Nella memoria depositata al processo che lo vede imputato per il femminicidio di Giulia Cecchettin, Filippo Turetta ha parlato di un archivio di 20mila sue fotografie, sostenendo di aver ucciso la giovane perché incapace di accettare la fine della loro storia. È solo uno dei tanti casi di cronaca in cui ricorre il tema dell’”ossessione in amore”. Tag24 ne ha parlato con la psicologa e psicoterapeuta Alexia Di Filippo. 

Ossessione in amore: il significato

D: Dottoressa, come nasce l’ossessione per una persona? Da cosa può dipendere?

R: “Si sente spesso parlare di ‘ossessione d’amore’ in relazione ai femminicidi o ai casi di grave violenza di coppia riportati dalla cronaca. Si tratta di un’etichetta falsa e fuorviante, perché l’abuso e il delitto non hanno nulla a che vedere con l’amore. Al contempo la definizione rispecchia gli stereotipi di genere sulla violenza, che tendono a normalizzare e giustificare i comportamenti vessatori, spacciandoli per forme di interesse e passione della parte maschile che tipicamente li agisce in danno di quella femminile.

Dietro a casi del genere c’è, piuttosto, una dinamica che riguarda la perdita di controllo della partner da parte di un uomo che può entrare e stare nella relazione di coppia solo piegandola al proprio volere, condizionandola e/o dominandola. Se la donna tenta di divincolarsi dalla stretta, la determinazione di ristabilire il potere su di lei e nel rapporto diverrà ossessionante e finalizzata ad evitare l’eventualità più temuta: quella di essere lasciato”.

Quali sono le cause secondo la psicologia

D: Perché accade?

R: “Perché egli considera la partner un suo possedimento, un oggetto di proprietà del quale disporre, che può sfruttare e persino danneggiare. Di conseguenza, non le riconosce la facoltà di autodeterminarsi e soprattutto le nega il diritto di andarsene. Così facendo, infatti, gli arrecherebbe un’offesa percepita come intollerabile, non solo perché osa rifiutarlo, ma in quanto ritiene che ciò lo umili agli occhi degli altri, ledendo la sua immagine e picconando la sua fragile autostima.

Quindi, al centro pone se stesso, i propri interessi e la facciata di falsa adeguatezza che sfoggia in pubblico, mentre la partner deve essere prona ai suoi capricci e funzionale ai propri scopi. Per questo, tipicamente, la sceglie con caratteristiche che a lui mancano, come l’umanità, la generosità, l’empatia e la competenza relazionale. Caratteristiche che le invidia e che cerca di distruggerle pian piano, attraverso le limitazioni che le impone e i maltrattamenti che le impartisce. Il tutto odiandola segretamente per ciò che è e che lui non è in grado di diventare. Altro che innamorato, quello descritto è un vero e proprio predatore nel rapporto affettivo!”.

D: Quali sono le ragioni di questo modo abusante di concepire la partner e vivere la relazione con lei?

R: “Fondamentalmente le ragioni principali risiedono:

  • nella predisposizione genetica all’aggressività, alla disregolazione emotiva, all’intolleranza alla frustrazione;
  • in un legame di attaccamento perturbato di questi individui con la figura di accudimento primario;
  • in uno stile educativo che ha consolidato la problematica di fondo;
  • nell’esposizione ad un ambiente permeato da stereotipi di genere che collocano la donna in posizione di sudditanza rispetto all’uomo”.

I segnali di un problema nella relazione

D: A fronte di quanto appena detto, ci sono segnali a cui prestare attenzione in una relazione?

R: “Quelli che esprimono la volontà di controllare l’altro. Espressioni come: ‘Non devi stare con i tuoi, non puoi uscire sola con le tue amiche, dammi la password dei tuoi social così verifico con chi ti scrivi, non voglio che ti laurei prima di me e che vai a studiare lontano da qui’, sono segnali inequivocabili che devono indurre ad allontanarsi da chi li invia.

Attenzione poi anche a modalità più subdole di condizionamento che si avvalgono del ricatto emotivo: ‘Se vuoi stare ancora con i tuoi è perché non tieni a me, mi preoccupo così tanto quando esci con le tue amiche che starò male tutta la sera, se ti laureassi e trovassi lavoro prima di me mi umilieresti davanti a tutti, se mi lasci mi ammazzo’. Si tratta di manifestazioni che non vanno assecondate e devono far prendere subito le distanze da chi le pone in essere”.

La possibile cura

D: C’è una patologia sottostante? Si può curare? Se sì, come?

R: “Le perizie dei tribunali spesso rilevano, in chi ha commesso femminicidi o gravi atti di violenza contro la partner, una personalità narcisisticamente orientata che si struttura a partire dal mancato riconoscimento dei bisogni del bambino piccolo (attorno ai 18 mesi di vita) da parte di una madre o di un/a caregiver che ha posto in essere una dinamica manipolativa, per cui ha richiesto a lui nutrimento affettivo e sostegno invece di darglielo.

Naturalmente, il figlio non è in grado di fare ciò e si scinde, strutturando un falso sé su base compiacente per accontentare in qualche modo la madre. Quello che è sopravvissuto non è dunque il bambino reale, ma il feticcio di figlio che aveva in mente lei e che lui è stato costretto ad impersonare, tendendo poi a comportarsi nelle relazioni significative della propria vita manipolando, controllando e piegando alla propria volontà gli altri, così come è stato fatto con lui.

In questo quadro, si comprendono i comportamenti ossessivo-compulsivi, non di rado compresenti, che hanno lo scopo di tacitare il dialogo interno con un genitore interiorizzato, persecutorio ed ossessionante che tormenta il falso sé, ristabilendo perlomeno un’illusione di controllo sulla partner e sulla dinamica in essere. Controllo che, se viene comunque perduto, può aprire la strada all’azione omicidiaria, come accaduto nel caso di Turetta.

Vorrei sottolineare che, se è vero che tra i predatori affettivi spesso si trovano persone con tratti narcisistici o con un disturbo narcisistico di personalità, non è però automatico il contrario.

Circa il trattamento delle problematiche delineate, occorre specificare che, proprio per la grandiosità che caratterizza il disturbo – e per l’egosintonia, che non lo fa percepire come un problema alla persona che lo manifesta -, raramente chi ne è affetto chiede aiuto allo specialista psicoterapeuta, se non in condizioni particolari, quali ad esempio un fallimento relazionale e/o una sconfitta lavorativa e/o altri disturbi psicologici. Se lo psicoterapeuta è esperto ed in grado di costruire col paziente una solida alleanza terapeutica, ciò può costituire una grande opportunità di cambiamento”.

Una sintesi dell’intervista in tre punti

  • L’ossessione per il controllo nella relazione: secondo l’esperta, l’ossessione per la partner non è amore, ma abuso. Gli uomini che agiscono con violenza all’interno di una relazione concepiscono la donna come un possesso personale e reagiscono ossessivamente alla possibilità di perderla.
  • Le cause del comportamento abusivo: tali dinamiche derivano da fattori genetici, attaccamenti disturbanti nell’infanzia, educazione inadeguata e stereotipi di genere. Gli uomini violenti scelgono partner con qualità che loro stessi non hanno e cercano di sottometterle e distruggerne la sicurezza.
  • Segnali e trattamento: le richieste di controllo e il ricatto emotivo (osservati nel caso di Turetta, reo confesso del femminicidio di Giulia Cecchettin) sono segnali di pericolo. Anche in presenza di una forte personalità narcisistica, il trattamento psicoterapeutico, se richiesto e accettato da parte del diretto interessato, può funzionare.