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Tag: Bitcoin

Ora è possibile lo staking di Bitcoin, con Core Chain

Core Chain, blockchain di livello uno basata su Bitcoin, ha finalmente reso possibile lo staking, una soluzione che sino ad ora i detentori di BTC non avevano potuto sfruttare. Si tratta dell’ennesima novità nell’ecosistema della criptovaluta regina, che si avvia verso il suo quarto halving mostrando un rinnovato dinamismo. Tale da farne un possibile sfidante di Ethereum e Solana nel particolare ambito della finanza decentralizzata (DeFi).

Core Chain: lo staking di Bitcoin è ora una realtà

Com’è noto, lo staking è il processo che prevede il deposito di token su una blockchain, al fine di rafforzarne i livelli di sicurezza. Un deposito il quale viene premiato con un rendimento elevato, tale da rappresentare una rendita passiva di rilievo per chi lo conduce.

Prima di Core Chain, però, a renderlo possibile erano solo i protocolli che fanno leva sul meccanismo di consenso Proof-of-Stake (PoS). A sanare questa lacuna è ora il meccanismo di consenso Satoshi Plus, il quale va a mixare la Delegation Proof of Work (DPoW) e la Delegation Proof of Stake (DPoS). Proprio grazie alla catena di Core Chain, compatibile con la Ethereum Virtual Machine (EVM) è possibile bypassare la necessità di avvolgere i token da mettere in staking e il timore di perdere la custodia degli asset.

In pratica, dunque, quello di Core Chain è il primo staking non custodial di BTC in assoluto. Una novità che sembra cambiare le carte in tavola nella DeFi e la quale potrebbe attirare non pochi detentori di BTC intenzionati a conservare il proprio tesoro in vista di una nuova corsa verso l’alto dell’icona crypto.

Proprio nella giornata di ieri, infatti, è uscito un rapporto di Bybit che afferma questa tendenza. In pratica molti detentori del token non hanno alcuna intenzione di vendere. Una massa di investitori la quale potrebbe appunto sfruttare l’opportunità prospettata da Core Chain, garantendo il successo all’iniziativa.

Le altre iniziative di Core Chain

All’annuncio relativo allo staking, la controllata di DeFi Technologies Inc., Valor, ha aggiunto quello relativo al lancio di un Exchange Traded Product (ETP) con rendimento in BTC e di un nuovo Core ETP, in collaborazione con la Core Foundation.

Stando al comunicato emesso per l’occasione, l’ETP su BTC offrirà un rendimento che attingerà direttamente dai premi di blocco di Core Chain. Il Core ETP mira invece ad ampliare l’accesso degli investitori alle opportunità di staking di Core attraverso un’esposizione indiretta.

A commentare queste iniziative è stato Olivier Roussy Newton, CEO di DeFi Technologies, il quale ha affermato in un comunicato: “Siamo in un momento cruciale nell’evoluzione delle risorse digitali, in cui i confini tra finanza tradizionale e finanza decentralizzata non si stanno solo sfumando ma fondendo. Offrendo opportunità a Bitcoin attraverso questi ETP, non solo stiamo migliorando la sua utilità, ma offriamo anche agli investitori nuovi modi per interagire con la principale criptovaluta mondiale.”

La stessa Valor provvederà anche alla gestione di un nodo di validazione sulla Core Blockchain. Inoltre ha affermato che il suo programma prevede un investimento pari a 100 milioni di dollari in BTC attraverso il nuovo prodotto di staking BTC non custodito.

Un periodo felice, per Core

Gli annunci in questione confermano il momento molto positivo, per Core. Nel mese di marzo, infatti, la Core Foundation ha lanciato il Core Venture Network, il quale ha stanziato 15 milioni di dollari per una serie di progetti in Africa, America Latina e Sud-Est asiatico.

Questo mese ha quindi annunciato il lancio di un nuovo mercato NFT da eseguire in modo nativo sulla sua blockchain e ha lanciato CoreBTC, un modo per collegare BTC alla Core Chain. Iniziative sfociate in un aumento del prezzo di CORE nell’ordine del 218%, nell’arco di una sola settimana.

Runes: cos’è, come funziona e prospettive

Si parla molto di Runes, un progetto che dovrebbe essere lanciato ufficialmente dopo l’halving di Bitcoin. Lo ha fatto, ad esempio, un recente rapporto elaborato dagli analisti di Franklin Templeton, secondo i quali avrà un ruolo decisivo nel fare di BTC un temibile concorrente di Ethereum e Solana nella DeFi. Andiamo quindi a osservare da vicino il nuovo protocollo per cercare di individuarne le effettive potenzialità.

Runes: cos’è e cosa si propone

Runes è un nuovo standard di token introdotto per Bitcoin e progettato da Casey Rodarmor. La sua peculiarità è rappresentata dal fatto di riuscire a rendere più semplice la creazione e la gestione di token fungibili su Bitcoin, tramite l’utilizzazione del modello UTXO nativo. In tal modo riesce ad assicurare non solo una gestione più efficiente dei token, ma anche a minimizzare la congestione della blockchain.

Progettato nel preciso intento di permettere l’emissione diretta di coin sulla catena di BTC, ne va in pratica a migliorare le capacità, in quanto non richiede la presenza di token esterni o di dati off-chain.

Il suo lancio è previsto dopo il quarto halving di Bitcoin, ormai alle porte, e grazie ad esso dovrebbe diventare possibile l’introduzione di un più efficace modello gestionale per gli asset che circolano su Bitcoin. Questo grazie alla sostituzione dei token BRC-20, considerati meno efficienti in tal senso.

L’approccio alla tokenizzazione sulla piattaforma più importante potrebbe essere reso più semplice e pulito, grazie all’utilizzazione delle caratteristiche transazionali che sono tipiche di Bitcoin e all’integrazione con la funzione OP_RETURN per l’inserimento dei dati senza soluzione di continuità.

Perché Runes è migliore rispetto ai token BRC-20?

Il protocollo Runes e lo standard BRC-20, sono entrambi stati concepiti per poter emettere token sulla blockchain di Bitcoin. Le similitudini, però, finiscono praticamente qui, in quanto i due sistemi presentano quadri operativi del tutto distinti. Ecco le principali differenze tra di loro:

  • efficienza della rete, che nel caso di Runes viene perseguita tramite una riduzione al minimo della creazione di UTXO indesiderati. Ne scaturisce una congestione di rete molto minore rispetto a quella che caratterizza lo standard BRC-20. In questo secondo caso, infatti, vengono generati un gran numero di UTXO destinati a provocare un intasamento del sistema;
  • integrazione con Bitcoin, che Runes persegue sfruttando il sistema UTXO nativo di BTC e utilizzando la funzione OP_RETURN per renderla più profonda. Le transazioni sono in tale modo semplificate e allineate nel modo migliore alle principali funzionalità di BTC. Nel caso di BRC-20 siamo invece di fronte ad una sorta di strato che si va ad aggiungere alla catena principale, rendendola di fatto meno performante in termini di efficienza;
  • gestione dei dati, con Runes che va ad incorporare quelli relativi ai token direttamente all’interno delle transazioni Bitcoin. Per farlo utilizza le uscite non spendibili, riuscendo a mantenere integri efficienza e trasparenza della rete. Un modus operandi molto diverso da quello di BRC-20, che prevede un inserimento il quale è di frequente non integrato in maniera pulita con la sottostante architettura blockchain, con il rischio di interrompere il flusso di rete.

Proprio queste differenze hanno spinto i ricercatori di Franklin Templeton ad affermare che Runes potrebbe in buona sostanza aiutare Bitcoin a colmare il divario al momento esistente con Ethereum e Solana. Ove ciò avvenisse, al tavolo della DeFi si siederebbe un nuovo attore, scomodo per tutti gli altri.

Le prospettive per il futuro

Con l’approssimarsi del quarto halving di Bitcoin e, quindi, della data di lancio di Runes, numerosi progetti lanciati su BTC si stanno muovendo per passare al nuovo standard. Un interesse strategico abbastanza eloquente sulle grandi attese che il protocollo sta destando. Tra quelli che lo stanno facendo occorre ricordare in particolare NodeMonkes, Bitcoin Pups, Runestone e RSIC. Ovvero quelli che sono radicati nello spazio Bitcoin Ordinals, per i quali si prospettano grandi vantaggi.

Se è ancora presto per capire le effettive potenzialità di Runes in ambito DeFi, al tempo stesso si tratta di un altro passo decisivo per l’ecosistema di BTC. Un passo il quale potrebbe porlo in aperta concorrenza con la Ethereum Virtual Machine e Solana, i due protocolli al momento dominanti in questo ambito.

Secondo un rapporto di Bybit, le riserve di Bitcoin si esauriranno entro nove mesi

L’allarme su un possibile shock dell’offerta di Bitcoin era già stato lanciato qualche giorno fa da Crypto Quant. Ora, però, la situazione è stata messa nero su bianco da un rapporto stilato dall’exchange di criptovalute Bybit. Secondo gli analisti della piattaforma di scambio, infatti, le riserve di BTC potrebbero esaurirsi entro i prossimi nove mesi. Una previsione che sembra delineare un quadro del tutto nuovo, anche per quanto riguarda la quotazione dell’icona crypto.

Bitcoin: entro nove mesi riserve esaurite, secondo Bybit

Entro nove mesi le riserve di BTC potrebbero esaurirsi. Questo è l’impegnativo pronostico pubblicato da Bybit all’interno di un rapporto teso ad analizzare la situazione a pochi giorni dall’halving di Bitcoin. Un evento lungamente atteso, ma le cui conseguenze stanno diventando sempre più complicate da prevedere.

A renderle tali una serie di fattori nuovi rispetto a quelli che hanno caratterizzato i precedenti dimezzamenti delle ricompense spettanti ai minatori. Tra quelle che stavolta potrebbero fare da detonatore per la quotazione della creazione di Satoshi Nakamoto, si sta proponendo con sempre maggiore evidenza la scarsità dei token in offerta sul mercato.

A provocare questa tendenza potrebbero essere, in particolare, due fattori. Il primo è rappresentato dalla maggior tendenza a trattenere Bitcoin da parte dei possessori. Ad agevolarla, naturalmente, la speranza in un clamoroso apprezzamento dell’asset in futuro. Il secondo è il calo del conio di nuove monete virtuali, derivante dalla minore convenienza a condurre questa attività da parte delle aziende interessate.

L’aumento della domanda istituzionale

La domanda di Bitcoin da parte degli investitori istituzionali è in costante aumento. Se, al momento, sono gli ETF a trainare questo genere di domanda, anche altri soggetti simili si stanno ormai adeguando all’idea di riempire i propri forzieri di asset virtuali.

Basta in effetti dare uno sguardo alle analisi pubblicate nel corso degli ultimi mesi per capire la tendenza in atto. Bitcoin è ormai considerato alla stregua di oro digitale e, di conseguenza, come un bene rifugio. Notoriamente, in tempo di crisi i beni rifugio sono molto ricercati dagli investitori istituzionali e BTC non sembra destinato a fare da eccezione.

L’aumento di questa domanda si andrebbe quindi a inserire in una fase in cui il conio di nuovi token sarà minore rispetto al passato. Saldandosi minor offerta da parte dei minatori e maggior domanda da parte del mercato, le condizioni ideali per una crescita esponenziale del prezzo di Bitcoin verrebbero a realizzarsi facilmente.

Le cifre di Bybit

Il rapporto di Bybit è molto chiaro, al proposito e, soprattutto, corredato dalle cifre. Al suo interno è infatti possibile leggere: “Le riserve di Bitcoin in tutti gli scambi centralizzati si stanno esaurendo più velocemente. Con solo 2 milioni di Bitcoin rimasti, se assumiamo un afflusso giornaliero di 500 milioni di dollari agli ETF spot, l’equivalente di circa 7.142 Bitcoin lascerà giornalmente le riserve degli scambi, suggerendo che ci vorranno solo nove mesi per consumare tutte quelle rimanenti.”

Gli analisti affermano poi: “Tenendo questo a mente, non sorprende che il prezzo del Bitcoin potrebbe continuare a salire prima dell’halving o anche dopo, poiché la stretta sull’offerta lo spinge ad un altro nuovo record”.

A questi fattori si aggiunge poi un’ulteriore considerazione: l’abitudine di tenere i token in cold storage non solo migliora la sicurezza, ma contribuisce anche a ridurre la possibilità di vendita. Una situazione ideale, quindi, per far esplodere la quotazione di BTC nell’immediato futuro.

