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Tag: Bitcoin

Bitcoin supera il primo miliardo di transazioni, a 15 anni dal suo debutto

A quindici anni di distanza dal suo debutto, Bitcoin ha superato il miliardo di transazioni elaborate. Un conteggio il quale è però incompleto, mancando all’appello le operazioni che sono state elaborate nel frattempo sul Lightning Network.

Un dato il quale può essere considerato storico e che arriva a poco meno di un mese dal quarto halving, l’evento che per mesi ha monopolizzato la discussione sulle criptovalute. Tale da testimoniare l’importanza raggiunta dalla blockchain regina nel lasso di tempo trascorso dal suo lancio.

Un miliardo di transazioni in quindici anni, per BTC

La miliardesima transazione elaborata sulla rete di Bitcoin è stata minata al blocco 842.241 alle 21:34 UTC del 5 maggio. Un traguardo varcato a quindici anni, quattro mesi e quattro giorni dall’estrazione del primo blocco da parte dell’ormai mitica figura del suo inventore, Satoshi Nakamoto.

Era infatti il 9 gennaio del 2009, quando il primo blocco iniziò una storia che ha assunto un rilievo sempre maggiore agli occhi dell’opinione pubblica. Come dimostra ampiamente l’attenzione con cui milioni di persone di ogni parte del globo hanno seguito le cronache relative al quarto halving, l’evento che avviene in pratica ogni quattro anni, sancendo il dimezzamento delle ricompense spettanti a coloro che praticano in mining di Bitcoin.

È comunque da sottolineare che il conteggio è limitato alle transazioni che avvengono sulla blockchain principale, escludendo di fatto quelle elaborate su Lightning Network, il layer 2 di Bitcoin. Un dato corrispondente giornalmente ad una media pari a 178.475 operazioni.

Bitcoin: come potrebbe essere il futuro?

Il conseguimento della miliardesima transazione arriva in un momento molto particolare, per la regina delle criptovalute. Se sino ad ora il token ha avuto una funzione puramente speculativa, o quasi, molti osservatori prevedono un suo prossimo allargamento alla finanza decentralizzata.

Un epilogo favorito in particolare dal lancio del nuovo standard Runes, avvenuto praticamente in contemporanea con il quarto halving. Il nuovo protocollo inventato da Casey Rodarmor, infatti, è destinato a sostituire lo standard BRC-20. Favorito in particolare dalla maggiore funzionalità, che ne sta facendo l’attore dominante sulla blockchain di Bitcoin, schiacciando anche gli Ordinals.

Una tendenza la quale, del resto, era stata ampiamente prefigurata in un recente rapporto elaborato dagli analisti di Franklin Templeton. Secondo loro, infatti, Runes potrebbe mettere BTC in aperta concorrenza con la Ethereum Virtual Machine e Solana. Ovvero con i due protocolli che sono al momento dominanti in ambito DeFi.

Ove ciò accadesse, per Bitcoin si aprirebbe in effetti una nuova era, aumentando a dismisura la sua posizione già dominante nel mercato criptovalutario. Non resta quindi che attendere sviluppi su questo nuovo fronte, che nessuno era stato in grado di prevedere, sino a qualche mese fa.

L’allarme lanciato da Scott Melker

Se Bitcoin sembra attraversare un ottimo momento, confermato dal ritorno a quota 65mila dollari di queste ore, dopo il calo dei giorni passati, occorre comunque sottolineare il pericolo che si va stagliando all’orizzonte.

A indicarlo è stato Scott Melker, il famoso trader noto come The Wolf of All Street. Secondo lui, infatti, le operazioni della Securities and Exchange Commission (SEC) contro le aziende criptovalutarie, sono propedeutiche al vero bersaglio, ovviamente BTC.

In pratica, secondo Melker, il governo statunitense starebbe aprendo la strada per fare in modo che il token possa essere commerciato solo tramite ETF. E, in considerazione del fatto che quello dominante è di Blackrock, il beneficiario sarebbe proprio il più grande fondo speculativo esistente al mondo.

In parole povere, sarebbe ormai alle porte l’attacco della SEC a Bitcoin. Teso non tanto a toglierlo di mezzo, ma a consegnarne il controllo ai soliti noti. Un’accusa che non sinora non è stata molto dibattuta, ma la quale potrebbe esserlo ove la previsione di Melker si rivelasse fondata.

Bitcoin, per le balene il suo deprezzamento si è rivelata una buona occasione per acquistare

Il deprezzamento di Bitcoin non rappresenta sempre un dramma, come appare dalle cronache relative all’icona crypto. Anzi, per alcuni può rivelarsi una notevole occasione di acquisto a prezzi sensibilmente più favorevoli.

Lo dimostra quanto accaduto nel corso delle ultime ore. Se, infatti, la discesa sino a 56.500 dollari di BTC ha provocato una catena di vendite, c’è stato anche chi ha invece deciso di acquistare. In particolare lo hanno fatto le cosiddette whale, balene in italiano. I grandi detentori di Bitcoin, infatti, hanno acquisito i token venduti per un quantitativo pari a 2,8 miliardi di dollari.

La correzione di Bitcoin potrebbe essere stata un affare, per le balene

La recente correzione del mercato di Bitcoin, che ha visto la criptovaluta regina arrivare sino ai 56.500 dollari, ha dato modo agli investitori di alto profilo per accumulare ulteriori BTC acquistando a prezzi molto più favorevoli di quelli fatti registrare pochi giorni fa.

A rivelarlo sono i dati condivisi da Ki Young Ju, il CEO di CryptoQuant. Dalla loro analisi si può infatti notare come le balene abbiano accumulato ben 47mila token, per un controvalore pari a oltre 2,8 miliardi di dollari al prezzo attuale, nel corso delle ultime 24 ore.

Un comportamento il quale segna la possibile apertura di una nuova era. In pratica, il fatto che le balene Bitcoin abbiano deciso di aumentare le proprie partecipazioni starebbe a indicare una crescente fiducia in un ulteriore apprezzamento di Bitcoin tra coloro che ne detengono grandi quantitativi. Una categoria in cui vanno inclusi anche gli investitori istituzionali.

Il fondatore di CryptoQuant ha peraltro rivelato che i wallet delle balene in questione sono per lo più di custodia, comprendendo quindi gli ETF. Chiarendo al contempo che questi acquisti non sono correlati agli Exchange Traded Funds approvati il passato 10 gennaio dalla SEC.

Dalle balene una conferma importante

Il comportamento delle balene è osservato con molta attenzione dagli analisti. Il motivo è in fondo semplice: sono proprio i grandi investitori a guidare solitamente il mercato. A meno che i trader al dettaglio, come è accaduto nel pump and dump di Gamestop, non provvedano a coalizzarsi e a muoversi di concerto.

Già una settimana fa le crypto whale erano state visionate con molta cura. Un’attenzione dalla quale era scaturito un dato ben preciso, ovvero la conservazione delle partecipazioni in BTC. In pratica, le balene non hanno venduto neanche quando le condizioni di tale operazione risultavano molto convenienti.

Ora, il dato che fuoriesce è quello relativo alle acquisizioni in atto da parte dei grandi investitori. Come ha fatto ad esempio la balena indicata come “Mr. 100”, che ha provveduto ad acquisire altri 4.100 BTC. Una spesa condotta al prezzo medio di 58mila dollari, per un totale superiore ai 242 milioni di dollari. Si è trattato in questo caso del primo acquisto dal 19 aprile, ovvero in prossimità del quarto halving di Bitcoin.

Intanto il prezzo di Bitcoin riprende a crescere

A giudicare da quanto sta accadendo in queste ore, con il prezzo dell’icona inventata da Satoshi Nakamoto di nuovo in crescita (al momento è attestata oltre i 63.700 dollari), per le balene potrebbe essere stato un buon affare.

Un affare il quale potrebbe diventare ancora migliore nel corso delle prossime settimane, quando potrebbero maturare alcuni fattori che sembrano destinati a rafforzare BTC. A partire dal progressivo inaridirsi delle riserve detenute all’interno degli exchange, che secondo Bybit dovrebbero terminare entro nove mesi o poco meno.

Nel frattempo, però, inizia a serpeggiare una certa inquietudine, tra i bitcoiners. Instillata dalle parole pronunciate da Scott Melker, trader noto come “The Wolf of All Street”, secondo il quale anche Bitcoin si troverà presto sotto attacco governativo. Un attacco il quale, secondo lui, avrebbe il compito di favorire gli ETF spot, in particolare quello di Blackrock. Accusa molto pesante e che sembra destinata a provocare una accesa discussione.

Bitcoin, secondo Scott Melker presto sarà attaccato dal governo degli Stati Uniti

Il Bitcoin potrebbe presto ritrovarsi sotto attacco da parte del governo statunitense. Ad affermarlo è Scott Melker, famoso investitore in criptovalute noto come “The Wolf of All Street”. Un attacco il quale, secondo lui, arriverà a prescindere dal fatto che l’icona crypto sia considerata una merce.

Una previsione la quale dovrebbe iniziare a preoccupare non poco gli stessi bitcoiners che, in maniera a dir poco miope, avevano esultato nel passato di fronte agli attacchi contro i token concorrenti. Un avvertimento che arriva al termine di un periodo che ha visto una lunga serie di attacchi all’innovazione finanziaria, condotti da Securities and Exchange Commission (SEC) e Department of Justice (DoJ). E i quali potrebbero essere solo l’antipasto alla madre di tutte le battaglie, quella contro BTC.

Scott Melker non ha dubbi: il governo USA si appresta ad attaccare Bitcoin

L’avvertimento è stato affidato da Scott Melker a X, l’ex Twitter controllato ora da Elon Musk. Un avvertimento che vanta il pregio dell’assoluta chiarezza e stigmatizza il passato atteggiamento dei fans di BTC: “Molti bicoiners hanno festeggiato gli attacchi alle cripto del governo degli USA, senza rendersi conto che gli stessi attacchi sarebbero alla fine arrivati anche per il Bitcoin, indipendentemente dal fatto che sia considerato una merce”.

Ne consegue, quindi, che il governo statunitense, e le agenzie federali, hanno sinora distinto tra merci e titoli soltanto per preparare la strada all’attacco finale alle criptovalute. Un attacco che sarebbe propedeutico al ristabilimento dello status quo finanziario. Per farlo, occorre semplicemente togliere di mezzo gli asset virtuali e tornare alla finanza tradizionale. O, al limite, farli proporre dai giganti della stessa.

A rafforzare il suo ragionamento, sono anche gli attacchi condotti da Federal Bureau Investigation (FBI), SEC, DoJ e Internal Revenue Service (IRS) contro l’autocustodia. Attacchi anche in questo caso finalizzati a sgombrare la strada da ogni intralcio, in vista dell’attacco contro BTC e innovazione finanziaria.

Il riferimento è in questo caso ai provvedimenti presi contro Tornado Cash e Samourai, due mixer di criptovaluta. Che si vanno a sommare all’arresto in Spagna di Roger Ver, accusato di frode postale, evasione fiscale e falsificazione delle dichiarazioni dei redditi.

Senza contare gli avvisi Wells recapitati a Ethereum Foundation, Consensys e Uniswap. Tutti accusati di aver offerto sul mercato titoli non registrati. Un provvedimento il quale ha provocato la decisa reazione di Consensys, che ha chiamato in giudizio Gary Gensler, presidente della SEC, per “sequestro illegale di autorità”.

La clamorosa accusa di Scott Melker al governo statunitense

Il pregio dell’attacco condotto da Scott Melker è da individuare nell’assoluta chiarezza. Secondo lui, infatti, tutti gli attacchi condotti nel corso degli ultimi mesi a danno di attori della scena crypto hanno un solo e semplice obiettivo: avvantaggiare ben determinati ed estremamente potenti, settori.

In pratica, secondo Melker, il governo di Washington sta portando acqua al mulino di un ben preciso soggetto, l’onnipotente fondo BlackRock. Tanto da affermare, senza tanti infingimenti: “Sta diventando chiaro: se vuoi possedere il Bitcoin negli Stati Uniti, il governo esige che sia sotto forma di un ETF di Blackrock.”

