Le periferie di Roma possono scoppiare da un momento all’altro. Trascurate e abbandonate, sono lasciate al loro destino. Ad alta densità di immigrati, spesso la convivenza con gli italiani e con i cittadini di diverse provenienze e origini è difficile e rischiosa. Le banlieue sono una realtà anche nella Capitale? Tag24.it ha girato per via di Torpignattara, zona tra la Casilina e la Tuscolana, a due passi dalla stazione Termini e da San Giovanni, nel V Municipio. Il quartiere è abitato in prevalenze dalla comunità bengalese, ma ci sono anche pakistani e pochi cinesi. La religione è quella musulmana, le donne sono velate, molte con il volto coperto dalla mascherina per decisione degli uomini, mariti, padri e fratelli. L’integrazione è scarsa, gli immigrati fanno gruppo a parte e quasi nessuno parla italiano.
Banlieue di Roma, Torpignattara è ad alta densità di cittadini di religione musulmana: in prevalenza bengalesi ma ci sono anche tanti pakistani. Sono ormai pochi i cinesi
Con il termine “banlieue” si indicano nel gergo corrente quei sobborghi tipici della Francia, in particolare di Parigi, lontani dal centro, abitati prevalentemente da stranieri: sono economicamente e socialmente svantaggiati e ospitano principalmente immigrati. Sono famosi per gravi fatti di violenza, l’ultimo a giugno 2023 dopo l’uccisione da parte di un agente di polizia del 17enne Nahel dopo aver ignorato l’alt. L’episodio ha scatenato proteste e guerriglia urbana in molte città francesi.
A Roma esistono le banlieue? Torpignattara potrebbe esserlo, se viene definita “Banglatown” un motivo ci sarà pure. E non riguarda solo l’accostamento con il film del 2019 “Bangla”, scritto, interpretato e diretto da Phaim Bhuiyan. Tag24.it ha ricevuto diverse segnalazioni che denunciano una situazione difficile di convivenza tra immigrati e italiani e puntano il dito contro le varie amministrazioni capitoline che hanno consentito un cambiamento totale del quartiere.
Torpignattara, donne musulmane con il velo e la mascherina per coprire totalmente il volto: “Lo vuole mio marito”
Passeggiando nel quartiere si ha la sensazione di trovarsi a Dacca, la capitale del Bangladesh. Gli italiani sono pochissimi rispetto ai cittadini stranieri. Le attività commerciali sono gestite da immigrati, quasi tutte di ristorazione, transfer money, frutterie e minimarket. I pochi negozianti italiani rimasti non vogliono parlare, hanno paura di raccontare la trasformazione delle vie. Fortissima la presenza dei bengalesi, di religione musulmana, che proprio negli ultimi 20 anni hanno preso il posto dei cinesi, così racconta l’avvocato Silvia Ronchetti, legale del Comitato di Quartiere Torpignattara e residente nella zona dalla nascita.
Le donne indossano il velo, moltissime non mostrano il volto. La “tecnica” usata dagli uomini per far coprire il volto è quella di incorniciare la testa con il velo e non farlo vedere con la mascherina. Praticamente sono scoperti solo gli occhi, un niqāb a tutti gli effetti.
“Non si può fare di tutta l’erba un fascio, ma la situazione a volte può essere pesante soprattutto per le donne”, confessa Silvia Rocchetti che con il suo studio offre uno sportello agevolato proprio alle vittime di violenza domestica “Spesso delle donne sono venute da noi lamentando di aver subito violenza dai mariti. Nessuna di loro lavora, non sappiamo poi quanto per scelta loro o per obbligo dei mariti”.
Le donne non parlano italiano, dipendono in tutto e per tutto dai mariti. Anche gli uomini parlano poco la nostra lingua nonostante siano in Italia da tanti anni. Il motivo? Frequentano solo le loro comunità e quindi parlano quasi esclusivamente la lingua d’origine. I figli frequentano le scuole della zona, in particolare la Pisacane, ma difficilmente intrecciano relazioni con i bambini di altre nazionalità, così come, del resto, fanno le loro mamme.
Il caso del centro culturale islamico di via Serbelloni, l’ex consigliere Fabio Schiuma (Lega): “Nel 2019 lo feci chiudere, purtroppo fanno come vogliono”
Un capitolo a parte lo merita il Centro culturale islamico di via Serbelloni 25, parallela di via di Torpignattara che si trova di fronte all’ufficio postale. Il via vai di fedeli non lascia tranquilli molti abitanti del quartiere che a Tag24.it segnalano scarso controllo del territorio e l’uso del luogo come una moschea. Già chiuso diverse volte, gli ultimi sigilli nel 2019, il centro islamico non risulta adibito a moschea, come riferisce il servizio chiama Roma del Comune. Il venerdì, giorno di preghiera, il centro è preso d’assalto, possono entrare solo gli uomini:
“Le donne non possono pregare con noi“, le parole di uno dei fruitori del centro di poche parole davanti alla telecamera.
Il centro culturale islamico è stato posto sotto sequestro nel 2019, una battaglia portata avanti dall’allora consigliere della Lega del V Municipio Fabio Schiuma: “Non mi occupo più di politica su quel territorio, ma è una zona in cui sono cresciuto e che amo. Abbiamo portato avanti battaglie per il quartiere. La chiusura del 2019 è arrivata perché erano stati buttati giù dei muri, senza alcun rispetto della legge. Hanno sempre fatto come volevano, non nego che probabilmente delle persone dormano anche all’interno”. L’ex consigliere poi conferma “Viene utilizzata sicuramente per pregare, nulla di male da questo punto di vista, ma ciò non può avvenire in modo abusivo”.
Non perdete l’inchiesta di Tag24.it dedicata a Primavalle, nel quadrante ovest-nord-ovest di Roma.