Durante un’epoca significativamente fredda conosciuta come la Piccola Era Glaciale, che ebbe luogo alcuni secoli fa, il nostro pianeta attraversò un periodo di notevole raffreddamento. Questo intervallo temporale coincise con un’epoca di minore attività solare, definita Minimo di Maunder, dal nome dell’astronomo Edward Maunder che per primo la studiò. Gli studiosi collegano questa fase climatica a vari fattori: da un lato, una ridotta emissione solare e, dall’altro, un’intensificata attività vulcanica. Questi eventi, uniti a cambiamenti nelle correnti oceaniche, influenzarono direttamente le temperature in Europa, portando a significative variazioni climatiche.

Nuova era glaciale in arrivo? Ecco perché potrebbe tornare il minimo solare

Nel contesto attuale, si osserva una tendenza verso una diminuzione dell’attività solare, con il 2009 che ha segnato un minimo secolare. Tuttavia, prevedere con precisione l’evoluzione futura dell’attività solare si rivela complesso, data la natura caotica del suo ciclo. Se il Sole dovesse entrare in un nuovo periodo di Minimo di Maunder nel XXI secolo, le simulazioni indicano che l’impatto sulla temperatura terrestre sarebbe minimo rispetto agli effetti dei gas serra. Questo suggerisce che le variazioni solari avrebbero un impatto limitato rispetto all’incremento delle temperature causato dalle emissioni antropogeniche di CO2.

Il nostro pianeta ha sperimentato cambiamenti climatici ben più estremi rispetto alla Piccola Era Glaciale, alternando periodi glaciali a brevi fasi interglaciali calde ogni circa 100.000 anni. Attualmente viviamo in un periodo interglaciale iniziato circa 11.000 anni fa. La transizione verso una nuova era glaciale è influenzata da variazioni nell’orbita terrestre, che modificano l’esposizione dell’emisfero settentrionale alla luce solare. Questo processo, che può durare fino a 20.000 anni, è amplificato dall’aumento dell’albedo terrestre, che a sua volta intensifica il raffreddamento globale.

L’impatto delle emissioni di CO2 sul futuro climatico

Studi recenti hanno esaminato come le nostre emissioni di CO2 possano influenzare l’avvio di future ere glaciali. Risulta che maggiore è la concentrazione di CO2 nell’atmosfera, maggiore deve essere la riduzione dell’irraggiamento solare per innescare una glaciazione. Scenario attuali mostrano che, data l’alta concentrazione di CO2 già raggiunta, una nuova era glaciale potrebbe essere ritardata di centinaia di migliaia di anni.

Le lezioni della piccola era glaciale

La Piccola Era Glaciale rappresenta uno dei periodi più freddi degli ultimi 10.000 anni, caratterizzato da un marcato raffreddamento nel Nord Atlantico. Questo periodo ha avuto conseguenze devastanti su raccolti, economie e popolazioni in Europa. La precisa cronologia di questo evento è ancora oggetto di dibattito, ma ricerche recenti hanno rivelato che un aumento delle temperature del mare alla fine del 1300 potrebbe aver giocato un ruolo chiave nel suo avvio, seguito da un significativo raffreddamento e dalla diminuzione della salinità delle acque, che portò al collasso della circolazione meridionale dell’Atlantico (AMOC).

I cambiamenti climatici in corso, compreso il rapido scioglimento del permafrost artico e la perdita di ghiaccio dalla Groenlandia, indicano che ci stiamo allontanando dalle condizioni tipiche che precedono un’era glaciale. Inoltre, l’attuale riscaldamento globale e l’accumulo di acqua dolce potrebbero avere impatti significativi sulla circolazione oceanica, potenzialmente portando a un indebolimento o al collasso dell’AMOC.

Nuova era glaciale (piccola) in arrivo? Cosa dice un recente studio

In un’era in cui il cambiamento climatico occupa le prime pagine dei giornali e catalizza l’attenzione della comunità scientifica, uno studio pubblicato su Nature Communications getta luce su un potenziale scenario futuro drammatico per il Nord Europa, contraddicendo quanto scritto finora. Il lavoro di Peter Ditlevsen, fisico teorico, e Susanne Ditlevsen, statistica all’Università di Copenaghen, suggerisce un imminente collasso delle correnti oceaniche atlantiche, con possibili conseguenze devastanti per il clima globale.

