L’industria del lusso sembra avviarsi con decisione verso la blockchain. A testimoniarlo è una riunione tenutasi la passata settimana a Parigi, presso l’NFT Paris, a poca distanza dalla Torre Eiffel. Un evento in cui hanno molti dirigenti di alto rango dei principali marchi mondiali di moda, automobili, orologi e alcolici si sono mescolati con importanti personalità del mondo crypto al fine di discutere della possibile sinergia tra i due settori.  

Sino ad oggi, i contatti tra aziende del lusso e blockchain sono stati abbastanza sporadici. Se è vero che sono stati condotti esperimenti in tal senso, non si è trattato di un rapporto organico. Come invece potrebbe diventare nel corso dei prossimi mesi, stando a quanto rivelato da Romain Carrere, CEO di Aura Blockchain Consortium.

Lusso e blockchain, un rapporto destinato a consolidarsi

L’Aura Blockchain Consortium è un vero e proprio collettivo cui partecipano i principali marchi del lusso che hanno intenzione di dare vita ad un approccio unificato nei confronti della tecnologia su cui si basano le criptovalute.

Tra i marchi che hanno aderito ad Aura ci sono molti dei giganti del lusso, a partire da Louis Vuitton, Mercedes Benz, Prada, Dior, Bulgari e Cartier. Aziende che si trovano in questo momento di fronte ad un vero e proprio bivio, quello rappresentato dalle nuove normative dell’Unione Europea sui passaporti per i prodotti digitali (DPP).

Si tratta di un pacchetto di norme che l’UE ha deciso di mettere in campo nel preciso intento di conseguire la sostenibilità nei processi produttivi. La loro entrata in vigore è prevista tra il 2026 e il 2027 e da quel momento anche i grandi marchi del lusso dovranno offrire alla propria clientela informazioni dettagliate sulla composizione e l’origine dei propri prodotti.

Si tratta in effetti di un provvedimento in grado di impedire la contraffazione, una vera e propria piaga per il settore, e di garantire al meglio la clientela sull’affidabilità delle aziende cui si appoggia. Un obbligo, quindi, ma anche un’occasione per aziende che si rivolgono ad una clientela facoltosa e vogliosa di status symbol. Non soltanto nell’Occidente più evoluto, ma anche nei Paesi in fase di grande sviluppo, a partire dalla Cina.

La necessità di creare veri e propri standard

I DPP non prevedono nulla, per quanto riguarda la blockchain. Proprio la necessità di tracciare l’intera filiera lungo cui si muovono i prodotti sembra però aprire grandi opportunità alla tecnologia dei registri distribuiti (DLT). Il motivo è molto semplice: i dati immessi al suo interno sono immodificabili. Rendono possibile garantire il luogo ove una merce è stata prodotta e i materiali che la compongono.

Questa capacità di tracciamento offre quindi garanzie alle stesse aziende. Aziende che, però, non vogliono limitarsi a rassicurare i clienti, ma offrire loro un’esperienza realmente coinvolgente. A spiegarlo è lo stesso Carrere: “Se crei un passaporto del prodotto digitale che va solo a soddisfare i requisiti minimi del regolamento UE, non otterrai il coinvolgimento del cliente, poiché questo è alla ricerca di un’esperienza aggiuntiva.”

Per farlo, è necessario un vero e proprio salto di qualità. E ad offrirlo potrebbe essere proprio la blockchain, creando uno standard di settore di DPP rivolti proprio ai marchi del lusso. Proseguendo in tal modo quella collaborazione che si è già stabilita tra essi e Web3.

Cosa si prospetta?

Per cercare di offrire esperienze aggiuntive e, soprattutto, esclusive ai propri clienti, i grandi marchi del lusso potranno disporre di un vero e proprio portale on-chain. All’interno del quale sarà non soltanto possibile testimoniare l’autenticità dei prodotti, ma anche permettere ai clienti di esplorare le funzionalità ad essi associate.

Per farlo, le aziende possono praticare la strada che riterranno più congeniale. L’incorporazione dei DPP negli articoli di moda potrebbe avvenire tramite la cucitura di chip NFT, oppure adottando l’impronta digitale delle immagini tramite AI, ovvero scansionando le foto dei prodotti in maniera tale da verificarne origine e autenticità tramite i dettagli colti dai pixel.

L’obiettivo finale prospettato da Aura è quindi uno standard in grado di riunire sotto una sola bandiera marchi che, nella vita reale, sono abituati a contendersi i clienti inscenando vere e proprie guerre commerciali. Un’unione resa possibile dalla necessità di aderire alle normative UE, ma anche di contrastare una contraffazione sempre più insidiosa.