La Corte d’Assise del tribunale di Varese ha condannato all’ergastolo e a nove mesi di isolamento diurno il 67enne Sergio Domenichini, finito a processo con l’accusa di aver ucciso a scopo di rapina la 73enne Carmela Fabozzi nella sua abitazione di Melnate, in provincia di Varese, il 22 luglio 2022. Oltre ad essere stato interdetto perpetuamente dai pubblici uffici, l’uomo dovrà anche risarcire i familiari della vittima: il figlio Angelo Casoli e la nipote Martina, che con i rispettivi avvocati si erano costituiti parti civili al processo a suo carico.

Condannato all’ergastolo Sergio Domenichini: nell’estate del 2022 uccise la 73enne Carmela Fabozzi a Melnate

La prima udienza del processo di primo grado a carico del 67enne si era tenuta lo scorso 4 ottobre. In una delle udienze successive, dopo aver lasciato il carcere in cui tuttora è recluso, Sergio Domenichini aveva rilasciato in aula le seguenti dichiarazioni spontanee:

Sono entrato in casa dopo aver bussato perché Carmela Fabozzi non rispondeva, c’era la radio accesa. Sono entrato e le ho preso una mano: era in un lago di sangue.

In pratica aveva raccontato di aver trovato la 73enne senza vita e di averle sottratto i telefoni cellulari perché la stessa mattina l’aveva chiamata (la conosceva) e, avendo dei precedenti penali, temeva che subito gli investigatori avrebbero collegato lui alla sua morte. Poi, senza dare l’allarme, se ne era andato, raggiungendo l’amico Antonio Crisafulli per delle commissioni.

Volevo vendere bracciali e oro che avevo da anni dopo la morte di mia madre – aveva detto – e per questo sono passato da un compro oro di Malnate. Mi ha fatto una valutazione troppo bassa, così ho pensato di rivolgermi ad un altro negozio di Varese.

Dopo, sempre stando al suo racconto, si era recato in un bar: lì, bevendo un caffè, si era sporcato la maglietta, che aveva sostituito con quella acquistata ad una bancarella del mercato di piazza della Repubblica. Mercato che in realtà, secondo le ricostruzioni, quel giorno neanche c’era.

Un racconto che faceva acqua da tutte le parti, insomma: secondo l’accusa, il 22 luglio 2022 Domenichini uccise la 73enne per derubarla dei suoi gioielli in oro e si recò a venderli insieme all’amico, condannato in abbreviato per favoreggiamento, dopo essersi disfatto dei vestiti sporchi di sangue che indossava.

Alla fine è stato condannato all’ergastolo e a nove mesi di isolamento diurno: i giudici della Corte d’Assise del tribunale di Varese lo hanno riconosciuto colpevole di omicidio volontario aggravato. La difesa, dopo aver tentato la via del rito abbreviato, aveva chiesto di assolverlo.

La ricostruzione del delitto

Domenichini e Fabozzi si conoscevano perché saltuariamente il primo offriva alla seconda dei passaggi in auto: era volontario per un’associazione impegnata nell’assistenza degli anziani. Secondo la ricostruzione degli investigatori, l’avrebbe colpita per almeno nove volte alla testa con un pesante vaso di vetro che aveva trovato nella sua abitazione di via Sanvito a Melnate per sottrarle i gioielli in oro che possedeva e che forse in altre occasioni aveva visto (come i due killer ventenni di Andrea Bossi).

Sull’arma del delitto e sotto l’unghia della vittima sono state trovate le sue impronte digitali; le sue scarpe combaciano perfettamente con i segni rinvenuti sul pavimento della villetta teatro dell’omicidio. A scoprirlo, dando l’allarme, fu il figlio Andrea che, non riuscendo a mettersi in contatto con la donna, era andato a controllare se stesse bene.

Una volta arrivato aveva trovato il suo corpo steso a terra, in una pozza di sangue, e aveva lanciato un urlo, attirando l’attenzione di alcuni vicini di casa, che quindi l’avevano raggiunto. Insieme avevano provato invano a rianimare la 73enne; anche i soccorsi, arrivati poco dopo, non avevano potuto far altro che constatarne il decesso. Domenichini era stato fermato dopo serrate indagini circa un mese dopo, di ritorno da una vacanza da Lignano Sabbiadoro.

Ora, oltre ad essere stato interdetto perpetuamente dai pubblici uffici, dovrà risarcire le parti civili, pagando le spese processuali che sono stati costretti ad affrontare sia il figlio di Carmela che la nipote.