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Tag: pensione

Tagli pensioni, verso il rinvio della norma dei dipendenti pubblici: nel 2024 colpirà solo le uscite anticipate

Sui tagli delle pensioni dei dipendenti pubblici relative a medici, infermieri, maestri, lavoratori degli enti locali e ufficiali giudiziali, il governo dovrebbe virare verso il rinvio della norma che penalizza gli assegni previdenziali dal 1° gennaio 2024. La stretta sugli assegni di pensione riguarderà, in tutto, 732,000 dipendenti del pubblico impiego, tra i quali 150.000 tra medici e infermieri. Le sigle sindacali di questi ultimi hanno già proclamato lo sciopero per il prossimo 5 dicembre.

L’ipotesi più accreditata, ad oggi, è quella di colpire con i tagli solo i dipendenti pubblici che andranno in pensione in anticipo, lasciando inalterati gli importi previdenziali per chi dovesse lasciare il lavoro con la pensione di vecchiaia. Tuttavia, la norma non sembra di facile superamento. Con la Commissione europea particolarmente vigile sui conti previdenziali dell’Italia, il ricalcolo previdenziale dovrà essere solo rimandato, probabilmente, di due anni. Ma sarà messo, nero su bianco, nella legge di Bilancio 2024 per i prossimi anni.

Tagli pensioni, verso il rinvio della norma dei dipendenti pubblici: nel 2024 colpirà solo le uscite anticipate

Arrivano novità sulla norma che prevede il taglio delle pensioni dei lavoratori del pubblico impiego rientranti nelle categorie di medici, infermieri, maestri, dipendenti degli enti locali e ufficiali giudiziali. In tutto, una platea di 732.000 lavoratori pubblici da qui ai prossimi decenni che andranno in pensione con un importo ridimensionato dal diverso trattamento della quota dei contributi previdenziali rientranti nel sistema di calcolo retributivo.

Infatti, il taglio delle pensioni riguarderebbe i lavoratori tra il 1981 e il 1995 per le quote di contributi versati nella parte retributiva delle pensioni. Secondo i sindacati, il taglio potrebbe arrivare al 25 per cento degli importi previdenziali, circa un quarto della pensione spettante. Da qui, le proteste che stanno animando gli ambienti lavorativi interessati ai ridimensionamenti, primo tra i quali quello sanitario. Nonostante gli incentivi promessi sulle ore di straordinario di medici e infermieri a partire dal prossimo anno, i sindacati parlano di “tempesta perfetta” per allontanare il personale sanitario dalla professione medica del Servizio sanitario nazionale.

Tagli pensioni dipendenti pubblici, le ipotesi per il 2024

A questo proposito, sono due le ipotesi che si stanno facendo in queste ore. La prima riguarda la possibilità di rimandare la norma di due anni, anche perché i tagli di spesa pubblica assicurati all’inizio sono irrisori: si stimano 11,5 milioni di euro nel prossimo anno, con valori a salire fino ad arrivare a 2,3 miliardi di euro di risparmi nel 2043.

Tuttavia, dal 2024 al 2032 la norma assicurerebbe un totale di risparmi di 2 miliardi di euro. Ciò significa che il governo è chiamato a trovare coperture alternative che, in parte, arriveranno dal ridimensionamento degli aumenti delle pensioni di tutte le categorie professionali – pubbliche e private – del prossimo anno. A iniziare dal tasso di inflazione, stimato al ribasso al 5,4%, rispetto al 5,6% di qualche giorno fa.

Pensione medici e infermieri, penalizzata quella anticipata

Dal governo, tuttavia, starebbero arrivando rassicurazioni sull’applicazione dei tagli ai soli lavoratori statali che dovessero andare in pensione in anticipo rispetto alla vecchiaia. Il ricalcolo della pensione, quindi, andrebbe a colpire chi ha tanti anni di contributi versati e punti a uscire nel 2024 o negli anni successivi con i canali alternativi alla vecchiaia.

