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Tag: Bitcoin

Bitcoin: cosa ne pensa Julian Assange?

Per il vastissimo movimento che si è raccolto nel corso degli anni intorno a Julian Assange, la liberazione del fondatore di WikiLeaks è stato un momento indimenticabile. Una parte di essa, quella che fa riferimento alle criptovalute, ha avuto anche un ulteriore motivo di soddisfazione, dall’epilogo della vicenda, quello legato all’effettiva utilità dimostrata dal Bitcoin al suo interno.

Basti pensare, in tal senso, alla raccolta di risorse digitali che ha permesso ad Assange di noleggiare un aereo e recarsi prima a Vanuatu e poi tornare in patria. Nel corso della quale ha spiccato la donazione di un anonimo Bitcoiners, pari a oltre otto BTC, che sono andati a coprire quasi interamente le spese necessarie.

Proprio per questo motivo, in queste ore, è interessante andare a rileggere le parole dedicate dal giornalista ed editore australiano alle criptovalute nel corso degli anni. Particolare interesse sta destando, in queste ore, un video recentemente riemerso, risalente a diversi anni prima del suo arresto, in cui elogiava apertamente gli asset digitali, definendoli un potente strumento per la libertà.

Bitcoin: cosa ne pensa il fondatore di Wikileaks?

Il pensiero di Julian Assange sulle criptovalute è espresso in una clip risalente al settembre 2014 che è stata condivisa dal presidente esecutivo di MicroStrategy Michael Saylor. Al suo interno, Assange definisce Bitcoin “lo sviluppo intellettuale più interessante su Internet” dalla nascita della rete nel 2009.

Aggiungendo le seguenti parole: “Molte persone che hanno sentito parlare di Bitcoin non lo capiscono davvero. È una valuta supportata crittograficamente e multi-giurisdizionale, il che significa che è molto difficile per un qualsiasi gruppo di potere… iniziare a trasformarla in un apparato di ricerca di rendite.”

Per capire la portata di queste affermazioni e l’anticipo sui tempi, occorre a questo punto ricordare che soltanto anni dopo questo discorso, paesi come El Salvador e aziende come Strike hanno iniziato a sfruttare Bitcoin come strumento per inviare e ricevere rimesse globali istantanee e a basso costo.

Chi controlla il presente controlla il passato? Ora non più così

Secondo Assange, è l’immutabilità delle informazioni immesse nel registro distribuito, a fornire garanzie in tal senso. In pratica, la tecnologia blockchain rappresenta la prova della pubblicazione in un dato momento. Poiché la blockchain di Bitcoin gestisce un registro di eventi reali che non possono essere alterati, la rete può infrangere il detto di Orwell secondo il quale “chi controlla il presente controlla il passato”.

Inoltre, Bitcoin e le criptovalute sono diventati gli strumenti principali per finanziare facilmente i movimenti umanitari globali. Nonostante ciò, c’è un’altra caratteristica dell’icona ideata da Satoshi Nakamoto che occorre mettere in rilievo. Ovvero la sua capacità di difendere se stessa o le persone che la usano anche contro la piena capacità di una superpotenza.

In effetti, Bitcoin è stato usato più volte come strumento per l’aggiramento delle sanzioni imposte dai governi nazionali. Basti pensare a quanto accaduto nel 2022, quando il convoglio di Canadian Trucker che protestava contro i mandati sui vaccini a livello nazionale si è rivolto a BTC per raccogliere fondi una volta le piattaforme di pagamento tradizionali, ad esempio GoFundMe, hanno bloccato le donazioni.

AssangeDAO ha raccolto oltre 54 milioni di dollari per sostenere il fondatore di WikiLeaks

Le parole di Assange espresse in quella particolare occasione, hanno anticipato molti degli sviluppi attuali dell’icona crypto. Del resto, lo stesso Assange si è rivolto alle criptovalute nel preciso intento di reperire fondi dopo essere stato incarcerato nel Regno Unito, nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh.

L’organizzazione autonoma decentralizzata formatasi a suo sostegno, AssangeDAO, è riuscita a raccogliere in questo modo oltre 54 milioni di dollari in ETH. Un esempio destinato ad essere imitato nel futuro, evitando che entità soverchianti possano impedire con la propria forza la conduzione di azioni tese a contestare l’esistente. Al di là della vicenda Assange, si tratta di un lascito estremamente prezioso.

Mining di Bitcoin, CleanSpark acquisirà la rivale GRIID in cambio di 155 milioni di dollari

Il settore del mining di Bitcoin è in una fase di ridefinizione molto profonda. L’ultima novità al proposito è quella relativa a CleanSpark, azienda mineraria focalizzata sul discorso della sostenibilità, che ha deciso di acquisire la rivale GRIID. In cambio verserà 155 milioni di dollari, per tutte le azioni ordinarie della società concorrente.

Non appena sono stati rivelati i termini dell’accordo, il prezzo delle azioni di GRIID è crollato del 49%. Un calo che è comunque da mettere in relazione al 55% che la società mineraria di stanza a Cincinnati aveva collezionato nel corso dell’ultimo mese.

CleanSpark acquista GRIID: i termini dell’accordo

La notizia dell’acquisizione di GRIID da parte di CleanSpark è stata diffusa da un comunicato stampa emesso per l’occasione. Contestualmente alla firma dell’accordo di fusione, le aziende hanno anche stipulato un contratto di hosting esclusivo per tutta la potenza attualmente disponibile, di cui 20 MW verranno assegnati a CleanSpark con effetto immediato.

Come risultato dell’accordo, CleanSpark stima che la sua potenza potrebbe aumentare di oltre 400 MW nel corso dei prossimi due anni. L’acquirente si assumerà tutti i debiti in sospeso e gli altri obblighi di GRIID, oltre a fornirgli un prestito di capitale circolante di 5 milioni di dollari e un prestito ponte di circa 50,9 milioni di dollari, per soddisfare determinati obblighi di GRIID al momento della firma.

A commentare l’accordo raggiunto è stato il CEO di CleanSpark, Zach Bradford. La nota da lui diffusa afferma, in particolare: “Non vediamo l’ora di accogliere il team GRIID nella famiglia CleanSpark e siamo entusiasti di applicare il metodo CleanSpark, attentamente affinato insieme alle comunità in cui operiamo in Georgia e Mississippi, all’imponente pipeline di GRIID nel Tennessee”.

Mentre Trey Kelly, CEO di GRIID, ha a sua volta affermato: “Sono molto orgoglioso dell’attività e del team che abbiamo costruito in GRIID, quindi entrare a far parte di un’azienda con una visione e valori condivisi, come CleanSpark, rappresenta una combinazione aziendale ideale.”

Una fase di ridefinizione del mining di Bitcoin

Fondata nel 2018, GRIID gestisce strutture minerarie a Watertown, New York e nel Tennessee, servite dalla Tennessee Valley Authority (TVA), una delle più importanti società elettriche pubbliche degli Stati Uniti. Oltre alla sede centrale di Cincinnati, in Ohio, l’azienda gestisce un centro di ricerca e sviluppo ad Austin, in Texas, e un sito di sviluppo, distribuzione e riparazione delle apparecchiature a Rutledge, nel Tennessee. Un elemento dell’attività di GRIID che è stato evidenziato da CleanSpark è il suo “approccio comunitario alla costruzione di data center”, focalizzato sulle comunità locali.

L’accordo di fusione tra le due aziende minerarie arriva in un momento molto particolare per il settore. Molti attori operanti nel mining di Bitcoin, infatti, si trovano a dover fare i conti con il quarto halving di aprile.

Il dimezzamento delle ricompense spettanti per l’aggiunta dei blocchi alla catena di BTC, infatti, si è andato a riflettere con grande forza sui bilanci societari. Per cercare di resistere alla tempesta, alcune società stanno vendendo le proprie scorte di token, per poter investire i proventi in nuove apparecchiature. L’estrazione meno redditizia di prima, ha infatti cambiato in maniera considerevole le carte in tavola.

La strada delle fusioni

Se alcune aziende minerarie hanno optato per la vendita delle proprie scorte di Bitcoin, altre hanno invece intrapreso la strada delle acquisizioni. Tra quelle che hanno fatto notizia di recente, occorre ricordare il tentativo di scalata ostile da parte del colosso minerario Riot Platforms nei confronti della società canadese Bitfarms. La resistenza della società attaccata ha però spinto Riot Platforms, all’inizio di questa settimana, ad abbandonare il suo piano.

Non ci sono invece state frizioni tra CleanSpark e il consiglio di amministrazione di Griid. In questo caso, infatti, le condizioni tra le controparti si sono andate a incastrare al meglio. Preparando la strada per la definizione definitiva della questione, che dovrebbe avere luogo entro il terzo trimestre di quest’anno.

Bitcoin, ennesima caduta dopo l’invio di centinaia di token a Coinbase e Kraken, da parte del governo statunitense

Nella giornata di ieri è proseguita la discesa del prezzo di Bitcoin, che ora si trova in prossimità di un’altra resistenza considerata importante, quella dei 60mila dollari. A provocare l’ennesimo smottamento, secondo molti osservatori, sarebbe stato lo spostamento di circa 240 milioni di dollari in BTC da parte di un portafogli elettronico etichettato come collegato al governo degli Stati Uniti. Ad essere spostati sono stati i token sequestrati a un indirizzo Coinbase Prime, i quali hanno destato preoccupazioni tra i trader sulla probabile vendita degli asset digitali.

Bitcoin si avvia verso quota 60mila dollari: cosa sta accadendo?

A ricostruire la vicenda che sta attirando l’attenzione di molti trader è stata Arkham Intelligence. La società specializzata nell’analisi di dati blockchain, infatti, ha pubblicato un post affermando che 3.940 BTC sequestrati ad un venditore sul mercato di Silk Road, quello del Dark Web chiuso ormai da anni, sono stati spostati su un wallet collegato al governo di Washington.

Questo quanto affermato dal post: “Questi BTC sono stati originariamente sequestrati al trafficante di narcotici Banmeet Singh e confiscati durante il processo nel gennaio 2024”. Si tratta solo di una piccola parte dei sequestri operati su Silk Road, il mercato ideato da quel Ross Ulbricht cui Donald Trump e Robert Fitzgerald Kennedy Jr. hanno promesso la grazia, in caso di elezione alla Casa Bianca. Il totale, infatti, è prossimo ai 50mila Bitcoin.

Quella di vendere token sequestrati nell’opera di contrasto alle attività illegali, sta ormai diventando una prassi per il governo statunitense. Basti pensare che il passato 2 aprile sono stati ceduti token per circa due miliardi dollari. Mentre nel marzo del 2023 erano stati 9.861 i Bitcoin venduti.

I timori per l’imminente rilascio dei Bitcoin legati a Mt. Gox

Le notizie relative alla vendita dei token da parte del governo degli Stati Uniti, si sono andate peraltro ad inserire in un contesto problematico, per l’icona crypto. Nei giorni passati, infatti, è stato reso noto il piano di rientro dei debitori di Mt. Gox, l’exchange crollato nel 2014. Il rilascio dei Bitcoin collegati a quella vicenda è programmato per i prossimi giorni e la previsione è che saranno immessi sul mercato, in larga parte.

Ove ciò avvenisse, si verrebbe a creare ulteriore pressione di vendita, con ovvie conseguenze sul prezzo di Bitcoin. Se nelle ultime ore molti analisti si sono affannati a gettare acqua sul fuoco, una parte delle preoccupazioni permangono.

Resta invece da capire se le balene hanno ancora intenzione di mantenere le proprie posizioni. Nel corso delle settimane passate, molti analisti hanno rimarcato come i grandi detentori di Bitcoin sembrino intenzionati a non vendere. Se non lo hanno fatto a prezzi più alti, sembra in effetti difficile che possano farlo in un momento così critico.

Anche il governo tedesco sta vendendo

A rendere ancora più intricata l’attuale situazione, contribuiscono anche le vendite del governo tedesco. Un portafogli elettronico collegato ad esso, infatti, ha venduto il 25 giugno oltre 54 milioni di dollari di Bitcoin. Un’operazione che ha visto il trasferimento di 900 BTC in tre distinte transazioni individuali.

