attività di prestatore condotta attingendo dalle proprie riserve.

Una promessa che, però, è stata ampiamente disattesa. Sono infatti 4,8 i miliardi di prestiti presenti nei libri contabili dell’azienda. In pratica, nel periodo in esame soltanto un miliardo di dollari in meno rispetto al livello del 2022.

Se anche i prestiti sarebbero del tutto garantiti, resta un livello di rischio che è quello tipico dell’attività creditizia. Rischio che va contro la premessa di stabilità che Tether si prefigge con la sua stablecoin. Inoltre, la promessa di azzerare il dato entro la fine dell’anno non sembra molto attendibile, alla luce di quella precedente.

Tether e i rapporti con Tron

C’è poi un altro dato che lascia molto perplessi gli osservatori. Circa la metà degli USDT attualmente in circolazione, infatti, sono depositati su Tron. Ovvero sulla blockchain che, almeno stando ad uno studio pubblicato dalle Nazioni Unite, costituisce la scelta privilegiata per il riciclaggio di denaro e le frodi informatiche che avvengono nel sud-est asiatico.

Di fronte a questa accusa, Tether ha risposto in maniera veemente. In particolare ha affermato che il rapporto ONU non ha menzionato la facile tracciabilità dei movimenti di USDT. Ricordando inoltre la continua collaborazione fornita alle forze dell’ordine dedite al contrasto nei confronti della criminalità informatica.

Lo studio delle Nazioni Unite rappresenta soltanto l’ultimo atto di un complicato rapporto con le istituzioni. Basti ricordare in tal senso quello che stato indicato come scandalo Bitfinex-Tether, scoppiato nel 2019, quando il procuratore generale dello Stato di New York, Laetitia James, decise di procedere contro l’azienda.

Mentre risale a due anni più tardi la multa emessa dalla Commodity Futures Trading Commission (CFTC) degli Stati Uniti, per 41 milioni di dollari. La motivazione alla base del provvedimento erano le false dichiarazioni dell’azienda sulla consistenza delle sue riserve garantite per legge. In particolare, nel periodo compreso tra il 1 giugno 2016 e il 25 febbraio 2019, gli USDT emessi da Tether non erano completamente coperti da dollari statunitensi.

Do Kwon sarà estradato negli Stati Uniti, si avvicina il processo sulla vicenda di Terra

Kwon Do-Hyung (Do Kwon), il co-fondatore di Terra, la stablecoin fallita dopo aver suscitato grandi aspettative tra gli investitori, sarà estradato negli Stati Uniti. La decisione è stata presa dall’Alta Corte del Montenegro, il Paese dove l’imprenditore sudcoreano aveva deciso di rifugiarsi dopo la fuga seguita al crollo del suo progetto crypto.

La decisione definitiva fa seguito ad una lunga serie di deliberazioni che hanno fatto corollario alla vicenda. Collegate a loro volta alle implicazioni non solo legali, ma anche politiche che questo atto si porta dietro.

Stando a quanto riportato dai media locali, la questione non era più quella dell’estradizione, decisione largamente acquisita, ma sul Paese al quale Do Kwon doveva essere consegnato. L’Alta Corte montenegrina ha accolto la tesi degli Stati Uniti, ove ora avverrà un processo che si preannuncia all’insegna dei colpi di scena.

La vicenda giudiziaria di Terra volge all’epilogo

Con l’accoglimento delle tesi statunitensi, la vicenda giudiziaria di Terra (LUNA), sembra aver imboccato la dirittura d’arrivo. Saranno i tribunali del Paese nord-americano ad accogliere l’ex re delle criptovalute, in un processo che potrebbe concludersi con una pena molto severa. A indicare questa possibilità è l’ampiezza del disastro causato dal crac della stablecoin, considerato da molti osservatori l’atto iniziale del crypto winter da poco esauritosi.

A seguito del fallimento del progetto di Do Kwon, infatti, si è aperta una vera e propria voragine. Un buco in cui sono scomparsi miliardi di dollari, quelli incautamente investiti in un protocollo presentato del resto all’epoca come una sorta di gallina dalle uova d’oro. Le prime stime fatte nel settembre del 2022 hanno infatti indicato in non meno di 40 miliardi di dollari le risorse andate in fumo.

