La Prof.ssa Michela Mercuri, docente di storia dei Paesi mediterranei all’Università di Macerata e docente del master Analista del Medio Oriente all’Università Niccolò Cusano, è intervenuta ai microfoni della trasmissione “Il mondo è piccolo” su Radio Cusano Campus.

In merito all’intervista rilasciata dal generale Khalifa Haftar al Corriere della Sera, in cui afferma che l’Italia in Libia si è schierata dalla parte sbagliata. “L’Italia, schierandosi con Sarraj, non ha fatto una scelta sbagliata -ha affermato la Prof. Mercuri-, ma probabilmente ha fatto una scelta che al momento non è più adeguata a quelle che sono le circostanze. Haftar infatti è sempre più forte mentre Sarraj è sempre più debole, quest’ultimo non controlla neanche più Tripoli. L’Italia chiaramente deve tenere una certa posizione all’interno della Libia e questo non potrà essere realizzato se continueremo a sostenere soltanto Sarraj. Certo, non dovremmo buttarci completamente tra le braccia di Haftar, ma credo che il governo italiano potrà sfruttare la sua posizione a Tripoli per negoziare un’intesa di governo che possa vedere la partecipazione di Haftar e di molti gruppi tripolini”. 

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La Prof. Mercuri ha parlato anche della situazione in Tunisia, Paese che ha dato i natali all’attentatore di Berlino Anis Amri. “La Tunisia è il Paese che ha esportato il maggior numero di jihadisti in Libia, ma anche in Siria e Iraq -ha spiegato la Prof. Mercuri-. Nel 2010-2011 le rivolte arabe hanno defenestrato Ben Ali, ma hanno portato problemi nel Paese, in primo luogo l’emersione dei gruppi jihadisti della galassia salafita. Poi ci sono anche problemi di ordine economico che hanno causato una rinascita del terrorismo tunisino. I governi che si sono succeduti alla guida del Paese infatti non hanno saputo risolvere la situazione drammatica della Tunisia dal punto di vista economico, questo ha causato una radicalizzazione di molti giovani, soprattutto nelle periferie. Molti sono andati a combattere in vari teatri del Nord Africa e del Medio Oriente. Il rischio è che molti di questi combattenti facciano ritorno in Tunisia e da qui magari arrivino in Europa. Il rischio è molto concreto e la Tunisia forse andrebbe maggiormente aiutata dai principali attori internazionali”.

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