Una prima transazione da 200 BTC è stata inviata a Coinbase, mentre il secondo trasferimento da 200 BTC è avvenuto in direzione di Kraken. Infine, una terza operazione, del valore di 500 BTC, è stata inviata all’indirizzo “139Po”, il cui proprietario resta però al momento sconosciuto.

Occorre sottolineare che pur anonimo, questo wallet ha già avuto occasione di interagire con il governo tedesco. Come è avvenuto il 19 giugno e il giorno seguente, quando si è verificata l’effettuazione di due trasferimenti, per 500 e 800 token rispettivamente.

Dopo gli ultimi trasferimenti, il wallet del governo tedesco contiene ancora 46.359 BTC. Il timore è che possano essere presto immessi sul mercato. Ove ciò accadesse, la resistenza a quota 60mila dollari sarebbe facilmente travolta, con conseguenze che potrebbero essere devastanti, per la quotazione di BTC.

Pagare le tasse federali con Bitcoin: la proposta di un deputato statunitense

Pagare le tasse federali in Bitcoin: questa è la proposta contenuta in un disegno di legge presentato da Matt Gaetz, un deputato repubblicano della Florida. Ove venisse approvato dal Congresso, il Tesoro degli Stati Uniti avrebbe la facoltà di accettare i pagamenti fiscali dovuti dai contribuenti in BTC. Si tratta in pratica del primo atto legislativo teso a trasformare l’icona inventata da Satoshi Nakamoto in qualcosa di molto simile ad una forma di moneta a corso legale. Almeno a livello nazionale.

Bitcoin per pagare le tasse federali: la proposta è di Matt Gaetx

Il disegno di legge redatto dal deputato Matt Gaetz rappresenta una vera novità per quanto riguarda l’ordinamento fiscale degli Stati Uniti. Va infatti a ordinare al Segretario del Tesoro di “sviluppare e implementare un metodo per consentire il pagamento con bitcoin di qualsiasi tassa imposta a un individuo”.

Se a livello nazionale si tratta di una primizia, occorre anche sottolineare come già lo Stato del Colorado preveda la possibilità di utilizzare valuta virtuale per i pagamenti dovuti alla pubblica amministrazione sotto forma di tasse.

Secondo gli esperti, però, per poter essere attuabile il provvedimento comporterebbe la risoluzione dell’altra metà dell’equazione, ovvero l’eliminazione delle tasse sulle plusvalenze sulle vendite di BTC. Un provvedimento che, peraltro, è già stato previsto nel programma elettorale del candidato indipendente alle presidenziali di novembre, Robert F. Kennedy Jr., confermando la predisposizione dello stesso nei confronti dell’innovazione finanziaria.

Bitcoin e tasse federali: le motivazioni di Matt Gaetz

È stato lo stesso Matt Gaetz a spiegare la ratio che è alla base del suo disegno di legge. Secondo il popolare politico repubblicano, consentire il pagamento delle tasse tramite BTC andrebbe a promuovere l’innovazione. Inoltre, comporterebbe un aumento della flessibilità e dell’efficienza dei pagamenti a beneficio dei cittadini statunitensi.

Su X, ex Twitter, ha poi affermato: “Questo è un passo coraggioso verso un futuro in cui le valute digitali svolgono un ruolo vitale nel nostro sistema finanziario, garantendo che gli Stati Uniti rimangano in prima linea nel progresso tecnologico”.

La legislazione darebbe al Tesoro la facoltà di prescrivere regolamenti tesi alla migliore assistenza possibile per la gestione dei pagamenti virtuali. A partire dal requisito che tutti i pagamenti effettuati in Bitcoin siano immediatamente convertiti in dollari statunitensi.

Gaetz e Bukele

Il disegno di legge arriva dopo la recente visita di Gaetz in El Salvador, giustificata dalla partecipazione alla inaugurazione del secondo mandato presidenziale di Nayib Bukele. Ovvero del presidente del piccolo Stato centroamericano che ha fatto di Bitcoin una moneta a corso legale, affiancandolo al dollaro statunitense nel 2021.

Proprio alla visione di Bukele, il deputato repubblicano ha affermato di ispirarsi in un comunicato stampa. La Bitcoin Law, secondo lui, avrebbe contribuito a promuovere la stabilità finanziaria e la creazione di posti di lavoro in America Centrale.

Il tema delle criptovalute, quindi, continua a fare breccia nella politica statunitense, come del resto dimostrano le posizioni assunte da Donald Trump. Il miliardario, di nuovo in pista per i repubblicani, ha infatti fatto dell’innovazione finanziaria un suo cavallo di battaglia. Ribaltando le sue vecchie convinzioni su Bitcoin ha addirittura deciso di autoproclamarsi “presidente delle criptovalute”, nel corso di un recente evento di finanziamento.

L’ex presidente ha inoltre promesso di porre fine alla “guerra alle criptovalute” del presidente Biden e della senatrice Elizabeth Warren, affermando il diritto dei cittadini al controllare del proprio tesoro virtuale. Per poi aggiungere la necessità di coniare tutti i Bitcoin restanti, per rendere gli Stati Uniti “dominanti dal punto di vista energetico”.

Joe Biden, a sua volta, sembra essersi reso conto con grande ritardo del pericolo di perdere il consenso dei detentori di criptovalute. Dopo aver a lungo osteggiato l’innovazione finanziaria ora sta addirittura cercando finanziamenti nella comunità crypto, appoggiandosi a Coinbase. Un tentativo che, però, è stato ampiamente dileggiato dalla criptosfera.

Mt. Gox, a luglio inizieranno i rimborsi per gli ex clienti dell’exchange crollato nel 2014

Sembra ormai tutto pronto per l’inizio dei rimborsi da parte del curatore fallimentare di Mt. Gox, il più grande exchange di Bitcoin crollato nel 2014, al culmine di una serie di attacchi da parte di pirati informatici che ne trafugarono gran parte delle risorse detenute.

Stando alle dichiarazioni rilasciate al proposito, i rimborsi ai clienti danneggiati dal crac di Mt. Gox inizieranno a essere distribuiti nel prossimo mese di luglio. I rimborsi saranno effettuati in Bitcoin e Bitcoin Cash e potrebbero andare ad aumentare la pressione di vendita su entrambi i mercati. Le conseguenze di questo avviso hanno peraltro provocato un nuovo smottamento di BTC, al momento quotato poco più di 61.100 dollari.

Mt. Gox: a luglio inizia la campagna dei rimborsi

Il defunto exchange di Bitcoin Mt. Gox ha dichiarato che inizierà a distribuire i beni rubati ai clienti in un hack del 2014 nella prima settimana di luglio. Un annuncio atteso da un gran numero di investitori rimasti coinvolti negli eventi di dieci anni fa. Anche perché le scadenze al proposito sono state continuamente rimandate, mettendo in fibrillazione i diretti interessati.

Questa la dichiarazione rilasciata per l’occasione da Nobuaki Kobayashi, incaricato di sovrintendere alle procedure fallimentari di Mt. Gox, sul sito web dell’ex scambio: “Il fiduciario per la riabilitazione si sta preparando a effettuare rimborsi in Bitcoin e Bitcoin Cash nell’ambito del piano di riabilitazione”.

Lo stesso Kobayashi ha poi affermato: “I rimborsi saranno effettuati dall’inizio di luglio 2024”. Inoltre, ha aggiunto che saranno necessarie una due diligence e alcune misure di sicurezza prima che i pagamenti possano essere realmente effettuati.

La pressione sul mercato crypto è destinata ad aumentare

Se gli ex clienti di Mt. Gox saranno prevedibilmente sollevati dall’annuncio in questione, la stessa cosa non può dirsi per tutti gli altri trader. Secondo la stragrande maggioranza degli analisti, infatti, i rimborsi sono destinati ad aumentare la pressione di vendita sui mercati.

Una previsione fondata sul fatto che i primi investitori riceveranno asset ad un valore molto più alto rispetto a quelli inseriti prima del 2013, rendendoli propensi a vendere almeno una parte delle loro partecipazioni, per poter rientrare dopo un lunghissimo periodo di attesa.

La vicenda di Mt. Gox non è mai stata effettivamente chiarita. Quello che era il più grande exchange di criptovalute a livello globale, è infatti crollato al culmine di una serie di attacchi di cui in molti hanno dubitato. L’unica cosa certa è la dimensione epocale dell’attacco. Nel corso dello stesso, infatti, furono trafugati circa 740mila Bitcoin. Il cui valore, ai prezzi attuali, sarebbe intorno ai 15 miliardi di dollari.

Uno sviluppo ampiamente prevedibile

Nel passato mese di aprile, K33 Research aveva pubblicato un rapporto sulla questione, secondo il quale l’exchange fallito si apprestava a distribuire 142mila BTC. Un valore pari a circa 9,5 miliardi di dollari, cui andavano aggiunti 143 Bitcoin Cash, a loro volta pari a circa 73 milioni di dollari.

Il mercato guarda con molto nervosismo agli eventi in questione. Il timore è che possa avvenire un vero e proprio sell-off da parte degli utenti rimborsati. Il prezzo del Bitcoin è infatti iniziato a scendere nei momenti successivi al rilascio della dichiarazione di Kobayashi. A mostrarlo con tutta chiarezza i dati di CoinGecko.

Uno sviluppo che, del resto, era stato ampiamente previsto. Nel passato mese di aprile, infatti, Vetle Lunde e Anders Helset avevano affermato al proposito: “Le monete di Mt. Gox potrebbero diventare un importante contributore negativo ai prezzi nel corso delle prossime settimane”. La speranza è che ad esse non si vadano ad aggiungere le ulteriori vendite dei minatori, messi a loro volta in difficoltà dal dimezzamento delle ricompense. Ove ciò avvenisse, la marcia all’indietro di Bitcoin sarebbe inevitabile.

Il governo tedesco vende 325 milioni di dollari in Bitcoin e il token scende a 64mila dollari

Il Bitcoin sta vivendo una fase di pronunciata difficoltà. A testimoniarlo il calo del suo prezzo a 64.100 dollari circa, con una flessione pari all’1,2% del suo valore nell’arco di una sola ora. Un dato per effetto del quale il deprezzamento di BTC nel corso delle ultime due settimane è stato del 9% circa.

Naturalmente, la dinamica dell’ultima giornata, in cui il prezzo dell’icona crypto ha lasciato il 3,5% del suo valore sul terreno, è stata oggetto di forti discussioni, all’interno della criptosfera. Portando infine ad una conclusione: a causarla sarebbe stata la vendita di token effettuata dal governo tedesco. Una vendita che ha interessato un quantitativo di criptovaluta pari a 325 milioni di dollari.

Bitcoin scende a 64mila dollari: cosa sta accadendo?

Il governo tedesco sta scaricando sul mercato una grande quantità di Bitcoin sequestrati. Un quantitativo pari a 325 milioni di dollari che, una volta riversato sul mercato, ha condotto inevitabilmente ad una forte diminuzione del prezzo di BTC.

Si tratta peraltro di un primo quantitativo, considerato come la Germania detenga circa tre miliardi di dollari in Bitcoin. Un quantitativo derivante dalla confisca nei riguardi di Movie2k.to, un sito web di pirateria cinematografica, avvenuta nel corso del 2020.

L’operazione ha visto la confisca di ben 50mila BTC messi insieme dal sito web pirata, venendo salutata all’interno di un comunicato stampa come “la più ampia azione di confisca di Bitcoin da parte delle forze dell’ordine nella Repubblica Federale Tedesca fino ad oggi”.

Occorre peraltro considerare che i 325 milioni in oggetto rappresentano solo un succoso antipasto. Secondo la società di analisi blockchain Arkham, infatti, sarebbe propedeutica ad altre operazioni che condurrebbero infine alla liquidazione dell’intero tesoro confiscato.

Perché il governo tedesco sta vendendo i suoi Bitcoin?