Le conseguenze del crollo di Terra si erano presto propagate in tutto il settore, alla stregua di un contagio. Tra i principali danneggiati Bitcoin, crollato nei giorni successivi, Celsius, Voyager Digital e Three Arrows Capital, tutte fallite.

Una vicenda simbolica

La vicenda di Terra si configura alla stregua di una vera e propria saga. Dopo la fuga di Do Kwon e degli altri soggetti implicati nello scandalo (Nicholas Platias, membro fondatore di Terraform Labs, e Han Mo, dipendente dell’azienda) le indagini delle autorità statunitensi e sudcoreane hanno infatti riscontrato una lunga serie di comportamenti non solo discutibili dal punto di vista etico, ma anche penalmente perseguibili.

Secondo un giornale sudcoreano, KBS Online, Terraform Labs sarebbe stato posto sotto inchiesta per il riciclaggio di 4,8 milioni di dollari, ma questa accusa rappresenta soltanto una piccola parte delle accuse pendenti su Do Kwon. Con il trascorrere del tempo, infatti, i capi d’accusa si sono andati sempre più arricchendo. Nel caso della Securities and Exchange Commission (SEC) degli Stati Uniti, il numero si è infine attestato ad otto, tra cui frode su titoli e materie prime e manipolazione del mercato. Considerata l’attenzione della giustizia statunitense in questo genere di reati, per Do Kwon si prospettano a questo punto molti anni di reclusione.

Per quanto concerne la Corea del Sud, il Paese asiatico dovrà accontentarsi di Han Chang-Joon, socio di Kwon e direttore finanziario di Terraform Labs che già all’inizio del mese era stato estradato dal Montenegro.

Un processo molto atteso

Il processo a Terra si preannuncia molto caldo. A finire sotto accusa, peraltro, potrebbe non essere soltanto Do Kwon, ma quella parte della criptosfera che non ha esitato ad approfittare della mancanza di regole certe.

Un vuoto normativo in cui si sono verificate vicende clamorose come quelle di Terra e FTX. Do Kwon e Sam Bankman-Fried, in pratica, possono essere considerati il simbolo dei pericoli finanziari in assenza di paletti ben precisi.

Una tematica che è tornata prepotentemente d’attualità nelle ultime settimane. Il riferimento è al disegno di legge Digital Asset Anti-Money Laundering Act (DAAMLA) presentato dalla senatrice democratica del Massachusetts Elizabeth Warren. Un provvedimento il quale propone appunto di porre limiti invalicabili all’innovazione finanziaria.

Limiti che sono però invisi alle aziende del settore. Un atteggiamento miope alla luce della rilevanza della vicenda di Terra. Il cui approdo nelle aule di tribunale statunitensi potrebbe tramutarsi in danni d’immagine incalcolabili. Soprattutto se gli avversari dell’innovazione finanziaria riuscissero ad allargare la prospettiva.

USDe, tutto ciò che occorre sapere sulla stablecoin di Ethena Labs

Le stablecoin rappresentano una nicchia molto particolare della criptosfera. Si propongono di conferire stabilità ad un ambito che da sempre è caratterizzato da fibrillazioni le quali possono rappresentare un problema. Soprattutto per i trader alle prime armi, meno abituati a tenere i nervi saldi quando le cose non vanno come vorrebbero.

Una nicchia che, peraltro, continua ad arricchirsi mese dopo mese, con la proposta di nuovi progetti che si propongono di ripercorrere le orme di Tether e USDC. Un compito non facile proprio per la concorrenza cui devono far fronte.

Tra le nuove stablecoin in fase di lancio, ce n’è una che sta calamitando notevole interesse. Si tratta di USDe, il progetto messo in campo da Ethena Labs, che in queste ore è oggetto di una vicenda estremamente confusa.

USDe: cosa sta accadendo?

Nelle ore passate, Ethena Labs aveva comunicato di aver ottenuto 14 milioni di dollari in un round di finanziamento strategico. A guidarlo Dragonfly, Brevan Howard Digital e il family office di Arthur Hayes, Maelstrom.