Secondo la Federazione nazionale Ordini professionali infermieristiche, con una norma di questo tipo a regime si avrebbero tagli di 300 euro sulla pensione. Per le professioni con stipendi meno elevati, ciò significherebbe che una pensione di 1.400 euro si ridurrebbe a 1.100 euro dopo quattro decenni di contribuzione.

Tagli alla previdenza nella legge di Bilancio 2024

La decisione del governo dovrebbe arrivare nella prossima settimana, ma per il veicolo normativo si dovrebbe attendere il maxiemendamento sul disegno di legge di Bilancio 2024, attualmente fermo al Senato. Almeno nel prossimo anno, i lavoratori del pubblico impiego in uscita con la pensione di vecchiaia non dovrebbero avere alcun taglio della futura pensione. La categoria più a rischio è quella dei dipendenti degli enti pubblici locali, il comparto più numeroso. Rimane da verificare quale sarà l’impatto della norma nel caso in cui dovessero essere confermati i tagli sulle pensioni anticipate.

Pensione minima e assegno sociale, ecco di quanto aumentano nel 2024

In aumento l’importo della pensione minima e dell’assegno sociale dal 1° gennaio 2024. E’ quanto si evidenzia dal nuovo tasso di inflazione, pari al 5,4% riferito all’anno 2023, che dovrà essere ufficializzato per decreto dal ministero dell’Economia e delle Finanze e dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.

Le pensioni a partire dal 1° gennaio prossimo dovranno essere indicizzate a questa percentuale, provvisoria, di aumento dei prezzi. Ciò significa che gli assegni dovranno essere ricalcolati applicando quanto prevede il sistema di indicizzazione a scaglioni, in vigore da qualche anno a questa parte.

Per le pensioni fino a quattro volte il trattamento minimo l’aumento dal 2024 sarà pieno rispetto alla percentuale di inflazione. Ciò significa che anche le pensioni minime e gli assegni sociali saranno rivalutate secondo la percentuale provvisoria di inflazione stabilita dall’Istat.

Pensione minima e assegno sociale, ecco di quanto aumentano nel 2024

E’ arrivato il dato provvisorio dell’inflazione osservato durante l’anno 2023 e in base al quale si rivaluteranno le pensioni dal 1° gennaio 2024. L’Istat ha certificato che l’aumento dei prezzi durante l’anno è stato pari al 5,4 per cento. Questa percentuale costituisce la base sulla quale applicare il sistema di indicizzazione delle pensioni per scaglioni, il primo dei quali, per importi previdenziali fino a quattro volte il trattamento minimo, prevede una rivalutazione del 100% dell’indice di inflazione, ovvero del 5,4 per cento.

In questo scaglione sono presenti anche le pensioni minime e gli assegni sociali. Per gli assegni minimi, che l’Inps ha certificato con la circolare numero 11 del 2023 di importo pari a 567,94 euro, la rivalutazione dal 2024 sarà del 5,4 per cento. Ciò significa che l’importo aumenterà fino a 598,61 euro. L’aumento sarà di oltre 30 euro al mese. Tuttavia, un altro ritocco su questo importo è previsto dalla differenza del tasso di inflazione provvisorio del 2022 (il 7,3%) con quello definitivo (dell’8,1%).

Lo 0,8%, che dovrà essere recuperato da tutti i pensionati in rapporto al sistema di indicizzazione per scaglioni, potrebbe essere versato nel cedolino di dicembre 2023 o, al massimo, a gennaio 2024. Il versamento comprende anche il conguaglio di undici mensilità (in caso di pagamento a dicembre) o di dodici mensilità (se il pagamento slitta a gennaio prossimo). L’importo arretrato supererà i 50 euro.

Pensione minima 2024 ed eventuali bonus per i cedolini da gennaio prossimo

Sulle pensioni minime, peraltro, nella scorsa legge di Bilancio il governo aveva introdotto due bonus: il primo, dell’1,5%, andava a favore dei pensionati minimi che non avessero compiuto ancora i 75 anni di età; il secondo, del 6,4%, a favore degli over 75. Si tratta di due aumenti straordinari che, insieme alla rivalutazione dello scorso anno, hanno portato le pensioni minime a due importi, ovvero a 572,74 per gli under 75 e a poco meno di 600 euro per gli over 75.

