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Tag: Bitcoin

Secondo Edward Snowden, altri Stati stanno acquistando Bitcoin, oltre a El Salvador

Altri Stati, oltre a El Salvador, stanno facendo rifornimento di Bitcoin. Ad affermarlo è Edward Snowden, l’informatico e attivista statunitense diventato famoso per aver reso pubbliche le attività di spionaggio condotte dai governi di Stati Uniti e Gran Bretagna nei confronti dei propri cittadini.

Si tratta di una notizia abbastanza sorprendente, alla luce dell’evidente fastidio con cui molte compagini statali hanno salutato l’avvento dell’icona crittografica. Un fastidio che, almeno dal punto di vista ufficiale, non è mai venuto meno con l’avanzata del tempo. Tanto da indurre il governo svedese, ad esempio, a farsi promotore di una sorta di crociata contro il mining Proof-o-Work, il meccanismo di consenso su cui BTC fonda i suoi livelli di sicurezza.

Bitcoin? Non solo El Salvador lo acquista

Com’è ormai noto, El Salvador ha dato vita ad un programma di acquisto di Bitcoin, ormai da tempo. Una decisione molto controversa all’epoca, tanto da essere criticata dal Fondo Monetario Internazionale, che oggi si sta però rivelando molto fruttuosa. A renderla tale la nuova impennata fatta registrare da BTC negli ultimi giorni, con lo sfondamento di quota 64mila dollari. Impennata che sembra soltanto il preludio del vero rally atteso per il post halving.

Il presidente salvadoregno Nayib Bukele, definito dai media il dittatore più cool a livello planetario, già nel settembre del 2021 ha varato la Ley Bitcoin. Un provvedimento con il quale il token ha assunto il ruolo di moneta a corso legale nel piccolo Stato centroamericano.

In contemporanea con il provvedimento, Bukele ha poi deciso di dare vita ad un programma di acquisto dell’icona crypto, che alla luce della crescita di queste ore si sta rivelando proficua. Talmente proficua da aver spinto qualche altro Paese a ripercorrerne le orme. Almeno questo è il parere di Edward Snowden.

Cosa ha detto precisamente Snowden?

Prossimamente diventerà pubblico l’acquisto di BTC da parte di un altro Paese: questo è quanto affermato dal famoso whistleblower ormai diventato cittadino russo. Lo ha fatto in un post pubblicato su X, l’ex Twitter,

Naturalmente, dopo l’anticipazione di Snowden, molti osservatori hanno iniziato a chiedersi quale potrebbe essere il Paese implicato. Gli sguardi della maggioranza di essi non hanno quindi faticato a concentrarsi sugli Stati Uniti.

Se così fosse, però, ci sarebbe una contraddizione di non poco conto. Il governo di Washington, infatti, nel corso degli ultimi tempi ha inasprito il proprio atteggiamento verso l’innovazione finanziaria. Lo ha fatto tramite il suo braccio finanziario, la Securities and Exchange Commissione (SEC), provocando non poco fastidio nel settore.

Inoltre, una parte del mondo politico, in particolare gli ambienti democratici, non ha nascosto la propria avversione nei confronti di Bitcoin e Altcoin. Lo ha fatto in particolare la senatrice del Massachusetts Elizabeth Warren, con la presentazione di un disegno di legge teso a fornire regole più stringenti in questo particolare ambito.

il Digital Asset Anti-Money Laundering Act (DAAMLA), ha suscitato non poca avversione e dato la stura ad una vera e propria battaglia campale. Il surriscaldarsi dell’ambiente non sembra in effetti il miglior viatico per la navigazione di Bitcoin e criptovalute in genere. Proprio per questo stupirebbe se fossero proprio gli Stati Uniti a condurre un programma di acquisto di Bitcoin.

Intanto BTC ha ripreso a volare

Considerato come Snowden non possa comunque essere considerato un personaggio abituato a straparlare, non resta che attendere le prossime settimane per capire cosa stia effettivamente accadendo.

Ad avvantaggiarsi dell’ennesima discussione al suo proposito è comunque la creazione di Satoshi Nakamoto. Con l’avvicinarsi del quarto halving sta infatti calamitando l’attenzione generale, oscurando praticamente il resto del gruppo.

Attenzione che riguarda anche gli investitori, che in queste ore stanno facendo lievitare la domanda, a fronte di un’offerta che non riesce a farle fronte. Un trend che sembra preparare il terreno ideale per il nuovo rally atteso dopo il dimezzamento delle ricompense spettanti ai miners.

Bitcoin sfonda quota 64mila dollari: la grande corsa si avvicina?

Anche se per pochi minuti, Bitcoin ha toccato quota 64mila dollari, nella giornata di ieri. Si tratta di una quota che non toccava dal novembre del 2021 e il dato ha suscitato un certo clamore. Nelle ore successive ha perso progressivamente quota, ma si tratta di un calo fisiologico, secondo gli analisti.

Naturalmente, insieme al prezzo del token ha iniziato a correre anche la fantasia di molti trader. Tanto da spingere Antoni Trenchev, cofondatore dell’exchange di criptovalute Nexo, ad affermare le sue aspettative di un aumento di interesse da parte degli investitori che avevano deciso di defilarsi di fronte al rally in corso. Anche se prima di un loro impegno dovrebbe verificarsi un aumento della resistenza el mercato man mano che BTC si avvicina ai 69mila dollari.

Bitcoin: cosa sta accadendo

Ormai sembra abbastanza chiaro che l’icona di Satoshi Nakamoto è destinata a stabilire un nuovo record nel corso dell’anno. Un traguardo reso possibile soprattutto dal lancio degli ETF spot, che hanno reso disponibile l’asset anche agli investitori istituzionali.

Un fattore che al momento sembra avere maggiore influenza anche rispetto alle attese degli investitori per gli effetti di trascinamento del quarto halving, ormai alle porte. Ad affermarlo è Zach Pandl, responsabile della ricerca presso Grayscale Investments: “La domanda di Bitcoin si scontra con un’offerta sempre più limitata. I nuovi ETF spot bitcoin negli Stati Uniti hanno raccolto una media di 195 milioni di dollari per giorno di calendario a febbraio, mentre la rete Bitcoin attualmente produce circa 900 monete al giorno, circa 54 milioni di dollari in Bitcoin, ipotizzando un prezzo di 60mila dollari.”

In pratica, non ci sono abbastanza BTC per soddisfare tutta la nuova domanda. Una dinamica che sarà aggravata dal dimezzamento delle ricompense spettanti ai miners. Proprio per questo il prezzo sta iniziando di nuovo a correre. La domanda riguarda quindi dove potrà arrivare nel corso dei prossimi mesi.

Corsa già avvenuta, secondo JPMorgan, ma i fatti dicono altro

Nei giorni passati, aveva destato una certa sensazione un rapporto rilasciato dagli analisti di JPMorgan. Il documento, infatti, dava una narrazione diversa degli eventi, in corso e futuri. Affermava infatti che il rally di Bitcoin, atteso per il post halving, è in realtà già avvenuto.

La nuova crescita delle ultime ore sembra smentire decisamente questa tesi. In effetti BTC sembra deciso a continuare la sua crescita, nonostante la leggera flessione fatta registrare dopo aver toccato i 64mila dollari.

Una crescita che si sta riflettendo in positivo anche sulle azioni delle aziende che sono direttamente collegate all’icona crypto. Ad approfittarne è stato soprattutto Microstrategy, i cui titoli sono cresciuti del 10,5%, mentre si sono fermati al 2,4 e 1% Marathon Digital e Block. Coinbase, a sua volta, si è dovuto accontentare dello 0,8%, un risultato dovuto al problema verificatosi sui conti di alcuni clienti, i quali si sono ritrovati all’improvviso azzerato il saldo, ritrovandosi impossibilitati a seguire il mercato.

La reazione del mercato nelle prossime ore

Naturalmente, in molti si stanno ora interrogando su cosa potrebbe accadere nelle prossime ore. Le prime avvisagli sono avvenute con il ritracciamento a circa 60mila dollari. Intanto, però, BTC sembra aver ripreso la sua corsa e si sta avvicinando in questi minuti ai 63mila dollari.

Secondo l’analista crypto Rekt Capital, prima dell’atteso halving potrebbe ancora verificarsi un ridimensionamento del prezzo. Secondo lui, però, la tesi che l’evento sia già stato prezzato dal mercato è fuori dalla realtà. A indicarlo sarebbe proprio l’analisi dei dati storici del mercato, i quali indicano che i movimenti più importanti di Bitcoin si sono sempre verificati dopo i precedenti halving, non prima.

Proprio per questo, la fantasia di un gran numero di trader ha iniziato a volare. Considerato come l’offerta di token sia destinata a rivelarsi insufficiente di fronte alla domanda, sembra proprio che il precedente record di BTC sia destinato a diventare presto un ricordo.

BCE: Bitcoin cresce senza avere basi solide

La Banca Centrale Europea mette in guardia gli investitori sull’esplosione del prezzo di Bitcoin. Nel corso delle ultime ore la regina delle criptovalute ha sfondato quota 56mila dollari e sembra intenzionata a proseguire la propria corsa.

Secondo la BCE, però, si tratterebbe semplicemente di una bolla, cui gli investitori dovrebbero fare molta attenzione, per non ritrovarsi a contare le perdite. In particolare, quanto sta accadendo in queste ore sarebbe da ricondurre a fattori temporanei. Tra di essi, soprattutto, la manipolazione del mercato, la domanda di attività illecite e politiche di regolamentazione che stanno andando in direzioni sbagliate.

Bitcoin: il monito della BCE

Attenzione all’esplosione del prezzo di Bitcoin. Questo è l’avvertimento lanciato dalla Banca Centrale Europea di fronte al nuovo rally di cui si sta rendendo protagonista l’icona ideata da Satoshi Nakamoto. Un monito che ha peraltro preceduto l’ultima esplosione del suo prezzo, in ordine temporale, quella che ha condotto BTC oltre il livello dei 56mila dollari.

L’istituzione chiamata a guidare le politiche finanziarie dell’Unione Europea ha pubblicato un rapporto in cui è andata ad analizzare i trend evidenziati da Bitcoin nelle ultime settimane, ritenendo evidentemente impossibile ignorare una realtà così rilevante anche per gli investitori del vecchio continente.

Per quanto riguarda l’intensa crescita del suo prezzo, la banca centrale riconosce come la stessa sia in effetti di grande rilievo, ma al contempo pericolosa. A renderla tale è il fatto di basarsi su condizioni di mercato effimere. In pratica il suo giudizio sembra ricalcare le accuse ripetutamente mosse nei confronti dell’icona crypto. Basti pensare in proposito alle parole di Donald Trump, quando era ancora presidente degli Stati Uniti. Il tycoon, all’epoca affermava come BTC fosse fondato sul nulla assoluto, non avendo basi nell’economia reale.

Se il parere di Trump, di nuovo in lizza per la Casa Bianca, sembra essere mutato nelle ultime ore, la BCE ha invece continuato a manifestare un atteggiamento severo verso Bitcoin. Come è possibile del resto notare analizzando il suo rapporto.

La crescita di Bitcoin è effimera, secondo la BCE

Perché il Bitcoin cresce a ritmi così intensi? La BCE ha individuato tre ragioni principali per la tendenza in atto:

  • la persistente manipolazione in un mercato che continua ad essere deregolamentato, almeno negli Stati Uniti;
  • l’aumento della domanda come veicolo di transazioni illecite, riecheggiando quindi la vecchia accusa mossa da più parti sull’utilizzo del token all’interno dell’economia criminale;
  • i fallimenti degli approcci normativi, i quali sono stati sinora disorganici, impedendo alle autorità monetarie interventi in grado di ingabbiare Bitcoin in un quadro assolutamente legale.

Altro punto importante del documento è poi quello in cui la Banca Centrale Europea mette in guardia gli investitori sulla possibilità di una nuova bolla. Analoga a quelle che di volta in volta hanno visto improvvisi boom del prezzo di BTC seguiti da crolli altrettanto repentini.

Un trend che è del resto in atto ormai dalla fine dell’anno passato, legato in particolare alla questione degli Exchange Traded Fund spot approvati dalla FED. A tal proposito la BCE esorta alla massima attenzione, per non esporsi alla abnorme volatilità del mercato criptovalutario. Una caratteristica che ne rende difficile la comprensione ai trader meno esperti.

Non manca inoltre un richiamo alla possibilità di pratiche manipolatorie, eventualità resa più praticabile nei momenti in cui la recessione riduce drasticamente la liquidità. Un trend che nell’innovazione finanziaria si è manifestato sotto forma di crypto winter.

