Per Bitcoin il rapporto con l’Europa è sempre stato abbastanza contrastato. Basterebbe ricordare in tal senso l’ormai vecchia guerra dei Paesi nordici, Svezia in primis, contro il mining Proof-of-Work, per capire meglio l’assunto.

Ora, però, è la Germania a muoversi nei confronti della regina delle criptovalute. Ad attivarsi, in particolare, è il più grande partito del Paese, quello composto da CDU e CSU nel Bundestag. Il gruppo parlamentare, infatti, ha avanzato una richiesta ufficiale al governo, chiedendo che siano adottate restrizioni nei confronti di BTC e degli asset virtuali in generale.

In Germania cresce l’opposizione a Bitcoin e criptovalute

Se i criptofans pensavano che con l’approvazione degli ETF spot su Bitcoin la strada verso l’adozione globale delle criptovalute fosse ormai spianata, la realtà potrebbe presto rivelarsi molto diversa. Segnali in tal senso arrivano in particolare dalla Germania, con il maggiore partito politico del Paese, la CDU-CSU, decisa a muovere passi concreti per contrastare l’innovazione finanziaria.

Il gruppo parlamentare, il più grande all’interno del Parlamento di Berlino, ha infatti avanzato una domanda formale al governo, chiedendo l’adozione di misure più stringenti nei confronti di BTC. Il motivo di questa richiesta è da individuare nella necessità di contrastare il riciclaggio di denaro e la criminalità finanziaria.

Un tema il quale sembra ormai vecchio e ripetutamente controbattuto da ricerche molto circostanziate, che comunque sembra destinato a tornare eternamente a galla. Nel caso tedesco, però, potrebbe portarsi dietro una serie di norme le quali potrebbero rivelarsi un freno di non poco conto per il settore.

Le richieste dell’opposizione tedesca

La richiesta di CDU/CSU nei confronti del governo guidato dal socialdemocratico Olaf Scholz è molto precisa: mettere in campo misure più stringenti nei confronti delle criptovalute. Misure alle quale verrebbe affidato il compito di impedirne l’utilizzo nell’economia criminale e per sottrarre risorse al fisco.

Tra queste misure, la prima è quella relativa alla due diligence per l’acquisto di asset virtuali. In tal senso, però, occorre sottolineare come già a livello di Unione Europea sia stato adottato il principio dell’obbligo di pubblicazione per qualsiasi transazione crypto che vada ad oltrepassare la soglia dei mille euro.

A questa prima richiesta se ne aggiunge poi una seconda, l’obbligo di produrre la prova relativa all’origine dei fondi. E, ancora, la definitiva messa al bando dei mixer crypto. Ovvero di quegli strumenti che, come Tornado Cash, sono in grado di impedire l’individuazione dei wallet implicati in una transazione. Strumenti che, del resto, sono già oggetto di una vera e propria guerra da parte delle autorità preposte al controllo dei movimenti monetari.

Altra proposta avanzata dai gruppi parlamentari di CDU e CSU è poi quella relativa alla registrazione per gli indirizzi self-hosted, i quali dovrebbero essere oggetto di comunicazione allo Stato. Evidente l’intenzione di fare in modo che siano vietate le transazioni di coloro che dovessero sottrarsi all’obbligo.

Non manca poi un altro aspetto abbastanza controverso, quello relativo al divieto di scambiare criptovalute e contanti in modalità P2P. In questo caso, peraltro, non è specificato se tale divieto dovrebbe riguardare solo gli exchange decentralizzati (DEX) o anche i privati.

Infine, l’istituzione di un vero e proprio registro dei wallet, simile a quello già in vigore per i conti bancari. In questo caso a giustificare il provvedimento sarebbe la necessità di monitorare le attività finanziarie condotte mediante valuta virtuale.

La polemica è dietro l’angolo

Le proposte dell’opposizione tedesca sembrano fatte apposta per rinfocolare le polemiche sulle criptovalute. In molti casi evidenziano una plateale ignoranza di cosa siano realmente e delle tecnologie cui si appoggiano. In altri sembrano invece il retaggio di un pregiudizio duro a morire.

L’anonimato che queste norme vorrebbero contrastare è una sorta di leggenda metropolitana, ove riferito ad esempio a Bitcoin. È stata la Bitcoin Foundation a ricordare, anni fa, come tutte le transazioni che comportano l’impiego dell’icona creata da Satoshi Nakamoto siano iscritte sul libro mastro della blockchain. Un registro il quale è assolutamente pubblico e che può essere consultato da chiunque sia intenzionato a farlo.

Mentre potrebbe essere più plausibile nel caso delle cosiddette privacy coin, a partire da Monero, il più illustre rappresentante di questo particolare ambito. Indicare Bitcoin come strumento per l’economia criminale sembra più che altro una mossa propagandistica.

Basti pensare in tal senso ad un recente documento redato dal Ministero del Tesoro degli Stati Uniti, al cui interno si afferma come gli asset virtuali siano largamente minoritari nel riciclaggio di denaro sporco.

Il documento redatto da CDU/CSU, in definitiva, sembra talmente maldestro da spingere qualcuno ad affermare che il vero obiettivo è un altro. Ovvero fare un primo passo deciso verso il divieto dei contanti. In tal senso, quindi, le criptovalute rappresenterebbero semplicemente il classico cavallo di Troia, al cui interno si nasconderebbe una proposta che è vista come il fumo negli occhi da parte di molti.