L’analisi di CryptoQuant sulle riserve di Bitcoin

Una situazione, quella prefigurata da Bybit, che era del resto già stata anticipata da un altro rapporto, quello elaborato da CryptoQuant. La società, specializzata nell’analisi di dati on-chain, aveva infatti preso come base quelli relativi all’8 aprile, quando all’interno di tutti gli indirizzi degli exchange di criptovaluta erano presenti appena 1,94 milioni di BTC. Ovvero, appena il 9,8% dell’offerta circolante di Bitcoin, la cui emissione è al momento attestata intorno a 19,7 milioni di token.

Dopo il picco fatto registrare nel mese di luglio del 2021, quando tali riserve ammontavano a 2,85 milioni, si è quindi registrato un continuo calo. Un trend praticamente senza soluzione di continuità, che dovrebbe proseguire nei prossimi mesi, almeno per nove di essi. Dopo i quali le riserve sarebbero praticamente esaurite.

Runes, secondo Franklin Templeton aiuterà Bitcoin a colmare il divario con Ethereum e Solana

Il lancio di Runes aiuterà Bitcoin a “colmare il divario” con Ethereum e Solana nello spazio degli asset digitali fungibili. Ad affermarlo è la società di investimento Franklin Templeton Digital Assets in un rapporto che è stato pubblicato nella giornata di ieri. Un pronostico il quale sembra configurare una vera e propria battaglia in un settore chiave come quello della finanza decentralizzata (DeFi).

Il rapporto di Franklin Templeton: cosa afferma

Il rapporto di Franklin Templeton esordisce ricordando un dato di fatto: “Attualmente il mercato dei token fungibili per Bitcoin è piuttosto piccolo rispetto a ETH e SOL. Tuttavia, con il lancio di uno standard di token più efficiente (Runes), BTC è ben posizionato per colmare il divario tra la sua capitalizzazione di mercato fungibile rispetto a quella di altre blockchain.”

Un dato di fatto che spinge il portavoce di Runestone Leonidas a riprendere il rapporto in un tweet pubblicato su X: “Con 1,4 trilioni di asset in gestione, Franklin Templeton è ottimista su Runes, e in qualche modo so che la maggior parte di voi si muoverà a metà della curva”.

Franklin Templeton ha poi proseguito la sua analisi riconoscendo il ruolo svolto dallo standard BRC-20 nella proliferazione di token fungibili su Bitcoin. Nonostante ciò, l’azienda non ha ignorare un dato di fatto: il processo di masterizzazione e conio dello standard crea una quantità significativa di spazzatura UTXO (Unspent Transaction Output). Detriti che vanno a gonfiare la rete e ad aumentare le commissioni derivanti dai frammenti di Bitcoin che rimangono dopo l’esecuzione di una transazione.

Proprio i token BRC-20 hanno subito un duro colpo nelle ultime settimane, con il primo di loro, Ordi, che ha lasciato sul terreno il 40% del proprio valore nel corso degli ultimi sette giorni. Stando ad un rapporto della società di intelligence blockchain LunarCrush , la flessione del comparto potrebbe essere correlata a Runes.

È stato Joe Vezzani, fondatore e CEO di Lunar Crush, ad affermare nel corso di una chiacchierata con Decrypt che intorno a Runes c’è molto ottimismo. Un sentimento il quale, però, va a scapito dei token BRC-20, con ampie ricadute in termini di mercato.

Runes porterà molti miglioramenti all’ecosistema Bitcoin

Franklin Templeton Digital Assets non ha esitato a confermare la validità del progetto Runes. Il suo lancio, infatti, comporta come conseguenza una lunga serie di miglioramenti nell’ecosistema di Bitcoin. Il primo dei quali riguarda proprio l’eliminazione dei detriti connessi agli UTXO. Cui si aggiungeranno quella della necessità di fare affidamento su dati off-chain, di token aggiuntivi, una maggiore privacy e una compatibilità con Bitcoin tale da farne una rete “fulminea”.

Occorre anche sottolineare come le rune non rappresentino l’unica risorsa digitale emergente che ha attirato l’attenzione di Franklin Templeton. Proprio all’inizio di questo mese, infatti, l’azienda ha acclamato gli Ordinals, indicandoli come i promotori di un “Rinascimento nell’attività BTC”. Tra di essi ha indicato in particolare NodeMonkes, Runestone, Bitcoin Pups, Ordinal Maxi Biz e Bitmap. Progetti che messi insieme già evidenziano una capitalizzazione di mercato combinata pari a oltre 1,11 miliardi di dollari.

Il dinamismo di Bitcoin e delle criptovalute in genere

Dal rapporto di Franklin Templeton Digital Assets emerge comunque un quadro molto dinamico, per l’icona crypto ideata da Satoshi Nakamoto. Tanto da affermare, al proposito: “Nell’ultimo anno, l’innovazione e lo sviluppo di Bitcoin hanno visto una rinascita dell’attività. Lo slancio positivo nelle innovazioni è guidato principalmente dagli NFT Bitcoin, noti come Ordinals, da nuovi token fungibili come BRC-20 e Runes, Bitcoin Layer 2 e altri primitivi Bitcoin DeFi.”

Un dinamismo il quale, peraltro, non sarà confinato all’ecosistema Bitcoin. In un rapporto separato pubblicato ieri, infatti, Franklin Templeton ha affermato che il numero totale di utenti di criptovalute supererà 1,2 miliardi entro il 2025. Un dato tale da avvicinare in maniera sensibile un vecchio sogno dei criptofans, l’adozione globale degli asset digitali.

La Norvegia si appresta a dichiarare guerra al mining di Bitcoin. Vediamo cosa sta accadendo

L’Europa del Nord non è un posto molto accogliente, per i minatori di Bitcoin. Se le condizioni economiche sono molto favorevoli, per chi deve impiantare una mining farm, non altrettanto lo è l’atteggiamento della politica locale, risolutamente ostile ad un’attività vista alla stregua di un attentato all’ambiente.

Se negli anni passati era stato il governo svedese a proporsi come irriducibile avversario dell’attività di estrazione dei blocchi per la blockchain di BTC, ora è invece Oslo a minacciare il bando della stessa dal proprio territorio. Andiamo a vedere, quindi, cosa stia accadendo nella parte settentrionale del vecchio continente.

Mining di Bitcoin: la Norvegia si appresta a bandirlo?

La Norvegia sarebbe intenzionata a bandire il mining di Bitcoin dal proprio territorio. Almeno questo è quanto afferma il quotidiano VG, includendo a sostegno della propria tesi i commenti rilasciati sulla questione dal ministro della digitalizzazione, Karianne Tung, e da quello dell’energia, Terje Aasland.

Il grimaldello attraverso il quale si potrebbe conseguire tale risultato, perseguito ormai da tempo dal governo di Oslo, è l’imposizione della registrazione a tutti i data center operanti sul territorio norvegese. Ognuna delle strutture in questione, inoltre, sarebbe obbligata a designare un responsabile e, soprattutto, provvedere all’indicazione chiara della tipologia dei dati trattati e delle operazioni effettuate al proprio interno.

Una volta che i data center avranno ottemperato agli obblighi in questione, sarà più facile per le autorità preposte individuare quelli che operano nel mining di Bitcoin e, nel caso, espellerli dal Paese nordico. Lo ha spiegato in maniera molto chiara proprio Karianne Tung: “Proporremo una legge che regolerà l’industria dei data center per la prima volta […] La Norvegia sarà il primo paese in Europa a introdurre una regolamentazione dei data center. […] L’obiettivo è quello di regolare l’industria in modo da permetterci di chiudere le porte ai progetti che non vogliamo.”

E tra quelli non desiderati, c’è proprio il mining, come del resto spiegato da Terje Aasland: “È associato a emissioni importanti di gas serra ed è un esempio di business che non vogliamo in Norvegia.” Il solco sembra dunque tracciato.

Mining: quanto ne viene condotto in Norvegia?

Naturalmente, occorre anche cercare di capire quale sia la quantità di mining portata avanti nel Paese nordico. Secondo i dati relativi all’inizio del 2023, che sono stati pubblicati da Hashrate Index di Jaran Mellerud, il dato norvegese si attesterebbe a poco meno del 3% dell’hashrate globale. Si tratta di un dato che, pur non enorme, ha comunque ampie ricadute sul sistema energetico locale.

I gruppi che hanno scelto il Mare del Nord per la propria produzione mineraria, sono Bitfury, Bitzero, Bitdeer, COWA, Kryptovault e Arcane. Nel caso in cui l’orientamento del governo norvegese non dovesse mutare, ognuno di loro dovrà trovarsi nuovi Paesi verso i quali far convergere la propria forza lavoro e i relativi siti.

Considerato come ormai da anni la Norvegia mostri un atteggiamento non proprio benevolo verso il mining di Bitcoin, dovranno probabilmente iniziare a farlo subito. E, soprattutto, trovarsi aree geografiche diverse dal Nord Europa, ove tale atteggiamento è largamente condiviso.

In Svezia e Islanda il mining potrebbe presto essere bandito

La parte superiore del vecchio continente sembra ormai unificata dalla scarsa pazienza nei confronti dell’industria mineraria. Basti pensare in tal senso alla Svezia, che ormai da anni sta cercando di tessere alleanze per il bando definitivo del mining Proof-of-Work. Tanto da cercare di inserirlo nella discussione relativa al MiCA (Markets in Crypto Assets), senza però riuscire nell’intento.

Mentre l’Islanda, proprio di recente, ha espresso la propria intenzione di stoppare la fornitura di energia elettrica alle mining farm. Una decisione derivante in particolare dalla constatazione che la stessa inizia a scarseggiare, rendendo obbligatorio tagliarla ove non serve a famiglie e imprese realmente utili alla collettività. Un proposito che è stato reso pubblico dal primo ministro Katrín Jakobsdóttir.

Non sembra arduo pensare che ben presto l’intero Nord Europa possa chiudere al mining condotto con macchinari energivori, ovvero quello Proof-of-Work. Riducendo ulteriormente le aree ancora aperte a questo genere di attività.

Il Real Bedford Football Club è la prima squadra di calcio alimentata da Bitcoin

Il Real Bedford Football Club (RBFC), una piccola squadra semiprofessionistica inglese, è la prima squadra di calcio alimentata da Bitcoin. Ad affermarlo, in un comunicato emesso nella giornata di ieri, sono i gemelli Cameron e Tyler Vinklevoss, gestori dell’exchange di criptovalute Gemini e noti per aver accusato Mark Zuckerberg di aver rubato loro l’idea di Facebook.

L’RBFC è stato acquistato nel 2022 dall’investitore e podcaster di Bitcoin Peter McCormack. Grazie ad un accordo siglato con i gemelli Winklevoss, questi ultimi diventano comproprietari della RBFC, insieme a lui, residente da sempre a Bedford.

Una piccola squadra inglese sarà alimentata da Bitcoin

I gemelli Cameron e Tyler Vinklevoss hanno investito ben 4,5 milioni di dollari in Bitcoin in una sconosciuta squadra semiprofessionistica inglese, il Real Bedford Football Club. A dare l’annuncio sono stati gli stessi proprietari dell’exchange Gemini, in un comunicato stampa pubblicato nella giornata di ieri.

Si tratta di una notizia sorprendente, alla luce del fatto che solitamente ad attrarre finanziamenti sono i grandi club della Premier League, la più grande lega calcistica del globo. Il RBFC milita infatti nel calcio semiprofessionistico, dove non girano certo le montagne di soldi che gratificano i piani alti del calcio britannico.

Naturalmente, la fantasia dei tifosi, in particolare quelli del club interessato, si è subito involata, pensando che l’iniezione di liquidità virtuale potrebbe fare da base per la sua crescita esponenziale. Al momento, però, i piani di sviluppo sembrano abbastanza moderati.

A cosa serviranno i soldi immessi nel Real Bedford Football Club?

È stato McCormack a spiegare il motivo che lo ha spinto a rivolgersi ai gemelli Winklevoss per la squadra da lui precedentemente acquistata. Ha infatti affermato che voleva uno o più partner in grado di aiutarlo a investire in infrastrutture le quali potessero far da base alla crescita del sodalizio.