Il round di investimento è stato caratterizzato, stando ad un primo comunicato, diffuso dalla società di pubbliche relazioni Wachsman, dalla partecipazione di realtà di grande rilievo, tra cui spiccano PayPal Ventures, Franklin Templeton e Avon Ventures, un’affiliata della società madre Fidelity Investment. Anche alcuni dei principali CEX (Centralized Exchange) avrebbero contribuito alla raccolta, partendo da Binance, Kraken, Bybit, OKX, Gemini e Deribit.

Proprio questi nomi sarebbero in grado di consegnare alla nuova stablecoin una legittimazione molto forte e non stupisce che il comunicato abbia posto enfasi sulla loro partecipazione. Dopo poche ore, però, questi nomi sono scomparsi da un secondo comunicato emesso ancora da Wachsman.

Sono infatti stati rimossi tutti gli investitori tranne DragonFly, Bybit, OKX, Deribit e Gemini. Mentre per quanto concerne Binance Labs Incubation è stato precisato come avesse partecipato a una precedente raccolta fondi. Immutata invece la cifra raccolta, pari a 14 milioni di dollari.

La precisazione di Ethena Labs

Un vero e proprio incidente, tale da costringere Ethena Labs ad intervenire. Lo ha fatto per bocca di Guy Young, co-fondatore e CEO dell’azienda, durante un’intervista rilasciata a CoinDesk. Dalla quale si è appreso che PayPal non sarebbe coinvolta, mentre Franklin Templeton aveva già partecipato al precedente round di finanziamenti. Inoltre, l’impegno tra Brevan Howard e Avon Ventures non è stato ancora concluso, mentre è confermata la partecipazione di Maelstrom, già presente nel precedente evento. Infine, gli exchange, anch’essi presenti nel precedente giro.

La sostanza, comunque, non muta molto, considerata l’importanza dei presenti. Tale da conferire a USDe una credibilità a tutto tondo. Tanto che la valutazione dell’emittente, Ethena Labs, ha toccato quota 300 milioni di dollari.

Occorre poi precisare che in considerazione degli impegni, i quali già oltrepassato la soglia dei 50 milioni di dollari, per la stablecoin è stato necessario limitare l’importo del round di finanziamento a 14 milioni di dollari.

USDe: cos’è e come funziona

Ethena Labs indica il suo token USDe alla stregua di un dollaro sintetico, ma è a tutti gli effetti una stablecoin. Il coin si propone di offrire un veicolo di risparmio denominato in dollari con rendimento per gli investitori al di fuori degli Stati Uniti, in grado di affermare la propria indipendenza dal sistema finanziario tradizionale.

Il suo ancoraggio è al dollaro statunitense, in rapporto pressoché paritario, ma come asset di supporto utilizza i token di liquid staking, a partire dallo stETH di Lido. L’ancoraggio dovrebbe avvenire accoppiandoli con un valore uguale all’interno di posizioni short in futures perpetui ETH sugli scambi di derivati, replicando in pratica la tipica operazione cash and carry.

In tal modo i movimenti nelle due direzioni possono essere contenuti in modo da evitare sbilanciamenti eccessivi e la perdita dell’ancoraggio. Il collaterale messo a garanzia è custodito a sua volta da Fireblocks, BitGo e Copper.

Gli utenti possono coniare token USDe depositando stablecoin come Tether, USDC, DAI e altre sul protocollo Ethena. Per garantirsi un rendimento possono poi puntare o bloccare i token coniati in maniera da ottenere sUSDe. Il rendimento in questione viene generato dallo staking di ETH e dalla raccolta del tasso di finanziamento dei futures.

eUSD: cos’è e come funziona la stablecoin di Lybra Finance

Anche Lybra Finance ha deciso di dare vita ad una sua stablecoin. Lo ha fatto lanciando eUSD, un token il quale mira a sfruttare al meglio ETH e stETH per riuscire a garantire ai propri utenti non solo una maggiore sicurezza, ma anche redditività dell’investimento.

Una decisione che conferma l’azienda come un notevole attore dell’innovazione finanziaria. In particolare di quella finanza decentralizzata (DeFi) cui molto guardano come una vera e propria miniera d’oro, in ottica futura.

eUSD; cos’è e cosa si propone

eUSD è una stablecoin, ovvero una criptovaluta che si propone di regalare agli utenti quella stabilità che è praticamente impossibile con i token tradizionali. Un ambito il quale cerca di bypassare i problemi che sconsigliano l’utilizzo degli asset virtuali per i pagamenti, che si sta arricchendo mese dopo mese.