La necessità di una seria regolamentazione

Infine, il rapporto elaborato dalla BCE va a criticare gli attuali approcci normativi, giudicati del tutto insufficienti per poter affrontare questioni cruciali come i tentativi di frode, la manipolazione dei prezzi e le ricadute ambientali del mining di criptovalute.

Per cercare di evitare danni, la banca centrale non esita quindi a chiedere una legislazione più stringente. Sino a prospettare la possibilità di elevare divieti tesi a porre una barriera difensiva di fronte ai pericoli associati a BTC. Una eventualità, quest’ultima, che sembra fornire un vero e proprio assist al governo svedese, da tempo in prima fila nel proporre il bando al mining Proof-of-Work. Un bando derivante appunto dai rischi ambientali ad esso collegati.

In definitiva, quindi, l’autorità monetaria europea sembra confermare il suo risoluto ostracismo nei confronti dell’innovazione finanziaria. Un atteggiamento che stride a fronte del mutamento di prospettiva da parte di molti istituti bancari di ogni parte del mondo, i quali hanno optato per un’apertura di credito verso le criptovalute, cercando di metterne invece in rilievo i lati positivi.

Bitcoin sfonda quota 56mila dollari: cosa sta accadendo?

Bitcoin ha sfondato agevolmente quota 56mila dollari nel corso delle ultime ore. Nonostante alcune previsioni secondo le quali l’icona crypto avrebbe già dato il meglio in vista del quarto halving, i dati reali sembrano andare nella direzione esattamente contraria.

Naturalmente, la nuova fiammata di BTC, che ha collezionato oltre nove punti percentuali di crescita nelle ultime 24 ore e sta proseguendo la sua corsa, ha spinto molti osservatori a chiedersi cosa stia realmente accadendo. Il tutto mentre i detentori del token fanno gran festa.

Bitcoin: a cosa è dovuta questa nuova fiammata?

A fornire il propellente per l’ennesima fiammata della creazione di Satoshi Nakamoto sarebbero stati gli ultimi dati relativi all’economia statunitense. In particolare, quelli concernenti l’indice dei prezzi al consumo (CPI) e di quelli alla produzione (PPI) nel mese di gennaio.

Per quanto riguarda l’indice dell’inflazione al consumo, il dato è cresciuto superando le aspettative degli analisti. A causare questa crescita sono state in particolare le impennate dei prezzi riguardanti i generi alimentari e delle tariffe energetiche. Così come è cresciuta l’inflazione nel commercio all’ingrosso, evidenziando una tendenza inflazionistica lungo l’intera catena di approvvigionamento.

A questi dati si sono poi andati a mixare quelli provenienti dal mercato del lavoro. Anche in questo caso la crescita dei posti di lavoro e dei salari prevista dagli analisti è stata sovraperformata dalla realtà, mentre il tasso di disoccupazione è rimasto pressoché invariato.

Ad una prima occhiata, quindi, sembrerebbe una situazione favorevole per Bitcoin, che nel corso degli ultimi anni è stato indicato alla stregua di possibile bene rifugio in caso di spinte inflazionistiche. un’indicazione contestata però da più parti, a causa della naturale volatilità delle criptovalute.

Proprio la crescita di BTC, e dell’intero settore, di queste ultime ore, però, da un lato confermerebbe l’indicazione di possibile bene rifugio. Mentre smentirebbe quanto affermato in un rapporto pubblicato da JPMorgan, secondo il quale l’icona crypto avrebbe già dato vita alla bull run collegata all’halving ormai alle porte.

Il parere di Aurelie Barthere

Su quanto sta accadendo è intervenuta anche Aurelie Barthere, Principal Research Analyst presso Nansen, che ha cercato di spiegare la relazione tra dinamiche inflazionistiche e crescita degli asset digitali. Richiesta di un parere in relazione alla popolarità di BTC nei momenti in cui persiste una crescita dei prezzi, Barthere ha fatto presente che la regina delle criptovalute tende invece a dare il meglio quando prevalgono le spinte deflazionistiche. Mentre fatica in contesti inflattivi superiori al 2% su base annua, con una traiettoria in ascesa.

Al momento, l’economia si trova, almeno in apparenza, in una fase di discesa dei prezzi, dopo le fiammate dell’anno passato. In particolare, le aspettative del mercato sarebbero in linea con le indicazioni della Federal Reserve, che prevede tre rialzi dei tassi entro l’anno. 

Si tratterebbe quindi di uno scenario in grado di favorire la quotazione di BTC, proprio perché storicamente il token ha cavalcato le spinte alla deflazione. Simili a quelle che si stanno affacciando nelle ultime settimane.

Proprio l’inflazione, di conseguenza, dovrebbe essere osservata con molta attenzione da chi è interessato a investire in Bitcoin e Altcoin. Se dovesse realmente proseguire la discesa dei prezzi degli ultimi tempi si creerebbe uno scenario favorevole per un apprezzamento degli asset virtuali. Occorre sottolineare che, al momento, lo sguardo dei trader si concentra invece su altri catalizzatori di prezzo, come la possibile approvazione di un ETF su Ethereum e il rallentamento della crescita economica.

Un parere, quello di Barthere, che dovrebbe senz’altro essere tenuto in conto dagli investitori. Se è vero che l’halving si avvicina a grandi passi, con i suoi possibili influssi sul prezzo di Bitcoin, limitare la propria analisi sull’opportunità di un investimento su di esso collegandolo esclusivamente a questo evento potrebbe aprire le porte a pessime sorprese.

Bitcoin, in Germania si muove la CDU/CSU per contrastarlo

Per Bitcoin il rapporto con l’Europa è sempre stato abbastanza contrastato. Basterebbe ricordare in tal senso l’ormai vecchia guerra dei Paesi nordici, Svezia in primis, contro il mining Proof-of-Work, per capire meglio l’assunto.

Ora, però, è la Germania a muoversi nei confronti della regina delle criptovalute. Ad attivarsi, in particolare, è il più grande partito del Paese, quello composto da CDU e CSU nel Bundestag. Il gruppo parlamentare, infatti, ha avanzato una richiesta ufficiale al governo, chiedendo che siano adottate restrizioni nei confronti di BTC e degli asset virtuali in generale.

In Germania cresce l’opposizione a Bitcoin e criptovalute

Se i criptofans pensavano che con l’approvazione degli ETF spot su Bitcoin la strada verso l’adozione globale delle criptovalute fosse ormai spianata, la realtà potrebbe presto rivelarsi molto diversa. Segnali in tal senso arrivano in particolare dalla Germania, con il maggiore partito politico del Paese, la CDU-CSU, decisa a muovere passi concreti per contrastare l’innovazione finanziaria.

Il gruppo parlamentare, il più grande all’interno del Parlamento di Berlino, ha infatti avanzato una domanda formale al governo, chiedendo l’adozione di misure più stringenti nei confronti di BTC. Il motivo di questa richiesta è da individuare nella necessità di contrastare il riciclaggio di denaro e la criminalità finanziaria.

Un tema il quale sembra ormai vecchio e ripetutamente controbattuto da ricerche molto circostanziate, che comunque sembra destinato a tornare eternamente a galla. Nel caso tedesco, però, potrebbe portarsi dietro una serie di norme le quali potrebbero rivelarsi un freno di non poco conto per il settore.

Le richieste dell’opposizione tedesca

La richiesta di CDU/CSU nei confronti del governo guidato dal socialdemocratico Olaf Scholz è molto precisa: mettere in campo misure più stringenti nei confronti delle criptovalute. Misure alle quale verrebbe affidato il compito di impedirne l’utilizzo nell’economia criminale e per sottrarre risorse al fisco.

Tra queste misure, la prima è quella relativa alla due diligence per l’acquisto di asset virtuali. In tal senso, però, occorre sottolineare come già a livello di Unione Europea sia stato adottato il principio dell’obbligo di pubblicazione per qualsiasi transazione crypto che vada ad oltrepassare la soglia dei mille euro.

A questa prima richiesta se ne aggiunge poi una seconda, l’obbligo di produrre la prova relativa all’origine dei fondi. E, ancora, la definitiva messa al bando dei mixer crypto. Ovvero di quegli strumenti che, come Tornado Cash, sono in grado di impedire l’individuazione dei wallet implicati in una transazione. Strumenti che, del resto, sono già oggetto di una vera e propria guerra da parte delle autorità preposte al controllo dei movimenti monetari.

Altra proposta avanzata dai gruppi parlamentari di CDU e CSU è poi quella relativa alla registrazione per gli indirizzi self-hosted, i quali dovrebbero essere oggetto di comunicazione allo Stato. Evidente l’intenzione di fare in modo che siano vietate le transazioni di coloro che dovessero sottrarsi all’obbligo.

Non manca poi un altro aspetto abbastanza controverso, quello relativo al divieto di scambiare criptovalute e contanti in modalità P2P. In questo caso, peraltro, non è specificato se tale divieto dovrebbe riguardare solo gli exchange decentralizzati (DEX) o anche i privati.

Infine, l’istituzione di un vero e proprio registro dei wallet, simile a quello già in vigore per i conti bancari. In questo caso a giustificare il provvedimento sarebbe la necessità di monitorare le attività finanziarie condotte mediante valuta virtuale.

La polemica è dietro l’angolo

Le proposte dell’opposizione tedesca sembrano fatte apposta per rinfocolare le polemiche sulle criptovalute. In molti casi evidenziano una plateale ignoranza di cosa siano realmente e delle tecnologie cui si appoggiano. In altri sembrano invece il retaggio di un pregiudizio duro a morire.

L’anonimato che queste norme vorrebbero contrastare è una sorta di leggenda metropolitana, ove riferito ad esempio a Bitcoin. È stata la Bitcoin Foundation a ricordare, anni fa, come tutte le transazioni che comportano l’impiego dell’icona creata da Satoshi Nakamoto siano iscritte sul libro mastro della blockchain. Un registro il quale è assolutamente pubblico e che può essere consultato da chiunque sia intenzionato a farlo.

Mentre potrebbe essere più plausibile nel caso delle cosiddette privacy coin, a partire da Monero, il più illustre rappresentante di questo particolare ambito. Indicare Bitcoin come strumento per l’economia criminale sembra più che altro una mossa propagandistica.

Basti pensare in tal senso ad un recente documento redato dal Ministero del Tesoro degli Stati Uniti, al cui interno si afferma come gli asset virtuali siano largamente minoritari nel riciclaggio di denaro sporco.

Il documento redatto da CDU/CSU, in definitiva, sembra talmente maldestro da spingere qualcuno ad affermare che il vero obiettivo è un altro. Ovvero fare un primo passo deciso verso il divieto dei contanti. In tal senso, quindi, le criptovalute rappresenterebbero semplicemente il classico cavallo di Troia, al cui interno si nasconderebbe una proposta che è vista come il fumo negli occhi da parte di molti.

Bitcoin, secondo Paolo Savona i pericoli superano i vantaggi

Anche Paolo Savona, numero uno della CONSOB (Commissione Nazionale per le Società e la Borsa), ha deciso di affrontare il tema Bitcoin. Il presidente dell’ente chiamato a regolare i mercati finanziari tricolori lo ha fatto in considerazione del fatto che sono ormai 3,5 milioni gli italiani che possiedono asset virtuali.

Il giudizio da lui formulato a proposito dell’icona crypto è stato molto articolato e non proprio positivo, come era del resto facile prevedere. Ma andiamo a vedere in maniera dettagliata le affermazioni rilasciate a Milano Finanza.

Paolo Savona: Bitcoin è un asset rischioso

La domanda cui ha cercato di dare una risposta Savona è quella relativa ai rischi connessi al possesso di Bitcoin, sempre più praticato anche in Italia. Su questo punto il giudizio del numero uno di CONSOB è stato molto netto: la creazione di Satoshi Nakamoto è un asset effettivamente molto rischioso su cui investire.

A renderlo tale è in particolare la mancanza di un sistema di regole in cui inserirlo. “Nessuna regolamentazione che abbracci l’intera problematica è andata in porto. Come accadde per i derivati, le autorità hanno praticato una politica di benevola disattenzione sia per le crypto come tali, sia per le ibridazioni con strumenti tradizionali regolati alle quali avevano dato vita (per esempio, usandoli direttamente come prestiti o come collateral di derivati), ignorando che all’origine essi non hanno un debitore”.