Tali bonus, tuttavia, avevano validità dal 1° gennaio al 31 dicembre 2023. Quindi, il governo dovrà prevederne il prolungamento anche al 2024 per incrementare gli importi delle pensioni minime. Chi prende una pensione minima deve quindi attendere il recupero dello 0,8% (con gli arretrati dei cedolini di pensione del 2023), un eventuale bonus straordinario che dovrà essere previsto dalla legge di Bilancio per il prossimo anno, e la nuova indicizzazione dell’assegno mensile al tasso di inflazione del 2023.

Assegno sociale, ecco qual è l’importo rivalutato nel 2024

Infine, l’assegno sociale nel 2023 ha avuto, come importo, 503,27 euro. Tale importo deriva dall’aumento del 7,3 per cento, corrispondente all’indice provvisorio di inflazione. Chi percepisce una pensione sociale attende l’aggiunta dello 0,8% come recupero del dato definitivo di inflazione del 2022 (con importo che salirebbe a 507,02 al mese) più l’aumento dell’inflazione del 2023 al 5,4%. Nel 2024, quindi, l’importo mensile sarebbe di 534,40 euro.

Aumenti pensioni del 5,4% nel 2024: ecco per chi

Gli aumenti delle pensioni nel 2024 saranno del 5,4%, in base al tasso di inflazione calcolato dall’Istat per l’anno 2023 e in attesa di ufficializzazione con decreto del ministero dell’Economia e delle Finanze e del Lavoro e delle Politiche sociali. Il meccanismo di aumento delle pensioni sarà lo stesso, a scaglioni di importi, utilizzato negli ultimi anni.

Pertanto, la revisione degli assegni al rialzo in base alla percentuale di inflazione non sarà la stessa per tutti i pensionati. Una buona parte riceverà aumenti pieni, ovvero del 100% rispetto al tasso di inflazione; altri, con importi di pensione più elevata, avranno aumenti che non recupereranno del tutto l’inflazione subita. In alcuni casi si scenderà alla metà o a un quarto del tasso di inflazione (o anche meno).

L’indice di inflazione provvisorio del 2023 assicurerà pensioni minime che arriveranno a circa 600 euro al mese, esclusi gli incrementi straordinari che sono stati decisi nella scorsa legge di Bilancio e che dovrebbero riproporsi per la prossima. Leggiamo, dunque, quali saranno gli aumenti delle pensioni a seconda dell’importo percepito mensilmente.

Aumenti pensioni del 5,4% nel 2024: ecco per chi

Il tasso provvisorio di inflazione al quale verranno adeguate le pensioni nel prossimo anno sarà del 5,4%. L’indice, che dovrà essere ufficializzato per decreto dal ministero dell’Economia e delle Finanze e dal ministero del Lavoro, corrisponde all’aumento dei prezzi registrato durante l’anno 2023. Rispetto alle previsioni di qualche settimana fa, il tasso è dello 0,2% in meno (in precedenza, del 5,6%). Le pensioni avranno gli aumenti applicando il sistema di indicizzazione degli importi che è stato utilizzato negli ultimi anni. In particolare, saranno fissati dei tetti di pensione a seconda di quante volte l’importo percepito sia superiore al trattamento minimo, fissato – per il 2023 – a 567,94 euro.

Avranno un aumento pieno della pensione rispetto al tasso di inflazione del 5,4% gli assegni fino a quattro volte il trattamento minimo. Quindi, chi prende una pensione che, al loro, arriva a 2.271,76 euro, avrà un aumento nel 2024 del 5,4%. Oltre questa soglia, la rivalutazione degli assegni non è piena, ma è quantificata in base a percentuali di recupero dell’aumento dei prezzi.

Le pensioni tra quattro e cinque volte il trattamento minimo, infatti, percepiscono l’85% del tasso di inflazione. L’aumento delle pensioni sarà, quindi, del 4,590%. Per le pensioni da cinque a sei volte il trattamento minimo, la percentuale di perequazione sarà del 53% e l’aumento degli assegni, rispetto all’inflazione, sarà del 2,862%.