Parte dell’investimento, infatti, sarà destinato a fare da garanzia per i finanziamenti tesi alla costruzione di un nuovo centro di formazione. Una struttura che, almeno stando alle sue previsioni, verrà a costare circa 1,6 milioni di sterline (2 milioni di dollari).

Lo stesso McCormack ha poi sottolineato di non avere l’intenzione di vendere i BTC. Quelli ricevuti dai gemelli Vinklevoss saranno infatti immessi in un apposito fondo, destinato a sostenere il club anche nei momenti meno fortunati. Queste le sue parole, al proposito: “La mossa intelligente è tenere il Bitcoin, prendere in prestito sterline per pagarlo, e poi il centro di formazione si ripaga da solo in un periodo di sette anni perché è anche parte di un club che porta soldi”.

Il commento dei gemelli Vinklevoss

Anche i gemelli Vinklevoss hanno commentato l’annuncio da loro stessi dato. Cameron, in particolare, ha affermato alla CNBC: “C’era questo allineamento di valori con tutti noi che siamo stati i primi Bitcoiner”. Per poi aggiungere: “Ciò che trapela è che devi avere visione, devi avere convinzione e devi essere persistente. Devi resistere nei momenti belli e in quelli brutti. Ogni viaggio come questo sarà una strada accidentata. Ci saranno battute d’arresto e difficoltà”.

Va sottolineato che la compartecipazione nella proprietà del club di Bedford da parte dei proprietari di Gemini non è una novità assoluta, nei rapporti tra football e criptovalute. Molte società di ogni parte del mondo hanno infatti aderito a proposte di sponsorizzazione, a partire da quelle della Premier League. Così come centinaia di sodalizi delle più grandi leghe professionali di ogni parte del globo hanno aderito alle proposte di Chiliz, emettendo propri token.

Un legame, quello tra football e innovazione finanziaria, che è diventato ancora più stretto durante la pandemia di Covid. La chiusura degli stadi per motivi sanitari, infatti, ha messo alle strette i bilanci societari di tutte le squadre, costringendole a cercare nuove fonti d’entrata.

Non a tutti è però andata bene. Inter e Roma, infatti, dopo aver sottoscritto accordi multimilionari di sponsorizzazione con DigitalBits, si sono trovati di fronte all’inadempienza della società, trovandosi quindi costretti ad adire le vie legali.

Le riserve di Bitcoin degli exchange sono ai minimi: alle viste uno shock dell’offerta?

La notizia non rappresenta una novità assoluta, ma dovrebbe senz’altro squillare alla stregua di un campanello d’allarme. All’inizio del mese le riserve di Bitcoin depositate all’interno degli exchange di criptovaluta sono piombate ai minimi storici. Si sarebbero infatti attestate sotto i due milioni di esemplari, ovvero meno del 10% dell’offerta totale di BTC.

Si tratta in effetti di un problema di non poco conto. Nel caso in cui la domanda di token dovesse aumentare in maniera rilevante, si porrebbero le basi per uno shock dell’offerta. Una crisi la quale potrebbe avere contorni imprevedibili.

Bitcoin: cosa sta accadendo

La situazione può essere desunta dai dati messi in evidenza dalla piattaforma di analisi on-chain CryptoQuant. In particolare, quelli relativi all’8 aprile mostrano la presenza di appena 1,94 milioni di BTC all’interno di tutti gli indirizzi degli exchange crypto. Un dato che rappresenterebbe appena il 9,8% dell’offerta circolante di Bitcoin, la cui emissione è al momento attestata a 19,67 milioni di token.

In pratica, dal picco fatto registrare nel mese di luglio del 2021, quando le riserve degli exchange custodivano 2,85 milioni di Bitcoin, si è registrato un continuo calo, praticamente senza soluzione di continuità.

Secondo gli esperti, questo trend sarebbe un chiaro segnale. In pratica, i trader stanno ritirando i propri token non avendo intenzione di venderli o scambiarli, per detenerli a lungo termine. Ritengono con tutta evidenza che la quotazione dell’icona inventata da Satoshi Nakamoto sia destinata a crescere molto e vogliono quindi capitalizzare al massimo il proprio tesoro. Una tendenza che potrebbe in effetti agevolare la bull run di Bitcoin.

Uno shock già previsto

La dinamica in atto, era già stata prevista da Ki Young Ju, fondatore e CEO di CryptoQuant. Proprio di recente aveva infatti pronosticato un evento del genere entro sei mesi. Una previsione che si basava, però, sul ritmo con cui gli ETF spot di Bitcoin stavano rastrellando il mercato.

Occorre ricordare a questo punto che uno shock dell’offerta si verifica quando la disponibilità di un determinato bene viene a diminuire in maniera brusca, a causa di un aumento esponenziale della domanda. Solitamente questo scenario conduce ad un rialzo molto significativo del prezzo dell’asset.

Nel caso di Bitcoin, però, va messo in rilievo il momento molto particolare in cui questo evento andrebbe a inserirsi, ovvero in concomitanza con il quarto halving. Il dimezzamento delle ricompense spettanti ai minatori, nelle occasioni precedenti ha dato il la ad una forte crescita della quotazione di BTC. Il motivo è in fondo semplice: la minore convenienza del mining spinge una parte delle aziende minerarie all’abbandono, con conseguente scarsità dei nuovi token coniati.

Le balene non vendono

Tra quelle che sembrano fondate su dati di fatto concreti, occorre ricordare a questo punto la previsione formulata dagli analisti di AllianceBernstein, una società di investimento globale. Proprio loro, in una nota pubblicata qualche giorno fa, hanno messo in rilievo come l’enorme volume di liquidità che è stato collezionato dagli ETF spot appena approvati, rappresenta la migliore garanzia sulla crescita della quotazione di Bitcoin.

Una tendenza che secondo gli stessi analisti potrebbe tradursi nello sfondamento della soglia dei 150mila dollari entro la fine dell’anno. Per formulare tale previsione, Gautam Chhugani e Mahika Sapra hanno stimato afflussi di 10 miliardi di dollari per il 2024 e altri 60 miliardi di dollari per il 2025.

Anche nel loro caso, però, sarà necessario trovare token al di fuori dei canali di scambio tradizionali. Le balene, ad esempio, non hanno sinora mostrato alcuna propensione a vendere, prendendo chiaramente posizione in previsione di una fase di rialzo impetuoso. In una situazione di questo genere, di conseguenza, potrebbero essere frustrate anche le aspettative di fondi di investimento pensionistici, banche private e pool di capitale. Se decidessero di investire su BTC, infatti, andrebbero ad acuire la scarsità dell’offerta, con esiti imprevedibili.

Bitcoin, il mining potrebbe restare redditizio allo stesso modo dopo l’halving

Il quarto halving di Bitcoin è previsto per il prossimo 20 aprile, ma come nelle occasioni precedenti se ne parla ormai da mesi. In particolare, molti cercano di capire se anche in questa occasione le dinamiche innescate saranno le stesse.

Una domanda che si pongono anche i miners di BTC, alla luce degli imponenti investimenti fatti per poter condurre la loro attività. Soprattutto al fine di capire se la sua redditività sia destinata a mutare e di quanto.

La redditività del mining di Bitcoin potrebbe non risentire dell’halving

A dare una risposta in tal senso è stato Laurent Benayoun, CEO di Acheron Trading, nel corso di un’intervista rilasciata a Cointelegraph. Secondo lui, il mining di Bitcoin potrebbe anche non perdere in termini di redditività. Una tesi abbastanza sorprendente, considerato come si tratti di un vero e proprio dimezzamento delle ricompense spettanti per ogni blocco estratto.

A detta di Benayoun, infatti, la diminuzione di quanto spettante per il mining verrebbe ad essere compensata dall’aumento delle commissioni di transazione. Per tali si intendono le fee versate dagli utenti al fine di incentivare i minatori ad includere una transazione nel blocco successivo.

A rendere sorprendente quanto affermato è proprio l’esperienza storica. Ogni volta che si è verificato un halving, infatti, le aziende più piccole hanno dovuto abbandonare il campo. Non si capisce, almeno al primo impatto, perché stavolta dovrebbe essere diverso.

A spiegarlo è ancora Benayoun, secondo il quale ad incrementare le commissioni di rete interverrebbero stavolta non solo le inscription di Ordinals, ma anche la nascente finanza decentralizzata sulla blockchain (BTCFi). Ecco le testuali parole di Benayoun al proposito: “Abbiamo visto spuntare NFT sulla blockchain di Bitcoin e abbiamo assistito ad una serie di progetti che cercano di sviluppare la DeFi sulla rete di Bitcoin. Quindi tutti questi elementi stanno portando a un aumento delle fee di rete”.

Sempre a detta di Benayoun, il preventivato apprezzamento di Bitcoin, mixandosi con l’aumento delle commissioni di rete diminuirà sostanzialmente il numero delle mining farm costrette a cessare l’attività, rispetto ai cicli passati.

Alcuni dati per capire meglio

Per cercare di capire meglio quanto detto sinora, conviene a questo punto riferire alcuni dati. A partire da quello relativo alla media delle fee di transazione su BTC, che è attualmente pari a 4,88 dollari per operazione. Un dato in notevole calo se riferito a quello di un mese fa, quando viaggiava sui 16,13 dollari.

Stando ai dati di YCharts, inoltre le commissioni sono cresciute addirittura di oltre l’86% nel corso dell’ultimo anno. Un dato il quale può aiutare a comprendere meglio le dichiarazioni di Benayoun.

Molto interessante è poi quanto dichiarato, sempre a Cointelegraph, dal CMO di NiceHash, Joe Downie, secondo il quale il dato dirimente è la soglia dei 70mila dollari. Ove la quotazione dell’icona crypto restasse sopra quella soglia, per le aziende minerarie dedite a BTC il profitto sarebbe comunque assicurato per la gran parte di esse. A renderle tali il fatto che con le attuali ricompense dei blocchi il mining è già redditizio con un prezzo pari a 35mila dollari. Solo sotto tale soglia il lavoro sarebbe in perdita.

I dati snocciolati da Downie acquistano maggior valore alla luce del comportamento di Bitcoin nel corso degli ultimi giorni. Stando ai dati di CoinMarketCap, infatti, la sua quotazione è sotto la fatidica soglia dei 70mila dollari ormai dal primo giorno di aprile.

È ancora il CMO di NiceHash a ricordare un altro dato che andrebbe calato senz’altro nella discussione in atto. Stiamo parlando della qualità e dell’efficienza energetica dei dispositivi impiegati dai miners. Secondo Downie, infatti, gli halving di Bitcoin “…rendono meno redditizio l’hardware più obsoleto a causa della minore ricompensa ricevuta per il lavoro svolto dalla macchina”.

In pratica, solo i modelli più moderni ed efficienti dal punto di vista energetico assicureranno redditività. Contrariamente da quanto pensano in molti, quindi, il discrimine non è rappresentato dalle dimensioni dell’azienda mineraria, bensì dai macchinari impiegati.

Gli ETF Bitcoin potrebbero aver anticipato gli effetti dell’halving?

L’halving è ormai visto alla stregua di un catalizzatore rialzista per il prezzo di Bitcoin. In effetti quanto avvenuto nel corso dei tre precedenti dimezzamenti conferma tale impressione. Stavolta, però, questa narrazione potrebbe rivelarsi fallace. A renderla tale l’approvazione da parte della SEC degli ETF spot su BTC, avvenuta il passato 10 gennaio. Andiamo a vedere perché.

Il boom del prezzo di Bitcoin stavolta potrebbe non esserci?

Ormai è una sorta di mantra: dopo l’halving BTC esploderà letteralmente, a livello di prezzo. Con logico corollario di previsioni rutilanti, a volte nell’ordine delle centinaia di migliaia di dollari. Solo che, stavolta, il vero boom potrebbe essere già avvenuto, incentivato dall’esordio degli ETF spot.

In molti, prima che la SEC decidesse di dare il suo benestare a tale esordio, pensavano che gli effetti di questa decisione si sarebbero sommati al dimezzamento delle ricompense spettanti ai minatori, provocando una crescita esponenziale del prezzo di Bitcoin.

Ora, però, più di qualche osservatore inizia ad esternare i propri dubbi in tal senso. Per capire meglio, occorre partire da Brian Dixon, CEO della società di investimento Off the Chain Capital: “Se guardiamo alla domanda in generale da quando sono stati lanciati gli ETF, si è già creato un tremendo shock dell’offerta.” Lo stesso Dixon ha poi aggiunto: “Una volta che si verifica l’halving e l’offerta viene ulteriormente ridotta, è logico pensare che il prezzo aumenterà.”