Nel caso di eUSD l’emittente è Lybra Finance, azienda già nota per il varo di LBR, una soluzione DeFi ideata per il mercato spot. Si tratta di una stablecoin ipercollateralizzata, ovvero garantita da riserve di valuta reale superiori al quantitativo di token emessi

L’altro obiettivo che si prefigge eUSD è la redditività. Per riuscire ad assicurarla ai propri utenti, il protocollo permette loro il conio di token dopo aver depositato come garanzia ETH o stETH. Grazie a questo modus operandi, non gli eUSD vengono stabilizzati, ma i loro detentori sono in grado di ritagliarsi una rendita passiva con un rendimento costante, derivante proprio dai rendimenti che vengono generati da ETH e StETH depositati. Si tratta quindi di una buona opportunità per tutti coloro che sono alla costante ricerca di rendimenti interessanti, costanti e stabili, incentrati su beni non aleatori.

Come funziona eUSD

eUSD rappresenta il prodotto principale di Lybra Finance, andandone in pratica a rappresentare una componente centrale. Il suo funzionamento prevede una serie di passi ben precisi, a partire dal conio. Per poterlo condurre a termine, gli utenti devono depositare Ethereum (ETH) e staked Ethereum (stETH) all’interno del protocollo.

Per quanto riguarda l’ancoraggio, è con il dollaro statunitense, in rapporto paritario. A tenerlo in equilibrio è non solo la sovracollateralizzazione, ma anche i meccanismi di liquidazione e le opportunità di arbitraggio.

Oltre alla generazione di interessi stabili, eUSD è caratterizzato dall’assenza di commissioni per il processo di conio e da quella di interessi sui prestiti. Gli interessi a favore dei liquidity provider (LP), provengono dal rendimento dei token messi in deposito e dai Liquid Staking Derivatives (LSD).

La sicurezza della stablecoin

A conferire sicurezza a eUSD sono proprio le misure prese da Lybra per offrire rassicurazioni sul proprio stato patrimoniale. Cui si aggiungono gli audit dei suoi smart contract condotti periodicamente da SourceHat (ex Solidity Finance).

Nel corso degli stessi sono stati evidenziati due problemi, giudicati però di scarso rilievo:

  1. l’impostazione della commissione di riscatto è limitata dal tipo di dati del parametro “newFee”, il quale si attesta ad un massimo del 2,55%, contrariamente al 5% previsto;
  2. non sono dichiarate alcune variabili immutabili, indicate invece come costanti per risparmiare gas.

Sono invece stati certificati i risultati ottimali conseguiti su aspetti chiave, a partire dalle potenziali vulnerabilità. Gli schemi di autorizzazione sono stati giudicati adeguati e non sembrano esserci falle in grado di favorire ad esempio i Sybil Attack. Al tempo stesso, sono rimasti fuori dagli audit alcune parti del sistema. Un dato che occorre sicuramente tenere presente, in sede di valutazione da parte degli utenti.

Da un punto di vista tecnologico, quindi, eUSD si presenta con le carte in regola. Occorre ora cercare di capire perché sarebbe il caso di preferire questa stablecoin a quelle più affermate, ad esempio Tether. Una domanda dalla quale, in fondo, va a dipendere anche il suo eventuale successo sul mercato.

Anchored Euro: cos’è, come funziona e prospettive

Le stablecoin continuano ad aumentare di numero e, soprattutto, ad arrivare anche sul suolo europeo. Se sinora, infatti, a fare la voce grossa sono state quelle ancorate al dollaro statunitense, anche il vecchio continente sembra ora attratto dalle opportunità collegate alle criptovalute che si propongono la stabilità.

Tra quelle che hanno già fatto il proprio debutto sul mercato, una menzione particolare spetta a Anchored Euro, una nuova stablecoin garantita dall’euro fondata nel 2022 da Anchored Coins. Andiamo quindi a farne conoscenza, in modo da capire meglio di cosa si tratti.

