Hai ottenuto un cospicuo risarcimento e, per timore che i creditori possano procedere al pignoramento, hai deciso di prelevare l’importo dal conto corrente e conservarlo a casa? Nonostante tu abbia nascosto il denaro in un luogo segreto dell’appartamento, l’ansia che un giorno la Guardia di Finanza possa bussare alla tua porta ti causa preoccupazioni costanti? Sei arrivato/a al punto di dichiarare di non possedere una televisione per evitare il pagamento del canone Rai, ma temi che l’Agenzia delle Entrate possa un giorno scoprire la verità e richiedere gli arretrati?

In circostanze simili, è probabile che ti stia chiedendo quando potrebbe verificarsi un controllo da parte delle autorità finanziarie e quali condizioni debbano essere soddisfatte affinché ciò accada.

Per quale motivo la Finanza viene a casa?

La Cassazione ha fornito una risposta chiara, stabilendo che indagini e ispezioni presso il domicilio del contribuente da parte della Guardia di Finanza sono legittime solo in presenza di gravi motivi e previa esibizione di un “mandato”, ovvero dell’autorizzazione del Procuratore della Repubblica. Tali accessi domiciliari sono consentiti esclusivamente nel contesto di indagini volte a verificare l’evasione dell’IVA o delle imposte dirette (Irpef, Irap, Ires).

La seconda condizione fondamentale per l’accesso domiciliare è la richiesta di autorizzazione al Procuratore della Repubblica. Affinché il “nulla osta” all’accesso sia concesso, è necessario che la richiesta presenti gravi indizi di evasione fiscale. Senza questi “gravi indizi”, il procuratore non può autorizzare l’accesso, garantendo così l’inviolabilità del domicilio del contribuente.

Se il Procuratore della Repubblica ritiene validi tali “gravi indizi”, deve motivare la sua autorizzazione nel “mandato”, fornendo una breve spiegazione per permettere al cittadino di comprendere le ragioni dell’intervento della Guardia di Finanza a casa sua.

Ad esempio, sarebbe considerato illegittimo un provvedimento del Procuratore della Repubblica che autorizzi una verifica fiscale domiciliare nei confronti del socio di una società solo per “proseguire” le indagini nei confronti della società stessa e verificare il regolare adempimento delle normative relative all’IVA e alle imposte dirette. In questo caso, il contribuente è un soggetto “terzo” rispetto all’azienda, e la sua appartenenza a una società o l’esercizio di un’attività autonoma non giustifica automaticamente il passaggio dalla sede lavorativa al domicilio. In breve, per arrivare a casa dopo le indagini in azienda o in ufficio, devono sussistere “gravi ragioni” che devono essere illustrate al Procuratore della Repubblica, il quale, a sua volta, deve fornire un’approvazione motivata.