Anche la decisione del governo di Berlino è stata oggetto di discussione, nel corso delle ultime ore. Si sta infatti cercando di capire quali siano le motivazioni dietro l’operazione.

Una risposta in tal senso è stata data da Robert Quartly-Janeiro, direttore strategico dell’exchange crypto Bitrue, in un’intervista concessa a Decrypt. Questo il suo parere: “Dopo aver visto un calo nel prezzo di BTC, il governo tedesco sta rilasciando tranche significative di BTC e ha ritenuto che il prezzo di BTC si indebolirà nell’immediato futuro. Vale la pena ricordare che i BTC venduti sono stati sequestrati a causa di attività illecite, quindi la cosa più interessante è ciò che il governo tedesco intende fare con il capitale una volta venduto.”

Occorre comunque sottolineare che le vendite del governo tedesco non sono il solo motivo del momento negativo di Bitcoin. Molti analisti, infatti, indicano il sentimento negativo del mercato come un altro fattore che sta spingendone al ribasso la quotazione.

Le previsioni sono comunque per una forte crescit di BTC nei prossimi mesi

Una situazione, l’attuale, che dovrebbe continuare a pesare ancora per qualche settimana. Le previsioni generali, infatti, continuano a convergere su una forte crescita di BTC nei prossimi mesi. Una previsione fondata su una serie di fattori di non poco conto. Tra di essi spicca il possibile shock dell’offerta che potrebbe conseguire dal fatto che le riserve disponibili negli exchange sono ormai in via di esaurimento.

Secondo un rapporto piattaforma di analisi on-chain CryptoQuant, infatti, all’8 aprile erano presenti appena 1,94 milioni di BTC all’interno di tutti gli indirizzi degli exchange crypto. Un dato tale da rappresentare appena il 9,8% dell’offerta circolante di Bitcoin. Una situazione che è stata soltanto leggermente alleviata dalle vendite dei minatori messi in difficoltà dal dimezzamento delle ricompense stabilito dal quarto halving.

I dati di CryptoQuant sono peraltro confermati da un rapporto di Bybit. Secondo gli analisti dell’exchange, infatti, le riserve degli scambi dovrebbero esaurirsi nel corso dei prossimi nove mesi. Causando una penuria destinata a far crescere il prezzo del token.

Il mining di Bitcoin è ai massimi storici in quanto a sostenibilità ambientale

Il mining di Bitcoin continua ad essere visionato con molta attenzione dagli ambientalisti. Com’è noto, infatti, i consumi collegati all’estrazione dei blocchi sulla blockchain più longeva sono estremamente elevati. Con l’ovvia conseguenza che, ove fondati su fonti come il carbone o il petrolio, ma non solo, sono destinati a inquinare in maniera rilevante.

Le ultime notizie relative all’attività, però, possono essere considerate positive. Stando a un grafico modellato da Daniel Batten, venture capitalist nel campo della tecnologia climatica, e dall’analista di dati Willy Woo, la quantità di energia proveniente da fonti rinnovabili dedicata al mining di Bitcoin sarebbe ai massimi storici. Si attesterebbe infatti intorno al 55%. Un dato che potrebbe riaprirgli molte porte che si erano chiuse in precedenza.

Mining di Bitcoin: il 55% dell’energia impiegata proviene da fonti rinnovabili

Nella discussione relativa al mining di Bitcoin, il dato che è sempre stato agitato dagli ambientalisti è quello relativo ai consumi collegati alla blockchain più longeva. Un modus operandi che, a dire il vero, non è molto corretto. Se fosse esteso ad altre attività, infatti, comporterebbe la messa in discussione di un gran numero di esse, che in effetti consumano molto di più.

Il metodo corretto di affrontare il problema obbligherebbe invece a cercare di capire quanto di questa quantità di energia impiegata provenga da fonti inquinanti. Ove fosse adottato questo principio, salterebbe agli occhi come meno della metà di quella impiegata nel mining di BTC proviene da fonti non rinnovabili.

Poco? Tanto? Questo naturalmente dovrebbe essere stabilito dagli esperti, magari facendo il confronto con altre attività, inquinanti o meno. Per capire meglio anche questa questione, sarebbe però il caso di ricordare la vicenda relativa a Tesla.

Ora Tesla potrebbe tornare a offrire pagamenti in Bitcoin?

Nel 2021, l’azienda automobilistica fondata da Elon Musk sollevò grande rumore. Annunciò infatti l’acquisto di 1,5 miliardi in BTC e l’inclusione dell’icona crypto nei pagamenti delle vetture. Una decisione sulla quale, però, la casa tornò indietro ad appena due mesi di distanza.

A suggerire la mossa proprio i livelli di inquinamento connessi al mining di Bitcoin. Tali da spingere lo stesso Elon Musk ad affermare che il token sarebbe tornato come strumento di pagamento solo ove avesse conseguito almeno il 50% di sostenibilità ambientale.

Naturalmente, alla luce dei dati di Batten e Woo, molti si sono chiesti se l’uomo più ricco del mondo rispetterà quanto affermato all’epoca. La questione più importante, però, è che i nuovi dati potrebbero mutare la percezione sul mining di Bitcoin da parte di alcuni governi. Allontanando, ad esempio, l’ipotesi di uno sfratto dal continente europeo.

Mining di BTC, la questione dei governi nordici

Tra coloro che non hanno nascosto la propria avversione per il mining di Bitcoin, un posto di riguardo spetta ai governi del Nord Europa, Svezia in primis. Affermandone la pericolosità, il governo di Stoccolma ha cercato di introdurre il bando all’attività nel Markets in Crypto Assets (MiCA). Il nuovo regolamento sulle criptovalute approvato dall’UE, però, non ha affrontato il tema, preferendo stralciarlo.

Nel frattempo la Svezia ha trovato alleati in altri governi della stessa area geografica, a partire dall’Islanda e dalla Norvegia. La prima ha espresso l’intenzione di sacrificarlo per dirottare energia verso il settore agricolo, la seconda vorrebbe imporre la registrazione dei data center in modo da individuare le aziende minerarie ed espellerle.

Occorre ora capire se le intenzioni bellicose siano destinate a restare tali, alla luce di una tendenza, quella a rendere più sostenibile il mining di Bitcoin, che dura ormai dal 2021. In caso contrario, i minatori dovranno continuare a lavorare per allontanare ogni pericolo in tal senso, anche nel corso dei prossimi anni.

Bitcoin, sono le vendite dei minatori a causarne l’attuale deprezzamento? L’ipotesi è di CryptoQuant

Bitcoin (BTC) è calato del 4,5% nel corso degli ultimi sette giorni, toccando il minimo mensile intorno a quota 65mila dollari. Un deprezzamento il quale ha spinto molti osservatori a porsi una precisa domanda: cosa è che sta agendo in negativo sul prezzo di BTC?

Una possibile risposta in tal senso è arrivata da parte di CryptoQuant, i cui analisti adombrano la tesi che a provocare l’attuale dinamica del suo prezzo sarebbero le vendite messe in atto dai minatori. Una tesi contenuta all’interno dell’ultimo rapporto settimanale dell’azienda e fondata su un dato di fatto ben preciso: il numero di token fatti affluire negli exchange dalle aziende minerarie ha raggiunto il massimo da due mesi a questa parte. Il tutto in un contesto il quale vede un forte calo delle entrate derivanti dalle minori commissioni di transazione.

La tesi CryptoQuant: alla base del forte calo di Bitcoin ci sono le vendite da parte dei minatori

Il passato 9 giugno, il trasferimento orario di BTC, avvenuto principalmente ad opera del pool minerario btc.com, all’exchange di criptovalute Binance, ha raggiunto il massimo da due mesi a questa parte, attestandosi a più di 3mila token. Mentre il giorno successivo, i minatori hanno ceduto non meno di 1.200 BTC facendo leva sui desk OTC.

Per effetto di questi dati, pubblicati dalla società di analisi on-chain CryptoQuant, è stato conseguito il volume giornaliero più elevato dalla fine del mese di marzo. Un periodo in cui tale volume ammontava a circa 1.600 token. Un dato cui, peraltro, non sono estranee le grandi aziende minerarie.

Tra quelle che hanno aumentato la propria attività di vendita spicca Marathon Digital, società di stanza negli Stati Uniti. L’azienda ha infatti scaricato non meno di 1.400 Bitcoin nel corso del solo mese di giugno. Un dato tale da rappresentare l’8% delle sue partecipazioni, con un aumento considerevole rispetto ai 390 coin che sono stati venduti nel mese precedente.

Perché le aziende minerarie stanno vendendo?

L’aumento delle vendite da parte dei minatori Bitcoin è dovuto ad una circostanza precisa: i loro ricavi sono rimasti su un livello basso dopo il quarto halving. I guadagni giornalieri dei miner, infatti, sono crollati a circa 35 milioni di dollari, con una flessione pari al 55% rispetto ai 78 milioni di dollari che erano invece stati conseguiti nel corso del mese di marzo.

Per quanto concerne le commissioni giornaliere sulle transazioni Bitcoin, si aggirano al momento intorno a 65, un calo massiccio rispetto alle 117 che avvenivano prima del dimezzamento delle ricompense. Senza contare il fatto che la media delle commissioni di transazione è rimasta bassa, nonostante il numero record di operazioni che è stato registrato sulla rete nel corso delle ultime settimane.

E, ancora, occorre tenere in considerazione il dato relativo all’hashrate. Dall’halving di aprile, infatti, questa metrica è rimasta elevata, calando appena del 4%. I consumi sono quindi restati alti, in un periodo in cui le ricompense erano la metà di prima. Ne è derivata una pressione tale da spingere molte aziende minerarie a ricorrere alla vendita dei token estratti.

Al momento, l’hashrate di Bitcoin è pari a 599 EH/s, contro i 622 EH/s che era il dato prima dell dimezzamento. Ciò implica una competizione tra i minatori per ricompense che sono notevolmente inferiori. Una realtà cui soltanto le realtà più grandi sono in grado di reggere, senza subire eccessivi contraccolpi.

Una realtà la quale, del resto era ampiamente prevedibile, tanto da essere prefigurata da una serie di rapporti pubblicati a cavallo dell’evento di aprile. Resta ora da capire quante aziende minerarie saranno in grado di resistere, nel caso in cui la situazione del mercato dovesse proseguire su questa lunghezza d’onda.

Bitcoin, Trump vuole che quelli restanti siano estratti negli Stati Uniti

Donald Trump sembra intenzionato a sfruttare ogni possibile occasione, per attrarre gli indecisi che detengono criptovalute. La sua ultima sortita nel campo dell’innovazione finanziaria è stata dedicata al mining di Bitcoin, altro tema caldo degli ultimi anni, il quale sta tornando in auge proprio per il rinnovato quadro imposto al settore dal quarto halving.

Con il dimezzamento delle ricompense spettanti ai minatori, molte aziende del settore si sono trovate in forte difficoltà. Se alcune hanno chiuso, altre stanno invece considerando con sempre più attenzione la questione dei costi, in particolare quelli relativi alla quantità di energia che serve per alimentare i macchinari dedicati all’estrazione dei blocchi.

Un tema che non poteva quindi sfuggire a un Donald Trump costantemente all’attacco, sul tema criptovalutario. Tanto da spingerlo ad affermare che il suo obiettivo è di creare le condizioni affinché tutti i Bitcoin restanti vengano estratti negli Stati Uniti.

Dominare il mining di Bitcoin per nominare il globo a livello energetico

In un recente incontro con gli operatori del settore, il candidato presidenziale repubblicano ha affermato senza mezzi termini di avere come obiettivo l’estrazione di tutti i Bitcoin rimanenti all’interno degli Stati Uniti. Una mossa che, secondo lui, contribuirà al dominio energetico del paese.

All’incontro hanno preso parte molti rappresentanti di importanti aziende minerarie. Tra di loro Salman Khan (Marathon Digital), Matthew Schulz (CleanSpark), Jason Les e Brian Morgenstern di Riot Platforms. Oltre ad Amanda Fabiano, ex responsabile del settore minerario di Galaxy e attuale direttore del settore minerario di Bitcoin presso Fidelity.