Logico, ma non certo scontato. In effetti, la domanda da parte dei fondi è stata significativamente superiore ai 900 nuovi BTC estratti quotidianamente. Un dimezzamento che, solitamente, si traduce in una spinta ancora più incisiva sui prezzi.

Il prezzo dell’icona crypto, però, è già aumentato del 46% dall’11 gennaio, giorno di inizio della negoziazione degli ETF spot negli Stati Uniti. La loro domanda è stata così forte che il prezzo dell’asset digitale è salito a un nuovo massimo storico per riuscire a tenerne il passo. E proprio da qui, hanno iniziato a serpeggiare i primi dubbi.

Inizia a serpeggiare una certa preoccupazione

Il primo parere in cui appare una certa preoccupazione è quello espresso da David Lavant, responsabile della ricerca presso FalconX. Proprio lui ha infatti affermato: “Questa è la prima volta in cui Bitcoin supera i suoi massimi storici prima dell’halving, quindi c’è un po’ di preoccupazione che gli ETF abbiano spinto in avanti la domanda e che forse rimarremo dove siamo per un po’ di tempo”.

Un parere cui ha fatto eco Anthony Anderson, fondatore e CEO di Param Labs e Kiraverse: “Gli ETF su Bitcoin hanno evitato l’impatto del dimezzamento dell’offerta acquisendo massicciamente BTC dall’inizio dell’anno.”

Mentre James Siffart, analista ETF di Bloomberg Intelligence rilancia affermando che il dimezzamento potrebbe non influenzare i flussi degli ETF in considerazione della già elevata domanda da parte degli investitori, almeno nel breve termine. Ecco quanto da lui affermato: “Sappiamo che molti miner utilizzano scambi OTC per scaricare i loro BTC e anche gli emittenti di ETF li utilizzano per ottenere i loro Bitcoin man mano che i flussi entrano nel fondo. Quindi teoricamente il potenziale dimezzamento delle vendite di bitcoin dei minatori potrebbe significare che gli afflussi di ETF avranno un impatto maggiore sul mercato sottostante. Ma negli ultimi mesi gli afflussi di ETF hanno ampiamente superato qualsiasi importo fornito dai minatori”. Tanto da spingerlo a prevedere che un eventuale impatto dell’halving non sarà di grande rilievo.

Il discorso potrebbe mutare nel lungo termine

Il discorso in questione, però, dovrebbe essere preso come spunto dagli investitori riferendolo al breve termine. Mentre in quello lungo le cose potrebbero differire notevolmente. L’halving, infatti, potrebbe accentuare l’attrattiva del Bitcoin come asset class per gli investitori istituzionali. Almeno questa è la tesi di Bob Iacchino, co-fondatore della società di analisi Path Trading Partners: “Penso che il dimezzamento sarà una delle cose migliori per Bitcoin dal lancio degli ETF. Al centro c’è un meccanismo di protezione dall’inflazione, che sta tornando a crescere”.

Quello della fiammata dei prezzi, con l’instabilità che può conseguirne, è in effetti un tema su cui si inizia a riflettere non poco. Molti investitori, infatti, hanno iniziato a interrogarsi sul modo migliore di proteggere il proprio portafogli in una situazione come l’attuale. E, in un momento simile, proprio un asset come Bitcoin, che è in fondo un bene finito, sembra in grado di catalizzarne l’attenzione.

Javier Milei delude i criptofans, l’Argentina non introdurrà il corso legale di Bitcoin

Javier Milei aveva proposto il Bitcoin come possibile risoluzione agli elevatissimi livelli inflattivi dell’Argentina, nel corso della campagna elettorale. Come spesso succede, però, secondo i suoi detrattori “finita la festa, gabbato lo santo”.

La scorsa settimana, infatti, il governo di Buenos Aires ha trattato in effetti il tema delle criptovalute, ma nel senso completamente opposto a quanto promesso in precedenza. Ha infatti varato un Registro dei fornitori di servizi di asset virtuali (VASP), sollevando le comprensibili recriminazioni di chi già pregustava l’incamminamento del Paese sulla strada tracciata da El Salvador con la sua Bitcoin Law.

La legge sui VASP e la delusione dei criptofans

L’Argentina ha optato per l’implementazione di un Registro dei fornitori di servizi di asset virtuali (VASP). Una mossa che è stata interpretata dai sostenitori dell’innovazione finanziaria alla stregua di un vero e proprio tradimento rispetto alle promesse elettorali del nuovo presidente, Javier Milei.

In pratica, il provvedimento afferma l’obbligo di un processo di registrazione a carico delle piattaforme e degli individui che acquistano, vendono, inviano o scambiano criptovalute. Occorre peraltro precisare che si tratta di un progetto di legge il quale era stato lasciato in sospeso dal governo precedente.

Milei avrebbe potuto lasciar decadere il provvedimento, ma ha invece deciso di recepirlo e condurlo alla definitiva approvazione. Un modus operandi il quale non è piaciuto a chi pensava ad un’Argentina pronta ad avviarsi verso l’introduzione del corso legale di Bitcoin, come fatto da El Salvador.

Il provvedimento è immediatamente entrato in vigore, come hanno avuto modo di saggiare gli utenti di Strike, una app di pagamenti. Proprio loro, infatti, hanno reso noto di essere stati messi al corrente della disabilitazione della funzione Invia globalmente tra Argentina e Stati Uniti.

I motivi della delusione verso Milei sono fondati?

Javier Milei si è presentato alle elezioni presidenziali sotto la veste di libertario. Una libertà in campo finanziario che prevedeva un ruolo di spicco per il Bitcoin, da lui indicato come un rifugio sicuro contro l’inflazione.

Una definizione al minimo azzardata, se si pensa alle oscillazioni del token, che nella giornata di ieri ha perso il 5% del suo valore. Molti argentini, del resto, già lo utilizzano, preferendo correre il rischio di queste cadute piuttosto che sottoporsi alla pressoché ineluttabile svalutazione del peso.

Nei primi mesi del suo governo Milei è riuscito in qualche modo ad attenuare l’inflazione, ma ha anche visto parte del suo programma economico cassato da un Parlamento di cui non detiene il controllo. In questo contesto ha quindi pensato di approvare il provvedimento teso a stabilire un controllo sui fornitori di servizi crypto. L’esatto contrario del suo sbandierato liberismo, il quale è stato preso molto male dai sostenitori dell’innovazione finanziaria.

La necessità di un quadro normativo adeguato

Il primo a dichiararsi deluso è stato Max Keiser, uno dei maggiori evangelisti di BTC e attualmente consigliere di Nayib Bukele. Su X non ha esitato a cannoneggiare il nuovo inquilino della Casa Rosada, in questo modo: “Javier Milei commette il suo primo grave errore. Non si è mai preso il tempo per capire #Bitcoin, ora ne subirà le conseguenze.”

El Salvador è, dal 2021, il primo Paese che si è affidato a BTC come moneta a corso legale, affiancandolo al dollaro. Il token è usato in maniera molto marginale nelle operazioni quotidiane, ma il governo di San Salvador ha messo in campo un programma di acquisti che è stato premiato dai rialzi messi a segno dall’icona crypto creata da Satoshi Nakamoto.

Resta però il fatto che nessuno è in grado di prevedere se realmente Bitcoin continuerà a crescere, come del resto accade per tutti gli strumenti finanziari. Una incertezza che è l’esatto contrario della stabilità di cui avrebbe bisogno un sistema Paese, per condurre i suoi programmi.

Inoltre, quello che i bitcoiners sembrano non riuscire a comprendere, è che se un Paese intende attrarre investimenti esteri, deve preparare un quadro normativo adeguato. Il nuovo regolamento sui VASP sembra in effetti andare in questa direzione, come sottolineato da alcuni osservatori. Tanto da far sembrare del tutto fuori contesto le recriminazioni dei criptofans.

El Salvador detiene oltre 400 milioni di dollari in Bitcoin all’interno di un cold wallet

Oltre 400 milioni di dollari: a tanto ammonterebbe il tesoro in Bitcoin conservato dal governo di El Salvador in un cold wallet. Lo ha affermato il presidente di El Salvador Nayib Bukele, appena rieletto con un consenso plebiscitario (con annesse accuse di brogli elettorali).

Sembra quindi che la scommessa sulla regina delle criptovalute operata dal piccolo Paese centramericano stia dando i risultati sperati. Anche se le cifre al proposito sono ancora abbastanza ballerine, non è comunque arduo pensare che il guadagno sia effettivo, alla luce dei rialzi di BTC dal momento in cui sono stati effettuati gli acquisti.

El Salvador e Bitcoin: una scommessa riuscita

El Salvador ha immagazzinato più di 400 milioni di dollari in Bitcoin, depositati all’interno di un “portafoglio freddo”, ovvero tenuto offline. È stato il presidente Nayib Bukele ad affermarlo in un messaggio postato su X, l’ex Twitter.

Questo il succo del messaggio: “Abbiamo deciso di trasferire una grossa fetta dei nostri Bitcoin su un cold wallet e di conservarlo in un caveau fisico all’interno del nostro territorio nazionale. Possiamo indicarlo come il nostro primo salvadanaio Bitcoin”.

La scelta di un cold wallet è giustificata dal fatto che questo genere di portafogli è in grado di proteggere meglio i token detenuti da una singola entità, in quanto li mantiene offline, prevenendo in tal modo da attacchi di pirateria informatica.

Per ufficializzare la situazione, lo stesso Bukele ha poi condiviso uno screenshot dell’investimento che mostra un totale di 5.689,7 bitcoin, con una valutazione di 406,6 milioni di dollari. Ha poi concluso affermando: “Non è molto, ma è un lavoro onesto”.

El Salvador e Bitcoin: un legame destinato a rafforzarsi?

El Salvador è stato il primo paese al mondo a dichiarare Bitcoin come moneta a corso legale, affiancandolo al dollaro statunitense. Una decisione presa nel con la Bitcoin Law del settembre 2021, all’epoca molto contestata.

Non solo all’interno del Paese, ove era evidente la paura di dover ricorrere a mezzi tecnologici che molti ancora non sono in grado di padroneggiare. In particolare il Fondo Monetario Internazionale ha più volte aspramente contestato la decisione di Bukele. Sino a minacciare lo stop ai prestiti nel caso El Salvador avesse deciso di proseguire sulla strada intrapresa.

Se da un punto di vista finanziario il programma di acquisto di BTC è andato bene, occorre comunque sottolineare come le criptovalute siano ancora scarsamente utilizzate nel Paese. Secondo un sondaggio condotto a gennaio dall’Università privata dell’America Centrale (UCA), l’88% dei salvadoregni non ha infatti utilizzato il token nelle proprie transazioni nel 2023.

Al tempo stesso occorre sottolineare come per Bukele l’icona crypto abbia rappresentato più che altro un tentativo di attirare rimesse dall’estero a un costo inferiore. Senza contare che per tale via si sta cercando di includere i tanti “unbanked” salvadoregni, cittadini che non hanno strumenti di gestione finanziaria per provvedere al proprio patrimonio.

Quanto ha reso effettivamente il programma di Bukele?

Naturalmente, occorre anche cercare di capire quanto abbia effettivamente reso al governo salvadoregno il programma di acquisto dei Bitcoin. A dare una prima idea in tal senso è il sito web Nayib Bukele Portfolio Tracker, secondo il quale il tesoro virtuale di El Salvador sarebbe stato in attivo di 85 milioni di dollari, il passato 11 marzo, quando la creazione di Satoshi Nakamoto ha conseguito il suo nuovo massimo storico a 72mila dollari.

Un risultato derivante dal fatto che il Paese centroamericano ha iniziato ad acquistare BTC nel settembre 2021, a seguito della promulgazione della Bitcoin Law. In quel momento, l’asset aveva una quotazione pari a 51.769 dollari statunitensi.

Quello che sembrava un pessimo affare, all’epoca del crypto winter, con il prezzo di BTC crollato a 16mila, si è poi trasformato nel suo esatto contrario nel corso degli ultimi mesi. Lo stesso Bukele, però, ha fatto chiaramente capire come l’operazione non vada giudicata solo da un punto di vista di puro bilancio.