Anchored Euro: cos’è e come funziona

Anchored Euro è una stablecoin ideata e lanciata da Anchored Coins, una società svizzera che dedica la sua azione alla fornitura di valore e stabilità nello spazio crypto. L’azienda è controllata da Calvin Cheng, un ex membro del Parlamento di Singapore noto anche per i suoi investimenti in ambito crypto.

Il suo debutto ha avuto luogo nel corso del 2022 e ha subito destato una certa curiosità tra gli addetti ai lavori. Il motivo di questa curiosità è abbastanza comprensibile, considerato come sino a questo momento la grande maggioranza delle stablecoin sia stata ancorata al dollaro statunitense.

Nel caso di Anchored Euro, invece, il collegamento è alla moneta unica continentale, con rapporto paritario. In pratica, per ogni euro digitale emesso ce n’è uno reale a garanzia. O almeno dovrebbe esserci, considerate le sorprese al riguardo che hanno caratterizzato progetti come Tether ed altri.

Da questo punto di vista, comunque, le garanzie sembrano esserci tutte, considerato come la stablecoin sia garantita al 100% da un deposito presso una banca di riserva designata, la quale è sua volta controllata da un ente di terze parti indipendenti, Prescient Assurance.

A questa prima rassicurazione, ne va aggiunta poi una seconda di una certa importanza. Ovvero la decisione di Binance di aggiungere Anchored Euro alle contrattazioni che avvengono sulla propria piattaforma. Un’inclusione derivante dal fatto che AEUR è perfettamente rispondente alle normative dell’eurozona in tema di stablecoin.

il clamoroso aumento di prezzo dopo la decisione di Binance

Com’è ormai noto, le stablecoin si propongono di apportare stabilità ad un ecosistema come quello delle criptovalute che soffre palesemente della sua mancanza. Per farlo mettono in campo meccanismi che cercano di mantenere la quotazione in un range molto ristretto e, soprattutto, paritario con l’asset cui sono collegate.

Nel caso di Anchored Euro, però, questo meccanismo è subito saltato. Nelle ore successive al listing su Binance, infatti, il prezzo di AEUR ha iniziato a correre a perdifiato, innalzandosi sino all’incredibile livello di 3,25 euro. Tanto da costringere l’exchange a sospenderne le contrattazioni, per eccesso di rialzo.

Una vicenda che ha destato un notevole stupore, considerato anche come a investire sull’asset siano stati in pochi, nelle prime ore successive alla decisione di Binance. Uno stupore il quale, però, non ha molti motivi di esistere, alla luce delle vicende di molte criptovalute dedicate alla stabilità.

Per capire meglio la questione, basterà ricordare come un recente rapporto elaborato dagli analisti di Moody’s Analytics ha riportato un dato molto eloquente: le stablecoin fiat-backed di grande capitalizzazione si sono staccate più di 600 volte dal proprio ancoraggio, nel corso di quest’anno.

Anchored Euro: occorre usare molta precauzione

Come abbiamo visto, Anchored Euro è stata listata da Binance in quanto rispondente appieno alle linee guida sulle stablecoin dell’Unione Europea. Nonostante ciò, nelle ore successive all’evento la stablecoin è stata protagonista di una crescita che ha suscitato non solo stupore, ma anche profonde riflessioni.

La ratio che scaturisce da quanto accaduto è però, in fondo, abbastanza semplice: le criptovalute dedicate alla stabilità possono anch’esse deragliare rispetto all’obiettivo prefissato. Proprio per questo chi intende investire pensando di aver trovato un asset non volatile dovrebbe riflettere attentamente, prima di acquistarle.

Stablecoin ancorata all’euro, la Spagna inizia la sperimentazione

Le stablecoin rappresentano un fenomeno sempre più presente in ambito criptovalutario. L’obiettivo che si propongono, conferire stabilità ad un settore come quello dell’innovazione finanziaria, può in effetti rivelarsi prezioso in ottica pagamenti. Le fibrillazioni che caratterizzano le valute virtuali tradizionali, a partire da Bitcoin, rendono le stesse poco utili nella vita di tutti i giorni.

Se sinora a monopolizzare il settore sono stati gli Stati Uniti, ora anche in Spagna sono iniziati i lavori tesi a varare una stablecoin. A condurli l’azienda privata MONEI, sotto la supervisione della banca centrale iberica.