A spiegare i suoi concetti è stato l’ultimo post pubblicato dal tycoon sulla piattaforma social Truth, con queste parole: “Il mining di Bitcoin potrebbe essere la nostra ultima linea di difesa contro una CBDC. L’odio di Biden per Bitcoin aiuta solo la Cina, la Russia e la sinistra radicale comunista. Vogliamo che tutti i Bitcoin rimanenti siano MADE IN USA!!! Ci aiuterà a essere ENERGY DOMINANT.” Ovvero dominanti dal punto di vista energetico, anche se non è chiaro il motivo per il quale detenere BTC rafforzerebbe la posizione energetica degli USA.

Per capire meglio l’ultima sparata di Trump, occorre a questo punto sottolineare come la quota statunitense in termini di hash rate veda attualmente il Paese nordamericano attestarsi al 38%, contro il 21% della Cina e il 13,3% del Kazakistan. I dati sono di Chain Bulletin e il candidato repubblicano vorrebbe modificarli a vantaggio del suo Paese.

Trump continua a spingere sulle criptovalute

Le parole a volte avventate di Trump in tema di criptovalute, evidenziano come il miliardario, nel suo tentativo di tornare alla Casa Bianca, sia intenzionato a sfruttare metodicamente il tema dell’innovazione finanziaria. Un settore a lungo osteggiato, ma che ora potrebbe fare la differenza nella corsa alla presidenza.

Se un tempo Trump detestava Bitcoin, ora se ne professa convinto assertore. Tanto da affermare la necessità di coesistenza tra BTC e dollaro. Un entusiasmo da neofita che lo spinge ad affermazioni spesso sopra le righe, le quali sembrano più derivanti da motivazioni tattiche che da una vera conoscenza del tema.

Un nuovo atteggiamento che ha trovato sponda in una industria, quella delle criptovalute, che necessita di sponde istituzionali. La serrata offensiva scatenata dalla SEC targata Gary Gensler, infatti, sta producendo notevoli danni a un gran numero di aziende. In particolare quelle che si sono viste recapitare un avviso Wells dall’autorità di regolamentazione dei mercati finanziari statunitensi.

Con Trump cambierà l’atteggiamento istituzionale verso Bitcoin e Altcoin?

Nel corso delle ultime settimane, l’offensiva pro-criptovalute di Trump ha acquistato una sempre maggiore velocità. Sino a promettere la liberazione di Ross Ulbricht, il controverso creatore di Silk Road, fiorente mercato del Dark Web su cui avvenivano traffici di stupefacenti, armi ed esseri umani, prima della chiusura da parte delle forze dell’ordine.

Cui hanno fatto seguito accuse sempre più violente contro quella parte democratica risolutamente avversa all’innovazione finanziaria. Una parte simboleggiata da Elizabeth Warren, dalla quale ha promesso di difendere il diritto all’autocustodia dei detentori di asset digitali.

Non tralasciando neanche il tema di una CBDC (Central bank Digital Currency) a stelle e strisce. Per la quale ha affermato la sua assoluta contrarietà, ravvisando nella stessa un mezzo di controllo sui cittadini.

Gli ultimi sondaggi pubblicati vedono il candidato repubblicano in leggero vantaggio su Biden. La distanza tra i due è al momento inferiore al punto percentuale, non dando di conseguenza alcuna certezza a nessuno. Mentre è abbastanza sorprendente il 9,1% che gratifica un altro candidato pro-crypto, quel Robert F. Kennedy Jr. che si presenta come indipendente.

Bitcoin City, il primo cittadino ha deciso di lasciare El Salvador. Vediamo i motivi della decisione

Bitcoin City doveva essere una vera e proprio vetrina, per un El Salvador ormai convertito all’innovazione finanziaria. Sembra che, però, la vicenda non sia andata secondo le speranze di Nayib Bukele, il presidente del piccolo Paese del Centro America.

A dimostrarlo è la notizia relativa a Corbin Keegan, un bitcoiners statunitense che si era stabilito in loco, proclamandosi come primo cittadino della nuova città. Dopo oltre due anni di attesa, infatti, ha deciso di rientrare negli Stati Uniti, a causa dell’assoluta mancanza di progressi nella sua costruzione.

Una vicenda che lascia capire come spesso i politici si lascino tradire dall’intenzione di dare vita ad effetti speciali, senza però assicurarsi che i loro progetti abbiano basi in grado di agevolarne l’effettiva realizzazione.

Bitcoin City: il sogno è rimasto sulla carta

Bitcoin City doveva essere una sorta di manifesto del nuovo El Salvador. Un paese impegnato a trasformarsi in una vera e propria enclave dedicata all’icona crypto, incastonata nel cuore del continente americano.

Nayib Bukele ne aveva annunciato il varo nel novembre del 2021, prospettando la costruzione di un insediamento tecnologico basato sui cosiddetti bond vulcanici. Obbligazioni contestate dal Fondo Monetario Internazionale che, però, ancora non hanno visto la luce.

La nuova città avrebbe dovuto essere alimentata dal punto di vista finanziario ed energetico dall’energia ricavata dai vulcani, presenti in loco. Un progetto che è rimasto sinora sulla carta, costringendo Corbin Keegan, che si era installato nel Paese, a gettare la spugna dopo oltre due anni di attesa.

Keegan era giunto a El Salvador da Chicago, e aveva pensato di trasferirsi sul luogo in cui era previsto l’insediamento, a La Union. Aveva quindi dato vita ad una casa completamente autocostruita, che doveva essere un temporaneo rifugio in vista della costruzione di quella Bitcoin City di cui era venuto a conoscenza vivendo a El Zonte, in una folta comunità che nutre i suoi stessi interessi per l’innovazione finanziaria.

Per ora solo annunci

Qual è, al momento, la reale situazione del progetto Bitcoin City? Si può dire che tutto è rimasto sulla carta, ovvero sotto forma di annuncio. All’inizio del 2022, proprio Bukele aveva dichiarato che si stava lavorando per fornire l’energia geotermica necessaria al fine di garantirne l’alimentazione. Mentre nell’aprile dello scorso anno è stato il Ministero dei Lavori Pubblici ad emettere un documento affermando che non era stato registrato alcun progetto in tal senso. Per poi aggiungere che l’insediamento potrebbe essere in fase di pianificazione informale.

Nulla di fatto anche sul fronte dei cosiddetti bond vulcanici, ovvero le obbligazioni statali che dovevano essere emesse a sostegno di Bitcoin City. Dovevano essere emessi nel primo trimestre dell’anno in corso, ma sono ancora in alto mare.

Per quanto riguarda Corbin Keegan, comunque, il suo dovrebbe essere un semplice arrivederci. Secondo la proprietaria della sua abitazione, infatti, l’uomo avrebbe affermato di essere pronto a tornare a dicembre. Occorre vedere, però, se nel frattempo si sarà mosso qualcosa, o tutto sarà ancora a livello di annunci.

El Salvador potrebbe crescere grazie alle criptovalute?

Quella di Bukele rappresenta una scommessa importante. Il Paese non possiede grandi risorse e da sempre dipende dai prestiti del Fondo Monetario Internazionale. Prestiti che, però, potrebbero essere rimborsati nel caso in cui BTC raggiungesse quota 100mila dollari.

Siamo comunque in un terreno minato, quello delle ipotesi. Tanto che la realtà vede il governo trattare con l’FMI per un nuovo prestito da 1,3 miliardi di dollari. Resi indispensabili dalla necessità di far fronte agli impegni fiscali e al pagamento del debito che, secondo il Banco Central de Reserva, alla fine del 2023 ammontava a 34 milioni di dollari, ovvero all’82% del prodotto interno lordo (PIL).

Se Bukele non sembra coltivare dubbi, secondo gli ultimi dati dell’Ufficio nazionale di Statistica, 1,9 milioni di persone, in un Paese di poco più piccolo della Toscana, vive in povertà. Con una situazione la quale continua ad aggravarsi, se si pensa che dal 2019, anno in cui ha avuto inizio il governo Bukele, il tasso di povertà è aumentato di 4,4 punti. 

Bitcoin, le tariffe per le transazioni sono di nuovo alle stelle, vediamo perché

In questo momento è molto complicato condurre in porto una transazione sulla blockchain di Bitcoin, tanto che una di queste operazioni, con difficoltà media, comporterebbe un costo pari a 34,08% per essere elaborata tempestivamente.

A diramare il dato è stato mempool.space, ricordando che al momento ci sono non meno di 334.400 transazioni in attesa di poter arrivare in porto. Una situazione tale da spingere naturalmente molti utenti a chiedersi cosa stia accadendo.

Bitcoin, tariffe nuovamente alle stelle: cosa sta accadendo?

Naturalmente, come ogni volta che le commissioni di BTC raggiungono questi livelli, gli utenti hanno reagito con un certo fastidio. Il teatro delle loro lamentele è stato X, ove molti hanno affermato la speranza per la prossima adozione di layer 2 e sidechain efficienti. A non lamentarsi sono invece i minatori di Bitcoin, che in questo momento stanno più che raddoppiando i propri guadagni derivanti dall’estrazione dei blocchi.

Se, però, in passato erano Ordinals e Runes a provocare intoppi, stavolta la causa di quanto sta accadendo è totalmente diversa. Secondo CryptoQuant, il colpevole della congestione di Bitcoin è OKX, lo scambio di criptovalute con sede alle Seychelles che è attualmente il terzo più grande al mondo per volume di scambi.

È stato il responsabile della ricerca, Julio Moreno, ad affermarlo. Ecco quanto da lui affermato, sempre su X: “Molta attività da parte dell’exchange OKX oggi, la maggior parte è legata a transazioni interne per consolidare gli output. Ciò ha causato un aumento delle tariffe.”

Il problema è rappresentato da OKX

Per capire meglio le affermazioni di Moreno, occorre ricordare che i singoli trasferimenti di Bitcoin vengono archiviati nei portafogli degli utenti come output di transazioni non spesi (UTXO). Nel caso in cui tali utenti desiderano spedire i propri token a un altro wallet, devono versare le commissioni di transazione su ogni singolo UTXO presente nel proprio portafoglio. Se i trasferimenti sono di grandi dimensioni, però, si possono verificare problemi di non poco conto.

Questo problema è particolarmente preoccupante per gli exchange, i quali si trovano spesso alle prese con transazioni di modesto livello in entrata e grandi in uscita. Per bypassare tale complicazione, le piattaforme provvedono a consolidare i propri UTXO spendendoli tutti in una volta. Cercano in tal modo di approfittare del fatto che le commissioni di rete sono in quel momento modeste.

Unendo tutti gli input in output molto più grandi nello stesso portafoglio, la conseguenza è proprio quella che si sta verificando in queste ore. OKX ha potuto effettuare le proprie operazioni di consolidamento a prezzi modici, rendendo però gravose tutte le altre transazioni e provocando la congestione della blockchain.

Intanto Bitcoin ha perso il 2,77% nel corso delle ultime ore

Mentre molti utenti si trovano a convivere con la congestione della blockchain, Bitcoin si trova invece in un momento critico di mercato. Nel corso delle ultime 24 ore, infatti, l’icona crypto ha dovuto lasciare sul terreno il 2,77% del proprio valore.

A provocare lo smottamento è stata l’indicazione della FED sui tassi. Secondo la banca centrale statunitense, infatti, gli stessi sarebbero destinati a restare alti ancora per un lungo periodo. Com’è noto, quando i tassi di interesse sono elevati gli investitori tendono a sbarazzarsi di asset a rischio, categoria in cui rientra ancora BTC, per procurarsi quelli meno pericolosi, ad esempio l’oro.

Il mercato ha quindi preso atto a modo suo dell’indicazioni della FED, provocando una nuova fase di difficoltà per le criptovalute. Oltre a Bitcoin, nella Top Ten crypto hanno pagato dazio in queste ore Ethereum (-2,90%), Solana (-4,98%), Ripple (-4,70%) e soprattutto Dogecoin (-7,96%). Un trend il quale potrebbe proseguire anche nel corso delle prossime ore.