Il riferimento è naturalmente agli Exchange Traded Funds approvati il 10 gennaio passato dalla SEC. Un evento che ha fatto da detonatore alla crescita del prezzo di Bitcoin. Crescita che, di conseguenza, andrebbe ad avvantaggiare soprattutto Blackrock, il fondo speculativo indicato da parte dell’opinione pubblica alla stregua di un pericolo.

Basta in effetti leggere il titolo di un articolo del Corriere della Sera risalente al 2018, per capire meglio la sua potenza di fuoco: “Cos’è davvero Blackrock: la roccia invisibile che governa il mondo”. Una definizione con tutta evidenza condivisa da Melker, che ravvisa nel fondo speculativo un pericolo per la stessa democrazia finanziaria.

Bitcoin, i dati sull’occupazione negli Stati Uniti lo riportano sopra i 63mila dollari

C’era molta attesa sulla pubblicazione del rapporto relativo ai dati sull’occupazione negli Stati Uniti. Il rapporto in questione, Nonfarm Payrolls, è stato infine pubblicato provocando reazioni molto significative nel settore crypto.

I dati riportati al suo interno, infatti, affermano che il tasso di disoccupazione dovrebbe salire nel mese di aprile al 3,9%. Un decimale in più rispetto al 3,8% che era invece previsto dal governo statunitense. Secondo gli analisti, proprio tale aumento previsionale potrebbe spingere la Federal Reserve a operare una riduzione dei tassi di interesse. Una mossa la quale si tradurrebbe in una maggiore propensione all’investimento su asset rischiosi, un novero che comprende anche Bitcoin e criptovalute in genere.

Bitcoin, il rapporto sulla disoccupazione ne sospinge la quotazione

Sin dalla prima ora successiva alla pubblicazione del Nonfarm Payrolls, Bitcoin è tornato a crescere, superando la soglia dei 61mila dollari. Un trend che è poi proseguito, tanto che al momento BTC ha superato agevolmente anche i 63mila dollari.

Un nuovo balzo in avanti che va praticamente a cancellare, o quasi, una settimana estremamente complicata per l’icona crypto. Nel corso della quale il suo prezzo è calato sino a 57mila dollari, innescando forti preoccupazioni in tutta la criptosfera. Non è un mistero che tutti coloro che lavorano nell’innovazione finanziaria facciano il tifo per la creazione di Satoshi Nakamoto. Una sua corsa sfrenata, attesa in conseguenza dell’appena avvenuto quarto halving, potrebbe in effetti trascinare l’intero settore verso un vero e proprio Rinascimento.

Naturalmente, l’allarme non è ancora rientrato del tutto. Anche perché restano sul tappeto alcuni problemi di non poco conto, i quali potrebbero frenare gli entusiasmi dei trader. Tanto da spingere molti osservatori a rivalutare quanto affermato dagli analisti di JP Morgan, i primi in pratica ad affermare che la bull run di BTC non ci sarebbe stata. A renderla impossibile, secondo loro, il sovrapprezzamento del token nel corso dei mesi passati. Tale da erodere i margini per una ulteriore crescita del suo prezzo, almeno nel breve termine.

Mentre sulla lunga durata c’è da tenere in conto il previsto esaurimento delle riserve di Bitcoin presenti negli exchange centralizzati. Secondo Bybit si esauriranno entro nove mesi. Ove ciò avvenisse realmente, lo shock dal lato offerta sarebbe automatico, con conseguenze facilmente immaginabili.

Bitcoin: la situazione continua ad essere confusa

In effetti, la nuova inversione di cui è protagonista la criptovaluta regina conferma il quadro molto contrastato preventivato dagli osservatori più acuti. Tanto da spingere Standard Chartered a revisionare in maniera profonda le proprie indicazioni su BTC.

Se qualche settimana fa la più grande azienda finanziaria britannica aveva indicato la possibilità di una crescita di Bitcoin sino a 150mila dollari entro la fine di quest’anno, in un secondo studio pubblicato pochi giorni fa ha invece affermato che dopo aver toccato i 57mila dollari, la discesa non sarebbe ancora terminata. Indicando la possibilità di un atterraggio non proprio morbido in una forbice compresa tra i 50 e i 52mila dollari.

Un pronostico che sembra ora allontanarsi sullo sfondo, senza però svanire del tutto. In effetti ci sono alcuni dati da tenere presenti, per chi intende fare trading di Bitcoin. L’ultimo dei quali è quello relativo alla possibilità che ben presto possano essere riversati sul mercato i token restituiti ai creditori di Mt. Gox. Un quantitativo pari a oltre 9 miliardi di dollari i quali rappresentano al momento la classica mina vagante.

I creditori, infatti, attendono di essere risarciti ormai da dieci anni. Non è azzardato pensare che appena tornati in possesso dei propri coin possano decidere di approfittare di un prezzo ancora molto alto, per rientrare dei soldi investiti. Ove si verificassero vendite massicce, tornerebbe ad affacciarsi lo spettro evocato da Standard Chartered.

Bitcoin a 57mila dollari, ma secondo Standard Chartered la discesa non è ancora terminata

Il Bitcoin è letteralmente crollato nel corso delle ultime ore, sino a lambire quota 56mila dollari, per risalire leggermente oltre gli attuali 57mila. Secondo Standard Chartered, però, la discesa potrebbe essere tutt’altro che alla fine. Anzi, secondo gli analisti della principale società finanziaria britannica, il token potrebbe addirittura toccare i 50mila dollari, nel corso dei prossimi giorni. Un trend che desta non poche preoccupazioni nell’intera criptosfera, in quanto potrebbe innescare conseguenze negative a catena.

Standard Chartered: la discesa di BTC non è ancora all’epilogo

In una nota pubblicata da poche ore, Geoffrey Kendrick, ricercatore di asset digitali presso Standard Chartered ha affermato che “il contesto macroeconomico più ampio si è deteriorato per asset come le criptovalute che prosperano sulla liquidità”. Per poi aggiungere che la rottura di Bitcoin sotto i 60mila dollari ha ora riaperto la strada verso la fascia tra i 50 e i 52mila dollari.

Si tratta di una vera e propria inversione a U, per la società britannica. Il mese passato, infatti, aveva pubblicato un rapporto in cui si affermava che Bitcoin si avviava verso i 150mila dollari di quotazione. Un prezzo che si riteneva possibile entro la fine dell’anno. Naturalmente la correzione attuale potrebbe essere un semplice incidente di percorso, ma al momento sembra abbastanza complicato pensare ad una crescita nei termini enunciati all’interno del primo studio.

Tra le cause di quanto sta accadendo, Kendrik e la squadra da lui guidata hanno indicato i provvedimenti presi dalla Federal Reserve. L’annuncio sull’intenzione di mantenere alti i tassi di interesse, infatti, ha spaventato gli investitori allontanandoli da asset ancora giudicati rischiosi, a partire proprio da Bitcoin.

Torna d’attualità la previsione di JP Morgan

La forte flessione delle ultime ore, ha riportato in auge un altro rapporto, quello pubblicato da JP Morgan. Gli analisti della banca d’affari statunitense, infatti, avevano affermato qualche settimana fa che la bull run di Bitcoin era tutt’altro che scontata. Anzi, a loro detta c’era da attendersi una discesa del suo prezzo, nei momenti successivi al quarto halving.

Il motivo di tale previsione era stato indicato nel fatto che l’icona crypto aveva già corso a perdifiato nei mesi precedenti. Tanto da risultare già sovraprezzata, erodendo in tal modo i margini di manovra per una ulteriore crescita.

Parole che erano state accolte con un certo scetticismo dai criptofans, ma che ora sembrano destinate a tornare d’attualità. Naturalmente, ciò non vuol dire che una crescita della quotazione di BTC nei prossimi mesi sia da escludere, ma semplicemente che si dovranno formare nuovi condizioni per favorirla.

Una situazione molto fluida

Al di là delle sicurezze di sostenitori e detrattori del token inventato da Satoshi Nakamoto, si può affermare che la situazione continua ad essere molto fluida. Se in queste ore BTC sta cedendo in maniera preoccupante, restano in piedi alcuni fattori che sembrano destinati a fare da propellente per una prossima esplosione del suo prezzo.

Il primo dei quali è rappresentato dal fatto che le riserve di Bitcoin disponibili negli exchange si stanno ormai prosciugando. Secondo Bybit basteranno altri nove mesi per vederle praticamente a secco. Il tutto mentre si assiste alla resa di alcune aziende minerarie, di fronte agli effetti del dimezzamento delle ricompense previste per il mining.

Alcune di loro, non avendo più un ritorno adeguato per gli investimenti effettuati, stanno peraltro già spostandosi verso l’intelligenza artificiale. Con la conseguenza che il ritmo di estrazione potrebbe diminuire, contribuendo allo shock dell’offerta prevista da Bybit.

Sull’altro piatto della bilancia, però, occorre mettere l’ormai imminente rilascio dei rimborsi agli ex clienti di Mt. Gox, l’exchange fallito nel 2014. Si tratta di ben nove miliardi e mezzo di dollari, in BTC, i quali potrebbero finire ben presto sul mercato. Ove ciò avvenisse, la correzione dello stesso potrebbe essere anche più vistosa di quella registrata in queste ore.

Runecoin, la quotazione su OKX ne sospinge il prezzo al massimo storico

È bastato l’annuncio dell’ingresso nelle contrattazioni di OKX per spingere Runecoin, un token coniato utilizzando il nuovo protocollo Runes e associato all’importante collezione RSIC Metaprotocol Ordinals, verso il suo nuovo massimo storico.

Un record raggiunto nel corso della notte, poco prima dell’esordio ufficiale sull’exchange centralizzato, coronato da una campagna a premi di 24 ore. Nel corso della stessa gli utenti interessati possono guadagnare una quota di token puntando i loro Bitcoin sulla piattaforma dello scambio. Runecoin sarà il primo token Runes elencato dall’exchange centralizzato, anche se già il mercato Web3 peer-to-peer di OKX supporta Runes.

Runecoin: cosa sta accadendo

Dopo l’annuncio di OKX, il prezzo di Runecoin è balzato al nuovo massimo storico di 29 satoshi, ovvero poco meno di 0,02 dollari per token. Considerato come la sua offerta totale sia attestata a quota 21 miliardi di esemplari, la capitalizzazione di mercato è quindi schizzata verso l’alto. Anche se per effetto di una successiva correzione a 24 satoshi, è scesa a 316 milioni di dollari. Tra i token coniati con il nuovo protocollo Runes risulta il più scambiato nel corso delle ultime 24 ore, non solo su OKX, ma anche su Magic Eden.

OKX, a sua volta, sta offrendo l’1,75% della fornitura totale, ovvero 367 milioni e mezzo di token, nell’ambito della campagna di premi di un giorno. I clienti che vi prenderanno parte, potranno quindi assicurarsene una quota prima dell’inizio ufficiale delle negoziazioni sull’exchange.

La campagna “Jumpstart” di OKX è congegnata allo stesso modo di quelle che avvengono periodicamente sul Launchpool di Binance. In pratica, permettono ai nuovi arrivi di essere presentati in pompa magna ai trader, i quali possono a loro volta acquistarli a prezzi di favore.

Runes è sempre più sulla cresta dell’onda

Il lancio del protocollo Runes è avvenuto il 19 aprile in concomitanza con l’ultimo halving di Bitcoin, il quarto della serie. È stato espressamente ideato da Casey Rodarmor, già noto per la creazione di un altro protocollo Bitcoin, Ordinals, per consentire le creazione di token fungibili, spesso sotto forma di meme coin, sulla blockchain più logeva.

In buona sostanza, la sua creazione risponde all’esigenza di andare a sostituire BRC-20, lo standard sperimentale costruito su Ordinals. Si tratta infatti di una versione che, non soltanto a detta del suo ideatore, è più funzionale rispetto alla precedente. Tanto da essere stato adottato da molti exchange centralizzati (CEX).

In particolare lo hanno fatto prima Gate.io e poi OKX. Un listing, quello avvenuto su quest’ultimo salutato con grande entusiasmo da Runecoin. Sulla pagina X del progetto, è infatti comparso il seguente post: “Si tratta di un risultato monumentale, che segna la prima quotazione di una runa Bitcoin su uno scambio leader. Questo enorme passo è in linea con la missione di Runecoin di avviare l’adozione, l’educazione e l’innovazione di Ordinals, Runes e Bitcoin.” Per poi aggiungere: “Questa non è solo una pietra miliare per la nostra comunità, ma un significativo passo avanti per l’intero ecosistema Runes.”