Naturalmente, ha proseguito Savona, i privati sono assolutamente liberi di assumere rischi pur di perseguire il profitto. Nel farlo, però, devono evitare comportamenti illeciti. Un punto dolente per le autorità finanziarie, anche quelle del Belpaese. In sede di vigilanza, infatti, la natura decentralizzata e criptata della blockchain complica notevolmente le cose.

La creazione di una ricchezza pattizia, ma fittizia, ha proseguito Savona, depotenzia in maniera evidente la trasmissione delle scelte di politica monetaria. Oltre che il conseguimento di quella sospirata stabilità finanziaria che è il risultato dell’azione di vigilanza pubblica sui mercati mobiliari e la quale è stata affinata con fatica nel corso del tempo proprio al fine di erigere un sistema di protezione per gli investitori.

Tanto da arrivare ad un paradosso: invece di estendere agli asset digitali le normative degli strumenti tradizionali è avvenuto il contrario. Un modus operandi cui non è sfuggito neanche il Markets in Crypto Assets (MiCA), il nuovo regolamento dell’UE sull’innovazione finanziaria.

Occorre rivedere la vigilanza

Savona non ha risparmiato toni critici neanche verso gli ETF spot su Bitcoin, su cui si è molto discusso a cavallo del nuovo anno. Visti alla stregua di un punto di svolta dai criptofans, rappresentano invece l’ennesimo problema.

Al riguardo queste le dichiarazioni rilasciate “L’autorizzazione concessa a 11 operatori di Etf sui Bitcoin, ha indotto il presidente della Sec Gary Gensler ad avvertire che l’opacità causata da contabilità decentrate a blocchi impedisce di accertare se attraverso queste contrattazioni passano i reati di riciclo di danaro sporco, truffe e finanziamenti al terrorismo”. Una tesi ormai vecchia e più volte smentita, cui il numero uno della CONSOB non ha saputo evidentemente resistere.

Savona ha quindi rincarato la dose, affermando che il modo di affrontare la tematica ha comportato un passo indietro. Dopo anni di affinamenti regolamentari nelle tre materie indicate, sono state prese decisioni che comportano conseguenze gravi, anche per “il buon funzionamento del mercato degli strumenti tradizionali”.

Tanto da spingerlo ad indicare la necessità di un riesame della vigilanza. Serve cioè un ripensamento dell’architettura istituzionale sul tema. Unico modo per superare l’attuale debolezza regolatoria e proteggere il risparmio incanalandolo verso il finanziamento dell’attività produttiva.

Le criptovalute portano più rischi che vantaggi

La conclusione di Paolo Savona è quindi in linea con la piega presa dalla conversazione con Milano Finanza: le criptovalute comportano più rischi che effettivi vantaggi. Per comprendere appieno questa realtà serve un’approfondita conoscenza del funzionamento di un ‘economia di mercato regolamentato. Una conoscenza che manca e la quale, in presenza di un atteggiamento benigno delle autorità di vigilanza, mette a serio rischio il denaro degli investitori.

Le posizioni del numero uno della CONSOB sembrano quindi abbastanza in linea con quelle esplicitate da altri personaggi chiamati a vigilare sui mercati finanziari. Al tempo stesso segnalano l’esigenza di arrivare ad una regolamentazione sempre più chiara di un settore che si avvia verso un nuovo boom. Con l’approssimarsi del quarto halving di Bitcoin, infatti, è lecito attendersi un rinnovato interesse da parte degli investitori. Occorre capire se basti il MiCA per proteggerli in maniera adeguata nel corso dei prossimi mesi.

Bitcoin sfonda quota 50mila dollari: è partita la bull run?

Bitcoin si appresta ad una nuova bull run? Sono in molti a chiederselo, dopo lo sfondamento di quota 50mila dollari da parte dell’icona crypto. Se è vero che nelle ore successive c’è stato un ritracciamento, che ha eroso una parte del suo prezzo, occorre tenere in conto un altro dato di grande rilevanza: nel corso degli ultimi sette giorni BTC ha guadagnato oltre sedici punti e mezzo percentuali.

Bitcoin: è già partita la grande corsa?

Il 2024 si prospetta come un anno estremamente frizzante, per il settore criptovalutario. A renderlo tale ha già contribuito il lancio sul mercato degli ETF spot dedicati a Bitcoin. Un evento che è stato salutato alla stregua di una nuova epoca per la creazione di Satoshi Nakamoto e per il settore in generale.

Il 2024, però, è anche l’anno del quarto halving di BTC. Per tale si intende il procedimento il quale dimezza le ricompense spettanti ai minatori, che scatta ogni 210mila blocchi. Si tratta di un passo fondamentale nella tokenomics della regina crypto, in quanto espressamente rivolto a rendere più scarso il bene. Un procedimento il quale, come si è già visto nelle precedenti occasioni, è destinato a riflettersi in positivo sul token.

La domanda che si pongono in molti, naturalmente, ogni volta che un halving si approssima, è quella rivolta a capire quanto possa essere profondo tale influsso. Tanto da far scattare una ridda incontrollata di previsioni, spesso fantasmagoriche.

Considerato che l’evento è previsto tra marzo e maggio, molti ritengono che abbia già iniziato a farsi sentire sulla quotazione di Bitcoin. La conferma sarebbe da ravvisare proprio nel trend rialzista molto forte dell’ultima settimana.

Bull run di BTC: non solo l’halving

Se al momento l’attenzione dell’opinione pubblica è appuntata sull’halving, ci sono però alcuni analisti i quali ritengono che, stavolta, contrariamente a quanto accaduto in passato, sulla crescita del prezzo di BTC influiranno maggiormente altri fattori.

Ad avanzare questa tesi è in particolare Grayscale, all’interno di un suo rapporto. Secondo gli analisti dell’azienda, gli Exchange Traded Funds (ETF), configurando una nuova struttura del mercato, sono destinati a pesare enormemente in tal senso.

Il motivo alla base di questo convincimento è da ravvisare nel fatto che i minatori, per prevenire il pratico dimezzamento dei propri profitti e l’aumento dei costi collegati alla propria attività, dopo un halving vendono una quota maggiore dei token posseduti. In tal modo vanno ad attenuare l’ondata di acquisti, influendo in negativo sulla quotazione di BTC.

Stavolta, però, secondo Grayscale a mutare il quadro contribuirà il recente debutto degli ETF Bitcoin a Wall Street, fungendo da contrappeso alle vendite dei minatori. Il suo rapporto è molto chiaro in tal senso: “Gli ETF Bitcoin potrebbero assorbire in modo significativo la pressione di vendita, rimodellando potenzialmente la struttura di mercato del Bitcoin, fornendo una nuova fonte di domanda costante, che è positiva per il prezzo”.

Affermazioni che non sono certo passate inosservate presso chi è abituato a ragionare in maniera molto approfondita, prima di prendere posizione sul mercato.

Intanto le balene accumulano

Nel puzzle che si sta formando, occorre inserire anche un altro tassello molto importante, quello rappresentato dalle balene crypto. Solitamente, questo termine va a indicare coloro che posseggono mille o più Bitcoin, si tratti di privati o fondi.

Secondo i dati forniti dalla società di analisi on-chain IntoTheBlock, la quantità di Bitcoin detenuta nei portafogli delle whale sarebbe aumentata, nel solo mese di gennaio, di circa 76.000 BTC, ovvero tre miliardi di dollari. Tanto da portare il patrimonio totale da esse detenuto a circa 7,8 milioni di token.

In pratica, questi grandi investitori hanno approfittato del calo fatto registrare dal prezzo dell’icona crypto nei giorni successivi all’approvazione degli ETF spot da parte della SEC per rastrellare i titoli in vendita. Un trend favorito peraltro proprio dal Grayscale Bitcoin Trust (GBTC), i cui aderenti hanno deciso di prendere profitto dopo il rialzo precedente.

Come si può facilmente notare, quindi, la tanto attesa bull run di BTC si prospetta alla stregua di una vera festa. Resta però da capire chi sarà in grado di approfittarne realmente. Le balene sono le più accreditate in tale ottica.

Bitcoin, secondo Scott Melker arriverà a 240mila dollari

Con l’approssimarsi del quarto halving di Bitcoin, è naturalmente ricominciata la giostra delle previsioni sul prezzo dell’icona crypto. Tra quelle che hanno destato maggior interesse, occorre ricordare l’opinione espressa da Scott Melker, secondo il quale BTC si attesterà a quota 240mila dollari. A renderla interessante è il fatto di essere stata formulata da quello che è indicato nell’ambiente del trading come il “lupo di Wall Street”.

Bitcoin, la previsione di Scott Melker

Bitcoin preso a 240mila dollari: questa la previsione di Scott Melker che ha fatto drizzare, ove ce ne fosse bisogno, le antenne di un gran numero di investitori. Si tratta infatti di uno dei più noti trader di criptovalute in attività, un personaggio le cui previsioni non sono formulate a caso e, soprattutto, non possono essere ignorate.

A spingerlo alla formulazione di questa previsione è naturalmente l’ormai prossimo quarto halving della creazione di Satoshi Nakamoto. Un evento destinato a contrassegnare l’anno nel settore e, qualora si rivelassero realistiche le cifre che hanno iniziato a girare da tempo, a riportarlo clamorosamente all’attenzione dell’opinione pubblica.

Se può sembrare esagerata la stima di Melker, infatti, in realtà anche in queste ore stanno affluendo predizioni che vanno ben oltre i 240mila dollari da questi indicati. Proviamo a elencarne alcune.

BTC: le altre previsioni che fanno sognare

Una prima stima che non si discosta molto da quella di Melker, pur oltrepassandola, è quella formulata da Charles Edwards, fondatore di Capriole Investments, fondo quantitativo su Bitcoin e asset digitali. È stato proprio lui ad affermare che entro il 2025 ogni singolo BTC potrebbe valere 250mila dollari.

Il suo parere è stato espresso in un intervento postato su X, l’ex Twitter e si spinge anche oltre, nel lungo termine: “Se i rendimenti di Bitcoin dopo il dimezzamento dovessero essere analoghi a quelli del 2020, l’anno prossimo potremmo trovarci di fronte a 280.000 dollari per Bitcoin”.

Se il ragionamento di Edwards riguarda il 2025 e gli anni successivi, sulla possibile evoluzione del prezzo di Bitcoin si è invece espresso un altro noto trader, Alan Tardigrade. Il suo parere è che entro la fine dell’anno in corso, la quotazione si attesterà a non meno di 130mila dollari.

Halving di Bitcoin: cos’è e perché influisce sul prezzo

Per halving di Bitcoin si intende il dimezzamento delle ricompense che spettano ai minatori, per l’estrazione dei blocchi. Si tratta di un evento che ha luogo al raggiungimento di un determinato blocco, ideato proprio per dare al token un aspetto deflazionistico.

In pratica, ogni 210mila blocchi i minatori vedono dimezzarsi il guadagno derivante dal proprio lavoro di supporto alla blockchain. La ratio di questa politica è facilmente intuibile: ad ogni halving i minatori che guadagnano di meno vengono in pratica tagliati fuori. Diminuendo il loro numero, diminuisce anche l’offerta di Bitcoin.

Al tempo stesso, però, proprio il calo dell’offerta di nuovi coin si dovrebbe tradurre in un aumento del prezzo di riferimento. In tal modo l’attività di estrazione dei blocchi continuerà ad essere conveniente per i miners rimasti, impedendo un eccesso di abbandoni nel settore.

Il meccanismo in questione prevede altri sessanta eventi, sino al 2140, anno in cui è prevista l’estrazione dell’ultimo esemplare di BTC. Da quel momento, non ci saranno più premi di blocco, ma soltanto relativi alle commissioni di transazione.

In effetti, il modello ideato da Satoshi Nakamoto ha sin qui retto alla prova dei fatti. Ad ogni halving ha infatti fatto seguito l’esplosione del prezzo di Bitcoin. Un trend il quale ha abbondantemente compensato i minatori e gli investitori.

Proprio per questo motivo ogni volta che si approssima un halving, l’interesse dell’opinione pubblica si acuisce. Con una pratica conseguenza: il fervore delle discussioni su BTC si tramuta in una campagna pubblicitaria a costo zero per l’intero settore dell’innovazione finanziaria. Una campagna la quale si sta rinnovando in queste settimane.

Halving Bitcoin: cosa accade ai token, dopo l’evento?

L’approssimarsi del quarto halving di Bitcoin, l’evento di gran lunga più atteso nella criptosfera, spinge molte persone a porsi domande al riguardo. Tra di esse, c’è anche il quesito relativo a cosa può accadere ai token, una volta che il dimezzamento delle ricompense spettanti ai minatori sarà andato in porto.

