Spesso, il reddito medio mensile erogato dall’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale a coloro che hanno raggiunto un livello legalmente riconosciuto di contribuzione risulta insufficiente per mantenere uno stile di vita congruente con quello sperimentato durante la vita lavorativa. In alcuni casi, questa situazione contribuisce all’incremento della percentuale di povertà in Italia.

In tale contesto, la scelta di destinare una parte del proprio stipendio e il Trattamento di Fine Rapporto (TFR) accumulato e futuro a un fondo pensione costituisce l’unico rimedio per preservare il proprio patrimonio e garantirsi una rendita che consenta di affrontare gli impegni finanziari quotidiani senza preoccupazioni.

Tuttavia, individuare la somma adeguata da versare per assicurarsi che la pensione integrativa fornisca un capitale mensile significativo, in grado di svolgere appieno il ruolo per cui è stata concepita e di agire concretamente come integrazione della pensione, rappresenta una sfida.

Quanto bisogna versare per avere una pensione integrativa?

La domanda comune quando si apre un fondo pensione è: qual è l’importo da versare mensilmente per garantirsi una rendita aggiuntiva adeguata al proprio tenore di vita? Non esiste una risposta universale; l’importo dipende dalle esigenze individuali, dall’ipotetica pensione lavorativa o dal numero di membri nel nucleo familiare. Varia anche in base all’età dell’investitore, agli anni mancanti alla pensione e al tasso di rendimento del fondo.

L’età al momento dell’apertura del piano influisce sulla quota mensile da versare. Ad esempio, giovani lavoratori possono destinare idealmente il 10% del loro reddito, poiché hanno più tempo per raggiungere l’obiettivo economico. Al contrario, chi è più vicino all’età pensionabile dovrà investire di più per ottenere una rendita adeguata. Una strategia consigliata è “Save More Tomorrow”, che suggerisce di aumentare i versamenti pensionistici in concomitanza con l’incremento dello stipendio.

Quanti tipi di fondi pensione esistono?

Esistono quattro tipologie di forme previdenziali complementari, differenziate in base alla gestione dei fondi e al soggetto depositario:

  1. Fondi pensione chiusi (o fondi negoziali);
  2. Fondi pensione aperti;
  3. Piani individuali pensionistici (PIP);
  4. Fondi preesistenti.

Fondi Pensione Chiusi

Questi sono regolati da accordi collettivi tra datori di lavoro e lavoratori di un particolare gruppo, categoria contrattuale o impresa situata in una specifica area geografica. L’amministrazione e il controllo sono equamente distribuiti tra entrambe le parti coinvolte. Le somme mensili versate per l’accumulo pensionistico vengono erogate da compagnie assicurative.

Fondi Pensione Aperti

Creati sia da compagnie assicurative che da banche e società di gestione del risparmio, i fondi aperti sono accessibili sia a individui che a collettività di lavoratori. Anche questi fondi derivano da accordi tra datori di lavoro e dipendenti.

PIP: Piani Individuali Pensionistici

Inclusi nelle assicurazioni vita caso vita, questi piani consentono l’accumulo di un capitale riscattabile al termine del contratto, a condizione che l’assicurato sia ancora in vita. Nel caso contrario, il patrimonio va ai beneficiari indicati al momento della stipula. Questa forma di pensione integrativa offre maggiore flessibilità nella scelta della somma da destinare al fondo ogni mese, adattandosi alle esigenze individuali e ai piani economici futuri.

Fondi Preesistenti

Sono stati stipulati prima dell’entrata in vigore del D.Lgs 252/2005, che ha introdotto nuove regole sui fondi pensione.