Runecoin, c’è molta attesa per capirne l’esito

Per quanto concerne Runecoin, fa parte di RSIC Metaprotocol, una raccolta di 21mila iscrizioni di Ordinals simili a NFT rilasciate gratuitamente a gennaio a beneficio di vari collezionisti degli stessi. Il progetto, ancora contornato da mistero, dovrebbe far parte di un gioco, in cui i possessori possono scegliere di estrarre i token.

Runecoin, a sua volta, sarebbe uno dei primi 10 token incisi tramite il protocollo Runes. I token sono stati poi consegnati ai possessori di RSIC la settimana scorsa dopo il loro lancio. Ora non resta che attendere per capire quale sarà l’accoglienza loro riservata dal mercato. Considerata la vera e propria febbre intorno a questa nicchia, ci potrebbero essere sorprese di non poco conto, per i loro possessori.

Bitcoin, i rollup potrebbero aumentare la velocità delle transazioni di dieci volte

I rollup stanno per sbarcare su Bitcoin? A prospettare tale possibilità è stato un piano dettagliato pubblicato da un team di sviluppatori, affermando l’opportunità di allargare una pratica ormai comune su molte blockchain di seconda generazione a quella più longeva. Andando quindi contro la vulgata comune, secondo la quale tale operazione sarebbe impossibile.

I rollup potrebbero allargarsi a Bitcoin

I rollup sono un sistema decentralizzato approntato nel preciso intento di raggruppare transazioni crittografiche fuori catena prima di introdurle al suo interno insieme in batch più efficienti in termini di dati. Storicamente sono stati utilizzati in veste di soluzione di scalabilità per Ethereum, ma ora i creatori del framework Bitcoin proposto affermano che possono aiutare anche la rete inventata da Satoshi Nakamoto ad aumentare la propria capacità.

È stato Edan Yago, coautore del framework di rollup Bitcoin BitSNARK & Grail, ad affermarlo. Secondo lui, infatti, sarebbero in grado di portare la funzionalità completa di Turing all’interno di BTC. Ove ciò avvenisse, anche la blockchain più importante sarebbe in grado di utilizzare gli smart contract. Con un corollario di non poco conto, la sua completa apertura alla finanza decentralizzata, oggi soltanto prospettata dall’arrivo del nuovo protocollo Runes.

Secondo lo stesso Yago, a seguito di questa operazione Bitcoin aumenterebbe la sua velocità di dieci volte, senza però perdere nulla in termini di sicurezza. Una tesi affermata nel corso di una presentazione riservata all’inizio dell’anno. In quella occasione, lo sviluppatore ha dichiarato che le transazioni di rollup di Bitcoin potrebbero avere una scalabilità infinita, sia in termini di throughput che di velocità, almeno da un punto di vista teorico.

Come funzionerebbe il nuovo sistema

Edan Yago è un collaboratore della piattaforma Bitcoin DeFi Sovryn (SOV), il quale si era fatto notare nel passato mese di gennaio, quando aveva annunciato lo sviluppo sulla sua piattaforma rollup BitcoinOS. A differenza di altre proposte di ridimensionamento, questa soluzione non richiede fork di alcun genere a Bitcoin Core, in quanto quest’ultimo si evolve in maniera autonoma.

Il white paper relativo alla questione, che è stato pubblicato la scorsa settimana, introduce due innovazioni:

  • BitSNARK, una libreria software ideata al fine di verificare zkSNARKS su Bitcoin. Le zkSNARKS sono prove crittografiche a conoscenza zero delle transazioni completate, che non presuppongono l’esposizione di dettagli sulle stesse;
  • Grail, che è un’implementazione pratica e scalabile di BitSNARK tesa alla creazione di un ponte rollup. Questa nuova infrastruttura digitale renderebbe possibile agli utenti di Bitcoin lo spostamento dei propri BTC e di altri asset tra le reti di livello 2 (rollup) in modo quasi trustless.

Lo stesso Yago ha poi precisato che il design dei rollup Bitcoin va a includere elementi sia dei rollup ZK di Ethereum che di quelli ottimistici tipici di Optimism.

Lo spostamento di BTC tramite BitcoinOS sarebbe affidato ad intermediari denominati “operatori”, cui spetterebbe il compito di assistere nell’elaborazione di depositi e prelievi ponte. Queste figure sono in grado di monitorare l’attività dei loro colleghi in ogni momento, impedendo a chi intendesse farle operazioni improprie, ad esempio la sottrazione di token ad altri utenti o l’elaborazione di transazioni disoneste. Tanto da spingere lo stesso Yago ad affermare che basta un solo operatore onesto per preservare l’integrità del sistema.

Le implicazioni per Bitcoin

Nel caso in cui alle parole seguissero i fatti e i rollup diventassero disponibili su Bitcoin, si tratterebbe di un evento significativo. Al momento, infatti, la blockchain maggiore vive quasi in una dimensione separata.

In particolare, la mancanza di comunicazione con altri ecosistemi ne impedisce l’allargamento alla finanza decentralizzata. Con Runes, il protocollo ideato per sostituire lo standard BRC-20, BTC ha fatto un primo passo in questa direzione, ma servirebbe altro per porsi in aperta concorrenza con Ethereum e Solana, in ambito DeFi.

I rollup potrebbero essere la risposta in tal senso. Non resta quindi che attendere eventuali sviluppi su questo fronte. Se arrivassero, per il settore della blockchain si potrebbe aprire una nuova era.

Bitcoin, un minatore in solitaria si porta a casa una ricompensa di blocco pari a 218mila dollari

Nella giornata di ieri, un minatore Bitcoin in solitaria è riuscito in una vera e propria impresa. Ha infatti aggiunto un blocco alla catena, portandosi a casa un enorme jackpot, pari a 218.544 dollari. Il blocco è quello contrassegnato dal numero 841.286 e grazie a questa prodezza il minatore è diventato il 282esimo solista nella storia di Bitcoin a riuscirci.

Secondo Con Kolivas, sviluppatore principale del fornitore di software di mining CKpool, il miner ha contribuito in media con 12 petahash: 1.000.000.000.000.000 (un quadrilione) di hash al secondo, ovvero circa lo 0,02% dell’hash rate totale della rete. Ciò vuol dire che le sue probabilità di battere tutti i pool minerari di Bitcoin e ogni altro singolo minatore di Bitcoin e poter estrarre un blocco BTC ammontavano ad appena lo 0,2%. Un dato tale da rendere ancora più significativo l’accaduto.

Una vera e propria impresa

L’impresa è resa ancora più rilevante da un altro dato: si tratta infatti del primo blocco estratto da un minatore solista dall’ultimo halving di Bitcoin. Occorre infatti sottolineare che il mining in solitaria è estremamente impegnativo, a causa di una serie di fattori chiave.

Il primo di essi è rappresentato dal fatto che condurre l’attività di mining implica competere con l’hash rate e il livello di difficoltà dell’intera rete. Man mano che i minatori si uniscono alla rete, la difficoltà complessiva aumenta, rendendo di conseguenza sempre più complicato per i minatori solitari riuscire a trovare la strada per poter aggiungere i blocchi alla rete.

Per cercare di bypassare tale difficoltà, si è quindi andato affermando un nuovo modo di estrarre e coniare nuovi token, l’unione di forze con altri minatori. In tal modo aumentano le possibilità di precedere la concorrenza e intascare le ricompense, dividendole naturalmente con gli altri partecipanti all’impresa.

Queste associazioni sono indicate con il nome di pool minerari e rappresentano una versione moderna delle antiche gilde. Al momento, i pool più grandi sono il cinese Antpool e lo statunitense Foundry USA, che controllano il 49% dell’hash rate totale della rete Bitcoin.

Le difficoltà del mining in solitaria

Un mining in solitaria, proprio in considerazione della concorrenza esistente, deve obbligatoriamente fare affidamento sulla fortuna. Le ricompense previste, infatti, sono direttamente collegate alla capacità del minatore di risolvere complessi enigmi crittografici all’interno della rete. Un livello di imprevedibilità tale da contrastare con le ricompense più stabili e coerenti le quali caratterizzano invece il pool mining.

Il fortunato minatore che ha appena intascato 218mila dollari era stato preceduto il passato 18 agosto, quando un altro collega in solitaria aveva risolto il blocco numero 803.821, ottenendo in cambio una ricompensa pari a 6,25 Bitcoin. Il valore stimato all’epoca era pari a 160mila dollari circa. A rendere l’impresa ancora più rilevante l’utilizzo da parte sua di appena un petahash.

Mining di Bitcoin: cosa sta accadendo

Se sin qui abbiamo parlato di un evento lieto per i minatori, occorre anche precisare che la felicità non è esattamente l’atteggiamento prevalente nella categoria, dopo il quarto halving. Il motivo è facilmente comprensibile: il dimezzamento delle ricompense avviene in contemporanea con l’aumento dei costi. Tanto da andare a ridurre i margini di manovra di molti pool minerari, in particolare quelli che già faticavano a tenere il passo prima dell’evento.

Molte di queste aziende minerarie, di conseguenza, saranno presto obbligate a gettare la spugna. Oppure a rivolgersi ad altri settori in grado di generare entrate in grado di giustificare gli investimenti. A segnalare questa possibilità è stato CoinShares, in un rapporto pubblicato di recente.

Secondo gli analisti del gestore patrimoniale, infatti, alcune società minerarie, a partire da BitDigital (BTBT), Hive (HIVE) e Hut 8 (HUT), hanno già iniziato a generare entrate dall’intelligenza artificiale. Mentre TeraWulf (WULF) e Core Scientific (CORZ) hanno a loro volta dato il via a operazioni o varato piani di crescita nello spazio AI.

Una tendenza la quale potrebbe senz’altro proseguire nell’immediato futuro, considerate le dinamiche in atto nel mining di Bitcoin. Il riferimento è, in particolare, ai sostanziali aumenti degli oneri derivanti dall’halving e dal pratico raddoppio dei costi relativi all’energia elettrica necessaria.

Bitcoin, i governi ne possiedono un quantitativo molto elevato

I governi detengono una quantità sorprendente di Bitcoin: ad affermarlo è stato originariamente Verdict, un marchio di proprietà di GlobalData. Un’affermazione che qualcuno ha ricollegato a quanto detto da Edward Snowden qualche mese fa, quando l’ex analista rifugiato in Russia pubblicò un post su X relativo all’acquisto di BTC da parte di non precisati governi.

Affermazioni ora confermate da BitcoinTreasuries, secondo cui governi di tutto il mondo ad aprile 2024 detengono complessivamente 567mila Bitcoin , per un valore di oltre 36 miliardi di dollari. Un dato che sembra stonare con gli attacchi che non di rado le istituzioni portano all’innovazione finanziaria.

I dati di BitcoinTreasuries

BitcoinTreasuries è un sito web specializzato nel tenere traccia della quantità di Bitcoin presenti all’interno dei bilanci di aziende e altre grandi entità, compresi i governi. Creato e gestito da Coinkite, uno dei principali produttori di hardware di sicurezza Bitcoin, provvede ad aggregare dati provenienti da fonti disponibili come documenti SEC (Securities and Exchange Commission), rapporti trimestrali e comunicati stampa.

Da questi dati, è stato possibile sapere che le riserve note di Bitcoin detenute dai governi rappresentano il 2,7% della sua offerta totale, attestata a 21 milioni in sede di tokenomics. Il maggiore possessore in questa particolare categoria è rappresentato dal governo degli Stati Uniti, che ne detiene oltre 210mila, con un controvalore al momento stimabile intorno ai 13 miliardi di dollari.

Per quanto riguarda le società pubbliche, detengono a loro volta un totale di 305mila BTC, la maggior parte dei quali è detenuta da MicroStrategy. L’azienda ha iniziato ad accumulare token dopo aver optato per le criptovalute come principale risorsa per la riserva di tesoreria, nel 2020. Solo di recente, dopo grandi investimenti, le sue partecipazioni in Bitcoin hanno superato quelle degli Stati Uniti. Un traguardo tagliato nel passato mese di marzo quando con l’acquisto di 9mila coin il quantitativo in questione ha raggiunto le 214mila unità.