Una domanda del tutto logica, considerato il grande valore che ha assunto ormai da tempo quello che è considerato a tutti gli effetti oro digitale. Proviamo quindi a dare una risposta articolata, per cercare di comprendere cosa potrebbe accadere nell’immediato futuro.

Halving di Bitcoin: cos’è e perché è importante

Per halving di Bitcoin si intende il dimezzamento delle ricompense spettanti ai minatori che aggiungono blocchi alla catena dell’icona crypto. Chi conduce questa attività, la quale avviene secondo le regole del meccanismo di consenso Proof-of-Work, deve cercare di risolvere problemi matematici estremamente complessi, necessitando di grande forza computazionale.

Per averla, occorre in particolare dotarsi di macchinari estremamente potenti e costosi. Una necessità che, con il passare del tempo, ha ridotto il mining ad essere concentrato in poche mani. Trend che, peraltro, viene rafforzato ad ogni halving, proprio perché si dimezza il valore spettante ai minatori per l’aggiunta del blocco.

L’evento avviene in pratica ogni 210mila blocchi e ha in pratica una funzione ben precisa: mantenere sotto controllo l’emissione dei nuovi token e garantirne la scarsità. Un processo che, come è facilmente intuibile, è destinato a sostenere la quotazione di BTC, insieme al carattere deflattivo assicurato dall’offerta massima posizionata a quota 21 milioni di esemplari.

Cosa accade ai token, dopo un halving?

Come abbiamo visto, quindi, l’halving dimezza il premio spettante al minatore che aggiunge il blocco alla catena. Per il resto, invece, almeno a livello formale, tutto resta invariato, a partire naturalmente dal quantitativo di token detenuti dagli interessati.

Al tempo stesso, però, non vanno sottovalutate le conseguenze indirette che l’evento può avere sul prezzo della creazione di Satoshi Nakamoto. Tanto da indurre un gran numero di trader a tenere sotto stretto controllo tutto quello che lo riguarda.

Tra le possibili conseguente dell’halving, in particolare, occorre sottolineare le seguenti:

  • il mutamento delle dinamiche relative a domanda e offerta. La previsione di una più accentuata scarsità di BTC nel futuro può influire positivamente sul suo prezzo:
  • l’abbandono dei minatori che prima dell’evento guadagnano meno dall’attività di estrazione dei blocchi. Il pratico dimezzamento dei profitti può infatti spingerli ad abbandonarla, oppure a rivolgersi al mining di altre criptovalute.

A queste conseguenze di carattere finanziario, se ne può poi aggiungere una in termini di narrazione. L’halving, infatti, spinge molte persone ad interessarsene, anche chi magari è indeciso sull’opportunità di investire nell’innovazione finanziaria.

Considerata la necessità da parte degli investitori di reperire nuovi asset su cui dirigere i propri soldi, la discussione sul dimezzamento delle ricompense sembra destinata a interessarne non pochi. Soprattutto in un momento in cui dell’icona crypto si parla in relazione agli ETF spot da poco arrivati sul mercato.

Conclusioni

Il blocco 840mila, quello che comporterà il quarto halving di Bitcoin, continua ad avvicinarsi. La sua aggiunta alla blockchain è previsto per il prossimo mese di aprile, ma ormai da tempo se ne parla, a volte con toni messianici.

Secondo tutti gli analisti e i criptofans l’evento dovrebbe tramutarsi in una nuova grande festa per i detentori di BTC. Le previsioni sul suo aumento di valore si sprecano e, a volte, assomigliano più a guasconate che a giudizi basati su dati di fatto.

Quello che è sicuro, è che chi possiede un Bitcoin prima dell’halving si ritroverà con un token anche dopo. Resta invece da capire se il valore ad esso associato sarà aumentato e, in caso affermativo, di quanto. Già questo, però, contribuisce ad alimentare una curiosità morbosa da parte dell’opinione pubblica. Una curiosità destinata a tramutarsi in una poderosa campagna pubblicitaria per BTC, a costo zero.

ETF Bitcoin di BlackRock supera i due miliardi di dollari: cosa sta accadendo?

A distanza di meno di tre settimane dal suo sbarco sui mercati, l’ETF Bitcoin di BlackRock, denominato IBIT, ha già sfondato la soglia dei due miliardi di dollari di asset gestiti. Si tratta in pratica di oltre 52mila BTC, che portano il controvalore a quota 2,1 miliardi di dollari. I dati, peraltro, non tengono in conto la giornata di ieri, nel corso della quale IBIT ha acquistato altri 2mila token. 

Si tratta comunque di un esito inferiore a quanto preventivato da BlackRock, che nei piani iniziali contava di acquistare tale quantitativo nel corso della prima settimana di vita del suo ETF. Un dato complessivo che è comunque ancora ben lontano da quello di GBTC, l’ETF Bitcoin di Grayscale, il quale detiene 496mila token. In queste tre settimane, il fondo ha liquidato oltre 120mila Bitcoin.

Nonostante le cessioni, GBTC detiene ancora oltre 21 miliardi di controvalore nel suo interno. Un dato tale da spingere gli analisti a vaticinare ulteriori cessioni, nel corso delle prossime settimane.

Il saldo è comunque positivo

Se l’ETF di Grayscale ha liquidato un quantitativo enorme di BTC, sommando quelli acquistati nel corso delle due settimane e mezzo intercorse dal loro sbarco sul mercato, i fondi hanno acquistato oltre 130mila Bitcoin. Il saldo è dunque positivo per più di 10mila unità, nonostante le cessioni di GBTC.

Un dato che ha nuovamente riportato all’attenzione generale la centralizzazione di cui gli ETF Bitcoin si farebbero interpreti. Un vero e proprio spauracchio per gli evangelisti dell’icona crypto, che proprio sull’inclusione finanziaria hanno basato son dall’inizio la propria narrazione pro-Bitcoin.

Se è vero che i token detenuti dagli ETF non siano molti di più rispetto a quelli di inizio gennaio, il timore di un processo di accentramento nelle mani di pochi grandi fondi ha nuovamente fatto suonare i campanelli d’allarme.  

È infatti presumibile che nell’immediato futuro gli ETF continuino ad acquistare, compensando largamente le cessioni del fondo di Grayscale. Acquisti che non possono essere compensati dal ritmo di mining di Bitcoin, il quale peraltro dovrebbe ulteriormente calare dopo il quarto halving. Il dimezzamento delle ricompense previste per il conio dei nuovi esemplari, infatti, è destinato a disincentivare molti minatori, spingendoli ad abbandonare.

La custodia è centralizzata

Alcuni osservatori hanno cercato di smontare l’ipotesi di una centralizzazione in atto, per Bitcoin, ricordando che il possesso dei token acquistati non è dei fondi, bensì degli azionisti. Se sul piano formale è vero, occorre però sottolineare che la custodia dei token è assolutamente centralizzata. Una centralizzazione destinata a crescere proprio sulla base dell’andamento del mining.

I due maggiori ETF, in particolare, affidano il proprio tesoro virtuale ai servizi di custodia di Coinbase. Ovvero a quello che già da tempo è il secondo detentore di Bitcoin, alle spalle di Satoshi Nakamoto, l’ormai leggendario fondatore di BTC scomparso dalla circolazione nel 2011.

La domanda che molti si pongono in queste ore è la seguente: cosa accadrebbe nel caso in cui andasse in porto un attacco di pirateria informatica a danno della piattaforma di scambio? La risposta è molto semplice: l’attaccante potrebbe non solo impadronirsi di una quantità enorme di token, ma anche inondare il mercato con gli stessi. Con un semplice risultato: un crollo drammatico del prezzo.

Poco prima dell’approvazione degli ETF spot su Bitcoin da parte della SEC, aveva destato scalpore l’affermazione di Arthur Hayes, ex CEO di BitMex sulla possibile fine del token. Una fine la quale sarebbe derivata dal fatto che l’asset non sarebbe più stato detenuto e fatto circolare da singoli.

Un timore in effetti abbastanza fondato cui ora si va ad aggiungere quello derivante dalla strisciante centralizzazione in atto. Resta quindi da capire se, alla fine della giostra, il lasciapassare fornito agli ETF spot su Bitcoin non sia destinato a rivelarsi negativo per la creazione di Satoshi Nakamoto.

Taproot: tutto ciò che bisogna sapere

Il 14 novembre del 2021 è stato rilasciato l’ultimo aggiornamento di Bitcoin, denominato Taproot. Si tratta del più importante in assoluto dal 2017, anno in cui fu invece pubblicato SegWit (Segregated Witness). Taproot ha comportato una serie di notevoli vantaggi per gli utenti e i minatori. Ma, soprattutto, a detta degli esperti ha segnato l’inizio dell’era di DeFi sulla blockchain lanciata da Satoshi Nakamoto.

Taproot: di cosa si tratta

Taproot è un aggiornamento fondamentale cui è stata sottoposta la blockchain di Bitcoin, rilasciato nel novembre del 2021. È composto da 3 aggiornamenti del protocollo di BTC, ognuno dei quali classificato come Bitcoin Improvement Protocols (BIP), indicati con i numeri 340, 341 e 342. A scriverle è stato Pieter Wuille e la cosa interessante da notare è il fatto che Taproot sia stato concepito come soft fork. La sua compatibilità con le versioni precedenti di Bitcoin, è riuscita così ad evitare guerre di religione interne, come quella che ha condotto alla nascita di Bitcoin Cash.

Gli aggiornamenti sono stati implementati in contemporanea con l’estrazione del blocco numero 709.632 e grazie al loro lancio è ora possibile un processo di elaborazione più efficiente, rapido e sicuro delle transazioni che avvengono sulla blockchain dell’icona crypto. In particolare, Taproot consente di occupare meno spazio sulla catena e di ridurre in maniera significativa i consumi collegati all’algoritmo di consenso Proof-of-Work.

A renderlo possibile soprattutto il fatto che grazie alla sua implementazione si è verificato un calo nel numero delle firme incluse in un blocco. L’eccessivo numero di esse andava in pratica a limitare lo spazio destinato alle transazioni, all’interno di un blocco. Diminuendole, di converso, ora è possibile far entrare in un blocco un maggior numero di transazioni. Per capire meglio quale tipo di problema sia stato alleviato, occorre ricordare che sulla catena di BTC le firme pesano per circa un terzo sui dati contenuti.

Come funziona Taproot

Per risolvere il problema cui abbiamo accennato, Taproot ha provveduto a sostituire l’algoritmo ECDSA, cui era affidato il compito di calcolare le firme digitali. Lo ha fatto con le firme di Schnorr, uno schema crypto sviluppato da Claus Schnorr, proposto con la BIP 340.

Le firme di Schnorr hanno consentito di dare luogo ad una serie di migliorie di rilievo sulla blockchain di Bitcoi. Tra di esse è obbligatorio indicare:

  • la riduzione da 72 a 64 byte dello spazio occupato da una firma digitale;
  • la possibilità di utilizzare non più una firma digitale per ogni UTXO (Unspent Transaction Output), ma di una per tutti gli UTXO contenuti in una singola transazione, con la conseguenza di una riduzione non solo delle dimensioni dell’operazione, ma anche della potenza di calcolo gravante sulla CPU;
  • un calcolo più rapido ed efficiente delle firme digitali, tale da tradursi in un minor consumo energetico a carico della rete.

Altro elemento di rilievo introdotto da Taproot, con la BIP 341, è l’utilizzo di Merklized Alternative Script Trees (MAST). Grazie ad esso gli script delle transazioni sono eseguiti in maniera più efficiente e aumentando il livello di riservatezza. Anche quando sono molto complessi, si rivelano in grado di riunire tutto in un singolo hash. Ne deriva un’ottimizzazione dei tassi di transazione, una riduzione dell’utilizzo di memoria e un miglioramento della scalabilità complessiva.

E, ancora, Taproot ha segnato l’avvento di Tapscript, un linguaggio di programmazione che è in grado di abilitare la scrittura di regole più flessibili e complesse per gli smart contract. Tapscript, introdotto dal BIP 342, ottimizza ed espande le capacità di scripting di Bitcoin, consentendo maggiori funzionalità ed efficienza.

Conclusioni

Come abbiamo già ricordato, Taproot è considerato l’aggiornamento più importante cui è stata sottoposta la blockchain di Bitcoin dopo SegWit. L’introduzione delle firme di Schnorr, di MAST e Tapscript è considerata dagli addetti ai lavori il primo passo verso la finanza decentralizzata da parte di BTC.