Le correnti marine, in particolare la Corrente del Golfo e le correnti nord atlantiche, sono componenti cruciali del sistema climatico globale. Agendo come veri e propri “nastri trasportatori” termici, queste correnti distribuiscono calore dall’equatore verso i poli, modulando così il clima di vaste aree del pianeta. Come già spiegato, un loro rallentamento o un completo collasso potrebbe innescare cambiamenti climatici di ampia portata, con effetti diretti non solo sulle temperature ma anche su precipitazioni e fenomeni meteorologici estremi.

Lo studio in questione segnala un potenziale collasso delle correnti atlantiche entro il 2057, un evento molto più imminente di quanto previsto dagli scenari del Panel Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC) delle Nazioni Unite. Tale prospettiva solleva preoccupazioni significative per il futuro climatico del Nord Europa, che potrebbe vedere un drastico calo delle temperature, simile a condizioni di una nuova era glaciale.

Il legame con il surriscaldamento globale

Il continuo aumento delle temperature globali, causato dall’effetto serra e dalle emissioni antropogeniche di gas serra, sta accelerando lo scioglimento dei ghiacci artici. Questo processo introduce volumi crescenti di acqua dolce fredda nell’Oceano Atlantico settentrionale, alterando le delicate equilibri di densità e salinità che sostengono le correnti oceaniche. Un cambiamento significativo in questi equilibri potrebbe arrestare la Corrente del Golfo, con effetti a catena sul clima europeo e globale.

L’interruzione dell’Atlantic Meridional Overturning Circulation (AMOC) potrebbe trasformare radicalmente il clima del Nord Europa, rendendo le condizioni simili a quelle di un’era glaciale. Temperature drasticamente più basse, con un potenziale calo fino a 20-25 gradi in Danimarca, rappresenterebbero una sfida senza precedenti per la sopravvivenza di ecosistemi, economie e società umane in queste regioni.

Un collasso delle correnti nord atlantiche influenzerebbe non solo il clima europeo, ma avrebbe ripercussioni globali, alterando i modelli di precipitazione in Amazzonia, modificando le stagioni in Africa equatoriale e influenzando negativamente le regioni asiatiche dipendenti dai monsoni. La potenziale trasformazione della foresta amazzonica e l’impoverimento di ossigeno e nutrienti negli oceani sono solo alcune delle catastrofiche conseguenze a lungo termine di tale evento.

Gennaio 2024 il mese più caldo di sempre

Nel periodo tra febbraio 2023 e gennaio 2024, la temperatura globale media ha superato per la prima volta la soglia di riscaldamento concordata a livello internazionale, segnando un aumento di 1,52°C rispetto ai livelli preindustriali. Questo rappresenta l’anno più caldo mai registrato, con record di calore battuti ogni mese da giugno. Gennaio 2024 ha infranto il precedente record del 2020 per il gennaio più caldo, con una temperatura media globale di 13,14°C, ovvero 1,66°C in più rispetto all’epoca preindustriale.

Samantha Burgess di Copernicus ha evidenziato l’urgenza di una rapida riduzione delle emissioni di gas serra per fermare l’aumento delle temperature globali. Gli esperti prevedono che il 2024 potrebbe essere ancora più caldo del 2023, con il 99% di probabilità di essere tra i cinque anni più caldi mai registrati. Le cause includono il riscaldamento globale antropogenico e il riscaldamento naturale di El Niño. Nonostante un leggero calo a gennaio, l’impatto dei gas serra rimane significativamente superiore a quello di El Niño. In Europa, si sono registrate temperature diverse tra nord e sud, mentre a livello globale, Canada orientale, Africa nord-occidentale, Medio Oriente e Asia centrale hanno registrato le temperature più alte.

Gennaio ha visto anche l’estensione del ghiaccio marino artico più alta dal 2009, mentre il ghiaccio antartico ha sofferto di una delle sue estensioni più basse. Alcuni studi suggeriscono che il riscaldamento globale potrebbe essere stato sottovalutato, ipotizzando una possibile superazione della soglia di +1,5°C già nel 2010.