È stata arrestata con l’accusa di aver provocato la morte della prozia Maria Basso, di 79 anni, offrendole dei cibi che non poteva mangiare dopo averla convinta a lasciarle la sua eredità: ecco chi è la 58enne Paola Pepe. Originaria di Catania, avrebbe messo in atto nei confronti della vittima una “strategia palesemente predatoria”. Lo ha rivelato il gip Sebastiano Fabio Di Giacomo Barbagallo nel disporne gli arresti domiciliari.

Chi è Paola Pepe, la donna accusata di aver ucciso la zia Maria Basso ad Aci Castello

Paola Pepe è accusata di circonvenzione di incapaci e di omicidio aggravato per aver provocato la morte della prozia 79enne Maria Basso dopo averla convinta a lasciarle la sua eredità. Tutto è iniziato quando, il 16 dicembre 2022, l’anziana era deceduta dopo cinque giorni di agonia nella Rsa di Aci Castello dove la 58enne l’aveva fatta ricoverare forzatamente dopo averla costretta a un estenuante viaggio da Asiago, senza neanche darle la possibilità di salutare i suoi affetti o di recuperare dalla sua abitazione i suoi effetti personali.

I medici avevano stabilito che era morta a causa di una “polmonite ab ingestis” per aver consumato dei pasti solidi, un piatto di spaghetti e una fetta di torta: a causa di alcune sue patologie da anni era costretta a nutrirsi solo di omogeneizzati o “cibi spezzettati”. Ricostruendo i suoi ultimi attimi di vita si era riusciti a capire che era stata la pronipote, la 58enne Paola Pepe, ad offrirglieli, portandola a pranzo fuori, contravvenendo alle prescrizioni mediche.

Il motivo? Voleva ucciderla per prendere possesso della sua eredità. Prima di portarla nella casa di cura l’avrebbe infatti indotta a firmare un testamento in cui compariva come unica erede. Secondo il gip di Catania Sebastiano Fabio Di Giacomo Barbagallo avrebbe messo in atto una “strategia palesemente predatoria”, abusando dello stato di infermità dell’anziana per ottenere dei vantaggi di tipo economico dalla sua morte. Nelle scorse ore, dopo essere stata arrestata, è finita agli arresti domiciliari con l’obbligo di braccialetto elettronico.

Il caso di Laura Ziliani, uccisa per l’eredità dalle figlie e dal genero

Il caso di Maria Basso ricorderà a molti quello di Laura Ziliani, l’ex vigilessa originaria di Temù uccisa dalle due figlie Silvia e Paola Zani e dal genero Mirto Milani (amante di entrambe) nell’abitazione di famiglia in Val Camonica.

Era la notte tra il 7 e l’8 maggio del 2021. La donna, di 55 anni, era stata soffocata con un cuscino dopo essere stata costretta ad assumere delle benzodiazepine da quello che i giornali avrebbero poi rinominato il “trio criminale”.

Il suo corpo era stato trovato da un bambino in gita con i genitori tra le erbacce del lungo Oglio, dove sorge anche la pista ciclabile dell’Alta Valle, tre mesi dopo la denuncia di scomparsa presentata alle autorità dalle figlie, che avevano raccontato che la donna non aveva mai fatto rientro a casa dopo essere uscita per una passeggiata in montagna.

Tutti e tre sono stati condannati all’ergastolo: Mirto Milani dopo aver ammesso le sue responsabilità davanti a un compagno di cella (venendo intercettato), ha sempre sostenuto di essere stato “incastrato” dalle sorelle Zani, che a loro volta hanno sempre dichiarato di aver agito per difendersi dalla madre, che a loro dire aveva provato più volte ad avvelenarle.

Secondo i giudici erano d’accordo: uccidendola avrebbero voluto entrare in possesso della sua eredità, che comprendeva anche diverse proprietà immobiliari sparse fra i Comuni di Brescia, Concesio, Temù e Malonno e una serie di terreni agricoli.