Quali sono gli aumenti delle pensioni nel 2024?

Man mano che le pensioni aumentano di importo, diminuisce la percentuale di perequazione. Ciò significa che gli assegni più alti non recuperano l’importo spettante rispetto all’aumento dei prezzi registrato nel 2023. Gli assegni da sei a otto volte il trattamento minimo godranno di una percentuale di perequazione del 47% che rapportata al tasso di inflazione fa un aumento, per il 2024, del 2,538%.

Gli assegni da otto a dieci volte il minimo, per effetto del 37% di perequazione, avranno un aumento effettivo dell’1,998%. Tutte le percentuali di perequazione sono rimaste immutate rispetto a un anno fa, a eccezione delle pensioni di dieci volte e oltre il trattamento minimo. Nel 2023, infatti, il tasso di perequazione è stato del 32%, nel 2024 sarà abbassato al 22%. Ciò significa che, le pensioni più alte, avranno un aumento dell’1,188%, meno di un quarto rispetto al tasso di inflazione del 2023.

Importo di pensione minima nel prossimo anno: si arriva a 600 euro

Infine, le pensioni minime che nel 2023 – in base alla circolare Inps numero 11 – hanno un importo base di 567,94 euro, con il 100% di rivalutazione al tasso di inflazione del 5,4%, arriveranno a 598,61 euro. L’assegno sociale, attualmente di 503,27 euro, arriverà a 534,40 euro. Tutti gli assegni, dai minimi ai più alti, dovranno recuperare ancora lo 0,8% del 2023, non calcolato nel tasso provvisorio di inflazione di un anno fa (7,3% invece dell’8,1% definitivo).

Tagli pensioni 2024: due opzioni per evitare la riduzione dell’assegno, interessati per medici, infermieri, maestri e dipendenti statali

Sui tagli delle pensioni a partire dal 1° gennaio 2024 si profila la scelta da parte del governo di una delle due opzioni – ovvero di riduzione o di rinvio della decurtazione – per evitare la perdite dell’assegno. Ciò che prevede la bozza della legge di Bilancio 2024 in merito alla riduzione delle pensioni per la parte retributiva di medici, infermieri, maestri, dipendenti degli enti locali e ufficiali giudiziari, sta mettendo in allarme la maggioranza di governo.

Soprattutto per quanto riguarda il comparto della sanità per il quale le sigle sindacali hanno già proclamato lo sciopero del 5 dicembre, mentre un’altra giornata di agitazioni sindacali è prevista per il 17 novembre prossimo. Per quanto si tratti di singole giornate, appare quanto mai necessario non perdere nemmeno quelle per arrivare agli obiettivi di riduzione delle liste d’attesa. 

Da questo punto di vista, il governo verrebbe messo alle strette più di quanto possano fare le altre categorie di lavoratori statali interessati al taglio delle pensioni. Ma, a fronte di una norma di Bilancio sulla quale pende già l’ipotesi di incostituzionalità, un differente trattamento tra categorie lavorative non farebbe altro che aumentare questo rischio. E, pertanto, appaiono due le opzioni che il governo potrebbe mettere in campo per evitare scioperi e contestazioni. Quella più accreditata è che per tutti i lavoratori statali la percentuale di taglio possa essere più “soft”, senza creare distinzioni. L’altra ipotesi considera la possibilità di rimandare il tutto a tempi migliori. 

Tagli pensioni 2024: due opzioni per evitare la riduzione dell’assegno, interessati per medici, infermieri, maestri e dipendenti statali

Non si ferma la stretta del governo sulle pensioni e, in particolare, sui futuri a assegni dei dipendenti statali impiegati nella sanità (medici e infamerei su tutti), nonché i maestri, gli ufficiali giudiziali e gli impiegati degli enti locali. Per tutti, in base a quanto si legge nella bozza della legge di Bilancio 2024, arriverà il taglio di pensione consistente nella riduzione della parte retributiva mediante la diminuzione dell’aliquota di rendimento. 

