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Tag: Bitcoin

Bitcoin: qual è l’effettivo impatto ambientale?

Il mining di Bitcoin è ormai da anni oggetto di aspra polemica da parte degli ambientalisti. Si rimprovera a BTC di consumare troppo e di partecipare attivamente allo stato di stress del pianeta. Accuse che hanno visto la loro punta di lancia nel governo svedese che, nel corso della discussione sul MiCA (Markets in Crypto Assets), il nuovo regolamento europeo sulle criptovalute, ha proposto addirittura di mettere al bando l’attività di estrazione dei blocchi condotto con il Proof-of-Work sul suolo continentale.

Un vero e proprio assedio cui, però, hanno reagito gli evangelisti di BTC, cercando di controbattere alle argomentazioni della parte avversa ricordando che ci sono attività molto più energivore che nessuno si sogna di mettere in dubbio. Andiamo quindi a cercare di capire meglio i termini della discussione e se le accuse a Bitcoin siano completamente fondate.

Bitcoin: quali sono i suoi consumi?

Come già anticipato in avvio, da parte ambientale si attacca da anni il mining di Bitcoin. L’accusa è molto precisa: i consumi sono eccessivi. Una tesi che, peraltro, è stata sposata da Elon Musk, il CEO di Tesla che, dopo aver introdotto i pagamenti in valuta virtuale delle sue auto ha poi deciso di sospenderli proprio per l’eccessivo consumo ad essi collegato.

Anche il mondo crypto ha deciso di prendere atto del problema, dando vita al Bitcoin Mining Council, sotto l’impulso dell’uomo più ricco del mondo. Proprio l’ente ha prodotto una serie di dati i quali cercano di confutare la tesi delle associazioni ambientaliste. In particolare ricordando che l’energia elettrica impiegata nel mining di BTC deriva in sempre più larga parte da fonti rinnovabili. In base agli ultimi dati il 52,6%, in effetti, sarebbe in effetti ascrivibile a fotovoltaico, eolico, geotermico e idroelettrico.

I dati reali

Ma qual è l’effettivo consumo collegato al mining di Bitcoin? A fornire i dati in tal senso è il Cambridge Bitcoin Electricity Consumption Index (CBECI), strumento creato dall’Università di Cambridge nel preciso intento di monitorare il consumo energetico di Bitcoin: la sua rete assorbe circa 131 terawatt-ora (TWh) di energia all’anno. Un dato pari a quello della Norvegia e superiore al consumo di Argentina e Svezia.

Ad essi, si vanno poi ad aggiungere i dati forniti dal Bitcoin Energy Consumption Index (BECI), uno strumento sviluppato dal sito Digiconomist. In questo caso l’impatto ambientale dell’icona creata da Satoshi Nakamoto si attesta a circa 72 milioni di tonnellate di anidride carbonica (CO2) all’anno. Un dato che sopravanza le emissioni annuali totali della Nuova Zelanda.

Se si tratta di dati rilevanti, per capirli meglio occorre però raffrontarli con altri asset, stavolta di tipo tradizionale. A incaricarsi operare tale raffronto è stata l’Università Tecnica di Monaco, secondo la quale il sistema finanziario tradizionale consuma tra i 2.340 e i 3.861 TWh all’anno. Ovvero tra le 23 e le 38 volte in più rispetto a Bitcoin.

A questi dati se ne possono poi aggiungere altri, ad esempio quelli relativi al consumo energetico per l’estrazione dell’oro, che si attesta a ben 240,61 terawatt, quasi il doppio di quanto consumato per il mining di Bitcoin.

Una discussione interessata?

Com’è noto, l’apparizione del Bitcoin ha sollevato notevole contrarietà nella finanza tradizionale. Basterebbe ricordare l’aspro giudizio di Jamie Dimon, amministratore delegato di JP Morgan, uno dei più grandi istituti bancari degli Stati Uniti. Feroce detrattore delle criptovalute, qualche anno fa affermò la sua intenzione di licenziare i dipendenti dell’azienda ove si fossero impegnati nel trading di asset virtuali.

Se Dimon è poi tornato indietro sulla strada intrapresa, tanto da digerire il varo di un token da parte della sua banca, denominato JPM Coin, altri hanno invece continuato ad avversare BTC. Paradossalmente, però, attaccare la regina delle criptovalute per lo scarso rispetto dell’ambiente si rivela un’arma assolutamente spuntata. Se infatti venisse messa al bando su questo ragionamento, anche l’oro e altri asset tradizionali dovrebbero seguirne il destino. Almeno stando alla logica, una disciplina che viene spesso ignorata quando si parla di criptovalute.

