Anche il settore blockchain ha il suo braccio politico. Si chiama Fairshake e della sua esistenza si è iniziato a parlare per un finanziamento pari a 4,9 milioni di dollari. A rilasciarlo sono stati i fratelli Vinklevoss, Tyler e Cameron, i cofondatori dell’exchange di criptovalute Gemini.
A darne notizia è stato Bloomberg, citando i documenti federali, dai quali risulta che il PAC (Political Action Committee) vantava ben 72,8 milioni di dollari in cassa. Risultato dei cospicui finanziamenti rilasciati oltre che dai fratelli Vinklevoss da realtà del settore come ARK Invest, Andreessen Horowitz, Ripple Labs, Circle, Coinbase, Jump Crypto, Payward, Electric Capital Partners e Blockchain Capital.
Fairshake: anche la blockchain scende in campo
La politica statunitense è da sempre caratterizzata dalle lobby, organizzazioni che si propongono di fare pressioni sui rappresentanti. Lo scopo è abbastanza evidente: tutelare gli interessi di ristretti gruppi e fare in modo che le sedi parlamentari ne tengano conto.
Fairshake non sfugge alla regola, ma è la testimonianza del fatto che anche l’innovazione finanziaria vuole far contare il proprio peso in questo particolare ambito. Soprattutto in considerazione del fatto che il 2024 è l’anno delle presidenziali, negli Stati Uniti e l’aria che spira sulle criptovalute non è delle più salubri. A dimostrarlo le parole di Donald Trump contro le CBDC e il recente disegno di legge presentato dalla senatrice Elizabeth Warren.
Il PAC crypto si propone quindi di fornire un sostegno, anche di carattere finanziario, a quei candidati che hanno mostrato apertura mentale nei confronti degli asset virtuali. E anche di contrastare quelli che invece si sono segnalati per la contrarietà nei loro confronti, come la candidata senatrice Katie Porter.
Cosa sono i PAC
Come abbiamo già sottolineato, Fairshake è un PAC che si profila alla stregua di strumento di promozione delle criptovalute all’interno del mondo istituzionale. Si tratta di comitati politici indipendenti, i quali hanno facoltà di rivolgersi ad aziende, privati, sindacati e gruppi di vario genere per raccogliere fondi. Denaro destinato ad alimentare le campagne dei candidati favorevoli a determinate tematiche.
Fairshake è il PAC espresso dal settore blockchain. A destare scalpore è proprio il fatto che stavolta la finanza decentralizzata non si è limitata a protestare contro singole iniziative politiche, come fatto nel passato, ma ha deciso di scendere in campo direttamente. Un impegno il quale sembra la conseguenza della discussione sulle criptovalute improvvisamente entrata in maniera organica nella politica a stelle e strisce.
Già in passato alcune figure istituzionali avevano dimostrato decisa ostilità nei confronti di Bitcoin e Altcoin. O, come accaduto nel caso di Maxine Waters, fatto fuoco e fiamme per impedire che potessero trasformarsi in un pericolo per la democrazia. Come accaduto quando Facebook aveva provato a varare la sua stablecoin, Libra.
Ora, però, il tema è entrato in maniera organica nel dibattito politico. Se le parole di Trump sul dollaro digitale sembrano destinate ad accarezzare la contrarietà allo statalismo di una parte dell’elettorato statunitense, il progetto di legge presentato dalla Warren, intitolato Digital Asset Anti-Money Laundering Act (DAAMLA), è stato vissuto come un attacco diretto all’innovazione finanziaria. Tanto da spingere la Blockchain Association a inviare una lettera alla Commissione per i servizi finanziari della Camera e alla Commissione bancaria del Senato. Una missiva in cui si prefigura addirittura la perdita di competitività del sistema finanziario statunitense, ove il provvedimento fosse approvato.
Con l’intensificarsi del dibattito sugli asset virtuali, non stupisce quindi la discesa in campo di Fairshake. Una decisione la quale, però, ha a sua volta destato preoccupazioni. I critici, infatti, hanno apertamente sostenuto la tesi che le risorse finanziarie da essa utilizzate potrebbero influenzare negativamente il processo democratico. La tesi è che le decisioni politiche prese al riguardo potrebbero andare a favore di pochi e a danno della collettività. Che è in fondo la stessa accusa mossa da sempre verso le lobby, tutte.