Stablecoin ancorata all’euro: in Spagna inizia la sperimentazione

È stata proprio MONEI, sul suo sito istituzionale, ad annunciare il passato 29 gennaio l’inizio della sperimentazione di una stablecoin ancorata all’euro. La sandbox destinata ai test è supervisionata dalla Banca di Spagna e vede la presenza di un gruppo di utenti singoli. Un gruppo limitato numericamente, in maniera tale da minimizzare il margine di errore.

In particolare, ad essere messo sotto esame sarà la capacità transazionale di EURM, questo il nome del progetto, almeno al momento. Gli utenti coinvolti nei test potranno procedere alla verifica della propria identità, installare il wallet, caricarlo con dieci euro in valuta fiat e scambiarli con un analogo importo nella stablecoin.

L’ancoraggio di EURM è in rapporto paritario con l’euro e il denaro reale sarà custodito presso alcuni dei maggiori istituti bancari iberici, a partire da Caixabank e BBVA.

Un altro passo verso la completa digitalizzazione dei pagamenti

Un altro passo verso la completa digitalizzazione dei pagamenti: in questi termini Alex Saiz Verdaguer, CEO di MONEI, ha salutato l’avvio della sperimentazione della nuova stablecoin ancorata all’euro. Per poi affermare di ritenerla lo strumento ideale per inviare denaro in maniera più sicura, programmabile, democratica e liberalizzata.

Nello stesso annuncio dei test, MONEI ha specificato che le transazioni tra persone potranno avvenire tramite smartphone, implicando millisecondi. Per quanto riguarda i costi, le commissioni saranno pari a millesimi di euro per ogni operazione.

Occorre sottolineare come con questo progetto la Spagna si ponga all’avanguardia per quanto concerne l’innovazione finanziaria, a livello continentale. Il Ministero spagnolo degli Affari Economici e della Trasformazione Digitale, ha di recente annunciato che l’attuazione del nuovo regolamento europeo, Markets in Crypto Assets (MiCA), sarà anticipata di un semestre rispetto al resto dell’eurozona.

Inoltre, già nel 2022 il governo di Madrid aveva annunciato la sua intenzione di lanciare una Central Bank Digital Currency (CBDC). Un progetto che, però sembra destinato a suscitare non poche polemiche, anche nel Paese iberico.

La stablecoin e la CBDC viaggiano su piani separati

Occorre specificare che i due progetti, stablecoin e CBDC, viaggiano su piani separati. Verdaguer ha ipotizzato che la tecnologia su cui si fonda EURM potrebbe essere adottata dalla Banca di Spagna, ma in realtà la banca centrale ha già provveduto ad annunciare una fase di test separati. A condurli saranno Abanca, Cecabank e Adhara Blockchain.

Il programma elaborato in tema dalla Spagna, a sua volta, è cosa completamente diversa dal progetto dell’euro digitale di cui si discute in seno all’Unione Europea. Anche se quest’ultimo entrasse in vigore, il progetto iberico non entrerebbe a farne parte.

Resta soltanto da capire cosa ne pensino i cittadini spagnoli, alla luce delle furibonde polemiche in atto negli Stati Uniti contro il progetto di un dollaro digitale. Dopo Donald Trump, infatti, anche Robert F. Kennedy Jr. ha affermato la sua totale contrarietà in tal senso. Un’ostilità cui partecipa anche un altro esponente repubblicano di primo piano come il governatore della Florida, Ron Desantis.

A motivare questa forte opposizione è in particolare il timore che un dollaro digitale sotto egida della banca centrale possa consegnare al governo federale poteri abnormi. Un tema che sta avanzando anche in Europa, soprattutto sull’onda dell’evidente impopolarità dell’UE.

Criptovalute, yUSD: tutto ciò che occorre sapere sulla stablecoin

Com’è ormai noto, le stablecoin sono criptovalute che si propongono di apportare stabilità ad un sistema, l’innovazione finanziaria, che soffre spesso e volentieri in tal senso. Le fibrillazioni tipiche del mercato criptovalutario, in particolare, rendono praticamente sconsigliabile l’utilizzo di asset digitali a tutti coloro che si tengono di norma lontani da beni rischiosi e allontana in maniera indefinita l’adozione globale spesso evocata dai criptofans.