Bitcoin, le riserve dei minatori sono ai minimi storici

Il quantitativo di Bitcoin detenuta dai minatori è diminuita a livelli che non si vedevano più da oltre 14 anni, ovvero da quanto l’icona crypto era all’inizio della sua avventura. Il dato è da tenere nella massima considerazione, in quanto il massiccio calo delle riserve minerarie viene a collocarsi in un momento in cui il mercato più ampio delle criptovalute sta assistendo a un aumento dell’interesse istituzionale e a una crescente adozione mainstream.

Proprio in considerazione di quanto sta accadendo, non sembra azzardato pensare alla possibilità di una forte crescita del prezzo di BTC nel corso delle prossime settimane. Almeno questa è la conclusione che suggerisce la visione dei dati pubblicati dalla società di analisi on-chain CryptoQuant.

Bitcoin: le riserve detenute dai minatori sono crollate ai minimi storici

Il rapporto elaborato da CryptoQuant non lascia molto spazio ai dubbi: le riserve minerarie di Bitcoin sono praticamente ai minimi storici. Per rintracciare un dato simile, infatti, occorre andare a ritroso nel tempo e arrivare agli albori di BTC.

Ovvero a quanto Satoshi Nakamoto stava ancora lavorando per rifinire le basi del suo allora futuristico progetto e il concetto di Altcoin era praticamente sconosciuto. Dal 2010, però, è passata molta acqua sotto i ponti. E, soprattutto, i token che sono stati minati hanno quasi raggiunto il numero di 19 milioni.

Considerato che la difficoltà del mining continua ad aumentare, i minatori sono incentivati ​​a cedere una parte delle loro partecipazioni nel preciso intento di sostenere le proprie operazioni. Il denaro ricavato per questa via viene in seguito reinvestito in hardware più efficiente da destinare al conio delle nuove monete virtuali. Quelle da vendere per sostenere gli investimenti, però, sono sempre di meno.

Bitcoin: cosa prefigura l’analisi di CryptoQuant?

La quantità sempre minore di Bitcoin nelle riserve dei minatori rappresenta un dato molto importante. Di cui dovrebbe senz’altro tenere in conto chi fa trading di criptovalute. Questo dato, infatti, si va ad assommare ad altri che sono già stati oggetto di discussione, nelle passate settimane.

Il primo di essi è quello rivelato da un rapporto pubblicato dall’exchange crypto Bybit, relativo al fatto che le riserve di Bitcoin presenti all’interno dei wallet sono sempre più asciutte. Tanto che potrebbero prosciugarsi del tutto nell’arco di nove mesi, ovvero in corrispondenza dell’affacciarsi del nuovo anno.

C’è anche un altro rapporto da prendere in attenta visione. Si tratta di quello che è stato pubblicato da un altro exchange, stavolta Bitfinex, secondo il quale il calo del valore di BTC da marzo è stato probabilmente guidato dai detentori a lungo termine che hanno venduto le loro scorte.

Una tendenza la quale, però, sembra si sia fermata, almeno stando ai dati desunti dai dati blockchain. In pratica, gli investitori sarebbero nuovamente passati alla modalità di accumulazione. Una tendenza dimostrata proprio dalla ripresa fatta registrare dal token negli ultimi giorni.

Mentre una precedente analisi di CryptoQuant affermava a sua volta che il 50% della fornitura di Bitcoin a lungo termine era “inattiva”. Cosa significa questo dato? In pratica che non si stanno registrando movimenti o mutamenti nelle partecipazioni tra i portafogli tracciati. Tale mancanza di attività sarebbe da considerare alla stregua di un segnale ben preciso sull’intenzione di accumulare token a lungo termine.

Si infittiscono i segnali di una forte crescita del prezzo dell’icona crypto

Se si mettono insieme tutti questi rapporti, come se si trattasse delle tessere di un puzzle, il risultato che sembra fuoriuscirne è assolutamente chiaro: BTC si approssima ad una nuova fase di intensa espansione.

Impressione la quale è del resto confermata da un altro report, rilasciato QCP Capital, con sede a Singapore. L’azienda ha infatti affermato che il sentimento del mercato resta “ostinatamente rialzista”. Il tutto in un momento in cui si intensifica l’attività di trading.

Naturalmente, i tanti rapporti segnalati hanno dato la stura a nuove rutilanti previsioni sul prezzo della creazione di Satoshi Nakamoto. Tra le quali si segnala quella di Chamath Palihapitiya, fondatore e CEO di Social Capital, secondo il quale BTC si appresta a toccare quota mezzo milione di dollari. A spingerlo su questi livelli l’adozione del token da parte di Paesi che potrebbero utilizzarlo come bene rifugio.

I minatori di Bitcoin ora stanno virando sull’intelligenza artificiale

I minatori di Bitcoin stanno virando verso l’intelligenza artificiale. Una tendenza favorita dal crescere delle complicazioni derivanti dall’estrazione dei blocchi sulla blockchain più longeva e dai maggiori guadagni che l’AI sembra prospettare.

L’intelligenza artificiale, infatti, necessita di grande potenza computazionale per riuscire a gestire l’addestramento dei modelli di intelligenza artificiale e gli enormi carichi di lavoro che ne conseguono. Una necessità la quale si sta incontrando sempre più spesso con le nuove strategie delle mining farm.

L’accordo tra Core Scientific e il fornitore di servizi cloud CoreWeave

Nella giornata di ieri, Core Scientific ha annunciato un accordo di 12 anni con il fornitore di servizi cloud CoreWeave, teso alla fornitura di infrastrutture per casi d’uso come l’apprendimento automatico. L’accordo, il quale va ad ampliare la partnership esistente tra le due società, comporterà ricavi per oltre 3,5 miliardi di dollari nel periodo ricoperto dal contratto.

CoreWeave, supportata da Nvidia, noleggia unità di elaborazione grafica (GPU), necessarie per l’addestramento e l’esecuzione di modelli di intelligenza artificiale. L’azienda è stata valutata 19 miliardi di dollari in un round di finanziamento il mese scorso. Core Scientific fornirà circa 200 megawatt di infrastrutture per le sue operazioni.

Core Scientific, è appena riemersa dalla bancarotta, ed estrae un mix di risorse digitali dal 2017. La società ha iniziato a diversificarsi in altri servizi già a partire dal 2019. A spiegare la strategia, a CNBC, è stato il suo CEO, Adam Sullivan: “Il modo migliore di pensare alle strutture di mining di bitcoin è che siamo essenzialmente gusci di energia per il settore dei data center”.

Un modello di business il quale è stato rafforzato da Sullivan, ex banchiere d’investimento, con il rientro pubblico dell’azienda. Un modello che prevede meno Bitcoin e più intelligenza artificiale, per poter remunerare meglio gli investimenti. Al momento, Core Scientific vale circa 865 milioni di dollari in capitalizzazione di mercato, contro i 4,3 miliardi conseguiti nel luglio del 2021.

La crescita di esigenze dell’AI

La domanda di elaborazione e infrastrutture di intelligenza artificiale è aumentata in maniera esponenziale dopo la presentazione di ChatGPT da parte di OpenAI. Da novembre 2022, gli investimenti in modelli e startup di intelligenza artificiale sono andati crescendo sempre di più incontrandosi con le nuove esigenze dei minatori di Bitcoin.

Nello stesso lasso temporale, infatti, Core Scientific e altre aziende minerarie come Bit Digital, Hive, Hut 8 e TeraWulf hanno cercato di rafforzare i flussi delle loro entrate. Una strategia tesa ad affrontare l’ormai imminente halving di Bitcoin che è poi arrivato a destinazione nel passato mese di aprile.

Il dimezzamento delle ricompense spettanti ai minatori di bitcoin ha posto molti di essi di fronte ad una strada difficilmente percorribile. Molti di loro hanno quindi deciso di adattare le loro enormi strutture per soddisfare le esigenze del mercato. Esigenze molto spesso legate proprio ai sempre crescenti bisogni dell’intelligenza artificiale.

Il rapporto di CoinShares non lascia molti dubbi su quanto sta avvenendo

È stato James Butterfill, responsabile della ricerca presso la società di asset digitali CoinShares, a spiegare come i data center dedicati all’estrazione di Bitcoin, sicuri e ad alta intensità energetica, si rivelano alla stregua di strutture ideali anche per le operazioni di intelligenza artificiale.

Sebbene le operazioni di AI richiedano una spesa in conto capitale fino a 20 volte superiore a quella necessaria per il mining di BTC, i ritorni dell’investimento sono molto più redditizi. A spiegarlo è stato proprio un rapporto pubblicato da CoinShares sul tema.

Secondo tale rapporto, Bit Digital ricava il 27% delle sue entrate dall’intelligenza artificiale. Mentre sono al momento in ritardo su questa strada Hut 8, che genera il 6% dei suoi introiti dall’intelligenza artificiale e Hive, che ha data center in Canada e Svezia e ottiene il 4% delle sue entrate da questi servizi.

La strada per molte aziende minerarie sembra quindi ormai segnata. A spiegarlo è stato ancora Adam Sullivan: “Anche se intendiamo rimanere uno dei minatori di Bitcoin più grandi e produttivi, ci aspettiamo di avere un modello di business diversificato e flussi di cassa più prevedibili.” In questa ottica, basta ricordare come l’accordo ampliato di Core Scientific con CoreWeave dovrebbe produrre un fatturato annuo di 290 milioni di dollari.

Mt. Gox sposta 7 miliardi di dollari in Bitcoin, forse per il piano di rimborsi, e il token scende sotto i 68mila dollari

Oltre 107mila Bitcoin, per un valore di circa 7 miliardi di dollari, sono stati trasferiti dai portafogli di Mt.Gox a un indirizzo sconosciuto. L’operazione, condotta mediante tredici transazioni, potrebbe essere parte di un piano teso a ripagare i creditori entro il prossimo 31 ottobre.

In attesa di capire meglio cosa sta accadendo, il mercato ha comunque avuto una reazione negativa. Si è infatti innescato un ribasso dell’1,4% per BTC, sceso sino a 67.680 dollari, dopo che nei giorni passati aveva nuovamente valicato i 70mila.

Bitcoin sotto i 68mila dollari: cosa sta accadendo?

Più di qualche osservatore nelle settimane passate aveva provato a mettere in guardia gli investitori, sul possibile influsso negativo dei rimborsi collegati al crac di Mt. Gox. In particolare, il timore era che i trader interessati dal piano predisposto per sanare la ferita risalente al 2014 potessero riversarsi sui mercati e vendere in maniera disordinata, per rientrare delle perdite accumulate a seguito della vicenda.

In attesa di capire cosa potrebbe effettivamente accadere, una prima avvisaglia si sta avendo in queste ore. I wallet appartenenti al defunto exchange, infatti, hanno trasferito oltre 107mila Bitcoin, per un valore di circa 7 miliardi di dollari, a un indirizzo sconosciuto. L’operazione è iniziata a partire dalle prime ore del mattino asiatico di oggi e ha provocato l’immediato smottamento dell’icona crypto, sul mercato.

Monitorando l’attività del portafoglio si evidenzia che i movimenti sono stati effettuati tramite tredici transazioni. Una probabile transazione di prova del valore di 3 dollari è però stata effettuata il 20 maggio, mentre un’altra transazione da 160 dollari è stata effettuata stamattina. Le restanti undici transazioni variavano da 1,2 milioni di dollari a 2,2 miliardi di dollari in token.

Le prime reazioni sulle operazioni di Mt. Gox

Questo è il primo spostamento di asset dai cold wallet di Mt. Gox in oltre cinque anni e tutte le monete virtuali sono state trasferite al nuovo indirizzo “1JbezDVd9VsK9o1Ga9UqLydeuEvhKLAPs6”. Ad affermarlo è stato il responsabile della ricerca di CryptoQuant, Julio Moreno, in un post su X.

Resta ora da capire se il tutto sia realmente legato al piano di rimborso che è stato deciso da un tribunale, a favore degli ex clienti dell’exchange. I dubbi sono però molti, tanto da spingere Alex Thorn, capo della ricerca presso Galaxy, a dichiarare in un post su X di attendersi che la maggior parte degli asset trasferiti fossero detenuti dai creditori. Mentre, al contrario, sembra prospettarsi una vendita diretta sul mercato aperto.