L’unico Paese che acquista ufficialmente Bitcoin è El Salvador

Contrariamente a quanto affermato da Snowden, al momento solo El Salvador sta acquistando Bitcoin. Grazie alla Bitcoin Law, emanata nel 2021, l’icona crypto è moneta a corso legale nel piccolo Paese centramericano, come il dollaro. Il governo locale è riuscito ad accumulare oltre 5.700 bitcoin estraendo Bitcoin tramite Volcano Energy , vendendo passaporti e acquistando un token al giorno.

Nel caso di Stati Uniti, Cina, Regno Unito e Germania, i Bitcoin sono invece stati sequestrati alla criminalità, organizzata o meno. Washington, in particolare, deve il suo quantitativo a Silk Road, il mercato illegale del Dark Web, ove le criptovalute sono utilizzate per pagamenti relativi ai traffici di droga, armi e esseri umani.

La Cina, a sua volta, possiede circa 190mila Bitcoin, sequestrati nell’ambito dell’operazione che ha sgominato PlusToken, uno schema Ponzi, nel 2019. Mentre il Regno Unito è entrato in possesso di 61mila Bitcoin dopo che un ex lavoratore impegnato nel takeaway ha provato incautamente ad acquistare una villa da 23 milioni di sterline.

Infine la Germania, che ha acquisito 50mila BTC nel passatoi mese di gennaio. Una acquisizione avvenuta nell’ambito di una confisca a danno degli operatori del sito web movie2k. La motivazione del sequestro è il sospetto che al suo interno avvenisse lo sfruttamento commerciale non autorizzato di opere coperte da diritti d’autore.

I Bitcoin potrebbero presto finire all’asta?

Un quantitativo così grande di Bitcoin in mano ai governi presuppone problemi di non poco conto. In particolare, più di qualche osservatore si interroga su cosa potrebbe avvenire nel caso in cui gli stessi decidessero di venderli.

Gli Stati Uniti, ad esempio, lo hanno già fatto con 195mila token, ricavando 366 milioni di dollari. Non è stato un grande affare, considerato che ai prezzi attuali oggi gli stessi coin darebbero 12,6 miliardi di dollari. Nel caso di un ulteriore apprezzamento di BTC, i 210mila esemplari restati potrebbero addirittura iniziare a rivaleggiare con le riserve di oro della banca centrale, che valgono oltre 600 miliardi di dollari.

Considerate le crescenti difficoltà del bilancio statunitense, non stupirebbe una decisione favorevole alla vendita dei BTC in questione. Ove ciò avvenisse, il rischio di una correzione del mercato sarebbe molto forte. Proprio per questo motivo è lecito pensare che la dismissione dei token possa essere graduale, nel corso dei prossimi anni.

Venduto a 2,13 milioni di dollari il sat epico estratto durante l’ultimo halving di Bitcoin

Un “sat” epico, definizione con la quale si intendono satoshi eccezionalmente rari estratti da un blocco chiave dell’halving di Bitcoin, è stato venduto a ben 2,13 milioni di dollari. Ovvero l’equivalente al cambio attuale dei 33,3 BTC concordati nella trattativa sulla più piccola unità di BTC in oggetto.

La vendita, che ha rappresentato un vero e proprio evento, è avvenuta sull’exchange di criptovalute CoinEx Global nella giornata del 25 aprile. In pratica, quindi, circa cinque giorni dopo l’estrazione del blocco numero 840mila da parte del mining pool viaBTC. L’asta, che era iniziata il 22 aprile, è stata caratterizzata da 34 offerte prima che un utente, ancora sconosciuto, riuscisse a strappare il diritto di portarsi a casa il sat in questione, contrassegnato dal numero 1.968.750.000.000.000.

Sat epico: di cosa si tratta?

Per sat epico si intende il primo satoshi che viene estratto durante un halving di Bitcoin. Sino ad oggi ci sono stati quattro dimezzamenti delle ricompense spettanti ai minatori, con una conseguenza di non poco conto: esistono al momento solo quattro sat epici. Non dovrebbe quindi stupire eccessivamente il dato relativo al prezzo di vendita. Tanto che secondo Nick Hansen, CEO del pool minerario Luxor, questi pezzi praticamente unici potrebbero valere tra i 4 e i 6 milioni di dollari.

Per CoinEx Global, quindi, il fatto che l’asta si sia svolta sulla sua piattaforma rappresenta un motivo di vanto. Non a caso dallo scambio è stato emesso il seguente annuncio, su X: “L’asta si è conclusa con successo, con il PRIMO e UNICO sat epico venduto per 33,3 BTC (circa 2.134.000 dollari statunitensi ). Questa non è stata una semplice asta, ma ha segnato il riconoscimento della community, l’attenzione dei media e l’adozione diffusa di Bitcoin. Un sentito ringraziamento a tutti coloro che ci sostengono.”

La stessa azienda ha poi spiegato il motivo per il quale questi satoshi sono particolarmente preziosi: “Poiché ai satoshi vengono assegnati identificatori unici, essi possiedono intrinsecamente un valore collezionistico più elevato. Nel network di Bitcoin si verificano eventi periodici, alcuni più frequenti di altri, pertanto alcuni asset tendono ad essere per loro natura più scarsi.”

Intanto Bitcoin osserva un momento di stasi

Si continua a discutere molto di Bitcoin, per effetto dell’halving appena avvenuto. Si discute però con una certa ansia da prestazione, che sembra aver colpito i cosiddetti evangelisti di BTC. Ovvero quelli che prima dell’evento si erano sbilanciati nelle più clamorose predizioni sulla quotazione del token post-halving.

Il nervosismo è provocato dal fatto che la quotazione dell’icona crypto continua a muoversi in un range tra i 62 e i 64mila dollari. Non c’è insomma, almeno per il momento l’esplosione preventivata del suo prezzo. Tanto da spingere più di qualcuno a tornare sulla predizione espressa in un recente rapporto di JPMorgan, secondo i cui analisti la bull run ci sarebbe già stata, nei mesi precedenti.

In pratica, essendo il Bitcoin già iperprezzato, era da escludersi in partenza l’ipotesi di un nuovo rally, almeno in questi primi giorni post-halving. Ciò, però, non esclude che possa avvenire nel corso dei prossimi mesi. Secondo un altro studio, stavolta di Bybit, i token custoditi negli scambi si esauriranno nell’arco dei prossimi nove mesi. Ove ciò accadesse, si verrebbe a verificare uno shock dell’offerta, con conseguenze facilmente prevedibili sul mercato.

Tale dato, a sua volta, non tiene in conto un altro evento, ovvero il rimborso dei clienti di Mt. Gox danneggiati dal crac del 2014. Rimborso che sta per essere effettuato in Bitcoin. Si tratterebbe di circa 9,5 miliardi di dollari in valuta virtuale. Nel caso in cui questi investitori decidessero di vendere la maggior parte del tesoro, si potrebbe avere una correzione molto forte del mercato. Non resta quindi che attendere nuovi sviluppi, per capire meglio la possibile evoluzione della situazione.

Bitcoin, in crescita i wallet con almeno mille dollari

Il numero dei possessori di Bitcoin è in continuo aumento. A contribuire in tal senso sono soprattutto i piccoli detentori, coloro che detengono limitati importi del token. In particolare, all’interno di questa categoria stanno aumentando coloro che detengono almeno mille dollari in token. Investitori che nel gergo utilizzato dai circoli crittografici sono indicati con il termine di “gamberetti”.

A rivelare questa tendenza è un rapporto pubblicato da Fidelity Digital Assets nella giornata di lunedì. All’interno del quale si precisa il numero di questa particolare categoria: 10,6 milioni di wallet. Questo è il dato riscontrato a metà marzo e indicato dagli estensori del rapporto alla stregua di una pietra miliare. Si tratta infatti del pratico raddoppio rispetto ai 5,3 milioni di portafogli elettronici che costituivano tale gruppo un anno prima.

Il dato degli indirizzi Bitcoin con almeno mille dollari è raddoppiato in un anno

“Un trend di crescita positivo”: così è stato definito dagli analisti di Fidelity il dato relativo al crescente numero di wallet contenenti almeno mille dollari in BTC. Il rapporto ha poi affermato, al proposito: “Ciò potrebbe essere rappresentativo di una crescente distribuzione di Bitcoin e della sua adozione tra le persone medie”.

il parametro in questione, sempre secondo i ricercatori di Fidelity, indica la crescita di piccoli indirizzi che accumulano e risparmiano Bitcoin, anche con prezzi in aumento. Al tempo stesso, si avverte il lettore che il parametro potrebbe non essere accurato al 100%. A impedirgli di esserlo l’apprezzamento dell’icona crypto e il consolidamento degli indirizzi durante il periodo preso in esame. Al momento della stesura di questo documento, secondo CoinGecko , con mille dollari è possibile acquistare circa 0,016 Bitcoin.

Se le cosiddette “balene” sono importanti per stabilire lo stato di salute di Bitcoin, non lo sono di meno i piccoli trader, i “gamberetti”. E, almeno stando al rapporto in esame, il loro pratico raddoppio in un arco temporale di un anno, sta a indicare se non l’adozione globale delle criptovalute perlomeno un interesse sempre più elevato per gli asset digitali.

Tanto da spingere gli analisti ad affermare che le prospettive a breve termine per Bitcoin sono, nel complesso, piuttosto positive, presentando una miriade di dati “a lungo termine”. Dei 16 parametri monitorati per cercare di capirne lo stato di salute, un quarto di essi sono stati considerati condizioni “negative” o “neutre”, mentre la metà erano “positive”.

La diminuzione del numero di token detenuti dagli exchange non sfocia necessariamente nell’autocustodia

Un altro indicatore tracciato all’interno del rapporto, ha provveduto ad esaminare la quantità di Bitcoin detenuta negli scambi di criptovalute. Si tratta in effetti di un dato che sta assumendo un’importanza sempre maggiore, in quanto potrebbe sfociare in uno shock dell’offerta. La tendenza al ribasso pluriennale del dato è continuata nel primo trimestre del 2024, secondo Fidelity, scendendo del 4,2% a 2,3 milioni di Bitcoin, il 30% al di sotto del picco di oltre 3 milioni di Bitcoin detenuto nel 2020.

Un’altra avvertenza espressa dai ricercatori è quella relativa al fatto che la diminuzione in questione, non necessariamente comporta l’aumento dell’auto-custodia. Gli autori, comunque, hanno messo in evidenza che custodi come Fidelity stanno lavorando a soluzioni in grado di consentire ai clienti di controllare le proprie chiavi durante le negoziazioni attraverso gli scambi.

Infine, un altro indicatore che potrebbe pesare in negativo: oltre il 99% degli indirizzi Bitcoin erano infatti in attivo entro la fine del primo trimestre. Un dato il quale potrebbe presto costituire un problema, come spiegato dal rapporto: “Man mano che il numero di indirizzi in profitto cresce, una svendita potrebbe diventare più probabile poiché i trader e i nuovi investitori cercano di realizzare profitti”.

A differenza delle balene che, stando ad altri studi pubblicati nel frattempo, non sembrano interessate a farlo, almeno per il momento. Confidando con tutta evidenza in un ulteriore apprezzamento di BTC nel corso dei mesi post halving.

Runes sta letteralmente dominando la blockchain di Bitcoin

Il nuovo protocollo Runes sta letteralmente dominando l’attività sulla blockchain di Bitcoin. Dopo il suo lancio, avvenuto praticamente in contemporanea con il dimezzamento delle ricompense spettanti ai minatori di BTC, oltre l’81% delle transazioni che hanno avuto luogo sulla catena lanciata da Satoshi Nakamoto è rappresentato dal conio delle rune. Ad affermarlo è un rapporto rilasciato da Dune, che ha anche precisato come il rimanente 19% sia costituito dalle transazioni regolari di Bitcoin, con i token BRC-20 e gli Ordinals che si collocano al terzo e quarto posto, rispettivamente con lo 0,2% e lo 0,1%.

