La morte di Alexei Navalny continua a tenere la Russia e il mondo intero con il fiato sospeso: la moglie del dissidente russo, la vedova Yulia, in un video di sei minuti pubblicato su YouTube, ha puntato il dito, ancora una volta, contro Vladimir Putin, accusandolo di tenere in ostaggio il corpo senza vita del marito. Il cadavere del rivale numero uno del Cremlino infatti non è ancora stato restituito alla sua famiglia.

Navalny, l’accusa della moglie Yulia: “Corpo di mio marito tenuto in ostaggio”

In abiti neri, con espressione preoccupata e, al tempo stesso, adirata, la vedova di Alexei Navalny, a pochi giorni dalla morte del marito, ha pubblicato un filmato sulla piattaforma web YouTube. Nel corso del video ha ripetutamente accusato il leader di Mosca Vladimir Putin.

La donna, Yulia (o Julija) Navalnaya, ha riferito che il numero uno del Cremlino starebbe continuando a tenere “in ostaggio” il corpo ormai esanime del dissidente russo. Lo starebbe inoltre “torturando” anche dopo la morte, decidendo appunto di non restituirlo alla sua famiglia.

Sono state parole molto pesanti quelle rilasciate e diffuse nella mattinata di oggi, sabato 24 febbraio 2024, dalla moglie dell’attivista russo scomparso in circostanze misteriose 9 giorni fa, mentre si trovava imprigionato nel carcere di Cherp, nel territorio della Siberia.

Secondo la signora Yulia, il presidente russo, proprio in questo periodo, starebbe mostrando chiaramente il proprio lato più oscuro. La donna nel filmato ha affermato che in moltissimi, sia in Russia che nel resto del mondo, sono a conoscenza del fatto che la “fede di Vladimir Putin sia falsa”.

Ma ora, a seguito della scomparsa del dissidente russo, ciò si vedrebbe “più che mai”. Secondo la vedova di Navalny infatti “nessun cristiano” sarebbe mai in grado di fare ciò che il leader del Cremlino starebbe facendo con il corpo senza vita del marito.

La signora Yulia è tornata a denunciare anche le autorità del suo Paese. Lo ha fatto ad oltre una settimana dalla morte dell’attivista in una colonia penale ai confini del mondo. Ha sostenuto, ancora una volta, che queste ultime avrebbero messo in atto diversi ricatti per organizzare un “funerale segreto” dell’uomo.

La donna ha così ripreso il medesimo appello lanciato nei giorni scorsi dalla madre del dissidente. Anche secondo la vedova, i russi starebbero “prendendo in giro” lei e la sua famiglia. Starebbero, in particolare, ricattando i parenti più stretti del rivale di Putin di seppellire il suo corpo nella stessa prigione in cui è morto.

Secondo Yulia Navalnaya, il decesso del marito “non è stato sufficiente” per Vladimir Putin. Il presidente di Mosca starebbe in questo modo continuando ad ingiuriare il politico russo, i suoi parenti e i suoi sostenitori.

Yulia Navalnaya: “Putin unico responsabile”

Nel video reso pubblico in Italia oggi, Yulia ha sostenuto che Vladimir Putin sarebbe “l’unico responsabile” dell’attuale situazione. La donna ha criticato, in particolar modo, il fatto che il numero uno del Cremlino da una parte amerebbe mostrarsi al mondo intero come un “cristiano devoto”.

Dall’altra però compirebbe crimini gravissimi nei confronti di dissidenti e attivisti che non la pensano come lui.

Nel filmato la donna ha riportato alcuni eventi legati alla Chiesa ortodossa a cui Vladimir Putin ha preso parte, a sostegno della propria tesi.

Ha continuato dicendo che le autorità hanno “torturato Alexei” quando era in vita e starebbero continuando a farlo anche adesso che è deceduto. Per tutti questi motivi la famiglia del dissidente russo ha chiesto e il cadavere dell’uomo sia rilasciato dalle autorità “senza condizioni”.

La vedova ha concluso il suo discorso parlando infine la guerra in Ucraina. Proprio oggi, 24 febbraio, ricorre l’universo il secondo anniversario dello scoppio del conflitto con la Russia. Yulia Navalnaya, a tal proposito, ha commentato, rivolgendosi ai sostenitori di Putin:

Dite di combattere contro il male occidentale che interferisce con i nostri valori tradizionali, ma uccidete soltanto. Bombardate i civili di notte, con missili tenuti nelle chiese.