I vantaggi di BTC per El Salvador

Il passato 12 marzo, in particolare, il presidente ha affermato che oltre al profitto, occorre mettere nel conto anche i ricavi del programma di passaporti del Paese, quelli derivanti dalla conversione di BTC in dollari statunitensi per le imprese locali, i proventi del mining e i ricavi dai servizi governativi. Un esempio in tal senso è il pool di mining reso possibile da una partnership tra Volcano Energy e Luxor Technology.

Nel passato mese di dicembre, inoltre, è stata approvata una legge sull’immigrazione, che prevede la concessione della cittadinanza veloce a quegli stranieri che effettuano donazioni in Bitcoin a favore di programmi governativi di sviluppo sociale ed economico.

Secondo Tim Draper, noto venture capitalist, nel caso in cui Bitcoin raggiungesse i 100dollari in termini di quotazione, El Salvador sarebbe persino in grado di pagare i debiti verso il Fondo Monetario Internazionale. In pratica, il Paese potrebbe presto conseguire l’indipendenza dal punto di vista finanziario.

No, Hal Finney non è Satoshi Nakamoto, lo sostiene Pete Rizzo

La ricerca di Satoshi Nakamoto, il mitico fondatore di Bitcoin, sembra destinata a non esaurirsi mai. Del resto proprio la sua scomparsa, avvenuta nel 2008, ha posto le basi perché di lui si continuasse a parlare nel tentativo di capire finalmente chi si nascondesse dietro a quello che può essere considerato a tutti gli effetti uno pseudonimo.

Le ultime notizie al proposito sono quelle riguardanti Pete Rizzo, il famoso editore di Bitcoin Magazine, il quale ha fornito una serie di dichiarazioni che tendono a togliere dalla rosa dei papabili Hal Finney. Ovvero quello che fu il primo collaboratore di Nakamoto e che, secondo non pochi appassionati di criptovalute sarebbe in realtà proprio l’uomo che in tanti cercano. L’interessato non potrà comunque partecipare alla disputa, essendo morto nel 2014 di SLA (Sclerosi Laterale Amiotrofica).

Le dichiarazioni di Pete Rizzo su Hal Finney

Le opinioni di Pete Rizzo sono state espresse nella giornata di lunedì, all’interno di un lungo thread pubblicato su X. Nelle pieghe del discorso, Rizzo ha affermato che ad escludere l’ipotesi che Finney sia Nakamoto sono proprio i fatti.

In particolare, ha sottolineato un paio di punti a sostegno delle sue affermazioni, nel suo lungo post su X, citando brani del co-fondatore di Casa, Jameson Lopp, e alcuni altri fatti. Al tempo stesso, ha voluto chiarire che quanto riportato nel suo documento rappresenta la sua opinione e non certo una prova conclusiva.

Per quanto concerne i fatti che lo hanno spinto ad escludere l’identificazione tra Hal Finney e Satoshi Nakamoto, il primo è un post sul blog di Lopp, risalente al passato mese di ottobre. In pratica, al suo interno viene mostrato che Finney stava prendendo parte ad a una corsa di 10 miglia in California nel momento stesso in cui Nakamoto si trovava alle prese con l’invio di una comunicazione di posta elettronica a Mike Hearn, il primo sviluppatore di BTC.

L’altra prova acclusa a sostegno dell’esclusione di Finney dalla rosa dei papabili è poi quella relativa all’attività di Nakamoto e alla sua condivisione di 4 check-in del codice tramite 17 post sul forum proprio nel periodo in cui a Finney è stata diagnosticata la SLA. È stata la stessa moglie di quest’ultimo a ricordare come le condizioni di salute impedissero ormai al marito di svolgere diverse attività, compresa la dattilografia.

Gli altri indizi

Sin qui le due prove più evidenti, che tenderebbero a escludere Finney dal discorso relativo all’identificazione di Satoshi Nakamoto. Ci sono però altri indizi che Rizzo ha voluto indicare, nel suo intervento. A partire dal fatto che al primo non piaceva il design dell’hashcash, ovvero la base utilizzata da Satoshi per la costruzione di Bitcoin. L’editore di Bitcoin Magazine ha al proposito condiviso un’e-mail del 2001, in cui Finney descriveva l’hashcash come “dissipazione della rendita in azione”. Per poi rincarare la dose sottolineando che non ha alcun senso economico la vendita di asset per hashcash.

Inoltre, Rizzo ha voluto sottolineare la maggiore preparazione tecnica di Finney, rispetto a Nakamoto. In appoggio alla sua tesi ha citato un’e-mail rilasciata dal crittografo britannico Adam Back, dalla quale emerge la carenza di competenze dell’inventore di BTC su aspetti come il B-money. Questioni su cui, al contrario, Finney era molto ferrato.

Infine, Rizzo ha aggiunto come a suo parere sia alquanto improbabile che Satoshi Nakamoto fosse uno scrittore o programmatore esperto, al contrario di Finney. A supporto di questa tesi ha condiviso una nota su un documento di e-cash Bitcoin P2P scritto dal secondo, impossibile da assimilare agli scritti di Nakamoto.

In definitiva, dalla fondatezza delle affermazioni di Rizzo ne deriverebbe un piccolo aiuto nel lavoro di ricerca di Satoshi Nakamoto. A renderlo possibile l’esclusione dalla lista dei candidati di Hal Finney. Cui si aggiunge quella di Craig Wright, l’ormai famoso Faketoshi, depennato da un tribunale del Regno Unito. Restano però tutti gli altri, e non sono pochi, indicati nel corso degli anni, per un motivo o per l’altro.

Il più grande fondo pensioni del mondo pensa a Bitcoin come investimento

Il Government Pension Investment Fund (GPIF) del Giappone, il fondo pensione governativo giapponese, ha dichiarato che sta richiedendo una serie di informazioni su “asset illiquidi” come Bitcoin, nell’ambito della ricerca su potenziali nuovi investimenti.

In pratica, gli analisti del fondo sono stati incaricati di dare vita ad una vera e propria istruttoria. Nel corso della quale si cercherà di capire se la creazione di Satoshi Nakamoto possa entrare a far parte, e in quale modo, del paniere di investimenti già esistente.

Come è facile comprendere, per BTC si tratta di una novità estremamente importante. Se sino a qualche anno fa era considerato un asset puramente speculativo, ormai da tempo è invece stato preso in considerazione dagli investitori istituzionali. L’entrata ufficiale in un fondo pensione, però, rappresenterebbe un fatto di grande importanza, a livello di immagine.

Bitcoin: il più grande fondo pensione del mondo ne esplora l’opportunità di investimento

Il Government Pension Investment Fund (GPIF) del Giappone, il più grande fondo pensione al mondo per patrimonio gestito in diverse classifiche, ha affermato di essere alla ricerca di “informazioni di base” su asset illiquidi differenti da quelli in cui già ora investe. Una categoria, quest’ultima, in cui vanno a rientrare azioni di grandi aziende nazionali ed estere, obbligazioni, infrastrutture, immobili e private equity. 

Ai fondi in questione, se ne potrebbero presto andare ad aggiungere altri da dirottare su beni alternativi. Tra quelli che sono al momento in esame, sarebbero compresi le i terreni agricoli, le foreste l’oro fisico e quello digitale, BTC appunto. L’esame riguarda non soltanto le potenzialità e i rischi connessi al bene, ma anche le modalità con cui questo potrebbe entrare a far parte del portafoglio dei fondi pensione.

All’atto pratico, non esiste al momento alcuna indicazione che GPIF deciderà di investire in Bitcoin o altro genere di criptovalute. Al tempo stesso, il fatto che di una ipotesi di questo genere si parli, fa capire come siano passati secoli dalle invettive del mondo finanziario tradizionale.

Basti pensare come ancora nel 2021 Jamie Dimon, numero uno di JPMorgan Chase, affermasse che l’icona crypto è praticamente senza valore. Una affermazione rilasciata durante un evento dell’Institute of International Finance abbastanza dura, ma in linea con quelle di altri personaggi analoghi. Molto più sfumata, del resto, rispetto a quella rilasciata pochi fa, quando lo stesso Dimon ha affermato che se fosse un governante vieterebbe le criptovalute.

Un momento molto particolare

La dichiarazione di GPIF arriva in un momento molto particolare per BTC. La regina delle criptovalute, infatti, dopo aver raggiunto pochi giorni fa il suo nuovo massimo storico, ha lasciato sul terreno il 5,53% in poche ore. Al momento la sua quotazione è intorno ai 63.690 dollari e deve far fronte alla logica voglia di realizzo di molti trader.

Affermare che potrebbe crollare sembra abbastanza esagerato, ma intanto è da registrare un momento abbastanza complicato del suo rapporto con il mercato. Quello che sembra evidente è che proprio dall’accettazione di investitori come i fondi pensione potrebbe dipendere il suo futuro.

I fondi pensione sono sempre stati molto cauti nel rapporto con gli asset digitali. Il motivo di questo approccio è da ricercare nella ormai proverbiale volatilità che caratterizza Bitcoin e Altcoin. Una natura che, però, è stata accettata da alcuni di loro, a partire dal National Pension Service della Corea del Sud. Il fondo ha infatti deciso lo scorso anno di acquistare azioni di Coinbase, l’exchange di criptovalute guidato da Brian Armstrong.

Lo stesso Giappone sta a sua volta rivedendo i rapporti con l’innovazione finanziaria. Nel passato mese di febbraio, infatti, il governo di Tokio ha presentato un progetto di legge che, qualora venisse approvato, permetterebbe ai fondi di investimento di detenere asset digitali.

Bitcoin, l’azione degli ETF potrebbe presto creare una crisi, impedendo la soddisfazione della domanda

Ben presto si potrebbe verificare una crisi di liquidità sul lato della vendita di Bitcoin. Ad affermarlo è Ki Young Ju, fondatore e CEO della piattaforma di analisi on-chain CryptoQuant, il quale pronostica questo evento entro sei mesi. Alla base del suo pronostico c’è il ritmo degli afflussi istituzionali, nel caso in cui proseguissero con l’andatura odierna.

Per capire meglio, occorre sottolineare come, secondo gli operatori del settore, l’allocazione in BTC da parte degli investitori istituzionali abbia appena avuto inizio. Gli ETF spot dedicati all’icona crypto già detengono circa 30 miliardi di dollari, un dato tale da farne il lancio accolto da maggior successo nella storia della finanza. Nonostante ciò, potrebbe essere soltanto l’antipasto.

Presto non ci saranno più Bitcoin in grado di soddisfare la domanda

Entro i prossimi sei mesi, quindi intorno a settembre, si potrebbe verificare una crisi dell’offerta di Bitcoin. Ove la tendenza instaurata dagli ETF spot proseguisse coi ritmi odierni, verrebbe a mancare proprio la materia prima su cui investire.

La conseguenza di questa tendenza è abbastanza prevedibile e ci ha pensato lo stesso Ki Young Ju a ricordarla: “I ribassisti non potranno vincere questa partita finché non si fermerà l’afflusso di ETF spot su Bitcoin”.

In base ai dati disponibili, nel corso di questa settimana i fondi avrebbero rastrellato oltre 30mila token. Al momento ci sarebbero circa tre milioni di BTC nei portafogli elettronici di minatori e scambi di criptovaluta. A fronte di questi dati non è azzardato pensare ad un vero e proprio shock dei prezzi. A indurlo sarebbe proprio la dinamica dell’offerta.

Grayscale va in controtendenza

I dati relativi alla detenzione di token da parte di exchange e miners sembrano non lasciare dubbi: entro un semestre si verificherà una vera e propria crisi di liquidità sul lato della vendita.

Nel quadro che si va prefigurando, è comunque da sottolineare il comportamento in controtendenza di Grayscale Bitcoin Trust (GBTC), che sta vendendo non meno di mezzo miliardo di dollari di Bitcoin ogni 24 ore. Tutto ciò senza che il valore in dollari detenuto dal fondo sia diminuito in alcun modo. A renderlo possibile proprio il continuo rialzo della quotazione della regina crypto. A rilevarlo è stato un popolare opinionista del settore, WhalePanda, in un post pubblicato su X.