Ove ciò avvenisse, con un afflusso disordinato, il prezzo di Bitcoin potrebbe effettivamente andare incontro ad un calo di larga portata. Ipotesi che, giova ricordarlo, era stata prospettata nelle settimane passate.

Mt. Gox: cosa è accaduto nel 2014?

La vicenda relativa allo scambio di criptovalute Mt. Gox rappresenta una di quelle più oscure, in ambito crypto. La piattaforma, infatti, nel periodo tra il 2013 e il 2014 controllava circa il 70% della compravendita di token, a livello globale.

Il 7 febbraio del 2014, però, lo scambio bloccò le transazioni, emanando un comunicato molto confuso. I timori innescati si concretizzarono nell’immediato crollo di BTC, che perse il 20% del proprio valore, e nel classico assalto agli sportelli.

Un assalto, però, senza alcun esito. Il 24 febbraio, infatti, il sito andò offline e annunciò la perdita di 744.408 Bitcoin. Una cifra poi corretta in circa 850mila, dei quali 200mila recuperati. Mentre BTC continuava ad accumulare perdite, sino al 36%, la vicenda divenne di pubblico dominio.

La proprietà, in particolare, dichiarò che problemi tecnici avevano aperto la strada a prelievi fraudolenti. Una dichiarazione assolutamente improvvida, dalla quale non si è mai capito se si sia trattato di furto, frode, malagestione. O di un mix tra tutti questi fattori.

Ad aggiungere motivi di polemica, fu poi Tokyo WizSec, una società di sicurezza informatica. Dopo aver analizzato i fatti, concluse infatti che i furti di BTC avvenivano in maniera continuativa sin dal 2011. Il CEO, Mark Karpelès fu inizialmente riconosciuto colpevole solo di negligenza. Soltanto in epoca più recente il tribunale distrettuale di Tpkyo lo ha condannato a 2 anni e 6 mesi di reclusione per manomissione di documenti finanziari.

Bitcoin, il white paper torna sul sito Bitcoin.org dopo la sconfitta di Craig Wright

Craig Wright non è Satoshi Nakamoto. La decisione presa da un tribunale del Regno Unito sulle pretese dell’imprenditore australiano che sostiene di essere il fondatore di Bitcoin, va ora a riversarsi anche su un’altra questione, quella relativa al white paper di BTC.

Il documento in cui Nakamoto aveva riversato le basi teoriche e i fondamentali tecnologici della regina crypto, era infatti stato cancellato dal sito Bitcoin.org, nel 2021. Con l’indicazione del tribunale britannico, che ha riportato Wright alla sua reale dimensione di Faketoshi, il falso Satoshi con cui è da sempre bollato da gran parte della criptosfera, il libro bianco di BTC può tornare a campeggiare sul sito.

Bitcoin: ora il white paper è tornato su Bitcoin.org

Come abbiamo già ricordato, dal 2021 il white paper più famoso in ambito blockchain non appariva sul sito Bitcoin.org riservato agli utenti britannici. A impedirlo una sentenza strappata nelle aule di tribunale da Craig Wright.

L’autonominato Satoshi Nakamoto, all’epoca, aveva citato Cobra, il gruppo anonimo che gestisce il sito web, per violazione del copyright. Una tesi accolta durante il giudizio, con conseguente ordine di rimozione del PDF che il sito aveva dedicato al prezioso documento.

Occorre sottolineare che Wright aveva vinto la causa in quanto la controparte aveva optato per non presentare una difesa. Ha quindi preferito pagare 35mila sterline di spese legali (circa 40.100 dollari) al querelante e rimuovere il white paper.

Chi di causa ferisce, di causa perisce

Nel 2019, poi, Craig Wright ha deciso di sfruttare a fondo quello che si sarebbe rivelato un successo effimero, richiedendo la registrazione del copyright per il libro bianco di BTC negli Stati Uniti. Inoltre, negli anni successivi ha intentato cause contro chiunque violasse il copyright di un documento da lui ritenuto ormai una proprietà.

In particolare, nel corso del 2023, Wright ha citato in giudizio 13 sviluppatori di Bitcoin Core e un gruppo di aziende, tra cui Blockstream, Coinbase e Block. Un comportamento assolutamente arrogante, che ha spinto il Bitcoin Legal Defense Fund a evidenziare la tendenza di Faketoshi a intentare cause legali ingiustificate contro importanti collaboratori di Bitcoin. Cause che avevano una conseguenza non proprio di secondo piano, rallentando i lavori di sviluppo.

Gli sviluppatori, non solo dovevano correre rischi legali, ma anche perdere tempo e denaro per queste cause, collezionando robuste dosi di stress. Con la sentenza britannica, però, tutto ciò può essere considerato un reperto del passato.

Ora il white paper di BTC è open source

Tutto quello che è successo in tema di copyright, ora, non ha più alcun significato, dopo la sentenza britannica. Le sue affermazioni di essere Satoshi Nakamoto e di essere l’autore del white paper sono state in pratica definite senza fondamento legale. La sua richiesta di copyright, quindi, non ha alcun valore.

I dettagli sono contenuti nella sentenza della causa che era stata intentata dalla Crypto Open Patent Alliance (COPA) contro Wright. Ovvero da parte di una vera e propria coalizione di importanti aziende le quali hanno deciso di impedire a Wright di rivendicare la proprietà intellettuale del vero e proprio cuore di Bitcoin.

COPA la quale, ora, passa naturalmente all’incasso. Tanto da dichiarare che l’imprenditore australiano ha dato vita ad un elaborato schema di falsificazione e inganno nel preciso intento di fabbricare prove a sostegno della sua affermazione di essere Satoshi Nakamoto.

i danni riportati da Wright nel corso della causa non si fermano peraltro qui. Il suo patrimonio, stimato nell’ordine di 6,7 milioni di sterline britanniche (8,4 milioni di dollari), è infatti stato congelato. A disporlo lo stesso tribunale del Regno Unito, nell’ambito di un piano teso ad impedirgli di evadere le spese processuali.

Per quanto concerne il white paper di Bitcoin, il prezioso documento è ora soggetto a una licenza open-source MIT. In pratica, chiunque voglia può riutilizzare e modificare il codice per qualsiasi scopo.

Bitcoin torna a ruggire, sfondando quota 71mila dollari. Cosa sta accadendo?

Dopo le settimane di stenti che hanno fatto seguito al quarto halving, Bitcoin è tornato improvvisamente a ruggire. Si è infatti rimesso a correre a perdifiato, tanto da sfondare di nuovo quota 71mila dollari. Un aumento talmente improvviso e deciso da aver immediatamente mandato in soffitta un rapporto elaborato nella giornata di ieri da Markus Thielen, ex capo ricerca all’interno di 10xResearch, secondo il quale quota 67.500 dollari costituiva una linea di resistenza significativa per l’icona crypto. Anche se lo stesso Thielen aveva poi precisato che in caso di superamento di questa linea, BTC avrebbe potuto decollare verso nuovi massimi storici. Un trend che la creazione di Satoshi Nakamoto sta rispettando alla grande, in queste ore.

Bitcoin: è iniziata la preventivata bull run?

La domanda che gira in queste ore è abbastanza stucchevole, anche se doverosa: è iniziata la sospirata bull run di Bitcoin? Attesa da molti per le ore successive al dimezzamento delle ricompense spettanti ai minatori, la grande crescita della quotazione di BTC era comunque rimasta sullo sfondo alla stregua di un vero e proprio convitato di pietra, nel corso delle ultime settimane.

Un’altra domanda che sta girando in queste ore è poi quella relativa a cosa sia accaduto, per ridare smalto alla regina delle criptovalute. Tra le risposte più gettonate quella relativa agli ETF spot, che stanno riprendendo gli acquisti, dopo tre settimane in negativo. Occorre sottolineare in tal senso che al 15 Febbraio, gli stessi rappresentavano circa il 75% dei nuovi investimenti in BTC.

Una crescita, quella della criptovaluta dominante, che sta facendo felici molti, meno coloro che avevano optato per posizioni short con leva, all’interno degli exchange. Dopo il superamento di quota 67.500 dollari, infatti, ne sono state liquidate per complessivi 300 milioni di dollari.

Un rally che potrebbe continuare grazie a Tether

Il nuovo rally di Bitcoin, come abbiamo visto, era abbastanza imprevisto. Tanto che in molti avevano iniziato a rivalutare un rapporto stilato dagli analisti di JP Morgan, in cui gli estensori del documento avevano affermato che non ci sarebbe stata la prevista corsa al rialzo post halving. A renderla un miraggio il fatto che BTC fosse già stato oggetto nei mesi precedenti di un fortissimo apprezzamento. Un rialzo il quale aveva in pratica eroso i margini per una crescita significativa.

La crescita di queste ore, potrebbe mandare in pensione anche questo studio, se proseguisse su questi ritmi. Nel corso delle ultime 24 ore Bitcoin ha messo a segno un rialzo superiore al 7%, mentre nell’ultima settimana la crescita è stata intorno al 15%. Dati che sembrano fatti apposta per scatenare una nuova corsa all’acquisto.

Anche perché il quadro d’insieme, se visto con il sufficiente distacco, sembra estremamente promettente. A renderlo tale il concatenarsi di una serie di eventi, a partire dal progressivo rarificarsi dell’offerta. Le riserve presenti negli exchange, stando ad un recente studio di Bybit, potrebbero prosciugarsi da qui alla fine dell’anno. Ove ciò accadesse si potrebbe verificare una shock dell’offerta, con conseguenze immaginabili sul prezzo di BTC.

Altro segnale da tenere presente è poi quello relativo alle dinamiche dei prezzi statunitensi. I dati recenti sembrano andare in direzione di un raffreddamento, tale da preludere ad un taglio dei tassi da parte della Fed. Storicamente, quando ciò avviene avvantaggia gli asset finanziari rischiosi, una categoria in cui rientra ancora l’icona crypto.

Infine, nelle prossime ore potrebbe iniziare a farsi sentire il peso di Tether. La società ha infatti dichiarato che investirà il 15% dei suoi profitti netti in Bitcoin. Una decisione la cui ratio è da individuare nella volontà di diversificare gli asset di copertura della propria stablecoin USDT. Secondo i dati di Bitinfocharts, il 31 Marzo Tether ha acquistato 8.888 BTC, per un valore di 618 milioni di dollari, tale da renderla il settimo maggior detentore di Bitcoin a livello mondiale.

ATM Bitcoin in costante crescita da dieci mesi a questa parte

Continuano a crescere gli Gli ATM Bitcoin, a livello globale. I bancomat che rendono possibile l’acquisto di BTC previo pagamento in contanti, stanno aumentando di numero ormai da dieci mesi a questa parte. A svelare il dato è stato un rapporto pubblicato da AltIndex, secondo il quale dal luglio dell’anno passato a quelli già esistenti se ne sono andati ad aggiungere altri 5.600, in ogni parte del globo.

ATM Bitcoin: cosa sono e a cosa servono

Gli ATM Bitcoin sono ormai una realtà consolidata. La loro apparizione risale ormai a oltre undici anni fa, quando il primo di essi fu installato a Vancouver. Se in un primo momento costituivano un motivo di curiosità, con il trascorrere del tempo sono cresciuti di pari passo con la popolarità di BTC.

Un ATM Bitcoin si presenta con un aspetto ormai noto, quello dei bancomat tradizionali. È però il metodo di erogazione dei fondi a differire in maniera profonda. Se nel caso del bancomat tradizionale basta l’utilizzo di una carta di debito o di credito e il suo inserimento, per poter ritirare l’importo desiderato, con l’ATM Bitcoin gli interessati devono depositare contati e fornire l’indirizzo del wallet destinato a custodire i token acquistati.