Le conseguenze per il successo dell’icona attribuita a Satoshi Nakamoto non sono state immediatamente visibili, ma sono destinate a pesare nel corso dei prossimi anni. Se il nuovo assetto della blockchain sarà considerato ottimale, molti utenti potrebbero optare per Bitcoin a scapito di quelle ove al momento conducono le proprie transazioni.

Se al momento l’attenzione di tutti è sugli EFT e sul quarto halving, Taproot va comunque considerata una tappa di grande importanza nell’evoluzione del sistema Bitcoin. Una tappa la quale sembra destinata a pesare notevolmente sul suo futuro.

ATM Bitcoin, cosa sono e come funzionano

La popolarità di Bitcoin è in continua crescita, tale da spingere molti a porsi una serie di domande al riguardo. Tra di esse anche quella sui possibili modi per poterlo avere, che non si limitano all’acquisto presso un exchange di criptovalute.

Una facile alternativa in tal senso è rappresentata dall’acquisto presso gli ATM Bitcoin, ovvero gli sportelli automatici riservati all’icona crypto. Ce ne sono ormai migliaia, posizionati in ogni angolo del globo, e permettono di condurre l’operazione con estrema semplicità. Proprio per questo hanno avuto una crescita esponenziale dal 2013, l’anno in cui il primo di essi fu installato a Vancouver, in Canada.

ATM Bitcoin: cosa sono

Gli ATM Bitcoin sono in pratica veri e proprio bancomat riservati alla criptovaluta inventata da Satoshi Nakamoto. Hanno infatti l’aspetto e il funzionamento di quelli tradizionali, anche se differiscono da essi per alcuni aspetti.

Il primo dei quali è rappresentato dal metodo che caratterizza l’erogazione dei fondi. Se nel caso dell’ATM tradizionale è sufficiente disporre di una carta di debito o di credito da inserire nella macchina per ottenere l’importo indicato, il bancomat di BTC prevede l’utilizzo di contanti da depositare, in modo da avere in cambio la criptovaluta corrispondente. Per condurre in porto l’operazione, inoltre, occorre fornire l’indirizzo del proprio wallet, ove saranno depositati i token che sono stati acquistati.

A rendere possibile il procedimento è solitamente il collegamento instaurato con un exchange, chiamato a sua volta a soddisfare l’ordine dell’utente. Per alcuni ATM Bitcoin, però, gli operatori provvedono a pre-caricare i propri BTC in modo da trasferirli all’utente che li richiede.

Come vendere e acquistare tramite ATM Bitcoin

Pe procedure di compravendita con gli ATM Bitcoin sono estremamente semplici e questo contribuisce largamente alla loro affermazione. Per quanto riguarda l’acquisto, l’iter è il seguente:

  • procedere al deposito di valuta fiat nel dispositivo;
  • fornire l’indirizzo del proprio wallet, destinato ad accogliere e custodire gli asset virtuali;
  • confermare i dettagli della transazione.

Conclusi questi passaggi avviene il trasferimento dei Bitcoin al portafogli elettronico. Una procedura quindi estremamente semplice, che resta tale nel caso inverso, ovvero se si intende vendere la propria criptovaluta. In questo caso, la procedura è la seguente:

  1. invio di un messaggio di testo di verifica al telefono dell’utente interessato all’acquisto, il quale viene in pratica inoltrato dalla macchina;
  2. scansionamento da parte dell’utente dell’indirizzo del wallet dell’ATM per il trasferimento della criptovaluta al dispositivo;
  3. conferma dell’operazione, a seguito della quale l’ATM Bitcoin rilascerà il corrispondente importo in valuta fiat.

Per poter trovare un ATM Bitcoin e condurre in porto l’operazione desiderata, è naturalmente necessario sapere dove si trova quello più vicino. Il mondo migliore per saperlo è, come al solito, il ricorso al web, ove esistono siti espressamente dedicati all’operazione. Il più noto di essi è CoinATMRadar, che ormai da tempo è consultato da un gran numero di utenti.

Quanti sono i bancomat dedicati a BTC, a livello globale?

La popolarità di Bitcoin, nonostante la gelata del mercato degli ultimi anni, è sempre molto elevata. Non stupisce quindi il permanente interesse di molte persone per gli ATM in cui può essere acquistato o venduto.

In base alle ultime rilevazioni condotte, che risalgono al passato mese di giugno, il numero delle installazioni presenti in ogni parte del globo oltrepassa quota 35mila. Una quantità che comunque non rappresenta il massimo storico. Un picco il quale sembra destinato del resto a essere oltrepassato nell’immediato futuro.

A rendere concreta questa ipotesi sono proprio gli eventi che stanno caratterizzando questa prima fase del 2024, a partire dall’approvazione degli ETF spot su Bitcoin da parte della SEC. Una decisione che sembra fatta apposta per sgombrare il terreno da ogni ostacolo in vista del quarto halving dell’icona crypto, previsto tra la fine di marzo e l’inizio di maggio. Un evento destinato ad acuire l’attenzione dei media verso BTC e incuriosire chi magari sta pensando di passare all’innovazione finanziaria per provare a sfruttarne le opportunità di guadagno.

Token BRC-20: cosa sono e a cosa servono

La forte crescita degli NFT nell’ecosistema Bitcoin ha reso necessaria la ricerca di nuovi standard in grado di facilitarne l’emissione e lo scambio al suo interno. Da questa esigenza è derivata una prima risposta che sta destando molto interesse, la creazione dei token BRC-20.

Il protocollo dal quale sono nati i nuovi token è stato creato da un utente di Twitter chiamato Domo, il quale ha introdotto il nuovo standard sul mercato il 30 marzo del 2023. Il primo esemplare BRC-20 è stato ORDI e la sua comparsa ha scatenato una discussione molto interessante, tesa a capirne caratteristiche e potenzialità.

Token BRC-20: cosa sono?

Se ORDI è stato il primo token BRC-20 della storia, sulla sua scia ne sono arrivati ben presto molti altri, più o meno conosciuti. Se da un punto di vista tecnologico l’esordio del nuovo standard è da salutare positivamente, tramutandosi in un impulso per il settore, è anche importante cercare di capirne al meglio la portata, soprattutto da parte dei trader interessati a sfruttarne le potenzialità d’investimento.

Proprio da quest’ultimo punto di vista occorre sottolineare che la capitalizzazione dei token BRC-20 si è praticamente triplicata nell’arco di pochi giorni. Segno evidente del grande interesse da essi riscosso, in un momento in cui il mercato delle criptovalute sembra avviato ad una svolta, in positivo. Cui si aggiunge l’aumento del livello di congestione della blockchain di Bitcoin, su cui gli stessi si basano.

La domanda che si pongono in molti, però, è se si tratti di un fuoco di paglia o se, al contrario, questa nuova tipologia di token possa rivelarsi una vera e propria nuova frontiera per il trading di NFT.

Token BRC-20: come funzionano

token BRC-20 sono creati attraverso il protocollo Ordinals, di cui si parla molto dal gennaio del 2023, quando ha portato i token non fungibili sulla blockchain di Bitcoin. Sono proprio loro a legare metadati in formato JSON (acronimo di JavaScript Object Notation) ai Satoshi, l’unità più piccola che forma il BTC. Il processo che lo consente si chiama inscription, iscrizione in italiano.

In pratica, i dati in questione non sono altro che le istruzioni su cui si fondano i token, a partire dai limiti di conio e dal codice che deve regolarne la distribuzione. Una volta che siano stati creati, i token BRC-20 sono aggiunti e salvati alla catena di Bitcoin.

A questo punto, chi ha creato i nuovi token è naturalmente in grado di utilizzarli come si fa con qualsiasi altro genere di criptovaluta. A partire naturalmente dalla compravendita, in vista della quale è necessario conservarli in un wallet Ordinal.

A questo punto, molti avranno ravvisato notevoli similitudini con i token ERC-20 che vengono periodicamente lanciati sulla Ethereum Virtual Machine. Se ci sono notevoli punti di contatto, però, occorre anche sottolineare alcune differenze di non poco conto.

Le differenze con i token ERC-20

La prima sostanziale differenza tra BRC-20 e ERC-20 è quella relativa alla catena su cui girano. Il fatto di basarsi su Bitcoin, in particolare, rende i primi incompatibili con la EVM e, di conseguenza, con gli smart contract su cui si basa la creazione di Vitalik Buterin.

Altra differenza sostanziale è da ravvisare nel livello di affidabilità dei due standard, che è più elevato per gli ERC-20. Questi ultimi, infatti, sono in circolazione ormai dal 2015. Un arco temporale che ha consentito loro un lungo rodaggio il quale ha limato le problematiche esistenti. Nel caso dei BRC-20 tale lavoro ancora non è stato condotto, con ciò che può conseguirne.

I timori in tal senso sussistono in particolare sulla sicurezza. Pur girando su Bitcoin non beneficiano dei suoi sistemi di sicurezza, diversamente da quanto accade per gli ERC-20. Considerata l’importanza di questo aspetto, non stupisce la diffidenza che ancora è loro riservata da molti addetti ai lavori.

C’è però un aspetto che sembra fatto apposta per favorirne l’affermazione, ovvero la semplicità che li caratterizza. Per crearli non sono necessari smart contract. eliminando quindi non solo la complessità dell’operazione, ma anche i costi collegati. Mentre a limitarne la portata potrebbe essere la mancanza di interoperabilità, un aspetto sempre più curato dagli investitori. Non resta quindi che attendere i prossimi anni per capire quali di questi fattori avranno la meglio.

Dollaro USA, la crescita di Bitcoin e CBDC potrebbero infrangerne il dominio imperiale?

Il dominio imperiale del dollaro è destinato ad essere infranto dalla concomitante crescita di Bitcoin e delle Central Bank Digital Currency (CBDC)? A chiederselo è la banca d’affari Morgan Stanley, all’interno di una nota d’investimento redatta il passato 12 gennaio da Andrew Peel, responsabile degli asset digitali dell’istituto bancario.

Se sinora si era pensato che a spezzare il dominio del dollaro statunitense come valuta globale potesse essere lo yuan digitale, la nota di Peel aggiunge un ulteriore elemento destinato a destare preoccupazione dalle parti Washington. Sulla strada delle CBDC, infatti, gli Stati Uniti sono in netto ritardo e rischiano di seguire l’agenda disegnata da altri, mentre BTC rischia di diventare realmente oro digitale, ma fuori da qualsiasi giurisdizione statale.

Un cambio di paradigma potrebbe azzoppare il dollaro USA

Secondo Peel, quello che sta avvenendo è un vero e proprio cambio di paradigma. Sebbene il dollaro statunitense rappresenti ancora oggi circa il 60% delle riserve valutarie globali, la sua forza potrebbe ben presto essere messa in chiara difficoltà.

Secondo l’analista di Morgan Stanley, infatti, a provocare una decisa accelerazione della situazione è stata la recente approvazione degli ETF spot da parte della Securities and Exchange Commission degli Stati Uniti. Dopo la decisione della SEC, infatti, i fondi in questione hanno fatto registrare un afflusso pari a 1,18 miliardi di dollari nell’arco di una sola settimana.

Lo stesso Peel ha poi sottolineato come la significativa adozione globale di Bitcoin nel corso degli ultimi 15 anni vada intesa nel senso dell’avvicinarsi di quello che sino a qualche anno fa rappresentava un semplice sogno per gli evangelisti di BTC. Al momento ammonta a circa 106 milioni il numero di coloro che possiedono l’icona crypto in ogni parte del globo. Un numero che potrebbe lievitare ancora, grazie alla presenza di ATM Bitcoin in oltre 80 Paesi.

CBDC: i pagamenti transfrontalieri potrebbero fare a meno del dollaro

Se il BTC inizia a preoccupare, i timori maggiori sono per ora quelli derivanti dall’affermazione sempre più rilevante delle CBDC. Un successo il quale, sempre stando a Peel, renderebbe possibili i pagamenti transfrontalieri veloci senza alcuna necessità di una valuta comune.

Le monete digitali controllate dalle banche centrali, in particolare, avrebbero il potenziale per riuscire a favorire il conseguimento di uno standard unificato per i pagamenti transfrontalieri. Ove ciò avvenisse, verrebbe ad essere drasticamente ridotta la dipendenza dal sistema SWIFT, già insidiato da quello cinese Cross-Border Interbank Payment System (CIPS), oltre all’utilizzo di valute dominanti come il dollaro.