Runes sta dominando la rete di Bitcoin

Quando il nuovo protocollo Runes, elaborato da Casey Rodarmor, è stato presentato, in molti avevano avvertito la possibilità di un suo rilevante successo. A favorirlo la maggiore funzionalità rispetto a quello BRC-20, tale da favorire un approccio alla tokenizzazione sulla piattaforma più semplice e pulito.

In pochi, però, avrebbero immaginato che le rune avrebbero letteralmente schiacciato BRC-20 e Ordinals, come sta invece accadendo. Secondo la dashboard di Dune, nella giornata di martedì sono state accumulate 750.428 transazioni di Runes, seguite da 174.475 operazioni sui Bitcoin tradizionali. Praticamente insignificanti, invece, i numeri collezionati da BRC-20 (1.392 transazioni) e Ordinals (715).

Le rune hanno inoltre rappresentato il 64% delle commissioni raccolte martedì con 2.075 BTC, collezionando circa 133 milioni di dollari in commissioni totali. A questi dati se ne possono poi aggiungere altri, per capire quanto sta accadendo. Dal momento in cui il nuovo protocollo è stato lanciato, in contemporanea con l’halving di Bitcoin, 692.480 utenti hanno inciso 7.995 rune, totalizzando circa 3,1 milioni di transazioni.

Nella giornata di ieri, ad esempio, la collezione di rune DOG•GO•TO•THE•MOON (DOG) ha distribuito 100 miliardi di rune su portafogli idonei, accumulando una capitalizzazione di mercato di 336 milioni di dollari. Il dato è stato pubblicato dal mercato Bitcoin Runes Magic Eden e fa capire in maniera eloquente l’appeal che sta riscuotendo il nuovo standard.

A cosa è dovuto il rilevante successo del nuovo protocollo?

Naturalmente, dati di questo genere hanno spinto molti ad interrogarsi su quanto sta accadendo. E, soprattutto, di capire perché Runes stia riscuotendo questo clamoroso successo sul mercato. Se la novità gioca un ruolo di un certo rilievo, in tal senso, ci sono però anche altri motivi che ne stanno sospingendo le sorti.

In particolare, alcuni analisti indicano nella corsa ad essere tra i primi a incidere nuovi lotti di rune uno dei motivi dominanti della tendenza in atto. In pratica, si ritiene che il primo lotto e quelli successivi potrebbero avere un prezzo di grande rilievo. A conferirlo proprio la loro rarità e età.

Per capire di quale cifre si parli, occorre ricordare quanto affermato da Nick Hansen, CEO del pool minerario Luxor. Secondo lui, infatti, una runa insolita potrebbe attestare il suo valore tra i 200 e i 500 dollari, mentre quelli rari potrebbero salire nell’ordine dei 200mila dollari circa. Sino ad attestarsi tra i 4 e i 6 milioni di dollari nel caso di quelle che sono state coniate per prime.

Di fronte a questi dati, non stupisce il continuo passaggio di progetti dallo standard BRC-20 a Runes. Tra coloro che lo hanno già fatto si segnalano NodeMonkes, Bitcoin Pups, Runestone e RSIC, già radicati nello spazio Bitcoin Ordinals, ma intenzionati a sfruttare i grandi vantaggi prospettati dalle rune.

Un continuo passaggio che sembra confermare quanto affermato da un recente rapporto elaborato dagli analisti di Franklin Templeton. Secondo loro, infatti, Runes potrebbe porlo in aperta concorrenza con la Ethereum Virtual Machine e Solana, i due protocolli al momento dominanti in ambito DeFi. Ove ciò accadesse, potrebbe trarne vantaggio l’intera criptosfera, come accade solitamente per tutto ciò che concerne la regina delle criptovalute.

Morgan Stanley potrebbe presto offrire Bitcoin

Secondo un rapporto di AdvisorHub, Morgan Stanley (MS) sta pensando di consentire ai suoi 15mila broker di consigliare fondi negoziati in borsa Bitcoin (ETF) ai propri clienti. Occorre sottolineare che il colosso bancario statunitense ha già iniziato gli acquisti in questione dopo la loro approvazione da parte della Securities and Exchange Commission (SEC) degli Stati Uniti, avvenuta il passato 10 gennaio. Tuttavia, ciò è stato fatto solo su base non richiesta. La banca sta ora cercando di consentire ai propri broker di proporre ETF Bitcoin direttamente ai propri clienti. Si tratta di una notizia di grande rilievo, proprio alla luce del fatto che tale decisione potrebbe incidere sul lato della domanda di BTC.

Morgan Stanley apre a Bitcoin: l’interesse degli investitori istituzionali continua a crescere

La decisione di Morgan Stanley, ove fosse confermata (al momento la banca ancora non lo ha fatto) rappresenta l’ennesima testimonianza sul grande interesse degli investitori istituzionali nei confronti dell’icona crypto ideata da Satoshi Nakamoto.

Gli acquisti di ETF spot, infatti, potrebbe sfociare in ulteriori afflussi nei fondi. Un afflusso favorito dal meccanismo degli ETF, i quali consentono ai clienti di sfruttare i vantaggi dell’investimento nella criptovaluta più antica, ma senza esposizione diretta.

Al proposito, AdvisorHub ha citato un dirigente di Morgan Stanley, il quale avrebbe affermato: “Ci assicureremo di stare molto attenti a riguardo… ci assicureremo che tutti possano accedervi. Vogliamo solo farlo in modo controllato”.

Quali le conseguenze della decisione di Morgan Stanley?

Nel passato mese di gennaio la SEC ha approvato 11 ETF spot su Bitcoin. Tra le aziende che hanno ottenuto l’approvazione son presenti colossi degli investimenti come BlackRock (BK), Fidelity e Invesco (IVZ).

L’approvazione ha comportato massicci afflussi nei fondi e, di conseguenza, una crescita della domanda di BTC. Tale da tradursi in un aumento del prezzo del token, come era facile prevedere. Una domanda che, però, con il passare del tempo si è andata affievolendo. Una testimonianza eloquente in tal senso è l’afflusso pari a zero fatto registrare ieri da BlackRock. È la prima volta che accade, secondo Fairside.

La novità riguardante Morgan Stanley, potrebbe quindi ridare slancio ai fondi. Inoltre, potrebbe fare da apripista in un settore che ha manifestato interesse verso BTC, ma anche qualche perplessità. Come ha fatto, almeno a livello di documenti prodotti, JPMorgan.

Il momento particolare di Bitcoin

La decisione di Morgan Stanley si cala in un momento molto delicato, per Bitcoin. Nel corso delle ultime 24 ore, infatti, il suo prezzo ha lasciato sul terreno oltre il 3%, scendendo sotto i 64mila dollari. Chi si aspettava una immediata corsa sfrenata di BTC è rimasto deluso, almeno per il momento.

A provocare questa caduta potrebbe essere stata in particolare una novità emersa da poco, quella relativa ai rimborsi degli ex clienti di Mt. Gox, l’exchange fallito nel 2014. Si prevedono infatti rimborsi pari a 9,5 miliardi di dollari in Bitcoin, i quali potrebbero essere liquidati prossimamente.

Il timore espresso da più parti, è che i token in questione possano essere offerti immediatamente sul mercato. Ove ciò accadesse, non solo potrebbe crollare il prezzo di BTC, ma anche l’intero settore delle criptovalute, innescando un nuovo crypto winter.

Proprio l’interesse degli investitori istituzionali, non solo le banche, ma anche i fondi pensionistici, potrebbe ovviare ad una situazione di questo genere. Mixandosi all’ormai prossimo esaurimento delle riserve di Bitcoin presenti negli exchange. Queste ultime, secondo un recente rapporto di Bybit, potrebbero svuotarsi nell’arco dei prossimi nove mesi. Dando vita ad uno shock dell’offerta.

La concomitanza di questi dati, quindi, fa capire in maniera eloquente la calma piatta intervallata a improvvise cadute e risalite che sta caratterizzando la quotazione di BTC. Non resta che attendere qualche settimana, per avere una chiarificazione del quadro, almeno nel breve periodo.

Mt. Gox sta per pagare 9 miliardi e mezzo di dollari in BTC e BCH: cosa potrebbe accadere sui mercati?

Molti, in queste ore, stanno scrutando con un certo nervosismo l’evoluzione dei mercati criptovalutari. il motivo è facilmente intuibile: dopo il quarto halving di Bitcoin la previsione quasi unanime era per una crescita esponenziale del prezzo dell’icona inventata da Satoshi Nakamoto. Esplosione che, per il momento, tarda ad arrivare.

C’è però un evento di cui non si parla molto, che potrebbe fungere da catalizzatore in tal senso. Stiamo parlando dei rimborsi ai clienti di Mt. Gox rimasti danneggiati dal crac di quello che all’epoca era il più grande exchange a livello planetario. Il fallimento della piattaforma, ancora oggi oggetto di grandi sospetti, è avvenuto nel 2014 e soltanto a distanza di dieci anni sembra che la vicenda sia destinata ad avviarsi a conclusione. Una conclusione la quale, però, proprio per il momento in cui arriva, potrebbe comportare conseguenze di mercato molto rilevanti. Andiamo a vedere perché.

Mt. Gox, i rimborsi potrebbero incidere notevolmente sul mercato crypto

Il mercato delle criptovalute si è scrollato di dosso la correzione della scorsa settimana, ma c’è alle viste un possibile catalizzatore il quale potrebbe incidere in maniera rilevante sui prezzi, nel corso delle prossime settimane.

Il riferimento è ai rimborsi che Mt. Gox, l’exchange imploso fragorosamente nel 2014, a seguito di una lunga serie di attacchi di pirateria informatica, si accinge a rilasciare. Rimborsi che sono attesi ormai da dieci anni e che, una volta erogati, potrebbero mettere a serio repentaglio il tanto atteso rally al rialzo non solo di Bitcoin, ma dell’intera criptosfera.

È stata la società di criptovaluta K33 Research a riportare la notizia, all’interno di un rapporto pubblicato nella giornata di ieri. Lo scambio di criptovaluta fallito, infatti, si appresterebbe a distribuire 142mila Bitcoin, per un valore pari a circa 9,5 miliardi di dollari. Cui si vanno ad aggiungere altri 143 Bitcoin Cash, a loro volta pari a circa 73 milioni di dollari.

Come si può facilmente capire, molti guardano con preoccupazione all’evento. Nel caso in cui gli interessati decidessero di capitalizzare immediatamente la restituzione dei token, per il mercato potrebbe arrivare una vera e propria doccia fredda. La speranza è naturalmente che coloro che stanno per riavere indietro i propri BTC facciano come le crypto whale. I grandi investitori, infatti, hanno deciso di non procedere per ora a vendite, sperando ovviamente di poterlo fare a prezzi molto maggiorati nei prossimi mesi.

Gli ex utenti di Mt. Gox, però, aspettano di riavere indietro i propri soldi da un decennio. È abbastanza logico pensare che non appena ricevuti i rimborsi, possano decidere di metterli immediatamente a frutto, almeno in buona parte. Se le vendite fossero massicce, l’effetto sul prezzo di Bitcoin sarebbe molto forte. E ad un sensibile ribasso di BTC potrebbe far seguito una nuova gelata.

Mt. Gox: cosa sta accadendo

Al momento non sono ancora state fissate date, relative all’inizio dei tanto sospirati rimborsi per i clienti di Mt. Gox rimasti coinvolti nel clamoroso crac dell’exchange. I creditori, però, hanno notato il recente aggiornamento delle proprie richieste di vedersi restituire i token. Uno sviluppo il quale sembra in effetti prefigurare la loro prossima restituzione.

I pagamenti, quindi, potrebbero arrivare prima di quel 31 ottobre originariamente indicato dagli amministratori della defunta piattaforma. Un anticipo che non era stato previsto dai tanti analisti che, nel corso degli ultimi mesi, si erano esercitati nel formulare previsioni.

Uno sviluppo di cui hanno preso atto, invece, Vetle Lunde e Anders Helset. Proprio loro, infatti, hanno affermato al proposito: “Le monete di Mt. Gox potrebbero diventare un importante contributore negativo ai prezzi nel corso delle prossime settimane”.