Tagli pensioni 2024, chi potrebbe prendere meno di pensione e perché

I primi a insorgere per questa norma sono i medici e gli infermieri, i cui sindacati di categoria hanno proclamato una giornata di sciopero per il 5 dicembre prossimo. Le sigle chiedono non solo il dietrofront del governo su questa norma ma anche dei segnali positivi su stipendi e buste paga. 

L’agitazione arriva in un momento in cui il governo non può permettersi passi falsi in vista dell’obiettivo di ridurre le liste d’attesa. Proprio su medici e infermieri arriva, dal 2024, l’aumento della paga oraria per lo straordinario, con tariffe riviste al nettamente al rialzo per ogni extraorario. Il muro contro muro potrebbe, dunque, indurre il governo a puntare su una percentuale più bassa di riduzione delle pensioni o a rimandare l’entrata in vigore della norma stessa a periodi più appropriati.

Anche perché la riduzione della spesa previdenziale del primo anno con i tagli delle pensioni arriverebbe a 11,5 milioni di euro nel 2024, per salire negli anni successivi. Nel 2030 si prevede un taglio di spesa di 463 milioni di euro, nel 2034 si arriverebbe a 1,1 miliardi di euro per raddoppiare, poi, nel 2042. 

Riduzione della pensione, rimando o misura più ‘soft’

Il salvataggio pieno dei medici, tuttavia, dovrebbe allargarsi anche agli altri lavoratori statali interessati dalla norma taglia-pensioni. È probabile, allora, che il governo possa agire sula percentuale di taglio, ovvero aumentando ma di poco l’aliquota di rendimento sui contributi versati nel sistema retributivo da parte degli interessati (essenzialmente nel periodo dal 1981 al 1995).

Qualunque misura verrà adottata, anche il possibile slittamento della norma, si presume verrà presa per tutti i lavoratori statali per non incorrere in rischi di incostituzionalità della relativa norma.

Agricoli, si può lavorare se si prende l’indennità di disoccupazione Naspi-Dis Coll? Nuove istruzioni Inps

Nuove istruzioni dell’Inps indirizzate ai lavoratori agricoli, in merito alla possibilità di continuare a lavorare occasionalmente anche se si percepisce l’indennità di disoccupazione Naspi o Dis Coll. L’Istituto di previdenza ne conferma la compatibilità, ma non fornisce ulteriori dettagli per quanto concerne il versamento dei contributi previdenziali.

Le nuove istruzioni arrivano dalla circolare numero 89 del 2023, emessa nella giornata di ieri e pubblicata oggi, 8 novembre 2023. La circolare fornisce chiarimenti in merito alla compatibilità e alla cumulabilità delle indennità di disoccupazione con le prestazioni agricole di lavoro subordinato occasionale (LOAgri) a tempo determinato, secondo quanto prevede il comma 344, dell’articolo 1, della legge numero 197 del 2022 (legge di Bilancio 2023).

Agricoli, si può lavorare se si prende l’indennità di disoccupazione Naspi-Dis Coll? Nuove istruzioni Inps

Arriva la conferma, da parte dell’Istituto di previdenza, circa la compatibilità del lavoro occasionale nel settore agricolo con la fruizione delle indennità di disoccupazione Naspi e Dis Coll. A precisarlo è l’Inps con la circolare numero 89 del 7 novembre 2023, mediante la quale si conferma la cumulabilità dei redditi derivanti dal lavoro subordinato occasionale a tempo determinato con le indennità di disoccupazione.

Nel dettaglio, le prestazioni del lavoro subordinato occasionale a tempo determinato sono state introdotte nel settore agricolo, per il 2023 e 2024, dalla legge 197 del 2022 (Legge di Bilancio 2023). In via sperimentale, questa formula di lavoro sostituisce, per il biennio, i vecchi voucher, ovvero contratti di lavoro occasionali che sono stati abrogati per gli impieghi in agricoltura. I voucher rimangono in vigore in altri settori produttivi e lavorativi, ai fini di un ampliamento di forza lavoro rispetto a quanto prevede la normativa.