Per capire meglio cosa sta accadendo, basterà ricordare che secondo i dati rilasciati dall’Atlantic Council CBDC Tracker, sarebbero già i 130 Paesi di ogni parte del mondo, rappresentanti oltre il 98% del PIL globale, che hanno iniziato l’esplorazione o lo sviluppo di proprie CBDC. Un’accelerazione fortissima, rispetto a pochi anni fa, e gravida di conseguenze.

Le stablecoin come killer delle criptovalute?

Il rapporto di Morgan Stanley, però, indica anche un fattore di sostanziale novità, quello rappresentato dalle stablecoin. Secondo Peel, infatti, proprio le criptovalute ancorate ad asset reali potrebbero rivelarsi molto utili per la finanza globale. Tanto da potersi rivelare, almeno per quelle legate alla valuta tradizionale, una sorta di killer per le criptovalute stesse.

Una situazione, quella disegnata da Morgan Stanley, che è comunque in grande movimento. Un movimento il quale avviene peraltro in un quadro reso ancora più incandescente dai fattori di geopolitica, con molti Paesi che sembrano sempre più ansiosi di sganciarsi dal dollaro USA.

Rimane ora da capire cosa intende fare il governo statunitense, a fronte di una situazione molto preoccupante. Negli anni passati, infatti, Washington non ha fatto nulla per provare a dotarsi di una CBDC, nonostante i ripetuti avvertimenti. Tanto da ignorare sostanzialmente il Digital Dollar Project, proposto da settori preoccupati per l’avvicinarsi del debutto dello yuan digitale. Un disinteresse che ora il dollaro USA potrebbe pagare con gli interessi.

Bitcoin, l’ETF spot potrebbe realmente metterlo in crisi?

L’attesa per l’ETF spot su Bitcoin continua a provocare notevoli fibrillazioni sul mercato delle criptovalute. In particolare, nelle ultime ore sta facendo discutere l’uscita di un report pessimistico ad opera di Matrixport. Al suo interno, infatti, si lancia l’ipotesi che la SEC possa rifiutare il proprio consenso non solo sull’ormai celebre prodotto che vede BlackRock tra i suoi proponenti, ma anche su tutti gli altri analoghi.

Il motivo che sarebbe alla base di questo rifiuto è da individuare nel fatto che questi ETF non avrebbero tutti i requisiti in regola. Una tesi su cui naturalmente dibatteranno gli esperti nei prossimi giorni, ma che intanto ha fatto calare oltre il 9% il prezzo dell’icona crypto. Un calo che ha anche innescato liquidazioni per 500 milioni di dollari in vari scambi di derivati, ricordando a molti trader le dure leggi del mercato.

In attesa di un chiarimento su questo fronte, occorre però sottolineare alcuni pareri tutt’altro che entusiastici, sull’approvazione dell’ETF spot su BTC. Andiamo a vedere chi ha cercato di sottrarsi alla narrazione dominante e, soprattutto, a cercare di capire quanto ci sia di vero in queste affermaazioni.

Bitcoin, l’ETF spot potrebbe distruggerlo: parola di Arthur Hayes

L’approvazione degli ETF spot su Bitcoin potrebbe distruggere la regina delle criptovalute: questa è l’affermazione dell’ex CEO di BitMEX, Arthur Hayes, che sta facendo discutere non poco, anche i criptofans. Il quale ha però aggiunto che questa ipotesi estrema avrebbe spazio nel caso di un successo troppo grande dei fondi in questione.

Il suo pensiero è stato espresso il passato 23 dicembre, in un messaggio pubblicato su X (ex Twitter), in cui ha ricordato che il successo di Bitcoin è dovuto al fatto che si muove all’interno della società. Viene cioè scambiato e utilizzato nei pagamenti, contribuendo peraltro a rendere sempre più popolare il concetto di criptovaluta.

Secondo Hayes, al contrario, un ETF su BTC non avrebbe altro esito che “aspirare l’asset” per “conservarlo in un metaforico caveau“. Ove gli emittenti degli ETF concentrassero nelle proprie mani la stragrande maggioranza dei token coniati, gli investitori inizierebbero ad acquistare derivati, tralasciando la detenzione dell’asset vero e proprio. Ne conseguirebbe un crollo del numero di transazioni sul network, con ricadute drammatiche sui minatori. I nodi, infatti, non avrebbero più convenienza a portare avanti il loro operato, coi costi ad esso collegato, e non ci sarebbe più nessuno, o quasi, a convalidare i blocchi.

In pratica, quindi, proprio le transazioni in cui la creazione di Satoshi Nakamoto è impiegata, ne perpetuano il successo. Abbattendone il numero entrerebbe in pericolo la vita stessa di Bitcoin. Una tesi forse estrema, ma che non sembra del tutto campata per aria.

Il parere di Peter Schiff

Bitcoin in pericolo a causa dell’ETF spot? Hayes non è il solo a sostenere questa tesi. Pur partendo da posizioni molto diverse, lo afferma anche Peter Shiff, da sempre considerato un nemico dell’innovazione finanziaria.

Anche lui ha utilizzato X per lanciare previsioni non proprio ottimistiche su quanto sta accadendo per Bitcoin. In particolare, si è spinto ad affermare che gli ETF spot, che bloccherebbero i coin in un vero e proprio caveau virtuale conservandoli per conto dei propri clienti, avrebbero un esito catastrofico sulla quotazione dell’icona crypto.

Su quali basi si fonda Schiff, per lanciare la sua fosca previsione? Secondo lui, proprio la promessa di un ETF spot quotato sui mercati degli Stati Uniti ha per anni sostenuto non solo il prezzo di BTC, ma anche la domanda speculativa. Una volta che la SEC dovesse rilasciare il sospirato lasciapassare, si potrebbe però verificare un vero e proprio corto circuito, nel caso gli investitori istituzionali tanto attesi non dovessero aumentare la propria domanda.

La sua affermazione, comunque, ha destato un gran numero di critiche. L’argomento sul quale molte delle stesse hanno convenuto è del resto abbastanza condivisibile: come l’approvazione di un ETF sull’oro non ha avuto alcun genere di riflesso sulla domanda di oro fisico, al tempo stesso quella di un ETF spot su Bitcoin non frenerebbe di certo la domanda di token.

Bitcoin, conviene realmente preferirlo all’oro fisico, in questo momento?

Il Bitcoin, stando alle previsioni formulate da un gran numero di analisti, si trova ormai in prossimità di un nuovo ciclo ascensionale. A concorrere in tal senso, sempre secondo gli esperti, sarebbero due fattori: la prevista approvazione dell’ETF spot sull’icona crypto, attesa per la prima metà del mese, e il quarto halving, ovvero il dimezzamento delle ricompense spettanti ai minatori, che dovrebbe invece avere luogo tra la fine di marzo e l’inizio di maggio.

Proprio in considerazione di quanto sta accadendo, molti investitori si pongono domande sulla convenienza o meno di puntare con forza su BTC. Tra le tante ce n’è una estremamente interessante, che sembra segnare il definitivo cambio di narrazione sulla creazione di Satoshi Nakamoto: conviene realmente preferirlo all’oro fisico?

Bitcoin è il nuovo oro, ma digitale

Dopo anni in cui ha suscitato grande diffidenza, ormai da tempo Bitcoin sembra godere di ben altra considerazione. Sono sempre di più gli investitori che decidono di inserirlo nel proprio portafogli, magari anche soltanto per diversificarlo. Il punto è che, indipendentemente dalla quantità su cui sono disposti ad investire, lo considerano a tutti gli effetti oro digitale.

Lo è perché come l’oro fisico si tratta di un bene finito. Una volta che saranno stati estratti i 21 milioni di token che rappresentano l’offerta massima, non ci saranno aggiunte. L’estrazione dei nuovi gettoni virtuali, inoltre, diventerà sempre più difficile, spingendo all’abbandono molti dei minatori che continuano a dedicarsi a questa lucrosa attività. A spingerli in tal senso la necessità di risorse computazionali sempre più costose, con una spesa sempre crescente e scarsamente abbordabile.

Occorre anche sottolineare che quando si afferma che ci i Bitcoin saranno al massimo 21 milioni si dimentica che una parte di essi è praticamente scomparsa. Già nel 2021, infatti, quando ne erano stati minati il 90%, un buon 20% non era più sul mercato. In pratica, i legittimi possessori avevano smarrito le chiavi private per poter accedere ai wallet. Chiavi che non possono più essere recuperate, per un motivo o per l’altro.

Oro, sì, ma non fisico

Quindi, Bitcoin rappresenta oro digitale e da qui è nata la corsa a cercare di accaparrarselo. Una corsa cui si sono iscritti ora anche gli investitori istituzionali, che sembrano in effetti pregustare l’affare. Un nuovo atteggiamento il quale ha praticamente tolto di mezzo le invettive che buona parte del mondo finanziario ha per lungo tempo riservato alla regina delle criptovalute.

Basta in effetti ricordare le accuse mosse da Davide Serra, il fondatore di Algebris, secondo il quale Bitcoin non sarebbe altro che una lavanderia di soldi sporchi. Accuse rispedite al mittente con la pratica accusa di ignoranza da parte della Bitcoin Foundation. In effetti se c’è un bene che non dovrebbe essere usato per il riciclaggio di soldi sporchi è proprio BTC, il cui libro mastro è pubblico. Una volta inserita al suo interno, una transazione non può più essere modificata, riportando gli estremi della stessa.

Un caso a parte è poi quello di Jamie Dimon, il numero uno di JPMorgan Chase. Prima violento detrattore delle criptovalute, non ha avuto eccessive difficoltà a convertirsi alla nuova narrazione, con i trader della sua banca che sono ben felici di provare a trarre profitto dai movimenti del token sui mercati.

Del resto, se BlackRock, la più grande società d’investimento a livello mondiale, ha deciso di puntare con forza su un ETF spot, che ne presuppone il possesso, vuol dire che ormai BTC è non solo entrato in una nuova fase della sua vita, ma si appresta all’adozione globale.

Meglio fisico o digitale?

I pareri contrastanti sull’icona crypto sono all’improvviso diventati minoritari. Se secondo Nassim Taleb, autore del “Cigno nero”, il suo valore intrinseco è pari a zero, Steve Wozniack, co-fondatore di Apple, lo definisce invece alla stregua di un vero e proprio miracolo matematico.

In effetti, il punto di vista di Taleb non è del tutto campato in aria. Con l’oro fisico ci si può non solo fare trading, ma anche utilizzarlo per scopi industriali. Con quello digitale il secondo ambito è totalmente impossibile, non esistendo nella realtà.

Proprio per questo Warren Buffett, l’oracolo di Omaha, uno dei più noti uomini d’affari al mondo, ha sempre rifiutato di adottarlo. Un atteggiamento il quale dovrebbe perlomeno spingere gli interessati a porsi qualche domanda e, magari, prima di investire massicciamente su quello che al momento si profila come il grande affare dell’anno appena iniziato.

Bitcoin: meglio l’acquisto diretto o un ETF?

Per il Bitcoin ci si attende un anno di grande crescita. L’icona crypto è infatti ormai da mesi al centro delle discussioni, legate in particolare a due eventi: la prevista approvazione di un ETF spot da parte della Securities and Exchange Commission (SEC) degli Stati Uniti, che dovrebbe avere luogo nella prima metà del mese in corso, e il quarto halving, atteso invece tra marzo e maggio.

Il concatenarsi di questi due eventi, secondo tutti gli analisti, dovrebbe tradursi in una poderosa spinta per la regina delle criptovalute. Una crescita la quale sta naturalmente destando grandi appetiti tra gli investitori, sia istituzionali che al dettaglio. La domanda che i secondi si pongono, però, è la seguente: meglio l’acquisto diretto di Bitcoin, oppure l’adesione ad un Exchange Traded Fund (ETF), tra quelli già esistenti o che potrebbero arrivare nell’immediato futuro?

Bitcoin: come acquistare direttamente il token

L’acquisto diretto di Bitcoin può avvenire facendo leva su un exchange, centralizzato o meno, ma per poterlo condurre a termine occorre procedere ad un passo preliminare, ovvero dotarsi di un wallet. Si tratta di un portafogli elettronico destinato a conservare il controllo dei propri token, il quale può essere hardware oppure sotto forma di software. Naturalmente, prima di dotarsi di uno di essi sarebbe il caso di informarsi al meglio su vantaggi e svantaggi che questi wallet possono assicurare in tema di conservazione delle chiavi private collegate al proprio tesoro virtuale.

