Quarto capitolo per la pluripremiata serie americana “True Detective” che in questa stagione, diretta da Issa Lopez, ci sorprende tra spiritualismo e fantascienza in un thriller ambientato tra i paesaggi innevati dell’Alaska. Jodie Foster, che interpreta la detective Liz Danvers, torna sulle scene con un’altra profonda interpretazione di grande spessore.

“True Detective – Night Country”, recensione

17 dicembre. Tra i pallidi paesaggi ghiacciati dell’Alaska risplende l’ultimo tramonto dell’anno.
Il buio è pronto a calare inesorabilmente con l’inizio dell’inverno polare, dove settimane di oscurità ininterrotta porteranno un’aria cupa e opprimente che non concederà vie di fuga per le coscienze turbate di chi vive avvolto nella nebbia.
L’aria è fredda, il silenzio è quasi insopportabile e non consente alla memoria di soffocare i ricordi.

È proprio nell’ultima giornata di luce, che illumina anche gli angoli più nascosti, che un gruppo di ricercatori scompare inspiegabilmente nel nulla.
Nella loro centrale di ricerca, la Tsalal Arctic Research Station, ogni cosa pare rimasta al suo posto, fatta eccezione per gli otto uomini svaniti misteriosamente come fossero stati inghiottiti dal freddo.
Durante il sopralluogo della polizia locale sul posto viene rinvenuta una lingua mozzata: è così che inizia la quarta stagione di True Detective – Night Country.

La detective Liz Danvers (Jodie Foster) è a capo delle ricerche, aiutata dall’agente Hank Prior (John Hawkes) e da suo figlio Peter Prior (Finn Bennett), anch’egli agente di polizia.
Non passerà molto tempo affinché le ricerche diano i loro frutti: durante la prima notte polare i corpi degli scomparsi, mutilati dal gelo, verranno rinvenuti sotto una candida coltre di neve.
È a questo punto che, con l’inizio delle investigazioni, subentrerà la detective Evangeline Navarro (Kali Reis), ex collega di Liz.

Entrambe legate da un segreto inconfessabile e dalla memoria turbata da un passato traumatico, intrecceranno nuovamente le loro vite spingendosi fino quasi all’estremo limite per risolvere questo caso che porta con sé un peso molto più grande di quel che si possa immaginare.
Sì, perché questa sparizione, tramutatasi in scoperta dei corpi degli scienziati rinvenuti senza vita all’apparenza deceduti in circostanze inspiegabili, è legata al crimine di una donna assasinata; Annie Kotok (Nivi Pedersen), attivista del luogo, brutalmente uccisa con 32 coltellate.
Un delitto rimasto irrisolto, quest’ultimo, di cui sei anni prima si era occupata senza successo proprio la detective Navarro.

Riaprendo vecchie ferite Liz ed Evangeline ripercorreranno passo dopo passo le strade che conducono alla risoluzione di entrambi i casi, legati a nodo stretto, scoperchiando un vaso di Pandora che nascondeva tutto uno schema di corruzione e inquinamento ambientale causato dalla miniera locale.


“True Detective – Night Country”, critica

“Perché non sappiamo quali belve sogna la notte, quando il buio dura così a lungo che nemmeno Dio riesce a restare sveglio”, è con questa frase di Hildred Castaigne (personaggio  immaginario dei racconti di Chambers) che True Detective – Night Country apre le danze, invogliandoci a prendere visione di questo thriller fortemente drammatico che si tinge di tinte noir, horror e che mescola note di fantascienza e misticismo.
Scritta e diretta dalla regista Issa Lòpez questi nuovi episodi di True Detective parlano quasi interamente al femminile, portando in scena personaggi di donne forti, indipendenti, tenaci.

Ambientata a Ennis, città di fantasia dell’Alaska (riprese in realtà girate in Islanda), questa narrazione mescola fatti inventati con due storie realmente accadute, dalle quali prende ispirazione: la prima è il ritrovamento del brigantino canadese chiamato Mary Celeste, che nel 1872 fu rinvenuto alla deriva in mare aperto verso lo Stretto di Gibilterra. L’imbarcazione fu trovata a navigare senza nessuno a bordo. Dell’equipaggio non si ebbe mai più traccia, ed è proprio per questo che la Mary Celeste viene ritenuta nell’immaginario collettivo l’archetipo della nave fantasma. Una vicenda piena di fascino e di mistero, che ha ispirato parte della sceneggiatura. La seconda storia, realmente avvenuta, alla quale la regista e sceneggiatrice ha voluto parzialmente rifarsi è l’incidente del passo di Djatlov. La notte del 2 febbraio del 1959, nove escursionisti morirono misteriosamente in circostanze inspiegabili. Accampati sui monti Urali settentrionali, l’arcano del loro trapasso non trovò mai una spiegazione e furono archiviati come decessi causati da “una forza della natura” benché sui corpi fossero stati trovati parecchi segni che indicavano una morte violenta.

Diversi i richiami alla prima stagione diretta da Nic Pezzolato come, ad esempio, il simbolo della spirale o i riferimenti a “Il Re Giallo” di Robert William Chambers che incontriamo ancora nelle nuove puntate.
La trama di questa storia affronta il tema del lutto, della perdita, della sopravvivenza piatta alla morte dei propri affetti, dell’attivismo delle tribù native d’Alaska che a causa della colonizzazione hanno visto distruggere e cambiare le loro terre, ma ci parla anche di uomini egoisti che rivendicano l’amore per le donne che uccidono, o dell’addormentamento delle coscienze che, sopite, volgono lo sguardo altrove dinnanzi a ghiotte occasioni d’interesse.

Benché tutto il racconto sia estremamente affascinante e rappresenti un potere femminile che rivendica una forza di resistenza e di ribellione di cui soprattutto oggi sentiamo la necessità, purtroppo in alcuni punti si perde nella confusione di un’esposizione eccessivamente fantasy.
Nonostante parte del finale abbia una spiegazione razionale che scioglie l’enigma iniziale, ci sono ancora troppi punti che rimangono ancorati a un surrealismo soprannaturale che guasta il tutto.
Ritroviamo, però, Jodie Foster come sempre orgogliosamente splendida nelle sue interpretazioni di grande talento.