Naturalmente, la speranza è che il quantitativo di Bitcoin pronti a riversarsi sui mercati non sia talmente rilevante da avere ricadute di rilievo sul suo prezzo. L’impatto potrebbe peraltro essere attutito dalla crescita della domanda, in particolare da parte degli investitori istituzionali. Al momento, però, l’impressione prevalente è che, al contrario, vendite che si preannunciano massicce possano smorzare l’euforia del mercato.

Secondo Bitfinex la domanda post halving di Bitcoin supererà di cinque volte l’offerta

Il quarto halving di Bitcoin è realtà ormai da qualche giorno. Se all’apparenza il prezzo dell’icona di Satoshi Nakamoto si è mosso poco (al momento è comunque sopra i 66 mila dollari) secondo alcuni analisti il recente dimezzamento della ricompensa mineraria di Bitcoin ha già alterato il mercato in profondità. Tanto che potrebbe potenzialmente portare la domanda di criptovaluta a essere cinque volte superiore a quella dell’offerta. Ad affermarlo è, in particolare, l’ultima proiezione degli analisti dell’exchange di criptovalute Bitfinex.

Cosa sostengono gli analisti di Bitfinex

Nella giornata di sabato, la ricompensa di blocco prevista per i minatori è stata portata da 6,25 BTC a 3,125 BTC. Stando ad uno studio di Bitfinex, il dimezzamento dei premi significa che il valore nozionale del numero totale di nuove monete che si vanno ad aggiungere giorno dopo giorno alla fornitura totale potrebbe scendere a un valore intorno ai 30 milioni di dollari.

Per capire meglio, occorre a questo punto sottolineare che si tratta di un dato inferiore di cinque volte alla sola domanda media giornaliera degli ETF statunitensi. A quelli approvati dalla SEC il passato 10 gennaio, però, si potrebbero presto aggiungerne altri, a partire da quelli asiatici. Si tratta quindi di una diminuzione molto significativa e tale da potersi riflettere con grande forza sulla quotazione di BTC.

Ecco quanto scritto all’interno del rapporto di Bitfinex: “Con il tasso di emissione giornaliero in calo dopo l’halving, stimiamo che la nuova offerta aggiunta al mercato (nuovi BTC estratti) ammonterebbe a circa 40-50 milioni di dollari in termini nozionali di USD in base alle tendenze di emissione. Si prevede che ciò potrebbe scendere nel tempo a 30 milioni di dollari al giorno, inclusa l’offerta attiva e dormiente, nonché la vendita dei minatori, soprattutto perché le operazioni minerarie più piccole sono costrette a chiudere i negozi,”.

Per poi proseguire: “Gli afflussi netti medi giornalieri dagli ETF spot su Bitcoin fanno impallidire quella cifra che supera i 150 milioni di dollari, anche se i flussi si sono moderati e sono addirittura diventati negativi nelle ultime settimane”.

La stretta sull’offerta ha già avuto inizio

Se si pensava che ci sarebbe voluto tempo per una stretta sull’offerta di Bitcoin, la realtà si è dimostrata subito diversa. Dopo l’halving, il numero totale di nuove monete aggiunte quotidianamente alla fornitura è sceso a 450 BTC (quasi 30 milioni di dollari) rispetto alla media quadriennale pre-halving. Che stando ai dati pubblicati da Glassnode era attestata praticamente al doppio, ovvero a circa 900 token.

Ancora secondo Bitfinex, gli afflussi medi giornalieri negli ETF sono destinati a restare costanti, sempre riferendoci a quelli approvati dalla SEC. L’analisi, quindi, non tiene in conto la recente approvazione di quelli presentati a Hong Kong. Un’aggiunta la quale rischia di rendere esplosiva la situazione.

Altro dato contenuto nel rapporto dell’exchange è poi quello relativo alla disponibilità dei minatori. Sempre secondo Glassnode, nel corso dei sei mesi che hanno preceduto l’halving, le mining farm hanno alienato una parte delle proprie riserve. Tanto che il numero di coin da essi detenuti è sceso di oltre 18mila, attestandosi a quota 1,82 milioni.

Ora, anche la vendita da parte loro potrebbe subire un rallentamento, poiché le attrezzature sono state aggiornate, garantendo la sostenibilità dell’attività. E ove ciò accadesse realmente, si verrebbe a verificare un altro calo nell’offerta di Bitcoin.

Infine, sempre secondo Bitfinex, gli investitori stanno ancora una volta assumendo sempre più direttamente la custodia delle loro monete, con il sostanziale indebolimento dell’offerta al mercato. Tanto da affermare: “Gli attuali dati on-chain indicano che i deflussi degli scambi di Bitcoin stanno raggiungendo picchi mai visti da gennaio 2023, suggerendo che molti investitori stanno spostando le loro partecipazioni in celle frigorifere in previsione di aumenti di prezzo. Nel frattempo, le vendite attive da parte dei detentori a lungo termine non hanno ancora accelerato il tipico calo dei prezzi prima del dimezzamento, indicando un forte assorbimento di questa pressione di vendita da parte dei nuovi operatori sul mercato”.

Una conferma dei rapporti pubblicati nelle ultime settimane

Lo shock dell’offerta prefigurato da Bitfinex, va praticamente a confermare alcuni studi precedenti. In particolare quello di Bybit, secondo il quale i token presenti negli exchange si esauriranno in nove mesi. Un dato desunto dal ritmo di acquisto degli ETF, peraltro solo a quelli statunitensi.

A questo dato si dovrebbe poi aggiungere quanto previsto da un altro studio pubblicato da poche ore da CoinShares. Secondo il gestore finanziario, infatti, il mutamento di quadro spingerebbe molti minatori verso l’intelligenza artificiale, ritenuta più conveniente. Ne conseguirebbe quindi un indebolimento dell’attività estrattiva di BTC.

Il mixarsi di tutte questi fattori, di conseguenza, potrebbe di conseguenza presto tradursi in quell’esplosione del prezzo di BTC che, almeno per ora, non è stato prodotto dall’halving. Potrebbe comunque trattarsi di aspettare pochi giorni, per vedere le prime avvisaglie in tal senso.

Secondo CoinShares, i miners di Bitcoin potrebbero spostarsi verso l’intelligenza artificiale. Vediamo perché

Dopo il quarto halving di Bitcoin, molti minatori potrebbero decidere di abbandonare l’icona crypto per spostarsi verso l’intelligenza artificiale. Ad affermarlo è il gestore patrimoniale CoinShares, in un rapporto che è stato pubblicato nella giornata di venerdì. Una previsione fondata in particolare sul fatto che per questo genere di attività potrebbero contare su luoghi molto più sicuri dal punto di vista energetico. Una maggiore sicurezza che, in definitiva, si andrebbe a tradurre in maggiori entrate.

L’halving potrebbe spingere molti miners di BTC verso l’AI

Venerdì sera si è finalmente verificato l’halving di Bitcoin, il quarto della serie. Un evento atteso da mesi che ha non solo suscitato discussioni a non finire, ma anche prodotto mutamenti notevoli nell’ecosistema del token inventato da Satoshi Nakamoto.

Tra quelli che erano attesi c’è naturalmente la maggiore difficoltà per le mining farm di guadagnare ora che le ricompense di blocco sono scese del 50%. Ne consegue che molte di loro potrebbero ben presto smettere di dedicarsi a BTC e passare ad altri progetti.

Ad analizzare la nuova situazione che si è creata è stato in particolare CoinShares, che ha elaborato un rapporto nello stesso giorno dell’halving. Al suo interno si afferma che alcune società minerarie, come BitDigital (BTBT), Hive (HIVE) e Hut 8 (HUT) stanno già generando entrate dall’intelligenza artificiale. Allo stesso tempo, TeraWulf (WULF) e Core Scientific (CORZ) hanno già iniziato operazioni di intelligenza artificiale o varato piani di crescita nello spazio AI.

I ricercatori, guidati da James Butterfill, hanno quindi affermato: “Questa tendenza suggerisce che l’estrazione di Bitcoin potrebbe spostarsi sempre più verso siti energetici non recuperabili, mentre gli investimenti nell’intelligenza artificiale crescono in luoghi più stabili”.

Una tendenza provocata dai sostanziali aumenti degli oneri derivanti dall’halving e, in particolare, dal pratico raddoppio di quelli relativi a elettricità e costi di produzioni. Aumenti cui le società minerarie potrebbero decidere di fare argine tramite l’ottimizzazione dei costi energetici, l’aumento dell’efficienza mineraria e l’acquisto di hardware a prezzi più convenienti.

Per quanto concerne i costi, sul rapporto è possibile leggere: “Il costo medio ponderato della produzione nel quarto trimestre è stato di circa 29.500 dollari; dopo il dimezzamento, si prevede che sarà di circa 53mila dollari”. Aggiungendo che il costo medio di produzione dell’elettricità nel quarto trimestre è stato di circa 16.300 dollari per bitcoin, un livello che dovrebbe aumentare fino a circa 34.900 dollari dopo il dimezzamento delle ricompense.

Secondo le previsioni degli estensori del rapporto, l’hashrate, ovvero la potenza computazionale combinata che viene usata al fine di estrarre ed elaborare le transazioni sulla blockchain, potrebbe salire a 700 exahash entro il 2025, ma potrebbe scendere del 10% dopo l’halving, in quanto i minatori provvederanno a spegnere i macchinari non redditizi.

Quali potrebbero essere i riflessi sul prezzo di Bitcoin?

Ove si venisse a realizzare la migrazione dei minatori dal mining di Bitcoin all’intelligenza artificiale, le ricadute sul prezzo di BTC potrebbero essere notevoli. Ne verrebbe infatti a derivare un ulteriore rallentamento della produzione di nuovi token. Un rallentamento che avrebbe luogo in un momento in cui la domanda sembra ormai sul punto di aumentare.

A provocare tale aumento sarebbe in particolare la richiesta sempre più forte degli investitori istituzionali. Se, come ha affermato Bybit in un suo report le riserve di Bitcoin potrebbero esaurirsi in nove mesi, la situazione si farebbe estremamente delicata. Anche perché le balene, lungi dal vendere, sembrano orientate a trattenere i token nel lungo termine. Lo shock dell’offerta, quindi, potrebbe causare quella bull run la quale, almeno per ora, stenta ad avviarsi.

Proprio per questo motivo, sembra abbastanza inutile scrutare i grafici di Bitcoin, di ora in ora. Il problema, stante le condizioni che si stanno intrecciando, non è se la quotazione di Bitcoin esploderà, ma quando.

Bitcoin, un comitato d’iniziativa popolare vorrebbe obbligare la banca centrale svizzera ad acquistarlo

Il Bitcoin continua a far discutere molto, non soltanto per il quarto halving appena arrivato in porto. L’ultima gustosa novità in tal senso arriva dalla Svizzera, ove si sta lavorando per la formazione di un comitato di iniziativa popolare teso ad obbligare la banca centrale ad acquistare il token. Un investimento il quale si aggiungerebbe a quello sull’oro, già previsto dalla Costituzione Federale.

A lanciare la notizia è stato NZZ, secondo il quale i lavori per la formazione dell’organismo, espressamente previsto dall’ordinamento istituzionale elvetico, sarebbero già iniziati. Ove il tentativo andasse in porto, sarebbe possibile modificare, o almeno provare a farlo, la carta costituzionale senza dover necessariamente passare per le aule parlamentari.

Acquisto di Bitcoin obbligatorio per la banca centrale: cosa sta accadendo in Svizzera

I comitati di iniziativa popolare sono ormai una lunga consuetudine, in Svizzera. Pochi, però, avrebbero immaginato che un organismo simile avrebbe potuto rappresentare la chiave di volta per costringere la banca centrale elvetica ad affiancare l’acquisto di Bitcoin a quello dell’oro fisico.

La notizia relativa alle riserve che la Schweizerische Nationalbank potrebbe e dovrebbe accantonare è stata divulgata da NZZ, un gruppo guidato da Yves Bennaim, un divulgatore tecnologico appassionato di crittografia.

La proposta suona almeno in apparenza molto semplice. Si tratterebbe in effetti di una semplice aggiunta di due parole all’articolo 99 della Costituzione Federale locale. Articolo che, al terzo comma, al momento afferma testualmente: “La Banca Nazionale Svizzera dovrà creare riserve monetarie sufficienti dai suoi profitti; una parte di queste riserve dovranno essere detenute in oro.”