Naturalmente, quanto sta accadendo spinge molti a chiedersi quali saranno le conseguenze sul prezzo di BTC. A partire proprio dal fondatore di CryptoQuant, secondo il quale potrebbero essere ancora più rilevanti di quanto si pensa al momento. Le sue parole in tal senso sono abbastanza chiare: “Una volta sopraggiunta la crisi di liquidità sul lato vendita, il prossimo top ciclico potrebbe superare le nostre aspettative, a causa della limitata liquidità e dell’esiguità dell’order book”.

La previsione di AllianceBernstein

Proprio per quanto riguarda le previsioni, è da rilevare l’ultima arrivata in ordine temporale. Si tratta di quella formulata dagli analisti della società di investimento globale AllianceBernstein all’interno di una nota emessa nella giornata di lunedì.

Al suo interno l’azienda ha affermato che l’enorme volume di liquidità il quale continua ad affluire negli ETF spot appena approvati, è la migliore garanzia sulla crescita del prezzo di BTC. Tanto da spingere gli stessi analisti ad affermare che la previsione sul conseguimento dei 150mila dollari entro il 2025 potrebbe verificarsi più facilmente del previsto.

“Siamo ancora agli inizi dell’integrazione di Bitcoin nei portafogli di asset tradizionali”: questo il commento di Gautam Chhugani e Mahika Sapra su quanto sta accadendo. Per poi proseguire in questo modo: “Abbiamo stimato afflussi di 10 miliardi di dollari per il 2024 e altri 60 miliardi di dollari per il 2025. Negli ultimi 40 giorni di negoziazione dal lancio dell’ETF avvenuto il 10 gennaio, gli afflussi di ETF Bitcoin hanno già superato i 9,5 miliardi di dollari.”

C’è poi un altro dato da mettere in rilievo: Bernstein ha continuato sostenendo che i fondi di investimento pensionistici, le banche private e i tradizionali pool di capitale, come i titoli sovrani, non hanno ancora esposizione negli ETF. Quando decideranno di sfruttare questo strumento, il prezzo di BTC ne trarrà ulteriore giovamento.

Bitcoin, le balene non vendono, nuovi record in vista?

Nonostante la forte crescita del prezzo, sembra proprio che le balene di Bitcoin non abbiano al momento alcuna intenzione di vendere. Stando ai dati fatti registrare il 7 marzo, ammonta a 2.104 il numero di indirizzi che sono in possesso di almeno mille BTC. Un numero in crescita, anche se ancora inferiore al record del 2021, quando il prezzo dell’icona crypto era attestato a quota 46mila dollari.

Secondo alcuni analisti, tale aumento potrebbe essere ricondotto al ruolo assunto dagli Exchange Traded Fund spot. Il 4 marzo, infatti, gli ETF Bitcoin hanno oltrepassato la soglia dei 52,5 miliardi di dollari, in termini di trading cumulativo.

Perché le balene non vendono Bitcoin?

In un post su X (ex Twitter) pubblicato il 7 Marzo, Julio Moreno, responsabile della ricerca presso la società di intelligence on-chain CryptoQuant, ha affermato: “La crescita delle quote Bitcoin detenute dalle whale sta diventando parabolica.” Un’affermazione supportata del resto dai dati di Glassnode.

Un trend che si verifica in contemporanea con la modesta impennata dei trasferimenti dalle balene agli scambi. Si è verificata in questo caso appena una modesta crescita, se rapportata a quella dei precedenti periodi di forte crescita o calo del mercato.

Dall’analisi delle metriche, risulta come sia in atto un forte afflusso di nuovi investitori. Nonostante ciò, le whale non sembrano intenzionate per il momento ad abbandonare le posizioni prese.

Naturalmente in molti si chiedono il motivo per il quale le balene non siano propense a vendere a questi livelli di prezzo. La risposta è in fondo abbastanza semplice: si attendono un ulteriore forte aumento di prezzo nel corso delle prossime settimane.

Una speranza che, del resto, non sembra campata in aria. Se l’approvazione degli ETF Spot su BTC sta già esercitando la sua influenza, quella del quarto halving è soltanto all’inizio. Se è vero che molti investitori cercano l’icona crypto preventivando la crescita con l’approssimarsi dell’evento, l’onda di piena è previsto per i momenti successivi al dimezzamento delle ricompense spettanti ai minatori.

Anche qui, il motivo è facilmente ravvisabile: dopo l’evento il ritmo di estrazione dei nuovi token è destinato a calare, dando luogo ad una spirale deflazionistica. Questo è il primo dato di fatto con cui i mercati dovranno fare i conti. Ma non il solo.

Il Bitcoin sta diventando sempre più raro, sul mercato

Uno dei dati di cui si è parlato poco, sin qui, è quello relativo al fatto che è sempre più raro riuscire a reperire Bitcoin sul mercato, se non sui canali di vendita maggiori. Più di un esperto di crypto lo ha messo in rilievo, ma questo dato è stato sinora scarsamente citato, quando si cerca di capire il motivo per cui il prezzo di BTC continui a crescere a ritmi intensivi.

Ad aggravare questa penuria sono stati gli ETF spot, che negli Stati Uniti trainano con forza la domanda. Basti pensare in tal senso al BlackRock iShares Bitcoin Trust, che il passato 5 marzo ha fatto registrare il suo massimo afflusso giornaliero, conseguendo 778 milioni di dollari.

Naturalmente, a fronte del comportamento anomalo delle balene, più di un investitore ha iniziato a interrogarsi su dove potrebbe arrivare a questo punto Bitcoin. Se la vecchia previsione di John McAfee, che prevedeva lo sfondamento di quota un milione di dollari, è da considerare una sorta di boutade, quelle che indicavano la quota di 100mila sono invece sempre più attuali.

Una quota che è del resto stata indicata con chiarezza da Standard Chartered. È stato il responsabile della ricerca sugli asset digitali della società, Geoff Kendrick, a formulare il pronostico, quasi un anno fa. Se qualcuno pensava ad un’esagerazione, quanto sta accadendo in questi giorni ha riportato in auge le sue parole.

Bitcoin ha sfondato per la prima volta quota 70mila dollari

Pochi giorni dopo aver superato il prezzo record del 2021, il Bitcoin è salito ancora di più all’inizio della giornata di ieri, nel corso della quale ha non solo stabilito un nuovo massimo storico, ma anche sfondato per la prima volta la soglia dei 70mila dollari. Il precedente record era di 69.324 dollari, ma con questi ritmi di crescita è destinato probabilmente a diventare un pallido ricordo.

Nonostante il nuovo crollo fatto registrare nelle ore successive, con la discesa fisiologica che segue eventi di questo genere e la rapida ripresa che ha ricondotto il token sopra quota 68mila, il dato ha naturalmente spinto l’opinione pubblica a chiedersi cosa potrebbe accadere nei prossimi giorni. Soprattutto alla luce dell’influsso che l’approssimarsi dell’halving sembra già iniziare a riverberare sulla sua quotazione, oltre che sul mercato crypto in genere.

Bitcoin, la febbre continua a salire

Bitcoin, la principale criptovaluta per capitalizzazione di mercato, nella giornata di ieri è salita fino a 70.099 dollari, almeno stando ai dati di Coinbase. È quindi aumentato del 4% nell’arco delle 24 ore, prima di flettere in maniera vistosa. Una flessione causata con ogni probabilità alla voglia di realizzo di molti trader, poi superata da una rapida stabilizzazione del prezzo.

Una giornata quindi molto contrastata, come è ormai abitudine per l’icona crypto, tale da ricalcare quella di martedì, in cui BTC è stato costantemente sulle montagne russe. Ennesima riprova della volatilità delle criptovalute e della necessità di avere nervi saldi per padroneggiarne il trading.

Una giornata la quale ha confermato l’attitudine alla crescita dell’icona inventata da Satoshi Nakamoto. In particolare, nel corso dell’ultimo mese BTC ha messo a segno un rialzo pari al 60%. Un dato che conferma quanto sostenuto da molti trader: con l’approssimarsi del dimezzamento delle ricompense spettanti ai miners, il suo prezzo potrebbe crescere in maniera clamorosa. Innescando una ricaduta positiva sull’intero mercato, come del resto già sta avvenendo. Tra i token che se ne stanno avvantaggiando maggiormente, le meme coin e i progetti incentrati sull’intelligenza artificiale.

Quali i fattori della nuova impennata?

Gli ultimi trenta giorni di Bitcoin sono stati definiti “mostruosi” da più di un osservatore. A ragione, peraltro, considerato ora lo sfondamento dei 70mila dollari. Se gli analisti di JPMorgan avevano sostenuto di recente in un loro rapporto che la grande corsa prevista per l’halving è già avvenuta, i fatti si stanno incaricando di smentire tale ipotesi.

Con ogni probabilità proprio il concatenarsi tra le attese per l’evento e l’esordio degli Exchange Traded Funds spot dopo l’approvazione della Securities and Exchange Commission (SEC) degli Stati Uniti sta facendo da detonatore per il surriscaldamento del prezzo.

Molti, in queste ore, stanno indicando proprio gli ETF come i principali protagonisti in tal senso. I fondi stanno infatti acquistando token, aumentandone la rarità, con ovvie ricadute sul prezzo. Un dato di fatto esplicitato da alcuni esponenti di spicco della scena crypto, i quali hanno messo in rilievo come ormai non si trovino più Bitcoin al di fuori di alcuni grandi canali di vendita.

Un trend il quale sembra del resto destinato ad aggravarsi. Gli halving, infatti, sono progettati proprio al fine di spingere i minatori a produrre meno blocchi. Un congegno deflattivo tale da rendere sempre più raro il coin, con ovvie ricadute in termini di prezzo. Tale da farsi sentire sia prima dell’halving, in termini di attesa, che dopo, sotto forma di realtà nuda e cruda.

Proprio per questo motivo dopo i precedenti tre eventi di dimezzamento la quotazione di Bitcoin è cresciuta in maniera esponenziale. Una tendenza la quale dovrebbe senz’altro ripetersi dopo il quarto. Tanto da spingere alcuni evangelisti di BTC a proporre previsioni che, al momento, sembrano fantascientifiche.

ETF Bitcoin potrebbero essere aggiunti ai portafogli pensionistici statali in Arizona

Aggiungere gli ETF Bitcoin al portafoglio statale dei piani pensionistici per i dipendenti pubblici: questa è la proposta di legge all’esame del Senato dello Stato dell’Arizona. A presentarla risoluzione sono stati i senatori Jake Hoffman e Warren Petersen, in concorso con il deputato Joseph Chaplick.

Si tratta di una risoluzione non vincolante, tale però da testimoniare il sempre più forte interesse non solo del mercato nei confronti di Bitcoin e degli ETF spot da poco approvati dalla Securities and Exchange Commission degli Stati Uniti.

ETF Bitcoin nei piani pensionistici dell’Arizona: quali le implicazioni?

La risoluzione allo studio del Senato dell’Arizona attesta come ormai il Bitcoin rappresenti una realtà difficile da ignorare. La capitalizzazione di mercato dell’icona crypto viaggia oltre 1,3 trilioni di dollari e gli ETF spot stanno calamitando l’interesse di un gran numero di investitori.

L’Arizona dispone di piani pensionistici che già includono altri asset di elevato valore come l’oro e l’argento sotto forma di ETF, come afferma la risoluzione. Perché non aggiungere quello che ormai da più parti è indicato come oro digitale? All’interno della proposta viene peraltro ricordato come il governo federale detenga circa 200mila BTC. Un dato di cui dovrebbero tenere conto i sistemi pensionistici dell’Arizona, i quali hanno l’obbligo di soddisfare gli interessi dei propri membri.

Peraltro, nonostante il documento concentri la sua attenzione sulla creazione di Satoshi Nakamoto, non viene chiusa la porta ad altri ETF. La risoluzione, infatti, afferma testualmente: “È importante che il sistema pensionistico statale dell’Arizona e il sistema pensionistico del personale di pubblica sicurezza collaborino con l’ufficio del tesoriere dello stato per valutare i potenziali rischi e benefici dell’investimento in Bitcoin e ETF su asset digitali, dato il panorama normativo in evoluzione e la crescente capitalizzazione di mercato.”

Una disponibilità del tutto logica, alla luce dell’approssimarsi della decisione SEC sugli ETF Ethereum. Attesa per la metà di maggio potrebbe essere posticipata, restando comunque un’ipotesi concreta per il futuro.

Quali sono i vantaggi dell’inclusione di BTC nei piani pensionistici?