Il tutto grazie al collegamento del macchinario a un exchange di criptovalute. I tradizionali ordini di acquisto possono essere espletati dagli operatori pre-caricando le criptovalute da vendere all’utente finale. Esiste anche la possibilità inversa, ovvero la conversione di BTC in valuta reale, ma non tutti gli ATM la propongono.

Perché stanno crescendo gli ATM Bitcoin?

Il motivo della forte crescita messa in atto dagli ATM Bitcoin nel corso degli ultimi dieci mesi è naturalmente da collegare alla fine del crypto winter. Nel corso della fase di gelata del mercato, infatti, i dispositivi presenti lungo il pianeta si erano ridotti da 39mila a 32 mila.

Nella seconda fase dello scorso anno, però, la situazione si è notevolmente rasserenata, spingendo di nuovo ad investire in Bitcoin. Un mutamento di quadro che si è andato a riflettere anche sui bancomat dedicati alla regina delle criptovalute. Che ha riportato il numero complessivo di questi dispositivi oltre quota 37mila.

Occorre sottolineare, comunque, che a trainare la crescita in atto sono gli Stati Uniti. Lungo il territorio federale sono infatti dislocati circa 31mila ATM Bitcoin, rispetto ai 26.800 di dieci mesi fa. In Italia ce ne sarebbero invece 87, stando ai dati di Coinatmradar, dislocati per lo più nelle grandi città, a partire da Milano e Roma.

Per quanto riguarda gli operatori, il più grande in assoluto è Bitcoin Depot, cui fanno riferimento più di 7.500 sportelli automatici. La sua quota, intorno al 20%, lo mette al riparo dalla concorrenza di Coinflip, che detiene il 13% del mercato. Mentre a suddividersi il gradino basso del podio sono Bitstop, RockItCoin e Athena Bitcoin, con il 6%.

Una crescita destinata a proseguire nell’immediato futuro

Una crescita, quella degli ATM Bitcoin, la quale sembra destinata a proseguire nell’immediato futuro. L’icona crypto, nonostante qualche passo falso nel periodo susseguente al quarto halving, sembra proseguire il suo momento positivo. Come conferma il ritorno a quota 67mila dollari della sua quotazione nel corso delle ultime ore.

Nel corso degli ultimi sette giorni BTC ha messo a segno una crescita superiore al 10%, evidenziando una capacità di resistenza nelle fasi di stanca che spinge molti osservatori a prevedere quella bull run che è del resto diventato una sorta di mantra.

Che ci sia o meno questa corsa sfrenata, in realtà proprio in un momento “normale” come l’attuale, Bitcoin ha dimostrato di possedere la forza per poter reggere anche nei periodi meno propizi. Una capacità tale da porre le basi per poter tornare a correre nel futuro, più o meno immediato. 

Bitcoin, una legge approvata in Oklahoma ne sancisce il diritto all’autocustodia

L’Oklahoma è diventato il primo stato americano ad approvare una legge che sancisce e protegge il diritto all’autocustodia di Bitcoin. Il provvedimento arriva in un momento molto particolare, con le agenzie federali le quali sembrano intenzionate a condurre un’offensiva contro le criptovalute.

La nuova legge afferma che non si può impedire ai cittadini di detenere e controllare risorse digitali utilizzando un portafoglio hardware. Aggiungendo inoltre che il governo statale non può vietare o limitare l’uso delle criptovalute per l’acquisto di beni e servizi legali.

In Oklahoma l’autocustodia di Bitcoin è ora un diritto

In Oklahoma l’autocustodia di Bitcoin è ora un diritto sancito dalla legge. A renderlo tale il “Bitcoin Rights”, la cui conversione è stata firmata dal governatore repubblicano Kevin Stitt nella giornata di lunedì. Un atto che, a detta del Satoshi Action Fund, un’organizzazione senza scopo di lucro, sarà presto seguito da altri Stati.

È stato proprio il fondo a stilare la proposta di legge, che è stata presentata in altri quindici Stati. Mentre l’Oklahoma Bitcoin Association si è assunto il compito di educare i legislatori sui vantaggi di Bitcoin, svolgendo al tempo stesso un ruolo importante nel rendere lo Stato il primo a trasformare in legge il disegno.

È stato Dennis Porter, CEO e co-fondatore del fondo a commentare l’evento e ad esprimere fiducia in tal senso. Ha infatti dichiarato: “Penso che, alla fine, i legislatori di tutto il paese siano molto aperti a questo tipo di politica”.

Il disegno di legge va anche a menzionare il mining di risorse digitali. Afferma infatti che comuni cittadini possono prendere parte alle attività di estrazione dei blocchi, ponendo comunque dei limiti in tal senso. Ecco quanto affermato al proposito, dal provvedimento: “Sarà legale nello Stato dell’Oklahoma partecipare all’estrazione di risorse digitali domestiche purché la persona impegnata nell’estrazione di risorse digitali domestiche rispetti tutte le ordinanze locali sul rumore”. 

Una postilla resa necessaria dal fatto che si tratta di un settore ad alta intensità energetica il quale utilizza grandi quantità di hardware, spazio e risorse. La maggior parte delle operazioni di mining di Bitcoin sono al momento rappresentate da operazioni su scala industriale in grado di generare inquinamento acustico.

Una situazione in costante evoluzione

L’approvazione del Bitcoin Rights da parte dell’Oklahoma si cala in un contesto molto particolare. Con l’approssimarsi delle elezioni di fine anno, che decideranno l’inquilino della Casa Bianca e la composizione del Congresso, gli asset digitali stanno assumendo una posizione di rilievo nella discussione politica.

Con il trascorrere delle settimane le posizioni al riguardo si stanno ormai cristallizzando, Da una parte i democratici, che sembrano condividere la crociata dell’amministrazione Biden contro le criptovalute, dall’altra i repubblicani, i quali sono invece ormai schierati nel campo avverso.

In questa discussione stanno emergendo in particolare alcune figure, su entrambi i fronti. Su quello democratico spicca in particolare la figura di Elizabeth Warren, vera e propria bestia nera della criptosfera. Tanto da spingere la Blokchain Association a schierarle contro John Deaton, nella corsa al seggio senatoriale del Massachusetts. Ovvero un noto avvocato schierato apertamente con Ripple nella causa intentata contro l’azienda dalla SEC.

Sull’altro fronte spicca invece Donald Trump. Il miliardario, di nuovo in corsa per la Casa Bianca, dopo aver a lungo osteggiato l’innovazione finanziaria è ora risolutamente favorevole alle criptovalute. Tanto da proclamare la necessità di una coesistenza con il Bitcoin.

Nelle pieghe della discussione è peraltro possibile trovare stoccate di non poco conto. Come quella rifilata dallo stesso Porter alla Warren, indicata alla stregua di un manichino manovrato dai “suoi amici scagnozzi bancari”. O come quella non meno micidiale affibbiata a Biden da Scott Melker, famoso trader indicato come “The Wolf of All Street” dagli ammiratori, secondo il quale l’amministrazione si appresta ad attaccare l’intera criptosfera. Con un intento di fondo: consegnare il settore, e le sue potenzialità di guadagno, a Blackrock.

Bitcoin, i prezzi al consumo negli Stati Uniti rallentano e il suo prezzo torna a salire

Il prezzo del Bitcoin è tornato a crescere dopo che i dati statunitensi hanno mostrato un rallentamento dei prezzi al consumo, nel corso del mese di aprile. Il dato del 3,4% rispetto al concomitante periodo dell’anno precedente, mostra infatti che gli stessi sono in netto calo rispetto al 3,7% fatto registrare a marzo.

I dati rilasciati dal Bureau of Labor Statistics degli Stati Uniti, si sono immediatamente riflessi sul prezzo di BTC, il quale è tornato a crescere con forza. Al momento è infatti a quota 64mila dollari e sta trascinando anche gran parte delle Altcoin.

Bitcoin torna a crescere dopo la pubblicazione dei dati relativi ai prezzi al consumo

Il rapporto sull’indice dei prezzi al consumo (CPI) va a misurare le variazioni dei prezzi in un paniere di beni e servizi di consumo comuni. Si tratta di uno strumento prezioso per riuscire a stimare le variazioni del tasso di inflazione di una determinata economia.

Nel rapporto odierno, il quale contiene i dati sui prezzi al consumo nel mese di aprile, il BLS ha affermato che i principali fattori che hanno influito sul rialzo dei prezzi sono stati quelli delle case e del gas. Messi insieme hanno rappresentato il 70% dell’aumento dell’intero indice.

Contemporaneamente ai dati sull’inflazione, sono arrivati ​​anche quelli relativi alle vendite al dettaglio di aprile. In questo caso si tratta di un dato piatto rispetto alle previsioni di un aumento dello 0,4% e dello 0,6% di marzo. Le vendite al dettaglio, escluse le automobili, sono infatti aumentate dello 0,2 ad aprile, in linea con le aspettative, ma in calo rispetto allo 0,9% di marzo.

Come influiscono i dati dell’inflazione su Bitcoin e criptovalute?

Storicamente, quando i tassi di interesse sono elevati, gli investitori tendono a privilegiare gli asset che comportano un rischio elevato. Un ambito in cui, nonostante la denominazione di oro digitale, continua ad alloggiare anche il Bitcoin.

I dati in questione, sono abbastanza contraddittori, sotto questo punto di vista. Da un lato si registra una frenata dei prezzi al consumo, che crescono meno del previsto. Dall’altro, però, gli stessi mostrano che l’inflazione non scomparirà in breve. La Federal Reserve, di conseguenza, non mostra alcuna fretta di abbassare i tassi di interesse.

Gli economisti si attendevano che la FED tagliasse i tassi di interesse all’inizio di quest’anno. Attesa che non si è però realizzata e ora, quelli che sono stati intervistati da Reuters ritengono che i tagli ci saranno, in numero di due, con il primo che avrà luogo a settembre.

Bitcoin: cosa attendersi

Sono comunque bastati timidi segnali sul fronte dei prezzi per far tornare di nuovo a crescere BTC. Nel corso delle ultime 24 ore il suo prezzo è infatti salito più del 4%, portandosi di nuovo oltre i 64mila dollari.

Resta naturalmente da vedere se la tendenza attuale proseguirà, anche perché il quadro d’insieme continua ad essere abbastanza contrastato. Se infatti non è ancora arrivata l’onda di piena che molti si attendevano per il post halving, al tempo stesso stanno maturando alcune condizioni che potrebbero agevolarla.

In particolare, sembrano ormai avviarsi verso l’esaurimento le riserve di Bitcoin presenti all’interno degli exchange. Stando ad un recente rapporto di Bybit, queste scorte potrebbero esaurirsi nel corso dei prossimi nove mesi. Ove ciò avvenisse, si verificherebbe uno shock dell’offerta tale da andarsi a riflettere inevitabilmente sulla sua quotazione.

Proprio settembre, quindi, potrebbe rappresentare uno snodo importante in tal senso. Se i dati sull’inflazione dovessero spingere la FED a tagliare i tassi d’interesse, le condizioni per un nuovo impetuoso rally dell’icona ideata da Satoshi Nakamoto verrebbero di nuovo a realizzarsi. Non resta quindi che attendere i prossimi mesi, per capire se ciò accadrà o meno.

Lightning Labs si accinge a portare le stablecoin sulla blockchain di Bitcoin

Lightning Labs è ormai sul punto di portare le stablecoin nell’ecosistema di Bitcoin. Ad affermarlo è stata Elizabeth Stark, il CEO dell’azienda, nel corso di un intervento al Financial Times Crypto and Digital Assets Summit in fase di svolgimento proprio nel corso di questa settimana.

Sempre stando alle sue dichiarazioni, una prova in tal senso è stata eseguita di recente, una transazione su Lightning Network con una risorsa creata all’uopo tramite il protocollo Taproot Assests. Si tratta di una novità di grande rilievo, alla luce della crescente importanza che vanno assumendo le stablecoin.