Una volta espletato questo primo passo, è arrivato il momento di decidere quale strada praticare per l’acquisto della quantità di token desiderata. Per farlo è possibile scegliere tra due opzioni:

  • exchange centralizzato (CEX);
  • scambio peer-to-peer (DEX).

Si tratta in effetti di due modalità molto differenti di compravendita crypto. I CEX, infatti, obbligano gli utenti a lasciare le proprie chiavi private alla piattaforma, con tutti i rischi che possono conseguirne. Basta in effetti riandare col pensiero ai crac di Mt. Gox e FTX per capire come il rischio sia dietro l’angolo.

I DEX, invece, lasciano totale libertà ai propri utenti, i quali devono solo collegare il proprio wallet alla piattaforma, senza fornire chiavi private. In questo caso, però, al vantaggio collegato all’Automated Market Maker (AMM) si va ad aggiungere la necessità di essere in possesso di competenze adeguate, per non incappare in errori sanguinosi.

Per chi vuole tagliare corto con ogni genere di complicazione tecnologiche, però, c’è un’ulteriore possibilità, quella rappresentata dagli ETF su Bitcoin. Di cui, appunto, si sta parlando moltissimo nel corso degli ultimi mesi.

EFT su Bitcoin: di cosa si tratta?

ETF, come abbiamo già ricordato in avvio, è l’acronimo di Exchange Traded Fund. Si tratta di fondi d’investimento a gestione passiva, i quali vengono negoziati sulle piazze finanziarie di ogni parte del mondo. Si tratta di classici derivati, ovvero strumenti che vanno a replicare il prezzo di un asset sottostante, che nel nostro caso, per l’appunto, è Bitcoin.

Rispetto all’acquisto diretto, sono in grado di offrire un notevole vantaggio, non obbligando i possessori alla loro conservazione. Chi acquista quote di questi ETF opera in pratica una scommessa sul calo o sulla crescita della quotazione dell’icona inventata da Satoshi Nakamoto. Non ci sono preoccupazioni relative alle scorrerie dei pirati informatici, timori di smarrire le chiavi private e altri problemi di carattere tecnologico.

Al momento ne esiste più di uno, ma quello di cui si sta tanto parlando in questi giorni è l’ETF spot che vede tra i suoi proponenti BlackRock, ovvero il più grande fondo di gestione patrimoniale del mondo. In questo caso, però, si tratta di una modalità di trading ulteriormente diversa. Questo fondo, infatti, non si limiterebbe a replicare un asset sottostante, ma lo andrebbe a possedere direttamente. Chi dovesse aderire, in caso si sua approvazione da parte della SEC, possiederebbe perciò BTC, in quantità proporzionale al denaro versato nel fondo. il vantaggio sarebbe da ravvisare nella condivisione dei vantaggi, senza dover però detenere fisicamente il bene.

Possesso diretto o ETF? L’importante è partire dalle proprie esigenze

Per capire se sia meglio aderire all’una o all’altra ipotesi, la cosa migliore da fare è analizzare attentamente il proprio profilo d’investitore e le proprie esigenze. Per chi possiede competenze tecnologiche e finanziarie di livello, l’acquisto diretto, meglio ancora se tramite DEX, può rappresentare una notevole opportunità.

Se, al contrario, non si intende combattere con questo genere di complicazioni e si intende soltanto provare ad intercettare la possibile forte crescita di cui è accreditato Bitcoin nel corso dei prossimi mesi, l’ETF potrebbe essere lo sbocco più logico.

Bitcoin: è possibile falsificarlo?

È possibile falsificare un Bitcoin? Trattandosi di denaro digitale, da molti paragonato all’oro fisico, la domanda è del tutto logica. Anche in considerazione del valore ad esso collegato. Se è possibile falsificare il denaro fiat e l’oro fisico, perché non si potrebbe fare la stessa cosa con l’icona crypto inventata da Satoshi Nakamoto?

In fondo, nel mondo digitale la falsificazione può essere considerata all’ordine del giorno. Basti pensare alle copie pirata di film e altre opere dell’ingegno, per capirlo. Per il Bitcoin, però, un discorso di questo genere diventa estremamente complicato. Andiamo a vedere perché.

Bitcoin: falsificarlo è una semplice ipotesi scolastica

Il motivo che spinge ad escludere in linea di principio la duplicazione di un Bitcoin regolare, discende proprio dalla tecnologia che ne è alla base, la blockchain. Si tratta di una sorta di registro virtuale, un libro mastro in cui sono contenute tutte le informazioni relative alle transazioni che prevedono l’impiego di token.

Le caratteristiche che l’hanno resa famosa sono il fatto che il registro in questione è pubblico, globale, permanente e distribuito. Oltre alla sua unicità. In pratica, chiunque può consultarlo, in ogni parte del mondo, con le informazioni che sono raggruppate in blocchi, i quali sono convalidati l’uno di seguito all’altro.

Risalendo a posteriori nella catena si può arrivare al primo blocco in assoluto, noto come Genesis Block. Le informazioni contenute in ognuno dei blocchi sono a loro volta crittografate e, soprattutto, immutabili. Una volta introdotte nella rete non possono essere modificate.

A gestirle sono i nodi, che provvedono alla loro convalida, venendo remunerati per il lavoro svolto. I minatori, questo il termine con cui sono indicati, devono provvedere, tra le altre cose, anche alla verifica delle transazioni convalidate dai loro colleghi. La fiducia, quindi, è distribuita tra tutti i nodi, senza la presenza di un’entità centrale.

L’importanza del decentramento

Come abbiamo ricordato, il registro di Bitcoin è unico. Ciò, però, non vuol dire che ne sia uno solo, distrutto il quale la rete non potrebbe più operare. La differenza con un database normale sta nel fatto che il libro mastro di BTC è distribuito tra migliaia di operatori disseminati in ogni parte del globo. Per poterlo attaccare, sarebbe necessario condurre il raid contro tutti i computer che lo contengono, impresa che è considerata impossibile.

Per falsificare un Bitcoin, che è l’ipotesi che stiamo considerando, occorrerebbe prendere il controllo della rete, ove avviene il conio di ogni nuovo token, alla stregua di una zecca statale. Un’operazione di questo genere ha un nome ben preciso, attacco 51%. Si tratta in pratica dell’attacco che può essere condotto da chiunque riesca ad un certo punto a controllare la metà più uno del calcolo computazionale di una determinata blockchain.

Nel passato si sono verificati più episodi di questo genere. Raid sfociati nella cosiddetta double spending, in italiano “doppia spesa”. In pratica grazie a questo attacco è possibile utilizzare lo stesso token per due transazioni differenti, prima che la rete venga disattivata per il necessario ripristino.

A renderlo impossibile, ormai, sono proprio le proporzioni assunte in termini finanziari dall’icona crypto. Per condurre un attacco teso ad impadronirsi della sua blockchain, occorrerebbe noleggiare una determina quantità di hash power. Quello che servirebbe, però, secondo alcuni calcoli fatti di recente, costerebbe nell’ordine dei miliardi di dollari.

Occorre anche sottolineare che nel 2014 una sola mining pool, Ghash.io, si trovò a controllare il 50% della potenza computazionale necessaria per portare a compimento l’impresa. I suoi responsabili si guardarono bene dal farlo, però. Il motivo è in fondo molto semplice: avrebbero provocato la delegittimazione di BTC e il suo prevedibile crollo, segando le basi dell’albero su cui prosperavano.

Proprio la presenza dei minatori, quindi, rappresenta una garanzia in termini di sicurezza della blockchain di Bitcoin rendendo praticamente una semplice ipotesi di scuola la sua falsificazione.

Mining pool, cos’è e come funziona

Il mining di Bitcoin è un’attività molto remunerativa. Non è però accessibile a tutti, anzi, soltanto chi possiede grandi risorse da destinare all’acquisto dei potenti macchinari ad esso dedicati, in particolare gli ASIC di Bitmain, può goderne i frutti.

Ne consegue che dedicarsi all’attività di estrazione dei blocchi da soli può rivelarsi un’impresa improba. Si tratta infatti di un processo del tutto casuale, il quale può implicare tempi molto lunghi per poter estrarre un solo blocco. Il tutto mentre anche la bolletta dell’energia elettrica continua a crescere, con tutto quello che ne consegue in questo preciso momento storico.

Per ovviare in tal senso, chi vuole può però partecipare ad una mining pool. Il termine tradotto in italiano vuol dire piscina mineraria e va a indicare dei gruppi decentralizzati organizzati e gestiti da terze parti nell’intento di coordinare il potere computazionale dei partecipanti. Andiamo quindi a vedere meglio di cosa si tratti per capirne vantaggi e svantaggi.

Mining pool: di cosa si tratta?

Come abbiamo già affermato, è possibile dare vita a gruppi decentralizzati formati da persone di ogni parte del globo, le quali apportano il proprio potere computazione a queste organizzazioni. In cambio, i partecipanti potranno condividere i frutti finanziari dell’iniziativa in maniera proporzionale alla capacità apportata.

In tal modo, i minatori, indicati come hash, possono ritagliarsi una fonte di reddito meno significativa, ma più costante rispetto a quella di cui potrebbero godere se estraessero blocchi da soli. Si tratta quindi di una modalità di mining da considerare con molta attenzione sulla base delle proprie particolari esigenze, prima di aderirvi.

In particolare, la domanda chiave, in tal senso, è la seguente: conviene di più condurre il mining in solitaria, oppure affidarsi ad una associazione di questo genere? Una domanda che si sono posti in molti, a partire dal 2010, con il varo di un gran numero di mining pool, molto partecipate.

Come funzionano le mining pool?

Come abbiamo già ricordato, le prime mining pool hanno iniziato la loro avventura nel 2010. Un’avventura sempre più fortunata, se si pensa che nel 2015 gran parte dei minatori ne faceva parte. Con un corollario indesiderato, una sempre più pronunciata centralizzazione di Bitcoin, testimoniata dal fatto che nel 2014 la più grande di queste organizzazioni, Ghash.io, poteva contare sul 50% della capacità complessiva di mining.

Al momento, esistono varianti di mining pool, il cui numero continua ad arricchirsi grazie all’introduzione di nuovi metodi operativi. Solitamente, comunque, come tale si indica una piattaforma dotata di software specializzato al cui interno i miner combinano la potenza di calcolo delle proprie apparecchiature. In tal modo è possibile conseguire un’estrazione più efficiente di una criptovaluta, con maggiori possibilità di riuscire nell’intento.

Chi partecipa contribuisce con lo “share”, termine che indica i blocchi falliti, i tentativi messi in atto dal miner di trovarne uno valido. Ognuno di essi presuppone una ricompensa. A controllare la validità dei blocchi forniti dai miner associati è un operatore della mining pool.

Trovato il blocco valido, lo si invia alla blockchain per la necessaria verifica. Ottenuta la convalida, viene effettuato il conteggio dello share di ogni associato, con conseguente distribuzione della parte di ricompensa spettante in base al potere computazionale apportato.

Come scegliere una mining pool?

Se si intende partecipare ad una mining pool, occorre cercare di individuare quella giusta, proprio per il fatto che le stesse non sono tutte uguali. In particolare, occorre tenere presenti i seguenti fattori:

  • la reputazione. che può essere verificata tramite una rapida panoramica online;
  • le apparecchiature, che devono essere compatibili con quelle di cui si dispone. Se ancora non sono state acquistate si può fare un confronto tra i prezzi in modo da scegliere quella che comporta una minore esposizione finanziaria;
  • l’hashrate, in pratica la velocità di calcolo dell’hardware utilizzato. Le organizzazioni più longeve ne vantano solitamente di più, aumentando quindi i possibili profitti, ma tendono ad imporre requisiti molto elevati per consentire l’entrata di nuovi associati.

Questi sono i principali parametri da tenere presenti nella fase di scelta della propria mining pool. Oltre a una constatazione tale da far comprendere la convenienza di questi gruppi: in condizioni ideali sono in grado di estrarre un blocco ogni dieci minuti circa. Se ci si vuole cimentare con un’impresa simile in solitaria, possono essere necessari sino a cinque anni.

ETF Bitcoin: cos’è, come funziona e perché se ne parla tanto

ETF Bitcoin: perché se ne parla tanto? Il motivo è da ravvisare nel fatto che se venisse approvato quello spot che vede la presenza di BlackRock, la più grande azienda di gestione patrimoniale al mondo, tra i proponenti, ci potrebbero essere conseguenze a cascata, di grande rilievo.

Conseguenze che sarebbero molto forti, però, anche nel caso in cui la Securities and Exchange Commission degli Stati Uniti optasse per l’ipotesi inversa. Ipotesi ricordata nel corso delle ultime ore da un importante analista, Nate Geraci, che resta comunque al momento la meno probabile.