La proposta di legge presentata in Arizona è destinata a suscitare discussione, considerata l’avversione di una parte del mondo politico nei confronti delle criptovalute. E, soprattutto, di una volatilità che sembra l’esatto contrario della stabilità cui dovrebbe tendere un sistema pensionistico.

Tra coloro che non sembrano avere dubbi sulla bontà della proposta c’è Anthony Pompliano, noto sostenitore degli asset digitali. Proprio lui da quattro anni sostiene la necessità di includere le criptovalute nei piani pensionistici, in genere.

Una decisione in tal senso, stando almeno al suo parere, comporterebbe notevoli vantaggi per gli interessati. Pompliano ha preso la palla al balzo per ricordare su X quanto sostenuto all’epoca, ovvero che ogni fondo pensione dovrebbe destinare l’1% dei propri asset all’acquisto di Bitcoin. Basterebbe questo livello di esposizione per avere un impatto materiale positivo sui loro bilanci.

Pompliano ha poi affermato che se nel 2018 ogni fondo pensionistico statale avesse seguito tale politica, oggi sarebbero ben 14 di essi interamente finanziati, invece dei soli quattro esistenti. Ha poi aggiunto: “Non possiamo cambiare ciò che è già successo, quindi dobbiamo guardare avanti. Molte persone sostengono che i fondi pensione non dovrebbero acquistare Bitcoin oggi perché i rendimenti sono già stati catturati. Non sono d’accordo con questa corrente di pensiero.

Una discussione destinata a intensificarsi

Quanto ricordato da Pompliano fa capire come l’atmosfera intorno a BTC stia mutando in maniera significativa. Quando lanciò la sua proposta, non si ebbero grandi reazioni o discussioni. Ora, invece, la proposta di legge presentata in Arizona ha avuto una forte eco.

Un’accoglienza che deriva da un semplice fatto: l’esordio degli ETF spot sull’icona crypto ha testimoniato la grande attenzione della finanza tradizionale verso la criptosfera. Ormai le criptovalute sono viste come un’opportunità anche da chi, sino a qualche anno fa, non riusciva a nascondere la propria avversione nei loro confronti.

Un mutamento di atmosfera che può essere facilmente desunto dalle recenti dichiarazioni di Donald Trump. L’ex inquilino della Casa Bianca, dopo anni di evidente avversione, ha infatti dichiarato che stante la diffusione di BTC occorre cercare di conseguire un approccio in grado di tenerne conto.

Bitcoin prima sfonda quota 69mila euro e poi crolla, confermando la pericolosità delle criptovalute

Bitcoin ha dato nella giornata di ieri una notevole conferma della pericolosità dell’investimento in criptovaluta, soprattutto per chi non è abituato a questo genere di trading. Dopo essere salito alla cifra record di 69.325 dollari, superando il suo precedente picco raggiunto nel novembre 2021, il token è infatti crollato del 10%, generando un certo panico negli osservatori.

Un’ondata di volatilità che è stata cavalcata dai fondi che hanno lanciato gli ETF spot e dai molti trader che volevano realizzare, la quale però potrebbe proseguire nelle prossime ore. Storicamente, infatti, quando l’icona crypto raggiunge il massimo storico, i prezzi tendono a salire nei giorni successivi. Non resta che attendere le prossime ore per capire meglio, anche se già questa mattina BTC si sta avvicinando ai 67mila dollari.

Bitcoin sulle montagne russe

Per Bitcoin la giornata di ieri è stata una sorta di gita sulle montagne russe. Dopo aver ritoccato il suo massimo storico, raggiungendo i 69.325 dollari, ha infatti subito l’ondata di vendite dei trader giunti alla risoluzione di realizzare, calando nell’ordine del 10%.

In questa seconda fase il suo prezzo è crollato sino a 59.700 dollari, innescando liquidazioni a cascata. Tanto da eliminare più di un miliardo di dollari di posizioni in derivati ​​con leva. Secondo CoinGlass, circa 870 milioni di dollari delle posizioni liquidate in questa fase erano long, ovvero scommesse sull’aumento dei prezzi degli asset.

Le liquidazioni si verificano quando un exchange chiude una posizione di trading con leva a causa di una perdita, parziale o totale, del denaro iniziale del trader o del “margine” nel caso in cui l’interessato non dispone di fondi sufficienti per coprire le perdite. 

Quando i prezzi degli asset crollano, si può innescare una dinamica disastrosa. La cascata di liquidazioni che ne consegue, infatti, aggrava perdite e calo dei prezzi. Tanto che proprio in concomitanza con i principali eventi di liquidazione vengono realizzati massimi o un minimi per il prezzo dell’asset interessato.

Il flash crash su Coinbase

Proprio mentre Bitcoin raggiungeva il suo nuovo massimo storico, si è peraltro verificato un flash crash su Coinbase. All’improvviso, infatti, il token ha perso il 23,7% del suo valore rispetto all’euro sull’exchange, crollando a 48.529 euro da 60.000 euro, mentre su Kraken il prezzo è sceso solo a 58.400 euro. Il motivo dell’evento non è ancora stato chiarito e sono stati necessari dieci minuti per il ristabilimento della situazione, ovvero il ritorno del prezzo alla parità con gli altri scambi.

I flash crash sono eventi che possono verificarsi in corrispondenza di scenari particolari, come la mancanza di liquidità, oppure bugs di sistema, noti come “fat finger”. Di sicuro, per i trader che operavano al momento su Coinbase e cercavano di condurre in porto operazioni su BTC, non saranno stati dieci minuti piacevoli.

La pericolosità del trading crypto

I violenti movimenti del prezzo di Bitcoin nella giornata di ieri, non fanno che confermare un assunto, che troppi trader al dettaglio sembrano sottovalutare: le criptovalute sono un asset pericoloso da maneggiare. Soprattutto per chi è alle prime armi in questo particolare settore e non è abituato a convivere con lo stress derivante dal dover decidere in fretta.

Se molto spesso le cronache si soffermano sui clamorosi rally del prezzo della creazione di Satoshi Nakamoto, e sulle sue repentine cadute, dietro i numeri si cela una realtà abbastanza scomoda: a guadagnare non sono certo tutti i trader. Anzi, a farlo è soltanto una minoranza di loro, quelli che sanno padroneggiare le situazioni grazie all’esperienza.

La cosa realmente importante, in un’attività di questo genere è il saper prendere posizione per tempo. Molti investitori acquistano quando un token si trova nella sua fase ascensionale. Si fanno cioè travolgere dall’ansia di mancare l’occasione, ma quando lo fanno può essere troppo tardi. Inevitabilmente, infatti, ai picchi si susseguono le cadute del prezzo, in quanto molti vogliono realizzare il desiderato guadagno. Ecco perché questo genere di commercio dovrebbe essere ponderato con attenzione e non condotto in base alle emozioni del momento.

Bitcoin, sta sfondando gli argini, ora è oltre i 68mila dollari

La corsa di Bitcoin continua a ritmi folli, destinati a far sognare coloro che detengono il token. In questo momento BTC si trova a quota 66.591 dollari, stando ai dati di CoinMarketCap. Nella giornata di ieri, però, se si fa riferimento a quelli di Coin Metrics, la criptovaluta di punta è salita fino a 68.848,62 dollari, il livello più alto dal novembre del 2021. Tanto da trascinarsi dietro altri spezzoni di mercato, a partire dalle meme coin, che stanno crescendo a loro volta con grande intensità.

Una crescita destinata naturalmente a tramutarsi in euforia, soprattutto tra i criptofans. Tale però da destare qualche preoccupazione, con alcuni analisti che stanno consigliando prudenza. Con scarso successo, però.

Bitcoin: la bull è già iniziata?

Naturalmente, il nuovo rialzo della creazione di Satoshi Nakamoto ha spinto molti osservatori a chiedersi cosa stia effettivamente accadendo. Anche perché le modalità con cui sta avvenendo la corsa di BTC hanno assunto nuove sembianze, rispetto alla tradizione.

Un dato che è stato messo in rilievo da Antoni Trenchev, co-fondatore dell’exchange di criptovalute Nexo. Al proposito ha infatti affermato: “Con la nascita di questi nove nuovi ETF, i grandi movimenti ora tendono ad avvenire durante la normale settimana di negoziazione piuttosto che nei fine settimana.” Per poi aggiungere: “Quello che stiamo vedendo oggi, potrebbe essere una ripetizione di quanto accaduto all’inizio della scorsa settimana, quando il bitcoin è salito di 10mila dollari nell’arco di un paio di giorni. Ci troviamo in quel tipo di ambiente in cui un giorno o due di consolidamento laterale possono precedere un’azione esplosiva dei prezzi grazie alla domanda vorace di questi nuovi ETF spot.”

Quindi, secondo Trenchev a fare da detonante per l’esplosione del prezzo dell’icona crypto sarebbero proprio gli ETF approvati di recente dalla Securities and Exchange Commission degli Stati Uniti. Sono loro, con gli acquisti eseguiti, a sostenere la crescita di BTC.

Raffreddamento del prezzo? Non proprio

Occorre anche sottolineare come alcuni analisti, proprio in queste ore, stiano cercando di mettere in guardia gli investitori. Secondo loro, infatti, se nel breve termine la frenesia è destinata a proseguire, il prezzo di Bitcoin potrebbe raffreddarsi nelle prossime settimane. A prospettare tale ipotesi è il fatto che i margini di profitto non realizzati si stanno avvicinando a livelli estremi. Secondo CryptoQuant, il prezzo realizzato di Bitcoin è infatti pari a circa 42.700 dollari.

Contro questa ipotesi, però, si stanno muovendo altri fattori, che sembrano in effetti destinati sostenere BTC ancora a lungo. In particolare, gli investitori a lungo termine sono fiduciosi che la combinazione tra la crescente domanda di Bitcoin attraverso i nuovi ETF statunitensi e una riduzione dell’offerta prevista a seguito dell’ormai imminente halving, che potrebbe verificarsi nel mese di aprile, sia destinata a sospingere la regina delle criptovalute a nuovi massimi storici.

David Duong, responsabile della ricerca istituzionale all’interno di Coinbase, ha dal canto suo affermato che, nonostante marzo potrebbe essere un mese di crescita laterale per BTC, la criptovaluta sta beneficiando di un boom di produttività basato sull’intelligenza artificiale e sulla tecnologia blockchain. Un fattore che si ritiene destinato a durare.

Intanto il token continua a crescere

Mentre gli analisti si interrogano su cosa potrebbe accadere, Bitcoin prosegue la sua folle corsa. Tanto che in molti ritengono possa collezionare il suo nuovo massimo storico già molto prima dell’halving. Proprio il suo rally, peraltro, potrebbe rappresentare un fattore autopromozionale destinato a incidere sulla quotazione. I trader al dettaglio, infatti, potrebbero essere travolti dall’ansia di vedersi scappare la grande occasione e provare ad entrare massicciamente sul mercato.

Il concatenarsi di tutti questi fattori sembra destinato a favorire la corsa dell’icona crypto, a dispetto di alcuni rapporti, come quelli di JPMorgan, che cercano di mettere in guardia gli investitori. In questo momento, però, sembra abbastanza complicato spezzare la corrente di entusiasmo che si è creata.

Bitcoin, una balena detiene 3 miliardi di dollari in token

Le balene, whale in inglese, sono considerate molto importanti in ottica crypto. Ogni volta che si muovono su un determinato token ne comportano la crescita o la caduta significativa del prezzo. Proprio per questo sono sotto esame da parte degli strumenti di monitoraggio esistenti.

Nel corso degli ultimi giorni, l’attenzione generale si è concentrata su una di esse. Il motivo è da ricercare nel fatto che il suo indirizzo Bitcoin sta accumulando token, proprio mentre la regina delle criptovalute ha iniziato un’altra delle sue famose rincorse verso nuovi massimi storici. Di cosa si tratta?

Oltre 3 miliardi di dollari in Bitcoin su un solo portafogli

Secondo i dati di Bitinfocharts, un portafoglio contiene ora oltre 54.164 BTC, per un valore di circa 3,2 miliardi di dollari. Si tratta di un dato tale da collocare immediatamente il wallet in questione nella categoria delle “balene“, quella in cui siedono con tutta la propria ingombrante mole i possessori di un gran numero di uno specifico token.

