Il coniuge superstite, sia esso marito o moglie, ha diritto alla pensione di reversibilità, che costituisce una parte dell’assegno previdenziale che il defunto coniuge riceveva. Questo diritto non dipende dalla modalità con cui il coniuge deceduto è andato in pensione, sia essa di vecchiaia o anticipata.

Tuttavia, se al momento del decesso il coniuge defunto non aveva ancora maturato il diritto alla pensione, il superstite avrà diritto alla pensione indiretta. Tale diritto è condizionato dal fatto che il coniuge deceduto avesse almeno 15 anni di contributi versati o almeno 5 anni, di cui almeno 3 nell’ultimo quinquennio.

Sia per la pensione di reversibilità che per quella indiretta, al superstite spetta una parte della pensione liquidata o maturata dal coniuge defunto. La percentuale varia, partendo dal 60% e aumentando in presenza di figli, fino a raggiungere il 100% dell’importo della pensione.

Quanto prende di pensione la moglie dopo la morte del marito?

La percentuale della pensione di reversibilità, nota anche come pensione indiretta, assegnata al coniuge varia in base al numero di figli. Nel dettaglio, alla morte del coniuge, la pensione di reversibilità viene così calcolata:

  • 60% dell’importo per il coniuge senza figli;
  • 80% dell’importo per il coniuge con un figlio;
  • 100% dell’importo per il coniuge con due o più figli.

In aggiunta, se il coniuge superstite è inabile al lavoro, può richiedere l’assegno di vedovanza.

Tuttavia, nonostante il coniuge abbia sempre diritto alla pensione di reversibilità nelle condizioni sopra indicate, se ha altri redditi potrebbe subire una riduzione. Ad esempio, il coniuge superstite che lavora o percepisce una propria pensione avrà comunque diritto alla reversibilità, ma in misura ridotta.

In dettaglio, la riduzione non si applica se i redditi del beneficiario sono inferiori a tre volte il trattamento minimo annuo (7.781,91 euro nel 2024) del Fondo pensioni lavoratori dipendenti, ovvero fino a 23.345,73 euro. Tuttavia, superando questa soglia, si applicano le seguenti riduzioni:

  • Meno il 25%, per redditi compresi tra 23.345,73 (tre volte il trattamento minimo) e 31.127,64 euro (quattro volte il trattamento minimo);
  • Meno il 40%, per redditi compresi tra 31.127,64 (quattro volte il trattamento minimo) e 38.909,55 euro (cinque volte il trattamento minimo);
  • Meno il 50%, per redditi superiori a 38.909,55 euro (cinque volte il trattamento minimo).

Tuttavia, queste riduzioni non si applicano se il beneficiario fa parte di un nucleo familiare con figli minori, studenti o inabili.

Inoltre, la sentenza n. 162 del 30 giugno 2022 della Corte Costituzionale stabilisce un limite alle riduzioni della pensione di reversibilità. In particolare, l’importo non può essere ridotto di una somma che superi l’ammontare complessivo dei redditi aggiuntivi.

In sostanza, in presenza di altri redditi, la pensione di reversibilità può essere ridotta solo fino a concorrenza dei redditi stessi.

A chi spetta la pensione di reversibilità?

È importante sottolineare che il diritto alla pensione di reversibilità (o indiretta) spetta sia al coniuge che all’unito civilmente. Quindi, anche in caso di unione civile, si ha diritto a una quota di pensione in caso di decesso di una delle parti. Tale diritto non si estingue nemmeno in caso di separazione, il che significa che anche se c’è stata una sentenza di separazione prima del decesso, al coniuge superstite spetterà comunque la reversibilità.

La situazione è diversa per il coniuge divorziato. Nel caso di una sentenza di divorzio, la reversibilità spetta solo se il superstite è titolare dell’assegno divorzile e non si è risposato. Inoltre, la sentenza di divorzio non deve precedere la data di inizio del rapporto assicurativo del defunto. In altre parole, il primo contributo utile ai fini previdenziali deve essere stato versato prima del divorzio.