Lightning Network: cos’è, come funziona e a cosa serve

Se è la criptovaluta più famosa, Bitcoin non è però di certo la più performante. In particolare, la creazione di Satoshi Nakamoto presenta problemi in termini di scalabilità e costi delle transazioni. Per cercare di risolverli nel corso del tempo sono state proposte alcune soluzioni, provocando anche una scissione nella sua comunità, da cui è nato Bitcoin Cash.

La più importante delle modifiche in questione è Lightning Network. Tale protocollo, infatti, si è accollato il compito di favorire la scalabilità, rendere più veloci le transazioni e abbattere il costo delle commissioni. Il tutto senza andare ad intaccare i profili di sicurezza della blockchain, considerati un aspetto irrinunciabile dalla sua comunità.

Lightning Network: di cosa si tratta?

Lightning Network è un protocollo di nuova generazione che mira a risolvere alcune problematiche connesse alla blockchain, in particolare quella di Bitcoin. Sin dal suo esordio, infatti, l’icona crypto ha evidenziato alcune lacune di non poco conto. Satoshi Nakamoto, infatti, prima della sua scomparsa si era focalizzato su alcune questioni ideologiche, senza però affrontare quelle tecnologiche, anche perché BTC, prima criptovaluta in assoluto, non aveva termini di paragone.

Con l’avanzata del tempo e l’arrivo delle reti di seconda e terza generazione, però, i problemi sono ben presto emersi. In particolare quelli collegati alla scalabilità, alla velocità delle transazioni e al loro costo. Per cercare di risolverli venne proposta la modifica alla misura massima del blocco, portandolo da 1 a 2 MB. Una modifica che fu affrontata con l’implementazione di Segregated Witness (SegWit), scatenando l’opposizione dei puristi, guidati da Roger Ver e Jihan Wu.

Nella vera e propria guerra scatenata tra le parti, i lealisti decisero in seguito di ricorrere a Lightning Network. Ovvero ad una vera e propria rete decentralizzata, basata sulla presenza di Smart Contract su blockchain, confezionata al fine di consentire pagamenti e trasferimenti rapidi. In pratica, si tratta di una soluzione off-chain o di secondo livello. Ha nodi propri ed è in grado di comunicare con la catena principale. Per entrare o uscire dal Lightning Network, è però necessario creare transazioni speciali sulla blockchain.

Come funziona il Lightning Network

Il funzionamento di Lightning Network è abbastanza semplice. In pratica, nell’ambito di una transazione che lo riguarda, gli utenti interessati creano un contratto intelligente. All’interno di questo smart contract è conservato un registro privato in cui sono registrate le operazioni tra gli interessati. Le stesse sono visibili soltanto ad essi, senza alcuna possibilità di inganni.

In ogni momento, infatti, una delle controparti può procedere alla pubblicazione lo stato corrente del canale nella blockchain. La conseguenza di questa scelta è che i saldi di ciascuna parte del canale saranno attribuiti on-chain ai rispettivi partecipanti.

Altra caratteristica che rende estremamente performante il Lightning Network è la straordinaria velocità delle esecuzioni. In pratica non esistono conferme da parte dei nodi e la rapidità della transazione dipende esclusivamente dalla velocità collegata alle connessioni Internet dei partecipanti alla stessa.

I vantaggi

L’utilizzo di Lightining Network offre una serie di notevoli vantaggi. Il primo che abbiamo ricordato è quello collegato alla straordinaria velocità del sistema, resa possibile dal fatto che si tratta di una blockchain separata da quella principale.

Ad esso, però, se ne aggiungono altri, a partire proprio dal fatto che si tratta di una soluzione esterna. Nel caso in LN qualcosa dovesse andare male, non ci saranno ripercussioni sulla blockchain di Bitcoin.

Si tratta inoltre di una opportunità aggiuntiva, di carattere strettamente tecnico, che non intacca minimamente i presupposti ideologici che hanno reso famosa l’icona inventata da Satoshi Nakamoto. Chi vuole può usufruirne senza che le soluzioni all’interno della catena subiscano alcun genere di modifica.

Proprio il fatto di rappresentare una soluzione tale da non intaccare i presupposti ideologici di Bitcoin, infine, evita pericolose faide interne, come quella scaturita nel fork di Bitcoin Cash. Proprio questa è forse la caratteristica più preziosa di Lightning Network, considerata la pericolosità di tali scissioni.