Accumulando grandi quantità di criptovaluta, le balene attirano naturalmente l’attenzione generale. Gli altri investitori, almeno quelli più accorti e soliti non lasciare nulla al caso, sanno infatti che dalle loro mosse possono dipendere gli equilibri del mercato. Per seguirne l’evoluzione sono utilizzati alcuni strumenti appositi, ad esempio Twitter crypto, dagli investigatori della blockchain.

Tra i movimenti più rilevanti degli ultimi tempi, si sono segnalati in particolare i due registrati nel passato mese di aprile. Il primo ha visto un portafogli rimasto inattivo per ben 12 anni spostare 11 milioni di dollari in Bitcoin. Il secondo, ad una settimana di distanza e dopo un decennio di inattività, si è limitato ad otto milioni di dollari, sempre in BTC.

Maggiore scalpore ha poi destato scalpore la scoperta da parte degli analisti di un wallet contenente ben 450 milioni di dollari in Bitcoin. Ora, però, questa scoperta sembra destinata ad essere eclissata da quella relativa ad una balena da ben 3,2 miliardi di dollari.

Le ipotesi su Mr. 100

La balena da 3,2 miliardi di dollari è stata curiosamente indicata con un nome curioso: “Mr. 100“. Un nominativo giustificato dal fatto che solitamente i suoi movimenti sono per lo stesso identico quantitativo di token, 100, appunto.

Lo ha sottolineato Chris Martin, il direttore della ricerca di Amberdata. Ha infatti affermato al proposito: “Penso che sia interessante il fatto che generalmente abbia ricevuto lo stesso importo per ogni transazione, circa 100 BTC, nel corso della sua esistenza”. Per poi aggiungere di non essere ancora riuscito a capire il motivo della scelta, che potrebbe forse derivare da una limitazione della sua fonte di finanziamento.”

Lo stesso Martin ha poi affermato che dietro “Mr. 100”, potrebbe non esserci un singolo investitore. Tra le possibili ipotesi in tal senso, la sua riconducibilità ad una delle grandi banche che si muovono alle spalle dei numerosi ETF spot su Bitcoin approvati nel passato gennaio dalla Securities and Exchange Commission degli Stati Uniti.

Un’ipotesi che però Martin ritiene improbabile: “È sicuramente possibile, ma direi improbabile. Tutti gli ETF hanno condiviso pubblicamente i loro indirizzi, quindi sarebbe strano per me se non condividessero questo.” Lo ha affermato in una conversazione con Decrypt, in cui ha avanzato l’ipotesi di un fondo di investimento, tra i possibili detentori del wallet.

Non ci sarebbe il governo degli Stati Uniti, dietro il wallet in osservazione

Secondo Amberdata, il portafoglio sta accumulando Bitcoin dal novembre del 2022. Per farlo ha utilizzato come canali preferenziali Binance e KuCoin. Un dato il quale sembra scartare in partenza l’ipotesi che dietro la balena si celi il governo degli Stati Uniti. Governo che, da parte sua ha nel frattempo accumulato uno straordinario tesoro in Bitcoin, che al momento varrebbe ben 12 miliardi di dollari.

Ipotesi che comunque è destinata a restare sul tavolo, alla luce delle recenti dichiarazioni di Edward Snowden. Secondo l’ex analista, famoso per aver svelato lo spionaggio condotto da Stati Uniti e Regno Unito sui propri cittadini, un altro governo, oltre a quello salvadoregno, sta acquistando BTC.

Infine, richiesto di un parere sull’ipotesi che qualcuno stia caricando il wallet in vista dell’ormai imminente halving, Martin ha affermato di non crederci. Non resta quindi che attendere le prossime settimane, per capire qualcosa di più su quanto sta accadendo.

Bitcoin, in forte calo dopo l’halving, lo dicono gli analisti di JPMorgan

Con l’approssimarsi del quarto halving di Bitcoin, da considerare l’evento dell’anno in ambito crypto, l’attenzione dell’opinione pubblica è sempre più concentrata sul coin. Favorita anche dalla nuova corsa che ha portato la regina delle criptovalute a sfondare, anche se brevemente, quota 64mila dollari.

Nelle ore successive BTC ha ripiegato, attestandosi comunque a circa 62mila dollari, una base notevole in vista delle prossime settimane, che si preannunciano di fuoco. In queste ore, intanto, continuano a succedersi le previsioni su dove arriverà il suo prezzo. A tal proposito, è da registrare un’opinione difforme da quella della maggioranza.

JPMorgan: dopo l’halving il prezzo di Bitcoin calerà fortemente

A rilasciarla sono stati gli analisti di JPMorgan, guidati da Nikolaos Panigirtzoglou, i quali ritengono che l’icona crypto potrebbe subire un forte ribasso, dopo il tanto atteso halving, previsto tra la fine di marzo e il mese di maggio.

Contrariamente a quanto previsto da molti altri, una volta scattato il dimezzamento delle ricompense spettanti ai minatori per l’estrazione dei blocchi, BTC potrebbe calare sino a 42mila dollari. Una vera e propria picchiata, la quale innescherebbe reazioni negative per l’intero settore.

Il motivo che spinge gli analisti della banca statunitense a preconizzare questo crollo è da individuare nella riduzione di redditività dei miner. Aggiungendosi ai costi di estrazione più elevati porterebbero un certo numero di minatori fuori mercato. Ovvero quelli che hanno costi di mining più elevato.

Ne conseguirebbe infatti una riduzione del 20% in termini di hashrate sulla rete Bitcoin, per effetto dell’abbandono di molti impianti, quelli meno efficienti. Tale situazione condurrebbe i costi di mining a 42mila dollari, eccessivi per troppi.

Proprio l’abbandono di molti minatori, però, sembra andare in una direzione molto diversa dal calo preconizzato da JPMorgan. Secondo Zach Pandl, responsabile della ricerca presso Grayscale Investments, l’offerta di BTC è sempre più limitata, già al momento. Tanto che nelle ultime ore si sono rincorse indiscrezioni secondo le quali al di fuori dei mercati tradizionali non si troverebbero token in vendita.

Una dinamica la quale è destinata ad essere aggravata proprio dal quarto halving ormai alle porte. Proprio la situazione che si sta prefigurando sta ponendo le basi ideali per una nuova folle corsa della creazione di Satoshi Nakamoto. E ad aggravarla sarebbero proprio le condizioni ricordate dallo studio degli analisti di JPMorgan.

Gli esperti continuano a vaticinare un forte aumento di BTC

Zach Pandl è soltanto uno dei tanti esperti che si attendono una forte crescita del prezzo di BTC una volta scattato l’halving. Tra le previsioni che fanno sognare i possessori del coin si segnala nelle ultime ore Hunter Horsley, CEO di Bitwise. Secondo lui, infatti, Bitcoin è destinato a sfondare la soglia dei 250mila dollari prima di quanto previsto.

Secondo Alan Tardigrade, un noto trader, il token è destinato a superare i 130mila dollari entro la fine del 2024. Mentre per Charles Edwards, fondatore di Capriole Investments, fondo quantitativo su Bitcoin e asset digitali, le dinamiche in atto potrebbero condurre ad oltre 250 mila dollari per singola moneta il prezzo, entro il 2025. A suggerirlo quanto accaduto dopo il terzo halving, quello del 2020.

Tom Lee, socio dirigente di Fundstrat Global Advisors, è anche lui propenso a prevedere una forte crescita. Ha infatti dichiarato a CNBC che il Bitcoin potrebbe raggiungere i 150.000 dollari nei prossimi 12 mesi e quota 500.000 dollari in cinque anni.

Meno rutilanti, ma sempre positive le predizioni di Meltem Demirors, direttore strategico di CoinShares. Secondo lui, infatti, il token è destinato a sfondare la soglia psicologica dei 100mila dollari in breve.

Come si può notare, quindi, nel settore regna un grande ottimismo, tanto da fare di JPMorgan una voce largamente minoritaria. Ora, perciò, non resta che attendere qualche settimana per capire quale delle due scuole di pensiero avrà colto nel segno.

Bitcoin, il governo degli Stati Uniti detiene token per un valore pari a 12 miliardi di dollari

Sembra proprio che il nuovo rally di cui si è reso protagonista Bitcoin nel corso delle ore passate sia destinato a fare felice, tra gli altri, anche il governo degli Stati Uniti. Il motivo di questa affermazione è abbastanza semplice: le autorità preposte al contrasto verso la criminalità organizzata, nel corso degli ultimi anni hanno proceduto al sequestro di un gran numero di token. Talmente tanti che al momento, in base alle quotazioni raggiunte dall’icona crypto, il governo di Washington sarebbe seduto su un vero e proprio tesoro, pari a 12 miliardi di dollari.

Il nuovo rally di BTC fa felice il governo di Washington

Il governo americano possiede oltre 194mila Bitcoin. A rivelare il dato è stata la società di gestione patrimoniale 21.co su Dune, destando un certo clamore. In effetti già si sapeva che Washington ha sequestrato nel corso degli anni un gran numero di token. Non si sapeva però il totale, una lacuna che ora è stata definitivamente rimossa.

Un numero di coin il cui valore è andato incontro ad una enorme rivalutazione nel corso degli ultimi mesi. Se a settembre, infatti, le partecipazioni in BTC del governo statunitense valevano circa 5 miliardi di dollari, dopo le ripetute avanzate della creazione di Satoshi Nakamoto tale valore ha sfondato la soglia dei 12 miliardi.

In pratica, senza neanche doversi scomodare a fare trading e assumersi rischi in tal senso, il governo federale ha collezionato ben sette miliardi di profitti per la sola custodia dei token sequestrati. Quindi, potremmo concludere che la criminalità si sta rivelando un fattore positivo per il bilancio degli Stati Uniti.

Gli Stati Uniti sono all’atto pratico una delle balene Bitcoin

Per balene (whale in inglese), si intendono i grandi detentori di una determinata criptovaluta. Una categoria che , in definitiva, comprende anche il governo degli Stati Uniti. Lo stesso che, nel corso degli ultimi mesi ha più volte espresso una certa contrarietà nei confronti degli asset virtuali, in svariati modi.

Ad attestare questo dato di fatto è una semplice constatazione: Washington detiene al momento circa l’1% di tutti i token al momento in circolazione. Nella speciale classifica, il governo federale si troverebbe sul gradino più basso del podio. Soltanto l’exchange di criptovalute Binance e Satoshi Nakamoto, o chi per lui, possono vantarne un quantitativo maggiore.

Di tanto in tanto Washington provvede a vendere una parte dei token confiscati. Un annuncio in tal senso lo ha fatto ad esempio nel mese di gennaio, quando si è detto pronto a immettere sul mercato un quantitativo di Bitcoin per un importo pari a 117 milioni di dollari. Si tratta del tesoro confiscato a un narcotrafficante condannato il quale era solito condurre le sue operazioni su Silk Road, uno dei mercati attivi sul Dark Web. Si tratta però di poca cosa, alla luce dei dati ora noti.

Quali sono i criteri con cui il governo vende i token confiscati?

Se si sa che Washington periodicamente vende Bitcoin confiscati, non è però chiaro il criterio che ispira tali operazioni. Occorre in effetti capire se i funzionari governativi responsabili delle partecipazioni governative in criptovalute cerchino di massimizzare il valore della scorta svendendola nei momenti strategicamente opportuni, o meno.

Molti, però, nelle ore in cui BTC dava luogo all’ennesimo rally, che lo ha visto crescere dell’11% in un arco temporale limitato, non hanno potuto fare a meno di osservarne le mosse. Il governo statunitense, infatti, in concomitanza con il rally del token ha provveduto a spostare quasi 1 miliardo di dollari di BTC sequestrati associati all’hacking Bitfinex su un altro portafoglio contenente più fondi. A rivelarlo è stato Arkham Intelligence, destando la curiosità di molti.

Una curiosità che, del resto, sembra essere più che giustificata alla luce di quanto dichiarato da Edward Snowden. L’ex analista famoso per aver rivelato lo spionaggio condotto da Washington e Londra nei confronti dei propri cittadini, ha infatti affermato che presto si scoprirà come uno Stato stia acquistando Bitcoin, aggiungendosi a El Salvador, che lo fa ormai da tempo e alla luce del sole.

Molti hanno indicato proprio negli Stati Uniti il destinatario della rivelazione di Snowden. Non resta quindi che attendere le prossime settimane, per capire se sia vero e se gli acquisti non abbiano permesso a Washington di diventare la balena Bitcoin più grande in assoluto.