Le due parole magiche, che aprirebbero i forzieri della Schweizerische Nationalbank, sono “e Bitcoin”, le quali andrebbero a chiudere il testo in questione. Due semplici parole che però potrebbero dare vita ad una vera e propria rivoluzione finanziaria. Non è assurdo pensare che ove l’iniziativa andasse in porto, anche altre banche centrali potrebbero entrare nell’ottica di condurre la stessa operazione. Avvicinando in maniera molto evidente la sospirata adozione globale delle criptovalute, ovvero il sogno che sin dagli inizi unifica tutti gli attori della criptosfera.

La Svizzera è ormai un avamposto crypto in Europa

A spiegare la ratio dell’iniziativa, è stato uno dei proponenti, Luzius Meisser, presidente di Bitcoin Suisse. Le sue parole al riguardo sono molto interessanti, facendo capire come BTC potrebbe rappresentare uno strumento di rafforzamento della ormai storica neutralità elvetica. Ecco quanto da lui affermato: “Includendo Bitcoin nelle sue riserve, la Svizzera rinforzerebbe la sua indipendenza dalla Banca Centrale Europea. Un passo che rafforzerebbe la nostra neutralità.”

L’iniziativa tesa a modificare la costituzione locale, conferma la propensione della Svizzera nei confronti dell’innovazione finanziaria. La confederazione, infatti, ormai da tempo è protagonista di iniziative tese a mixare Bitcoin e Altcoin coi metodi tradizionali di pagamento.

Proprio alla fine del 2023, ad esempio, il comune di Lugano ha deciso di accettare BTC e Tether per il pagamento delle imposte municipali. L’iniziativa, condotta di concerto con Bitcoin Suisse, permette ai cittadini e alle aziende della città svizzera di pagare con i due token tutte le fatture locali, indipendentemente dalla natura del servizio o dall’importo fatturato.

Una possibilità la quale, del resto, era già stata concessa ai cittadini di Zermatt, un comune del distretto del Canton Vallese, nel 2020, e a quelli di Zugo, cantone che aveva aperto ai pagamenti in Bitcoin e Ether.

La proposta odierna, però, va molto oltre queste iniziative limitate, trasformando l’icona crypto in uno strumento di geopolitica. Proprio per questo motivo è presumibile che in altre parti del globo si guarderà con molto interesse all’evoluzione della vicenda. Uno sviluppo derivante dal fatto che la Svizzera è un paese molto più rilevante, a livello globale, rispetto a quell’El Salvador che ha conferito a BTC lo status di valuta legale, alla pari con il dollaro statunitense.

Bitcoin quasi fermo, ma le commissioni di transazione crescono a dismisura

Il quarto halving di Bitcoin è diventato realtà nella mattinata di ieri e, naturalmente, ha suscitato grandi discussioni. L’evento quadriennale era in effetti atteso in maniera spasmodica dall’intera criptosfera, che sperava, e spera tuttora, di avvantaggiarsi della bull run prevista a seguito del dimezzamento delle ricompense spettanti ai minatori.

Al momento, però, di una corsa senza sosta verso l’alto del prezzo di BTC non c’è praticamente traccia, anche se il token ha varcato quota 65mila dollari. Quello che invece è aumentato in maniera esponenziale sono le commissioni di transazioni sulla sua blockchain. Andiamo a vederne, quindi, i motivi.

Bitcoin fermo, mentre le commissioni di transazione galoppano

Bitcoin ha completato il quarto halving nei suoi primi quindici anni di storia. Un evento che è stato discusso per mesi prima del suo verificarsi, creando un’attesa spasmodica che si è riflessa sul prezzo dell’icona creata da Satoshi Nakamoto, portandolo a segnare un nuovo massimo storico addirittura prima dell’aggiunta del blocco 840mila alla catena.

Al momento, però, la quotazione di BTC è praticamente ferma, o quasi. Se per molti è una sorpresa, per gli analisti di JP Morgan, no. In un loro rapporto avevano infatti affermato che essendo sovrapprezzato, dopo mesi di continua e inarrestabile crescita, l’icona crypto non avrebbe risentito in maniera eccessiva dell’halving.

In attesa di capire se tale previsione reggerà anche nelle prossime settimane, occorre però sottolineare un’altra crescita, questa reale, collegata all’evento. Stiamo parlando di quella fatta registrare dalle commissioni di transazione sulla rete Bitcoin.

Commissioni di transazione: cosa sta accadendo?

Quando il fatidico blocco numero 840mila è stato aggiunto alla blockchain è stata applicata una commissione record pari a 37,6 BTC (per un valore di oltre 2,4 milioni di dollari). Mentre nelle ore successive le commissioni sono rimaste molto più alte del normale.

Il pool minerario che si è aggiudicato l’aggiunta del blocco è ViaBTC, garantendosi il diritto alla riscossione dei premi al nuovo tasso appena ritoccato di 3,125 BTC per ognuno di quelli aggiunti. Al prezzo attuale, si tratta di circa 200mila dollari.

La gara tra i minatori è stata molto serrata, in quanto al suo interno c’è il primo “sat”, l’unità più piccola in cui è suddiviso il token, post halving. I cosiddetti “sat epici”, che fanno seguito all’halving, sono infatti considerati alla stregua di oggetti da collezione. Come tali, il loro prezzo potrebbe schizzare alle stelle, sino a valere svariati milioni di dollari. O, comunque, molti multipli del prezzo di un intero Bitcoin.

Non è mai accaduto nulla di simile: parola di Jimmy Song

Per quanto concerne le commissioni di transazione, secondo gli esperti a farle crescere a livelli record è stato il lancio, praticamente in contemporanea con l’halving, di Runes. Ovvero del nuovo protocollo che si propone di diventare uno standard alternativo a BRC-20 inventato da Casey Rodarmor. Lo sviluppatore che si è già segnalato per il lancio della piattaforma Ordinals, lo scorso anno, per abilitare gli NFT su Bitcoin, ha infatti varato questo nuovo progetto che si propone di migliorare l’ecosistema di BTC.

La sua introduzione ha portato a una raffica di transazioni, in quanto gli speculatori si sono precipitati a coniare token digitali sulla blockchain. Per farlo hanno deciso di posizionarsi in cima alla lista, facendo letteralmente esplodere le commissioni di transazione. Basti pensare che secondo il sito runealpha.xyz, meno di un’ora dopo il lancio già 853 rune erano state incise.

Il risultato è stato clamoroso: se prima dell’halving un blocco comportava commissioni tra i 40 e i 60mila dollari, dopo il costo si è impennato a oltre un milione di dollari. Tanto da spingere Jimmy Song, un importante sviluppatore di Bitcoin, ad affermare che non si era mai visto nulla di simile nella storia di BTC.

Bitcoin, secondo Peter Schiff la moda è agli sgoccioli, ma è realmente così?

L’attacco di Israele all’Iran ha segnato un altro momento di notevole difficoltà per Bitcoin. Nelle ore successive a quella che un funzionario israeliano ha definito un’azione dimostrativa, l’icona inventata da Satoshi Nakamoto è scesa sotto la fatidica soglia dei 60mila dollari, facendo temere il peggio. Si è poi ripresa, e anche con una certa rapidità, riportandosi a ridosso dei 65mila dollari, ma tanto è bastato a Peter Schiff, notoriamente scettico sulle criptovalute, per ribadire le sue tesi contrarie all’innovazione digitale. Vediamo cosa ha detto stavolta l’economista.

Peter Schiff: BTC è una moda ormai agli sgoccioli

Non appena sono arrivate le prime notizie relative alle conseguenze finanziarie degli sviluppi mediorientali, Peter Schiff ha approfittato dell’esplosione del prezzo dell’oro e del concomitante caldo di Bitcoin per attaccare la valuta virtuale più longeva e famosa.

Ha infatti affermato: “Le esplosioni nel centro dell’Iran e gli attacchi aerei israeliani in Iraq e Siria mandano i futures sulle azioni al ribasso e il petrolio al rialzo.” Per poi aggiungere: “L’oro sale immediatamente dell’1,6% a 2.416 dollari. Il Bitcoin cala immediatamente del 4% a 61mila dollari. Qual è un rifugio sicuro e qual è un gettone digitale altamente speculativo?”

Il riferimento è naturalmente a coloro che ormai da tempo indicano in BTC l’oro digitale e un bene rifugio, alla stregua di quello fisico. Ma l’attacco di Schiff non si è fermato qui. L’economista ha infatti proseguito. “Non solo l’oro è scambiato a un nuovo massimo storico, ma anche l’argento sta andando meglio, con un aumento dell’1,75%. Se vuoi l’oro 2.0 compra semplicemente argento. la moda del Bitcoin è finita.”

Le risposte non si sono fatte attendere

Il tempismo di Schiff non è stato in realtà perfetto, considerato come nelle ore successive BTC abbia ripreso a salire recuperando molto terreno. Tanto da attirarsi una serie di risposte, anche sul filo dell’ironia, a partire da quella dell’analista on-chain Willy Woo, il quale ha affermato: “Ho contrassegnato con emoji di champagne le quattro volte in cui Peter può festeggiare legittimamente. Questa occasione non è una di quelle.”

In effetti Peter Schiff non propriamente famoso per le sue previsioni relative alla regina delle criptovalute. Basti pensare che nel settembre del 2019 si scagliò contro BTC affermando che il suo prezzo rischiava di arrivare a 4mila dollari, o addirittura più in basso.

La sua ossessione lo spinge quindi a veri e propri scivoloni, i quali non sono naturalmente perdonati dai criptofans. Senza tale ossessione si potrebbe anche accettare la sua tesi di fondo, in base alla quale il Bitcoin non rappresenta un vero e proprio bene rifugio. Una tesi esplicitata nel luglio dello stesso anno, al termine di una correzione giornaliera del 7% del suo presso.

In quell’occasione, Schiff aveva infatti dichiarato: “Ancora una volta, Bitcoin dimostra di non essere un bene rifugio. Lo scorso venerdì, le crescenti tensioni commerciali hanno fatto precipitare il valore dei mercati globali. Gli investitori hanno pertanto cercato rifugio in asset considerati sicuri: lo yen giapponese, il franco svizzero e soprattutto l’oro hanno registrato ottimi incrementi. Ciononostante, il prezzo di Bitcoin è diminuito persino più di quello delle azioni! A partire da giovedì scorso, Bitcoin ha perso più valore di tutti i principali indici di borsa, mentre il prezzo di oro e argento è aumentato.”

Intanto BTC resta praticamente fermo, dopo l’halving

Mentre Peter Schiff sembra divertirsi molto a cannoneggiare continuamente la criptosfera e il suo maggiore simbolo, occorre rilevare come a svariate ore dal quarto halving il Bitcoin non accenni praticamente a muoversi, in un senso o nell’altro.

Il prezzo è infatti fermo intorno a quota 64mila dollari o poco più, lasciando nell’incertezza sostenitori e avversari. Tanto da riportare alla mente quanto detto dagli analisti di JP Morgan, in due recenti rapporti. Nelle loro analisi, infatti, i ricercatori della banca d’affari avevano sostenuto che la sospirata bull run si era già verificata nei mesi passati, tanto da condurre ad un sovrapprezzamento di BTC. Un dato il quale spiegherebbe la situazione di stallo attuale.

Bitcoin, tanto rumore per nulla? L’halving è esecutivo, ma il prezzo è fermo

Poco dopo la mezzanotte, sulla blockchain di Bitcoin è stato aggiunto il blocco numero 840mila, che ha reso ufficiale il quarto halving della catena inventata da Satoshi Nakamoto. Chi si aspettava gli effetti speciali è però rimasto deluso, poiché almeno per ora il prezzo di BTC non accenna a movimenti di rilievo, in un senso o nell’altro.

Bitcoin, il quarto halving è scattato dopo la mezzanotte

L’evento più atteso dell’anno, tra i sostenitori dell’innovazione finanziaria, è scattato poco dopo la mezzanotte, nel comprensibile tripudio della criptosfera. Basta in effetti fare una rapida panoramica per notare i toni entusiastici di molti interventi.