Anche Yeti Finance si è voluto misurare con questo particolare ambito, presidiato da veri e propri giganti, a partire da Tether. Lo ha fatto proponendo yUSD, una stablecoin da non confondere con YETI, il token dell’omonimo protocollo. In questa guida andremo quindi a cercare di capirne le caratteristiche salienti, oltre ai vantaggi e ai rischi che propone ai suoi detentori.

yUSD: cos’è e cosa si propone

yUSD è una stablecoin emessa da Yeti Finance sulla Avalanche C-Chain e, come consuetudine per le criptovalute che si propongono la stabilità, è ancorata ad un bene reale. Questo bene è il dollaro statunitense e yUSD si presenta alla stregua di stablecoin sovracollateralizzata. Cosa significa? Molto semplicemente che il denaro reale presente nelle riserve dell’azienda è in quantità superiore a quello emesso sotto forma di valuta virtuale.

Si tratta di una precisazione di grande rilievo, alla luce di alcune clamorose vicende del recente passato, a partire dal crac di Terra (LUNA), il progetto lanciato da Do Kwon che con il suo fallimento ha praticamente polverizzato miliardi di dollari degli investitori.

Occorre peraltro sottolineare che Yeti Finance svolge periodicamente gli esami relativi alle proprie riserve, proprio per cercare di dare il massimo di garanzie agli utenti. Un monitoraggio condotto sin dal 2022, l’anno in cui l’azienda ha lanciato il progetto.

Come funziona yUSD?

Il funzionamento di yUSD è molto semplice e in linea con quello di progetti analoghi, come YAM. In pratica il suo prezzo deve essere sempre contenuto in un range che va da un massimo di 1,05 dollari ad un minimo di 0,95. Ogni volta che queste quote vengono toccate l’algoritmo su cui si fonda il token si attiva per riportare la situazione sotto controllo.

In particolare, nel caso in cui il prezzo di yUSD tocchi 1,05 dollari il programma inizia a vendere i coin, in modo da raffreddare il prezzo. Compiendo invece l’operazione inversa, ovvero l’acquisto di valuta, nel caso in cui il prezzo vada a toccare la soglia critica posta in basso, in modo da farlo risalire.

Un meccanismo già sperimentato, su cui continuano ad esserci notevoli dubbi, in quanto gravato da alcuni problemi rilevanti. Il primo dei quali è quello relativo alla possibile mancanza di liquidità, eventualità sempre in agguato per le stablecoin minori. Ad oggi, comunque, non sono da registrare episodi tali da destare preoccupazione per chi ha cambiato il proprio denaro reale in coin emessi da Yeti Finance. Tanto che yUSD prevede la conversione immediata da valuta virtuale a fiat.

Le prospettive per il futuro

yUSD si trova al momento al 7496° posto nella classifica di CoinMarketCap, con una capitalizzazione complessiva di poco superiore ai 200 milioni di dollari. Viaggia quindi su un piano ben distinto rispetto ai giganti del settore, dovendone scontare la maggiore forza di attrazione nei confronti degli utenti.

Al momento sembra difficile comprendere se questa stablecoin sia in grado o meno di spiccare il volo o restare un progetto di nicchia. A far propendere per la seconda ipotesi è il fatto di essere confinata in pochi exchange e di scarso rilievo.

Un fattore che potrebbe avvantaggiare yUSD è da ravvisare nel fatto che si tratta di un progetto completamente decentralizzato. Se l’emittente è nota, non esiste un ente centrali che decide sui suoi piani di sviluppo.

Inoltre, è possibile depositare il token nella Stability Pool di Yeti Finance, in modo da ricavarne un rendita passiva. Considerato l’interesse di molti investitori per lo Yield Farming, proprio questa caratteristica potrebbe aiutare yUSD a catturare l’attenzione degli stessi.

Gemini Dollar: cos’è, come funziona e come potrebbe andare nel 2024

Anche Gemini è tra gli exchange centralizzati che hanno deciso di proporre una propria stablecoin, ovvero una rappresentazione virtuale di un asset reale. Uno strumento finanziario il quale può essere utilizzato dagli utenti al fine di agevolare le proprie interazioni con la finanza alternativa rappresentata dalle criptovalute.