Agricoli lavorare con disoccupazione: i nuovi contratti di lavoro occasionale del 2023

Il nuovo contratto di lavoro occasionale in agricoltura introdotto dalla legge di Bilancio 2023 consente di poter utilizzare soggetti per attività di carattere occasionale per non oltre 45 giorni lavorativi all’anno. Si può proporre questa tipologia di lavoro occasionale, tra le altre categorie come percettori di reddito di cittadinanza o di ammortizzatori sociali, anche ai disoccupati e a chi fruisce della Naspi e Dis Coll.

Inoltre, sono ammessi ai contratti occasionali anche i percettori della pensione di vecchiaia o di anzianità e i giovani con età non superiore a 25 anni, purché iscritti a scuola (qualsiasi ciclo di studi). Risultano ammessi anche i detenuti e internati, i soggetti in semilibertà.

Voucher per lavorare in agricoltura non più utilizzabili, ecco cosa fare

La circolare Inps chiarisce che il beneficiario delle indennità di disoccupazione Naspi e Dis coll può svolgere prestazioni di lavoro occasionale in agricoltura entro il predetto limite di 45 giornate di lavoro per anno civile, senza l’obbligo di comunicare all’Inps il compenso derivante dalle stesse. Pertanto, i compensi derivanti dalle prestazioni occasionali sono interamente cumulabili con le richiamate indennità di disoccupazione che non saranno, quindi, soggette a sospensione, abbattimento o decadenza di cui agli articoli 9, 10 e 11 del decreto legislativo numero 22 del 2015.

Contributi pensione lavoratori agricoli, come versarli?

Inoltre, nella circolare si legge che, ai sensi dell’articolo 1, comma 349, della legge di Bilancio 2023, la contribuzione versata dal datore di lavoro e dal lavoratore per lo svolgimento delle prestazioni lavorative occasionali in agricoltura è da considerarsi utile ai fini di eventuali successive prestazioni di disoccupazione, anche agricola. Inoltre, sulle prestazioni agricole occasionali, l’Istituto di previdenza sottrae dalla contribuzione figurativa relativa alle prestazioni di disoccupazione Naspi e Dis Coll gli accrediti contributivi derivanti dalle prestazioni di lavoro occasionale agricolo.

Tuttavia, l’Istituto di previdenza non precisa altro in merito alla dichiarazione e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali. Il silenzio dell’Inps lascia aperti i dubbi di interpretazione derivanti dalla scarsa disposizione normativa sull’argomento.

L’INPS rilascia la pensione APE sociale con i vecchi requisiti a questi fortunati. Due motivi per non ritardare la domanda. Benefici e Limitazioni

La corsa alla pensione Ape sociale è iniziata, soprattutto se considerato che nel 2023 si potrà andare in pensione con i vecchi requisiti. In altre parole, l’INPS ammette le domande per la pensione Ape sociale se pervenute entro il 30 novembre 2023. D’altronde, in gioco ci sono le modifiche introdotte dal 2024, i cui margini ristringono l’accesso al beneficio. Vediamo insieme i requisiti per l’Ape sociale nel 2023 e le novità previste per il 2024.

Ape sociale con i vecchi requisiti

Nella logica del governo Meloni rientrano paletti, penali e modifiche alle tre misure più utilizzare dagli italiani per ritirarsi prima dal lavoro, ovvero Ape sociale, Opzione donna e Quota 103.

Sicuramente, lo scopo dell’Esecutivo non è quello di incentivare la domanda di pensionamento anticipato. E questo è uno dei primi motivi per cui molti lettori hanno richiesto maggiori dettagli sui requisiti previsti per l’anticipo pensionistico Ape sociale, operativi fino alla fine dell’anno.

Come funziona l’anticipo pensionistico?

L’Ape sociale è regolamentata dall’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335,  che fornisce spiegazioni dettagliate sui requisiti anagrafici e contributivi. Possono richiedere l’uscita tramite l’Ape sociale i lavoratori che hanno raggiungo 63 anni di età e almeno 30 anni di contributi, a patto che soddisfino i criteri normativi.

