La recente pronuncia della Corte Suprema di Cassazione apre un nuovo capitolo nella lotta contro il mobbing nel settore della Pubblica Amministrazione (PA), stabilendo criteri più rigorosi e definiti per l’identificazione e la valutazione delle situazioni di mobbing e di straining, due termini che alla fine di questo articolo, ovvero dopo aver illustrato le recenti decisioni della Cassazione, andremo a definire meglio. A ogni modo, questa decisione segna un importante progresso nella tutela dei diritti dei lavoratori, offrendo una maggiore chiarezza interpretativa e operativa sul delicato tema del mobbing lavorativo.

Mobbing nella PA: criteri chiave per l’identificazione

La Corte di Cassazione, analizzando il caso di una dipendente del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, ha messo in luce la necessità di un approccio globale nella valutazione dei casi di mobbing. In particolare, la sentenza critica la visione “atomistica” adottata dalla Corte d’Appello di Milano, la quale aveva precedentemente escluso la presenza di mobbing basandosi sull’analisi isolata di singole condotte, piuttosto che su una valutazione d’insieme delle stesse.

Il principio chiave stabilito dalla Cassazione enfatizza che il mobbing non può essere valutato sulla base della legittimità o meno dei singoli atti, ma deve essere identificato attraverso l’analisi dell’intento persecutorio che unifica le varie azioni. Ciò implica un’attenta considerazione del contesto in cui tali comportamenti si manifestano e del loro impatto complessivo sul lavoratore.

La responsabilità dei datori di lavoro nella prevenzione del mobbing nella PA

La sentenza della Cassazione evidenzia inoltre la responsabilità dei datori di lavoro di garantire un ambiente lavorativo privo di condizioni nocive per la salute fisica e morale dei dipendenti. Questo obbligo comprende l’adozione di misure preventive e l’intervento tempestivo in situazioni potenzialmente dannose. La decisione sottolinea che l’assenza di azioni attive di mobbing non esime il datore di lavoro dalla responsabilità di prevenire situazioni lavorative stressanti che possano provocare danni alla salute del lavoratore.

Mobbing nella PA: linee guida per la tutela dei lavoratori

La sentenza offre ai lavoratori maggiori strumenti per la tutela dei propri diritti, delineando criteri precisi per il riconoscimento delle situazioni di mobbing. I dipendenti sono incoraggiati a segnalare comportamenti vessatori, avvalendosi del supporto legale e psicologico necessario. È importante che le vittime di mobbing documentino accuratamente le condotte subite, al fine di facilitare l’analisi complessiva del caso.

Cos’è il mobbing

Il mobbing descrive comportamenti aggressivi e persecutori in ambito lavorativo, mirati a emarginare la vittima. Originariamente analizzato da sociologi e psicologi, ha guadagnato riconoscimento legale nonostante l’assenza di normative specifiche. Questi atti vessatori, protratti e sistematici, possono essere eseguiti dai colleghi o dal datore di lavoro, con l’intento di isolare la vittima dal contesto lavorativo. Le manifestazioni di mobbing variano ampiamente: isolamento, assegnazione a mansioni sgradite o dequalificanti, carichi di lavoro eccessivi, controllo oppressivo, negazione di permessi o benefit, fino a licenziamenti ingiustificati e, nei casi più gravi, violenze fisiche o sessuali.

Questi comportamenti, pur variando tra leciti e illeciti, condividono un’intenzionalità vessatoria e un’azione mirata, rendendo il mobbing un fenomeno complesso, con motivazioni diverse e sfaccettate.

Cos’è lo straining

Lo straining, termine inglese che indica “mettere sotto pressione“, si riferisce allo stress lavorativo causato da comportamenti ostili o pressanti da parte del datore di lavoro o superiori gerarchici. Questa situazione, riconosciuta dalla Corte di Cassazione nel 2021, si verifica quando il datore di lavoro adotta misure che possono danneggiare i diritti fondamentali del dipendente attraverso condizioni di lavoro stressanti.

Diversamente dal mobbing, caratterizzato da azioni vessatorie continue, lo straining deriva da singole condotte che, nonostante la loro sporadicità, possono infliggere seri danni psicofisici alla vittima. Comportamenti come l’isolamento, il demansionamento, o l’attribuzione di un carico di lavoro eccessivo rientrano in questa categoria.

La normativa italiana, inclusi l’articolo 2087 del Codice Civile e il D. Lgs. 81/2008, tutela l’integrità fisica e morale dei lavoratori da queste pratiche, definendo lo straining come una violazione dei diritti del lavoratore a un ambiente di lavoro sicuro e rispettoso. Le vittime possono richiedere un risarcimento dimostrando i danni subiti, sottolineando l’importanza della tutela della salute nei luoghi di lavoro.