Il Movimento 5 Stelle rilancia la proposta di legge per la settimana lavorativa corta. Presentata in Commissione Lavoro, la proposta a prima firma di Giuseppe Conte – cofirmataria l’onorevole Valentina Barzotti – prevede la riduzione in via sperimentale dell’orario lavorativo dalle 40 alle 32 ore a parità di retribuzione, così da introdurre anche in Italia un modello che, già adottato all’estero, ha dimostrato di funzionare non solo ai fini della produttività, ma anche e soprattutto nell’ottica di un accrescimento del benessere dei lavoratori.

Settimana corta, la proposta del Movimento 5 Stelle per la riduzione dell’orario lavorativo

Che il modello della settimana corta piaccia ai lavoratori è indubbio: le sperimentazioni condotte in diversi Paesi – Islanda, Gran Bretagna, Spagna e Belgio, solo per citarne alcuni – hanno tutte raggiunto buoni risultati, garantendo la soddisfazione non solo dei dipendenti ma anche dei datori di lavoro che hanno visto accrescere la produttività aziendale.

Nel frattempo in Italia, le uniche sperimentazioni condotte per la riduzione della settimana lavorativa sono state portate avanti su base volontaria da alcuni grandi gruppi aziendali, come Intesa Sanpaolo, Luxottica, Sace e Lamborghini. A tutt’oggi una legge che disciplini la materia, infatti, non esiste.

Ecco perché, come spiega a TAG24 l’onorevole Valentina Barzotti – deputata e capogruppo del M5S in commissione Lavoro alla Camera e co-firmataria della proposta di legge per la settimana corta – è arrivato il momento di guardare al futuro e di fornire una cornice legislativa a un modello produttivo innovativo reputato altamente vantaggioso.

Settimana corta, Barzotti (M5S): “Modello già sperimentato in 18 Paesi”

Onorevole Barzotti, insieme al presidente del M5S Conte lei ha presentato una proposta per la sperimentazione della cosiddetta “settimana corta”. In che cosa consiste questa misura e quali vantaggi deriverebbero dalla sua applicazione per il lavoratore?

«La pandemia di Covid-19 ha provocato una forte accelerazione di alcuni cambiamenti in corso nel mercato del lavoro: pensiamo ad esempio all’utilizzo dello smart working.

Oggi almeno 18 Paesi nel mondo stanno testando la cosiddetta ‘settimana corta’. La proposta del presidente Conte, di cui sono cofirmataria, prevede, in via sperimentale, la possibilità di ridurre fino a 32 le ore settimanali di lavoro a parità di salario.

Certe esperienze già testate con successo hanno mostrato come un giorno di pausa supplementare offra ai lavoratori dipendenti la possibilità di riposarsi e recuperare completamente le forze, il che implica meno giorni di assenza per malattia. Del resto, la conciliazione vita-lavoro è oggi l’elemento più ricercato dai lavoratori italiani, soprattutto donne, nella scelta di un’azienda. Tale proposta si muove proprio in questa direzione».

Settimana corta, Barzotti (M5S): “Lavorare di più non è sinonimo di maggior produttività”

Oltre ai vantaggi elencati per i lavoratori, quali conseguenze positive avrebbe la settimana corta sul sistema produttivo?

«Faccio un esempio concreto, quello di Microsoft Japan. Nell’estate del 2019 l’azienda ha sperimentato la riduzione, da cinque a quattro, dei giorni di lavoro settimanali senza tagli di stipendio per i propri dipendenti. Risultato: la produttività è aumentata del 40%.

In Italia dobbiamo uscire dall’idea che lavorare di più sia sinonimo di maggiore produttività. Secondo le stime dell’Ocse, nel nostro Paese, in epoca pre-pandemia, l’orario medio di lavoro risultava tra i più alti dell’Eurozona; nonostante ciò, la produttività e i salari non hanno visto un andamento verso l’alto. Anzi: fra il 1995 e il 2020 la produttività del lavoro ha registrato una crescita media annua dello 0,4% contro una media Ue-27 del +1,5%, mentre sul fronte dei salari il nostro è stato l’unico Stato dell’area Ocse in cui, fra il 1990 e il 2020, gli stessi salari sono diminuiti del 2,9%.

In tale contesto, non vanno poi dimenticati i benefici per l’ambiente grazie a minori consumi di carburante da parte dei lavoratori e a una diminuzione dei costi dell’energia elettrica per le imprese».

Lavoro, Barzotti (M5S): “Questo Governo guarda al passato e non al futuro”

«Il ministro delle Imprese Urso ha dichiarato già un anno fa di essere disposto a riflettere sulla proposta. Il M5S crede si possa davvero aprire un dibattito sul tema al di là delle posizioni di parte?

“La proposta di legge del presidente Conte è sul tavolo e chiunque vorrà sedersi con noi per discuterne sarà il benvenuto. Quanto alle parole del ministro Urso, non mi pare che ad esse siano seguiti i fatti.

Sulle politiche del lavoro, fin da subito, lo sguardo di questo governo è stato orientato più al passato che al futuro. Da quando Giorgia Meloni è a Palazzo Chigi abbiamo assistito a una nuova deregulation sui contratti a termine, alla cancellazione dell’unica misura universalistica esistente contro la povertà – il Reddito di cittadinanza – al ripristino dei voucher. In più, non c’è stato alcun aggiornamento della normativa sul lavoro agile, senza dimenticare, ovviamente, il grave immobilismo in materia di sicurezza sul lavoro. Se il buongiorno si vede dal mattino…».

Settimana corta, Barzotti (M5S): “Nella nostra proposta centrale la contrattazione sindacale”

Alcuni critici della settimana corta ritengono che l’avvio di tali iniziative debba essere stabilito autonomamente delle aziende. In che modo interverrebbe la proposta di legge?

«La pdl affida la stipula di specifici contratti per la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario alle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, nonché alle loro articolazioni territoriali o aziendali. In più, garantisce ai datori di lavoro che avvieranno la sperimentazione un esonero contributivo a valere sia in caso di trasformazioni di contratti in essere sia di nuove assunzioni.

Come nel caso della nostra proposta sul salario minimo, dunque, si agisce nell’alveo della contrattazione, anche di secondo livello. La pdl prevede, altresì, un meccanismo che consenta la diffusione di forme ridotte dell’orario di lavoro qualora manchi un contratto collettivo stipulato dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative: in tal caso, almeno il 20% dei dipendenti dell’impresa o il datore di lavoro possono proporre un’ipotesi di accordo, che sarà poi sottoposto a referendum interno.

Secondo l’ultimo rapporto Censis-Eudaimon, il 67,7% degli occupati in futuro vorrebbe ridurre il tempo dedicato al lavoro. Per dirla con Seneca: non possiamo dirigere il vento, ma possiamo orientare le vele».