Sono ammessi al beneficio i lavoratori iscritti presso l’Assicurazione Generale Obbligatoria dei lavoratori dipendenti, le forme sostitutive ed esclusive della stessa, le gestioni speciali dei lavoratori autonomi e alla Gestione Separata.

Che requisiti ci vogliono per andare in pensione con l’Ape sociale?

Attualmente, e comunque fino al 31 dicembre 2023, l’accesso all’anticipo pensionistico è riservato ai lavoratori che rientrano in una delle categorie di tutela di seguito elencate, tra cui:  

  •  si trova in stato di disoccupazione a seguito di cessazione del rapporto di lavoro per licenziamento, anche collettivo, dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale;
  • assiste, al momento della richiesta e da almeno sei mesi, il coniuge o un parente di primo grado convivente con handicap in situazione di gravità (ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104);
  •  è stata riconosciuta un’invalidità civile con una ridotta capacità lavorativa, superiore o uguale al 74%.

È importante notare, che fino alla fine dell’anno restano in vigore le disposizioni contenute nell’allegato 3 della legge 234/2021. Pertanto, resta valido il requisito contributivo ridotto per i lavoratori:

  • lavoratori gravosi, se possiedono almeno sette anni negli ultimi dieci di attività lavorativa o almeno sei anni negli ultimi sette di carriera lavorativa, occo;
  •  per gli operai edili, per i dipendenti delle imprese edili ed affini, per i ceramisti e per i conduttori di impianti per la formatura di articoli in ceramica e terracotta.

Le lavoratrici ricevono uno sconto contributivo di 12 mesi per ogni figlio a carico, nel limite massimo di due anni.  

Quanti soldi si prendono con l’Ape sociale?

L’INPS, a fronte del riconoscimento, garantisce una rendita mensile fino a 1.500 euro al mese per 12 mensilità.

Tuttavia, è importante sottolineare che la fruizione dell’anticipo pensionistico non comprende la rivalutazione o l’integrazione al minimo. In caso di decesso del titolare del trattamento,  tutti i benefici vengono persi, poiché l’anticipo Ape sociale non è una pensione diretta, per cui non è reversibile ai superstiti.

L’indennità viene accreditata per dodici mesi, senza la tredicesima mensilità. Pertanto, per ottenere tutti i diritti della pensione, è necessario che il fruitore perfezioni i requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia, ossia 67 anni di età e 20 anni di contributi. In questo caso, l’INPS esegue un passaggio d’ufficio da Ape sociale a pensione di vecchiaia o altro trattamento ordinario.

Quando presentare la domanda nel 2023?

Per andare in pensione con i vecchi requisiti dell’Ape sociale, è importante presentare la richiesta preliminare entro e non oltre il 30 novembre 2023. La domanda per il riconoscimento del diritto al trattamento deve pervenire all’INPS in via telematica da coloro che perfezionano i requisiti entro il 31 dicembre 2023.

Per maggiori dettagli, è possibile contattare il numero verde gratuito 803164; da cellulare, è disponibile il numero 06164164, con tariffa variabile a seconda del gestore.

Come cambia l’Ape sociale nel 2024?

Innanzitutto, i lavoratori che decidono di presentare la domanda entro il 30 novembre 2023, non cavalcano l’onda emotiva della riforma, accalcandosi verso un’uscita, anche senza averne bisogno.

Piuttosto, sono consapevoli dei paletti restrittivi previsti per il 2024, sull’Ape sociale e sulle altre misure rinnovate per il prossimo anno.

Per il 2024, infatti, la bozza della legge di Bilancio prevede delle modifiche ai requisiti dell’Ape sociale. In particolare, viene aumentato il limite anagrafico di accesso al beneficio da 63 anni a 63 anni e 5 mesi.

L’altra novità riguarda la cancellazione dalla lista dei lavori gravosi, le professioni introdotte per il biennio 2022-23, ovvero quelle indicate come ampliamento delle mansioni usuranti. In altre parole, il governo non rinnovando tale lista, ha ripristinato i requisiti presenti al 2021.