ETF Bitcoin: di cosa si tratta?

ETF è l’acronimo di Exchange-Traded Fund, ovvero un fondo d’investimento negoziato in Borsa il quale si comporta in modo non dissimile da un’azione. È espressamente progettato al fine di seguire la performance di un particolare bene o di un gruppo di asset, come azioni, materie prime, obbligazioni o valute. Chi investe in ETF, però, gode di un vantaggio di non poco conto: non deve possedere direttamente l’asset cui è esposto.

Un ETF su Bitcoin si fonda sullo stesso principio, concentrandosi esclusivamente su BTC come asset sottostante. Il fatto che chi investe non deve detenere direttamente il token toglie di mezzo una delle maggiori preoccupazioni collegate all’icona inventata da Satoshi Nakamoto. Per detenere le criptovalute e impostarci i propri investimenti, infatti, occorre dotarsi di un wallet, un portafogli elettronico, con tutto ciò che ne consegue a livello tecnologico. Una serie di obblighi i quali spingono molti investitori a tenersi lontani dal mercato crypto, sommandosi alla sua tradizionale volatilità.

Nel caso degli ETF, questo problema non esiste. I Bitcoin su cui si investe sono detenuti dalla società di intermediazione finanziaria cui si aderisce. Società che deve chiedere il permesso alla SEC e soddisfarne i requisiti, molto alti.

Perché si parla tanto di questo ETF?

Alcuni ETF su Bitcoin sono già operanti. Uno di essi, Pro Shares Short Bitcoin, è peraltro l’unico approvato dalla SEC. Questi ETF, però, si limitano a replicare il prezzo dei contratti futures che sono quotati al CME di Chicago. Nel caso di questo ETF, invece si tratta di un prodotto spot. Quelli che sono indicati in questo modo detengono effettivamente BTC.

Proprio questa è la vistosa differenza che spiega il grande interesse dell’opinione pubblica nel corso degli ultimi mesi. La società proponente, infatti, si impegna ad acquistare token, sostenendone in tal modo la quotazione. Considerato che quando si muovono, le grandi aziende come BlackRock lo fanno con tutto il peso di cui sono accreditate, in caso di approvazione della proposta da parte della SEC ci saranno movimenti molto cospicui. Tali da andarsi a riflettere, in definitiva, sul prezzo di Bitcoin.

La crescita dello stesso cui potrebbe dare luogo, peraltro, si andrebbe probabilmente a tradurre in una nuova campagna promozionale a costo zero per l’icona crypto. Un gustoso antipasto a quel quarto halving che è previsto per la prossima primavera e che, secondo alcuni, potrebbe spingerne la quotazione oltre quota 100mila dollari.

Cosa potrebbe accadere in caso di mancata approvazione?

Se in queste ore molti propendono per l’approvazione da parte della SEC, c’è però anche la possibilità che l’autorità di regolamentazione dei mercati possa negare il suo assenso. Ove ciò accadesse quali sarebbero le ricadute sulla quotazione di Bitcoin?

Se in un primo momento la sua quotazione potrebbe risentirne, resterebbe però sullo sfondo proprio l’halving, che è considerato una leva potentissima in tal senso. Basta in effetti vedere l’attenzione con cui i criptofans seguono le cronache ad esso relative per caprine l’importanza. Un’attenzione che è destinata a crescere man mano che ci approssima all’evento.

Inoltre, anche in caso di mancata approvazione o di ritardo della stessa, ipotesi evocata da alcuni analisti nel corso degli ultimi giorni, resta evidente l’interesse della finanza tradizionale nei confronti di BTC. Un interesse il quale potrebbe dare i suoi frutti nel futuro, a prescindere da ciò che accadrà all’inizio di gennaio.

Selfish mining: cos’è, come funziona e a cosa serve

Il selfish mining rappresenta uno sviluppo interessante per quanto riguarda il sistema degli incentivi previsti nell’ambito delle blockchain e, in particolare, in quella di Bitcoin. Com’è noto, infatti, i premi e le ricompense spettanti ai minatori sono considerati un contributo doveroso alle necessità non solo di sicurezza, ma anche di decentralizzazione del network.

Il concetto in questione, è stato esaminato con molta attenzione da due ricercatori, Ittay Eyal e Emin Gun Sirer nel 2013, all’interno del loro studio “Majority is not Enough: Bitcoin Mining is vulnerable”. Un’analisi la quale si conclude con una tesi abbastanza sorprendente: gli incentivi non rappresentano un impulso alla decentralizzazione, ma al suo contrario. Almeno per il modo in cui sono stati concepiti.

Selfish mining: di cosa si tratta?

Per selfish mining si intende quella strategia utilizzata dai minatori nel preciso intento di ritagliarsi la possibilità di ricavare una quantità maggiore di ricompense rispetto a quelle ottenibili in normali condizioni di estrazione dei blocchi.

In pratica, chi ne estrae uno, invece di aggiungerlo alla catena, come si fa di solito, lo mantiene in stand-by e utilizza le informazioni private contenute al suo interno in modo da ricavarne un vantaggio rispetto ai propri colleghi.

Si tratta in effetti di un’operazione tale da sollevare molti dubbi sulla sua eticità, in quanto portandola avanti l’interessato aumenta le proprie possibilità di trovare il blocco successivo, diminuendo quelle degli altri.

Proprio le modalità con cui viene condotto, fa del selfish mining un oggetto di grandi dibattiti e divisioni nella comunità dei cryptofan. Se alcuni ne sostengono l’assoluta regolarità, altri affermano che tale modo di portare avanti la competizione sul mercato rappresenta una notevole minaccia in termini di sicurezza e integrità della blockchain.

Come funziona, il selfish mining?

Come abbiamo già ricordato, il selfish mining prevede che un blocco appena estratto non sia rilasciato, ma trattenuto dal minatore interessato. Il motivo di questo comportamento anomalo è abbastanza evidente: procurarsi un vantaggio competitivo nei confronti della concorrenza.

In che modo si garantirebbe questo vantaggio? In pratica, non rilasciando il blocco appena estratto, si può lavorare su quello successivo senza concorrenza o quasi. A renderlo possibile è il principio che privilegia la catena più lunga: quando un nodo individua quella con maggior lavoro pregresso inizia a dedicare potenza di mining ad essa.

In linea teorica, questo procedimento fa molta paura tra i sostenitori dell’innovazione finanziaria. La creazione di una catena più lunga rispetto al resto della rete, infatti, potrebbe permettere ai minatori interessati una riorganizzazione della blockchain con conseguente inversione delle transazioni. Un processo tale da poter infine aprire le porte ad un attacco 51% e conseguente double-spending (doppia spesa di uno stesso token). Un evento simile equivale ad una vera catastrofe in termini di credibilità, per la rete che lo subisce.

Rappresenta realmente una minaccia?

Il selfish mining è molto dibattuto, per ovvi motivi. Non solo fornisce una sorta di rendita di posizione ai minatori che lo praticano, ma apre le porte a devastanti attacchi 51%. Ovvero gli eventi più temuti in assoluto in ambito crypto, in quanto possono danneggiare l’intero ecosistema in termini di reputazione.

Nel passato ci sono stati episodi di questo genere, a partire da quello del 2014, quando un evento di selfish mining permise al pool minerario GHash.IO di conseguire il 51% in termini di hashrate. Un evento il quale, però, non sfociò in una doppia spesa.

Proprio quanto avvenuto all’epoca è alla base delle argomentazioni di chi non ritiene pericoloso questo modo di operare. In pratica, sarebbero proprio le convinzioni ideologiche a impedire una deriva di questo genere.

Un argomento cui si aggiunge una mera considerazione di carattere economico: perché chi fa selfish mining dovrebbe danneggiare il proprio ambiente di lavoro, impedendosi di recuperare gli investimenti fatti in termini di dispositivi per il calcolo computazionale? Un quesito in effetti abbastanza logico.

Bitcoin: come potrebbe andare nel 2024

Riuscirà Bitcoin a superare il suo picco storico, fissato a 62,736.55 dollari il 10 novembre del 2021? La domanda, che in molti si stanno ponendo da settimane, secondo alcuni analisti non è giusta e dovrebbe essere sostituita da un altro quesito, quello relativo alla quota che potrebbe toccare il massimo storico di BTC nel nuovo anno.

Nel corso del 2024, infatti, l’icona crypto attribuita a Satoshi Nakamoto si gioverà di due fattori di straordinaria importanza: il quarto halving, ovvero il dimezzamento delle ricompense spettanti ai minatori della sua blockchain, e il primo ETF ad esso dedicato. Se, però, il primo è sicuro, il secondo è per ora solo un’ipotesi.

Bitcoin: il quarto halving è ormai alle porte

Per halving si intende il dimezzamento delle ricompense spettanti a coloro che conducono il mining sulla blockchain di BTC. Se sino ad ora per ogni blocco estratto il premio è di 6,25 token, una volta scoccato l’halving ne saranno corrisposti esattamente la metà.

Perché questo evento è considerato fondamentale, nell’economia di Bitcoin? Per il semplice fatto che in corrispondenza di ogni halving una parte dei minatori è stata praticamente tagliata fuori dal processo, rallentando il conio dei nuovi token. Un processo deflattivo che si traduce inesorabilmente in un rafforzamento della sua quotazione.

Anche stavolta gli esperti sono concordi sugli effetti che produrrà il quarto halving della serie: la regina delle criptovalute è destinata a crescere nel periodo a cavallo dell’evento. Sia nelle settimane che lo precederanno, che in quelle successive.

La grande attesa per per l’ETF su BTC

Dell’ETF su Bitcoin si parla ormai da tempo. Tanto che, secondo alcuni analisti, proprio la discussione su di esso ha fornito il propellente per la crescita del token negli ultimi mesi. Come abbiamo già ricordato, però, si tratta al momento soltanto di un’ipotesi.

Se molti ritengono ormai alle porte l’approvazione del suo lancio da parte della Securities and Exchange Commission (SEC), altri sono molto meno propensi a lasciarsi contagiare dall’entusiasmo. Tanto da propendere per un rinvio della decisione in merito o, addirittura, per una bocciatura dell’iniziativa.

I mercati, però, sembrano scommettere per l’approvazione e proprio questo fattore sta sostenendo in maniera rilevante la quotazione di Bitcoin. Resta invece da capire come potrebbero reagire di fronte ad un esito negativo dell’iniziativa.

La situazione dell’economia, un altro fattore da tenere in conto

Oltre a halving e ETF, però, c’è anche un altro fattore da tenere presente, se si intende cercare di capire l’evoluzione del prezzo della creazione di Satoshi Nakamoto. Il riferimento è alla particolare situazione economica che si sta verificando.

La fiammata dei prezzi che ha caratterizzato il 2023, ha prodotto una notevole gelata sull’economia. Favorita anche dalla nuova situazione derivante dallo scoppio delle ostilità tra Russia e Ucraina, con la pratica rottura delle relazioni commerciali tra il gigante eurasiatico e il blocco occidentale.

Quando si verifica un rallentamento dell’economia globale, molti investitori si dirigono sui cosiddetti beni rifugio. Ovvero quelli che sono in grado di resistere meglio ad improvvisi shock, fornendo una scappatoia rispetto ad asset più volatili.

Una categoria in cui, secondo non pochi analisti, andrebbe compreso anche Bitcoin. A renderlo tale proprio il suo modello monetario, che è chiaramente deflazionistico. Tale quindi da spingere molti ad acquistarlo per diversificare il proprio portafogli d’investimento.

Bitcoin crescerà, ma di quanto?

Le previsioni sono abbastanza concordi, quindi. Bitcoin crescerà nel corso del 2024, ma bisogna capire di quanto e, soprattutto, quando. Se nei mesi centrali del nuovo anno l’halving sembra destinato a gonfiarne le vele, un possibile intoppo potrebbe essere innescato da un rinvio della decisione SEC sull’ETF.

Anche se ciò dovesse accadere, però, non verrebbero certo a mancare le opportunità di guadagno, soprattutto per i trader più accorti. Un calo del prezzo potrebbe invogliare quelli più abituati a correre rischi aggiuntivi ed acquistare, cercando di individuare il punto migliore per prendere posizione.

Non resta quindi che attendere per verificare l’attendibilità delle previsioni sul comportamento dell’icona crypto nel 2024. Se tutto si incastrasse al meglio, però, la quotazione di BTC potrebbe realmente salire alle stelle.