Stablecoin sulla blockchain di Bitcoin, l’esordio è ormai alle porte

Stablecoin sulla rete di Bitcoin: questa è la novità prospettata da Elizabeth Stark nel corso del Financial Times Crypto and Digital Assets Summit. Una prova in tal senso sarebbe già stata effettuata su Lightning Network. Ecco le parole che sono state da lei pronunciate al proposito: “Abbiamo rilasciato una prima parte del codice in ottobre e, in realtà, proprio giovedì scorso, abbiamo eseguito una demo della prima transazione in assoluto su Lightning di un asset. L’idea è quella di avere cripto-dollari e stablecoin sulla blockchain di Bitcoin”.

Per poi aggiungere: “Ci tengo davvero molto a risolvere problemi reali per persone reali, al contrario delle monete meme o del gioco d’azzardo”. Una stoccata a Solana, in particolare, che proprio dalle meme coin sta avendo un notevole contributo per l’arricchimento del proprio ecosistema.

Il CEO di Lightning Labs ha poi aggiunto che la capacità di posizionare stablecoin e altri asset sopra Bitcoin è destinata a facilitare nuovi casi d’uso. Utilizzi i quali, a loro volta, si tradurranno nell’ingresso di più persone sul mercato delle risorse digitali.

L’annuncio ha naturalmente suscitato molto interesse, proprio in considerazione del ruolo sempre più ampio che stanno assumendo le stablecoin. Tanto da spingere un numero sempre maggiore di aziende di rilievo a scendere in campo, come ha fatto PayPal con PYUSD.

Lo studio di Visa e Bloomberg che lascia forti dubbi

La dichiarazione di Elizabeth Stark si cala in un contesto molto particolare. Le stablecoin, infatti, sono sempre più al centro di accuse derivanti dal loro utilizzo nell’economia criminale. Accusa che riguarda in particolare Tether, con USDT indicata dall’ONU come lo strumento preferito per i traffici criminali nel sud-est asiatico.

Ad essa si aggiunge poi quella relativa al loro utilizzo da parte dei Paesi sottoposti a sanzioni da parte di Stati Uniti e alleati. In particolare, si starebbero segnalando in tal senso il Venezuela e la Russia.

Accuse le quali potrebbero spingere ad un irrigidimento le autorità governative, in particolare quelle degli Stati Uniti. Lo stesso Paese ove è iniziata la discussione su un progetto di legge che potrebbe consentire alle banche di entrare sul mercato. Ove ciò accadesse, ad essere colpito potrebbe essere proprio USDT, in quanto Tether è un’entità non statunitense. Il token, di conseguenza, non potrebbe essere detenuto dalle banche interessate dal provvedimento.

Occorre però segnalare anche un recente rapporto stilato da Visa e pubblicato da Bloomberg, il quale ha seminato non pochi dubbi. Stando agli analisti che lo hanno compilato, infatti, meno del 10% dei volumi delle transazioni di stablecoin provengono da persone reali.

A spiegare il paradosso è stato però Cuy Sheffield, responsabile crypto per Visa. Proprio lui ha ricordato che le stablecoin possono essere utilizzate in una serie di casi d’uso con transazioni che possono essere avviate manualmente da un utente finale o programmate tramite bot. Un’interpretazione confermata del resto da un altro dato, quello relativo all’aumento di utenti. Sarebbero infatti ormai 27,5 milioni quelli attivi mensilmente su tutte le catene, con una crescita continua che non sembra destinata a calare d’intensità nell’immediato futuro.

Il mining di Bitcoin sta diventando molto più semplice: ecco i motivi

La difficoltà connessa al mining di Bitcoin sta calando in maniera significativa. Una tendenza che sta destando molto interesse e anche qualche preoccupazione, tra gli esperti. Maggiore è la difficoltà di mining, misurata attraverso l’energia e le risorse che i minatori utilizzano per mantenere sicura la rete, più diventa complicato provare ad attaccare Bitcoin.

Basta in effetti dare un’occhiata ai dati di BTC.com per notare il trend in atto. Ad esempio, nella giornata di ieri la difficoltà di mining di Bitcoin è crollata di quasi il 6%, attestandosi a 83,1 trilioni di hash. La speranza è, naturalmente, che si tratti di una situazione provvisoria, ma al momento non esistono certezze.

Bitcoin, cosa sta accadendo

A spiegare cosa sta accadendo è stato Nick Hansen, amministratore delegato del pool minerario Luxor: “Se non c’è abbastanza margine per consentire ai minatori di realizzare un profitto, si spengono, il che fa diminuire l’hash rate”.

Per hash rate si intende la velocità con cui un minatore conduce il processo di crittografia dei dati. Il modello di riferimento è naturalmente il meccanismo di consenso Proof-of-Work (PoW), un vero e proprio elemento in grado di distinguere BTC. Un modello estremamente energivoro, ma al tempo stesso in grado di garantire un livello di sicurezza molto più elevato rispetto allo staking di Ethereum. 

Il calo in atto è da ricondurre alle dinamiche innescate dal quarto halving di Bitcoin, avvenuto il mese passato. In pratica, l’aggiornamento ha dimezzato i premi dei minatori da 6,25 a 3,15 BTC per ogni blocco elaborato. 

La prima e più evidente conseguenza è che ora i minatori, i quali hanno il compito di produrre le nuove monete e mantenere attiva la rete elaborando nuove transazioni, sono costretti ad una maggiore quantità di lavoro per poter portare avanti l’attività con profitto. Il nuovo quadro è però impraticabile per molti di loro, con conseguente abbandono del campo. Ad esempio utilizzando i macchinari per altre attività, a partire dal loro utilizzo per l’intelligenza artificiale.

Una situazione largamente prevista 

È Nishant Sharma, fondatore di BlocksBridge Consulting, una società di ricerca e strategia di comunicazione dedicata al settore del mining di Bitcoin, a ricordare che non si tratta di nulla di nuovo. Anzi, quanto sta accadendo è proprio ciò che di solito accade dopo un halving. 

Queste le sue parole, sul tema: “Dopo l’halving di Bitcoin, il calo dei premi minerari porta i minatori meno efficienti a scollegare le loro macchine. Questa funzionalità di auto-regolazione favorisce operazioni più snelle, poiché i minatori rimanenti ricevono maggiori ricompense grazie alla ridotta difficoltà”.

Una tesi che è appoggiata da Scott Norris, CEO della società mineraria Optiminer, il quale rilancia affermando che si tratta di una tendenza salutare. Per poi aggiungere: “I miner che hanno pianificato correttamente cresceranno o quelli che hanno abbandonato otterranno tecnologie più recenti e troveranno energia più economica mentre tutti aspettano che il prezzo rifletta il dimezzamento. In ogni caso, la rete continuerà a crescere.”

Ci sono realmente pericoli, a livello di sicurezza, con la tendenza in atto?

Se da un punto di vista puramente finanziario le dinamiche non preoccupano eccessivamente, il discorso potrebbe mutare se la questione si sposta sulla sicurezza. La blockchain di Bitcoin è da sempre considerata praticamente inattaccabile.

A renderla tale lo sforzo economico che sarebbe necessario per assumerne il controllo. Se oggi gli esperti ritengono impossibile un attacco 51%, occorre però sottolineare che nel 2014 se ne verificò uno. Fu la mining pool GHash.IO a condurlo, conseguendo il 55% del tasso di hash di BTC. Sino a quel momento si trattava di una semplice ipotesi di scuola. Ipotesi che oggi torna ad affacciarsi, proprio in conseguenza dell’abbattimento del livello di difficoltà del mining.

Nonostante ciò, si tratta di un allarme per il momento abbastanza infondato e che potrebbe esserlo del tutto nei prossimi mesi. Potrebbe infatti essere la crescita del prezzo di Bitcoin a riportare la situazione sotto controllo.

Secondo Standard Chartered, Bitcoin potrebbe avvantaggiarsi dalla vittoria di Trump

Bitcoin potrebbe trarre notevole vantaggio da un’affermazione di Donald Trump nelle prossime presidenziali. Ad affermarlo sono gli analisti di Standard Chartered, la più grande aziende finanziaria britannica. Gli investitori, in particolare, di fronte al rischio di una dominanza fiscale statunitense e di una monetizzazione del debito pubblico potrebbero cercare asset alternativi, a partire dalle criptovalute.

Un rapporto, quello di Standard Chartered, che si cala in un momento abbastanza particolare. A renderlo tale l’arrembaggio della Securities and Exchange Commission (SEC) contro gli asset virtuali. Un arrembaggio il quale sta destando non poche preoccupazioni nelle aziende del settore.

Standard Chartered: per le criptovalute sarebbe meglio una vittoria di Trump

Donald Trump potrebbe anche essere un vantaggio per le criptovalute. Ad affermarlo un rapporto stilato dagli analisti di Standard Chartered, ribadendo una convinzione che si sta sempre più facendo largo nella criptosfera. Ecco quanto affermato all’interno del documento: “Riteniamo che una seconda amministrazione Trump sarebbe ampiamente positiva concretizzandosi in un contesto normativo più favorevole”.

Inoltre, ad avvantaggiarsi in modo particolare dal ritorno del miliardario repubblicano alla Casa Bianca sarebbe anche Bitcoin. L’icona crypto, infatti, in uno scenario di dominanza fiscale degli Stati Uniti sarebbe in grado di fornire una buona copertura contro la de-dollarizzazione e il calo di fiducia nel mercato dei titoli del Tesoro statunitense.

L’analista Geoff Kendrick ha poi aggiunto che tale dominanza fiscale, si potrebbe tradurre in tre effetti, sulla curva del Tesoro statunitense: “Una curva nominale a 2/10 anni più ripida, un maggiore aumento dei breakeven rispetto ai rendimenti reali e un aumento del premio a termine”.

A spingerlo verso tale previsione è una constatazione bene precisa: se Trump dovesse vincere le elezioni, una sua seconda amministrazione potrebbe accelerare il ritiro degli acquirenti ufficiali esteri del Tesoro statunitense a causa di preoccupazioni fiscali. Nel corso del primo mandato, infatti, la vendita netta media annua si è attestata a 207 miliardi di dollari. Un dato molto superiore ai 55 miliardi di dollari che hanno caratterizzato la media annua della presidenza Biden.

Il rapporto ha quindi affermato: “Oltre alla spinta passiva data a BTC dalla de-dollarizzazione, ci aspetteremmo che una seconda amministrazione Trump sostenga attivamente BTC (e gli asset digitali in generale) attraverso una regolamentazione più flessibile e l’approvazione degli ETF spot statunitensi”.

Infine, Standard Chartered ha ribadito le sue previsioni di fine anno per Bitcoin, il cui prezzo dovrebbe attestarsi a 150mila dollari. Per poi impennarsi ulteriormente a quota 200mila dollari entro la fine del 2025.

Un’affermazione condivisa dalla criptosfera

L’affermazione di Standard Chartered sul beneficio di una vittoria di Trump alle presidenziali di fine anno è largamente condivisa dalla criptosfera. Le aziende del settore hanno seguito l’evoluzione fatta registrare dall’ex presidente, passato dalla decisa contrarietà agli asset virtuali alla necessità di conviverci.

Evoluzione che è andata di pari passo con l’irrigidimento dell’amministrazione Biden nei confronti degli asset virtuali. Irrigidimento ampiamente simboleggiato dall’offensiva di SEC e Department of Justice nei confronti di una lunga serie di attori di primo piano della blockchain.

L’ultimo dei quali è stato la piattaforma di trading Robinhood, colpita da un avviso Wells proprio da poche ore. Un avviso arrivato nonostante l’ampia collaborazione fornita dai responsabili dell’azienda, per cercare di evitare una causa legale.

Un atteggiamento, quello del governo a guida democratica, che non sembra però destinato a restare senza risposta. Coinbase, Franklin Templeton e Ripple Labs, in particolare, hanno infatti deciso di foraggiare un super PAC destinato a finanziare i politici favorevoli agli asset virtuali. Mentre la Blockchain Association ha fatto capire l’intenzione di combattere contro la rielezione di Elizabeth Warren.

La senatrice democratica del Massachusetts, infatti, è vista alla stregua di una bestia nera dalle aziende dedite all’innovazione finanziaria. In particolare a causa della presentazione da parte sua di una legge di riordino del settore crypto vista come fumo negli occhi dallo stesso.