Cos’è successo a Fidene l’11 dicembre 2022? Perché Claudio Campiti decise di compiere la strage? Quante vittime fece? Sono solo alcuni degli interrogativi che ancora ruotano attorno al caso che sconvolse la Capitale, finito da pochi giorni davanti alla Corte d’Assise.
La ricostruzione della strage di Fidene: cos’è successo, quando e perché?
Dopo la chiusura delle indagini preliminari, lo scorso luglio la Procura di Roma aveva chiesto il rinvio a giudizio di Claudio Campiti, l’uomo accusato di quattro omicidi volontari aggravati e di tentato omicidio e lesioni per aver sparato contro gli avventori di una riunione condominiale nel gazebo del bar “Il posto giusto” di Fidene.
Erano le 9.30 di mattina di domenica 11 dicembre 2022. Dopo essersi recato a Tor di Quinto, dove ha sede il poligono di tiro che frequentava assiduamente, il 57enne aveva “chiesto espressamente” una Glock calibro 45 che aveva già usato in passato, ma, invece di recarsi sulla linea di tiro, era salito in auto e si era diretto in via Monte Giberto.
Una volta arrivato, a riunione già iniziata, aveva chiuso subito la porta e, dirigendosi verso i presenti, aveva urlato: “Vi ammazzo tutti“, aprendo il fuoco. Due donne, Sabrina Sperandio e Nicoletta Golisano, erano morte sul colpo. Assieme a loro c’erano Fabiana De Angelis, che sarebbe morta il 13 dicembre successivo a causa delle lesioni riportate alla carotide nel corso della sparatoria; Elisabetta Silenzi, anch’essa morta in un secondo momento; Bruna Marelli e altri due membri del consiglio, rimasti feriti.
Poi c’era Silvio Paganini, che con prontezza era riuscito a disarcionare Campiti e a bloccarlo a terra, mentre altri chiamavano i soccorsi. Poco dopo il 57enne era stato arrestato. Stando alla ricostruzione della Procura, non solo avrebbe premeditato la strage, “colpendo uno dopo l’altro i soggetti seduti al tavolo, mirando in punti vitali”, ma avrebbe anche voluto fuggire.
Il movente della strage e il processo a carico di Claudio Campiti
Nella sua auto erano stati ritrovati un secondo caricatore con 13 colpi e centinaia di cartucce, un coltello a serramanico, un pugnale e tre zaini contenenti diversi vestiti, il suo passaporto, un notebook e 5.700 euro in contanti, che andavano ad aggiungersi ai 535 euro che aveva in tasca.
Per questo, al processo apertosi a suo carico lo scorso 5 febbraio, l’accusa gli contesta, oltre all’aggravante dei futili motivi, anche quella della premeditazione. La difesa punta a dimostrare che quando agì Claudio Campiti non era lucido, ma seminfermo di mente.
Una versione dei fatti che i familiari delle vittime, costituitesi parte civile, escludono e che tra l’altro si scontra con la testimonianza resa dal medico che seguiva l’uomo che nei giorni successivi alla strage aveva escluso che fosse affetto da “patologie psichiche o psichiatriche”.
Il movente sarebbe da ricercare, secondo gli inquirenti, negli attriti che da diverso tempo c’erano tra lui e il consorzio Valleverde, che gestiva gli aspetti condominiali della palazzina in cui viveva. Qualche giorno prima della sparatoria i vertici avevano infatti inviato a Campiti un decreto ingiuntivo: da ben 7 anni non pagava i contributi dovuti al consorzio, non accettando le sue “regole ferree”.
Dopo aver perso il figlio 14enne a causa di un incidente in montagna, nel 2012, era “cambiato”, perdendo il lavoro da assicuratore e cadendo in disgrazia. Viveva senza acqua e luce. Diversi vicini di casa lo avevano denunciato per i suoi comportamenti molesti, senza che nessuno facesse niente. Per questo in tanti ipotizzano che la strage avrebbe potuto essere evitata. Oggi, 21 febbraio, se ne parlerà a Chi l’ha visto?, il programma condotto da Federica Sciarelli su Rai 3.