In occasione dei miei ultimi interventi divulgativi per la prevenzione ed il contrasto della violenza contro le donne, impegno che mi caratterizza da oltre 25 anni, una frase di Miguel de Cervantes mi è tornata prepotentemente alla mente, “Combattiamo contro tre grandi giganti, mio caro Sancho: l’ingiustizia, la paura e l’ignoranza”. Ce n’è anche un quarto, ho pensato, pericolosissimo, che è la mistificazione.
Questa alterazione della verità, che si avvale di narrazioni astute quanto false, è sempre più legata al tentativo di restaurare, mantenere o promuovere stereotipi di genere che inchiodano la donna in una posizione di sudditanza all’uomo e costituiscono il fondamento della violenza di genere.
Modernità o perpetuazione di vecchi stereotipi?
La parola chiave che apre come un mantra maledetto le porte ad una serie di iniquità, che sconfinano sovente nell’abuso, è “modernità”.
Pensiamo al fenomeno ormai pervasivo della sessualizzazione delle bambine. Già dalla tenera età, vengono vestite da piccole adulte ed indotte ad assumere atteggiamenti impropri, della cui portata e conseguenze non possono essere consapevoli a motivo dell’immaturità psico-emotiva che le caratterizza. Così facendo si ruba loro l’infanzia che è un diritto fondamentale, le si espone ad attenzioni pericolose ed al rischio adescamento e abuso, senza contare i danni cognitivi affettivi e psicologici che si procura loro.
Eppure, non si può fare diversamente, esordiscono tipicamente le mamme, perché questo modo di crescerle é…moderno! Lo dice la pubblicità! La pubblicità che è all’origine del problema e che promuove questo arbitrio avendo individuato nei minori un ampio bacino di profitto e nell’erotizzazione delle piccole la possibilità di incrementare le vendite, esattamente come opera con le adulte oggettificate a scopo di lucro.
Tale associazione di moderno e opportuno viene clamorosamente smentita da studi e ricerche sui vistosi danni che la sessualizzazione crea nelle bambine e nelle ragazze: difficoltà nello sviluppo delle abilità di ragionamento, di calcolo, artistiche, cali di motivazione, dell’autostima, insuccesso scolastico, dispercezione corporea, disturbi della nutrizione e dell’alimentazione, disturbi dell’umore, autolesionismo, ideazione suicidaria; questi sono i principali effetti causati dal percepire di meritare attenzioni e valere qualcosa solo per come si appare e per la capacità di attirare l’altrui consenso.
Le bambine sessualizzate inoltre tendono col tempo ad interiorizzare lo stereotipo dell’oggetto del desiderio per cui lo scopo ed il centro della vita della donna è piacere all’uomo lasciandosi oggettivare e col tempo autoggettivandosi, ovvero finendo col percepirsi attraverso la stessa lente di chi le ha oggettificate.
E questo sarebbe il progresso? Perpetrare un furto dell’infanzia in danno alle bambine per far loro incarnare il prima possibile il ruolo attivo dalla notte dei tempi di magnifica preda?
Come non pensare che questa figura perturbante nell’immaginario di un certo maschile ha senso di esistere solo passando dalla sua validazione, dall’essere posseduta come un oggetto, privata di libertà, rispetto e diritti, sottovalutata, abusata ed in taluni casi di ribellione danneggiata, distrutta, soppressa e gettata via, come ci indica sempre più spesso la cronaca?
Ci stupiamo poi che a queste condizioni si abbassi l’età di autori e vittime della violenza di genere?
Le conseguenze della reificazione e il falso mito dell’emancipazione
Anche i maschi vengono adultizzati seguendo concezioni stereotipiche sui ruoli di genere, il che, coniugato all’esposizione sempre più precoce alla pornografia e a contenuti pubblicitari che sessualizzano la donna dall’infanzia, li conduce ad una considerazione del genere femminile fortemente permeata da scorie di pensiero retrivo di matrice patriarcale che sostengono, promuovono e causano la violenza contro bambine, ragazzine e donne.
Queste ultime, dunque, compiono in tanti, troppi casi un percorso quasi obbligato dalla sessualizzazione infantile all’oggettivazione ed auto-oggettivazione in età adolescenziale ed adulta, che viene spacciato per emancipazione, attraverso altra mistificazione. Basti pensare alle recentissime dichiarazioni della madre della tiktoker Elisa Esposito, nota sui social come maestra di corsivo, volte a sostenere il posizionamento della figlia su Onlyfans, piattaforma famosa per la vendita di contenuti destinati agli adulti.
“Meglio guadagnare così che andare a lavorare 8 ore e spaccarsi la schiena” come “ Trovare una mamma con la mentalità come la mia (che appoggia i lavori moderni le fa eco Elisa) non é mica semplice…poi se vi piace ancora vivere nel 1800 va benissimo” sono espressioni della donna contenute in due video che hanno fatto molto discutere, pubblicati sulla piattaforma dei più giovani, pullulante di minori.
Di nuovo la modernità è stata tirata in causa a sproposito, perché monetizzare attraverso il proprio corpo è stato dalla notte dei tempi, purtroppo, per la donna, una strada spesso obbligata per sopravvivere in mancanza di un uomo che la mantenesse.
Che posizionarsi su Onlyfans sia meglio che andare a svolgere un lavoro ordinario è affermazione non rispondente al vero; lo dimostra la fuga dalla piattaforma di tante ragazze i cui contenuti sono stati rubati e ripubblicati su altri social, con danno esistenziale e per la salute mentale notevole.
Non solo, ma la modalità degli scambi a pagamento tra l’utente e la ragazza con cui entra in una intimità del tutto illusoria attraverso una chat, sono espressione di una reificazione dell’essere umano tra le più tristi che si possa osservare.
Infine, le creators che non hanno un proprio bacino di utenza sono coinvolte in operazioni promozionali come il Calippo ed il Chinotto Tour, fatte passare per allegre scampagnate sessuali di giovani libere ed emancipate finalizzate alla produzione di video da pubblicare su Onlyfans.
E quando all’improvviso, una di loro fuoriesce dal Chinotto tour rendendo testimonianza di ciò che ha attraversato, si scopre come dietro a tutto il sistema ci siano agenzie specializzate che sfrutterebbero delle giovanissime incaute dirigendole passo per passo e soprattutto gestendo un meccanismo che solo attraverso una opacità strategica, per il momento, non ha configurato reati.
Il punto è che queste ragazze in nulla sono libere, persino i loro account social non gli appartengono e men che meno possono considerarsi emancipate, perché tutto nella spietata nicchia del porno si sottomette alla logica maschile da cui e per cui è stata creata: dal manipolarle al reclutarle, dallo sfruttarle al disporne, facendo loro, alla fine, ridiscendere i gradini – di quella che gli era stata presentata come la scalata al successo – verso abissi per cui tante hanno pensato al suicidio e diverse lo hanno attuato.
Tutto ciò, proposto sul social dei minori come nuova forma di imprenditoria femminile.
La prevenzione ed il contrasto alla violenza di genere oggi, sempre di più, richiede di riconoscere e disvelare tali mistificazioni per cui si propongono stili educativi ed attività, collegati a vecchi stereotipi che hanno reso schiave le donne da sempre, come innovazioni della modernità. Questo al fine di manipolare e far cadere madri e figlie in trappole di avversità attraverso le esche della visibilità, del consenso, del guadagno facile e della notorietà.
Dr.ssa Alexia Di Filippo, psicologa e psicoterapeuta