Lo ha fatto lanciando Gemini Dollar, un token ancorato al dollaro statunitense in rapporto paritario. In pratica, per ogni dollaro digitale emesso dall’azienda ce n’è uno reale a garanzia, depositato su conti bancari separati da quelli societari.

Gemini Dollar: di cosa si tratta

Gemini Dollad (GUSD) è una stablecoin, ovvero una criptovaluta ideata per dare ai consumatori quel minimo di stabilità che è impossibile avere usando Bitcoin e token di prima generazione, notoriamente sottoposti a violente oscillazioni in termini di quotazione.

L’obiettivo che si propone GUSD è di combinare in maniera efficace l’affidabilità creditizia e la stabilità tipica del dollaro statunitense con la velocità e l’efficienza che sono invece caratteristici degli asset virtuali.

Si tratta di un token ERC-20 lanciato sulla Ethereum Virtual Machine, che proprio su EVM conta per conseguire adeguati livelli di sicurezza. Il suo lancio risale al 2018, ad opera di Gemini Trust Company, azienda fondata da Cameron e Tyler Winklevoss.

Per assolvere al suo compito, Gemini Dollar fa leva su uno smart contract, un contratto intelligente che racchiude le condizioni cui deve corrispondere la trasformazione di un dollaro reale in uno digitale emesso dall’azienda.

Una volta effettuata la conversione, l’utente può impiegare come vuole il suo GUSD, all’interno di tutte le piattaforme che supportano la rete pubblica di Ethereum. Può quindi venderlo, convertirlo in altri token o utilizzarlo nella maniera che riterrà più opportuna.

Gemini Dollar è realmente sicuro?

Naturalmente, molti si chiedono se le stablecoin sono in grado di assicurare non tanto la stabilità promessa, quanto adeguati livelli di sicurezza. Una domanda del tutto legittima alla luce del crollo di Terra (LUNA) e degli episodi di cui è stato protagonista proprio il gigante del settore, Tether.

Se da un punto di vista teorico le emittenti affermano di avere asset reali in grado di fungere da collaterale, ovvero da garanzia, per il dollari digitali emessi, all’atto pratico si tratta di una semplice promessa. La cui realizzazione dipende in pratica dall’azienda che emette la stablecoin.

Per quanto riguarda la sicurezza di Gemini Dollar, occorre sottolineare che in questo caso l’emittente si affida al meccanismo di verifica Proof-of-Reserves. Si tratta di audit condotti periodicamente da terze parti indipendenti, chiamate a verificare l’effettiva sussistenza delle riserve dichiarate.

A ciò si aggiunge il fatto che Gemini custodisce i dollari americani in conti aperti all’interno di istituzioni finanziarie statunitensi assicurate presso il FDIC (Federal Deposit Insurance Corporation). Si tratta di un’agenzia indipendente creata nel 1933 dal Congresso degli Stati Uniti d’America nel preciso intento di preservare la stabilità e la fiducia del pubblico nel sistema finanziario nazionale. Ogni depositante è assicurato per un importo pari a 250mila dollari.

Dal punto di vista formale, quindi, si può asserire che Gemini Dollar è in grado di offrire garanzie ai propri utenti, in qualsiasi caso il quale dovesse vedere il danneggiamento dei propri interessi.

Le prospettive per il futuro

Gemini Dollar è al momento al 192° posto della classifica di settore, in termini di capitalizzazione di mercato. Occorre però sottolineare che si tratta di un progetto non speculativo, quindi in grado di attrarre solo i trader che non amano eccessivamente il rischio.

Il suo effettivo valore è da riscontrare soprattutto nel fatto che nel settore delle stablecoin nel corso degli ultimi anni si è notevolmente chiarito un quadro prima molto confuso. Il crollo drammatico di Terra, infatti, ha evidenziato la scarsa sicurezza di quelle algoritmiche, a vantaggio della stablecoin collateralizzate.

GUSD rientra appunto in quest’ultima categoria e fornisce ulteriori garanzie in termini di sicurezza, a partire dalla verifica periodica delle sue effettive riserve. Proprio per questo potrebbe essere individuato come soluzione ottimale da coloro che non intendono rinunciare alla criptoeconomia, ma non sono disposti a correre rischi eccessivi.

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