Un entusiasmo il quale, almeno per ora, sembra però prematuro. Chi si aspettava l’immediato inizio della corsa di Bitcoin verso l’alto, è rimasto ampiamente deluso. Stando ai dati di CoinGecko, quando il blocco fatidico è stato aggiunto alla blockchain più vecchia e famosa, il token aveva un prezzo di 63.976 dollari, registrando un guadagno dell’1% rispetto alle 24 ore precedenti. Mezz’ora dopo, era sostanzialmente invariato, con un leggerissimo calo a 63.873 dollari. Mentre scriviamo l’icona crypto si trova sostanzialmente a cavallo dei 64mila dollari.

Come si può notare, quindi, i movimenti del prezzo sono lievissimi e quasi irrilevanti. Tanto da riportare alla mente di molti il pronostico degli analisti di JP Morgan, i quali avevano affermato che contrariamente alle previsioni generali, dopo il dimezzamento delle ricompense spettanti ai minatori, la quotazione di Bitcoin sarebbe destinata a calare.

Cosa c’è da attendersi, ora?

Naturalmente, sarebbe meglio attendere qualche giorno, per capire meglio come potrebbe influire l’halving sul prezzo della regina delle criptovalute. Si può però già dire che, in effetti, quanto affermato nel rapporto della banca d’affari statunitense non era certo campato per aria.

In particolare, non era privo di senso quanto affermato in ordine al già evidente sovrapprezzamento del token. Qualche mese fa, in effetti, pochi avrebbero pensato che BTC potesse conseguire il suo massimo storico già prima dell’halving. E l’esserci arrivato ha praticamente eroso il terreno per una nuova bull run.

Al tempo stesso, però, sarebbe eccessivo sostenere che non ci sono margini di crescita nel corso dei prossimi mesi. Anzi, le condizioni in tal senso sembrano esserci tutte, a partire dal progressivo calo degli asset disponibili per chi intende acquistare.

È in vista uno shock dell’offerta di Bitcoin?

A spiegarlo è stato in particolare un recente studio dell’exchange di criptovalute Bybit. Al suo interno, infatti, si afferma in modo chiaro e forte che entro nove mesi le riserve di Bitcoin potrebbero esaurirsi. Un risultato il quale sarebbe reso possibile dall’intrecciarsi di due fattori.

Il primo è rappresentato dalla maggior tendenza a trattenere Bitcoin da parte dei possessori. Molti di loro, e in particolare le “balene”, non sono propensi a vendere, sperando in un rilevante apprezzamento dell’asset in un futuro più o meno prossimo.

Il secondo è naturalmente da individuare nel calo del conio di nuove monete virtuali. Una tendenza derivante dalla minore convenienza a condurre questa attività da parte delle aziende interessate dopo l’halving.

Questi due fattori, si andrebbero a loro volta a incontrare con una ulteriore tendenza, ovvero l’interesse degli investitori istituzionali. Basti pensare all’interesse dei fondi pensionistici, ad esempio, ma non solo. Tale da andare ad aumentare la domanda di moneta virtuale, proprio in un momento in cui l’offerta è destinata a calare. Una serie di tendenze le quali, in ultima analisi, potrebbero provocare uno shock di quest’ultima, con l’impossibilità a soddisfare la richiesta del mercato.

Una situazione, quindi, la quale sembra fatta apposta per incidere in positivo sul prezzo di Bitcoin. Insomma, chi si attendeva il boom di BTC dal dimezzamento delle ricompense spettanti ai minatori, potrebbe averlo invece grazie ad altri fattori.

Bitcoin, JP Morgan insiste nel sostenere che calerà dopo l’halving

Sembra che JP Morgan abbia deciso di cantare fuori dal coro. Mentre si avvicina sempre di più l’halving di Bitcoin, gli analisti della banca insistono nella loro tesi: l’icona è destinata a calare di prezzo dopo l’evento. Una tesi che i ricercatori avevano già espresso qualche giorno fa, sollevando un certo stupore tra esperti e criptofans, convinti a loro volta che accadrà esattamente il contrario. Il tutto mentre il prezzo di BTC, già ha iniziato a risalire, dopo essere piombato a quota 60mila dollari poche ore fa.

Bitcoin, il suo prezzo calerà dopo l’halving, secondo JP Morgan

In un rapporto pubblicato nella giornata di mercoledì, gli analisti di JP Morgan, la banca diretta da Jamie Dimon, hanno di nuovo sostenuto una tesi eterodossa, secondo la quale la quotazione del token inventato da Satoshi Nakamoto è destinato a calare dopo il dimezzamento delle ricompense spettanti ai minatori.

La tesi che era già stata espressa in precedenza, si fonda sul fatto che l’evento si va a calare in una situazione di ipercomprato, desunta dall’analisi dell’open interest nei futures Bitcoin. A ciò, si deve aggiungere che il prezzo della criptovaluta, al momento in cui scriviamo posizionato sopra i 64mila dollari, è ancora superiore al confronto corretto per la volatilità della banca con l’oro, fissato a 45mila dollari, e al costo di produzione previsto di 42mila dollari, dopo il dimezzamento. Quest’ultimo, storicamente, agisce come limite inferiore per i prezzi dell’icona crypto.

Gli estensori del rapporto, inoltre, fanno notare come i finanziamenti in capitale di rischio rimangono modesti, nonostante la recente ripresa del mercato delle criptovalute.

L’impatto maggiore del dimezzamento sarà comunque avvertito dalle società minerarie: “Mentre i minatori Bitcoin non redditizi abbandonano la rete, prevediamo un calo significativo dell’hashrate e un consolidamento tra i minatori con una quota più alta quotati in borsa”.

A rafforzare la loro posizione sarà in particolare la possibilità di accedere ai finanziamenti, in particolare quello azionario. Finanziamenti coi quali potranno procedere al rinnovo delle apparecchiature utilizzate per il mining.

Nel rapporto è anche possibile leggere il seguente passaggio: “Dopo l’evento di dimezzamento, è anche probabile che alcune società minerarie di Bitcoin possano cercare di diversificarsi in regioni a basso costo energetico come l’America Latina o l’Africa per implementare i loro impianti minerari inefficienti per ottenere valori di recupero da quegli impianti che altrimenti rimarrebbero inattivi”.

Intanto Jamie Dimon ha ripreso a cannoneggiare BTC

Il nuovo rapporto stilato dagli analisti di JP Morgan, arriva curiosamente in contemporanea, o quasi, con le rutilanti dichiarazioni del numero uno dell’istituto bancario, Jamie Morgan. Dopo aver promesso in gennaio, nel corso del World Economic Forum tenutosi come al solito a Davos, di non esprimersi più sulla regina delle criptovalute, Dimon non ce l’ha proprio fatta a tenersi fuori dalla mischia.

Ha infatti attaccato con grande violenza Bitcoin, equiparandolo ad uno schema Ponzi, anche se decentralizzato. Per poi aggiungere che gli unici casi d’uso che conosce per il token sono quelli legati ai traffici criminali. Una tesi del resto vecchia, un tempo condivisa da molti personaggi della finanza tradizionale.

Dopo aver fatto questa premessa, Dimon non ha esitato a trarne le conclusioni, chiedendo la messa al bando di Bitcoin. Un’operazione che sembra però complicata da condurre a termine, considerati i 20mila e passa nodi che compongono la rete.

Tesi che hanno suscitato molta ironia all’interno della criptosfera. Ironia sfociata nell’accusa più o meno esplicita di turbativa dei mercati, per fini del tutto personali. Per i suoi detrattori, infatti, non è stato difficile ricordare come la banca da lui diretta non si faccia eccessivi scrupoli nel fare trading di criptovalute, compreso BTC. Oltre ad aver varato un suo token, JPM Coin, utilizzato per le operazioni interne.

Siamo quindi di fronte ad una serie di schermaglie le quali avvengono proprio nelle ore in cui sta ormai per verificarsi il tanto atteso quarto halving di Bitcoin. Non resta che attendere ancora un poco, per capire la fondatezza della tesi espressa nello studio di JP Morgan.

Jamie Dimon torna a tuonare su Bitcoin: è una frode

Com’è ormai noto, esiste una parte della finanza tradizionale che non ha mai digerito eccessivamente l’affacciarsi sul proscenio di quella alternativa. Una parte la quale ha ormai da anni preso di mira il Bitcoin, individuando nell’icona crypto il bersaglio verso il quale indirizzare i propri strali.

Uno dei capofila di questo settore è considerato Jamie Dimon. Il CEO di JP Morgan più di una volta, anche nel recente passato, ha espresso giudizi estremamente aspri su BTC. Con l’avvicinarsi del quarto halving del token ha quindi pensato bene di farsi sentire ancora una volta e di esprimere senza tanti infingimenti il suo pensiero.

Bitcoin è una truffa: parola di Jamie Dimon

Bitcoin è una truffa: a sostenerlo è stato Jamie Dimon nel corso di un’intervista molto articolata concessa a Bloomberg. Una affermazione giunta in risposta ad una domanda sulle criptovalute, che non sembra lasciare molti dubbi. Queste le testuali parole del numero uno di JP Morgan, rilasciate a Emily Chang: “Se intendi criptovalute come Bitcoin, ho sempre detto che è una frode”. Aggiungendo poi che non vede alcuna speranza per una loro evoluzione in valuta reale.

Per chiarire ancora di più il proprio pensiero, ha poi aggiunto di ravvisare nella creazione di Satoshi Nakamoto un vero e proprio schema Ponzi, anche se decentralizzato. Considerata la fama che ormai da un secolo gratifica la figura di Charles Ponzi, il creatore dello schema piramidale, è facile capire la gravità delle parole di Dimon.

La novità, nell’intervista concessa a Bloomberg, è però da ravvisare nelle parole riservate alla blockchain. Secondo Dimon, infatti, se si tratta di token basati su smart contract, gli asset virtuali potrebbero avere un certo valore. Parole in cui si potrebbe ravvisare, quindi, una promozione per Ethereum, notoriamente fondata sui contratti intelligenti.

Per quanto concerne BTC, al contrario, il cannoneggiamento è proseguito senza alcuna soluzione di continuità. Tanto da spingere il finanziere ad affermare che gli unici casi d’uso per la regina delle criptovalute sarebbero il traffico sessuale, l’elusione fiscale e il finanziamento del terrorismo.

Sino a spingersi alla logica conclusione del suo discorso: se questi utilizzi distorti non possono essere evitati, Bitcoin va chiuso. Resta naturalmente da capire come farlo, alla luce degli oltre 20mila nodi che ne compongono la rete, ma Dimon non sembra porsi minimamente il problema.

La risposta ironica dei cryptofans

Le parole di Jamie Dimon non potevano certo passare inosservate. Subito dopo la pubblicazione dell’intervista, molti evangelisti di Bitcoin e cryptofans hanno quindi deciso di rispondere. Una risposta che, in molti casi, è stata improntata all’ironia.

Bitcoin Munger, ad esempio, ha affermato: “A Matrix piace inviare segnali per acquistare più Bitcoin. Questo è uno di quei segnali”. Si tratta di una stoccata di non poco conto, considerato che JP Morgan ormai da anni è impegnata nel trading di asset digitali, tra cui proprio BTC. In pratica, l’accusa è di cercare di colpire il token per spingerne in basso la quotazione e acquistare a prezzi favorevoli, in vista della sua crescita post-halving. Siamo nei pressi della turbativa di mercato, la stessa accusa rivolta a Elon Musk ogni volta che parla di Dogecoin e altre valute virtuali.

Va inoltre sottolineato che JP Morgan è un “partecipante autorizzato” agli ETF spot su Bitcoin di BlackRock, Invesco/Galaxy Digital e Fidelity, gli stessi che la Securities and Exchange Commission degli Stati Uniti ha approvato all’inizio di quest’anno.

Inoltre, la stessa banca ormai da anni ha varato un suo token interno, JPM Coin. Dimostrando quindi tutto il suo interesse sia per Bitcoin che per la blockchain. Tanto da rendere complicato capire la virulenza che caratterizza le dichiarazioni del suo maggiore rappresentante.

Occorre anche aggiungere come Jamie Dimon avesse promesso a gennaio, partecipando al World Economic Forum di Davos, in Svizzera, di non parlare più di Bitcoin. Una promessa da marinaio che ha naturalmente scatenato la criptosfera, del resto ormai abituata ad attacchi di questo genere.