Le truffe sono sempre all’ordine del giorno, nel settore criptovalutario. Le ultime notizie in tal senso giungono dalla Corea del Sud, dall’agenzia di stampa Yonhap, che riferisce come il passato 6 febbraio la Corte distrettuale di Seoul ha condannato il CEO dell’exchange crypto Bitconic, Jinwook Shin, a sette anni di reclusione.
Shin era stato arrestato il passato 7 agosto, con l’accusa di essersi appropriato dei fondi della clientela, dando vita quindi ad una frode ai sensi della legge sui crimini economici. E, ancora, di aver dato luogo alla falsificazione di documenti e aver ostruito l’attività commerciale danneggiando i suoi sistemi informatici.
Quest’ultima accusa è stata peraltro estesa al Chief Technology Officer (CTO) di Bitsonic, che ha ricevuto una condanna a un anno di reclusione per il ruolo ricoperto nella creazione e nello sfruttamento dei guasti dei sistemi informatici, tesi ad agevolare la frode.
Tra le motivazioni della condanna, il riscontro da parte della corte giudicante dell’assenza di qualsiasi genere di ravvedimento da parte degli interessati. Una parte consistente dei fondi sottratti alla clientela sarebbe stata recuperata dagli inquirenti, ma resta naturalmente il grave danneggiamento del rapporto fiduciario nello scambio di criptovalute.
Bitsonic, un nuovo caso FTX?
Aver gonfiato il valore di mercato e i volumi degli scambi di una valuta virtuale emessa dalla società e sottratto circa 10 miliardi di won (circa 8.4 milioni di dollari) dai conti della propria clientela: questa è la collezione di reati che ha condotto il numero uno di Bitsonic in cella.
Naturalmente, nel leggere le cronache provenienti dal Paese asiatico, a molti è tornata in mente la clamorosa vicenda di FTX, culminata nel crac dell’azienda fondata da Sam Bankman-Fried.
Jinwook Shin, in effetti, sembra aver tratto ispirazione dalle operazioni fantasiose messe in atto dal suo collega statunitense. Non solo ha effettuato depositi fraudolenti all’interno dell’azienda, nell’intento di dare l’impressione di attività che non esistevano, ma ha anche sviluppato un programma cui spettava il compito di acquisire le criptovalute da lui detenute a suo esclusivo vantaggio. Senza contare la pubblicazione su Bitsonic di una proposta di partnership con un noto exchange di livello internazionale. Risultata naturalmente falsa anch’essa.
A far trapelare quanto stava accadendo è stata la pratica impossibilità per i clienti di accedere ai propri fondi e alle criptovalute. Shin, infatti, dopo aver accumulato 8,4 milioni di dollari in fondi a lui riconducibili, ha avanzato problemi interni ed esterni e operato la vera e propria serrata nei confronti dei trader. Segno evidente che lo schema truffaldino era ormai lanciato a pieno regime.
Era il mese di agosto del 2021 e da quel momento si sono attivate anche le forze dell’ordine locali, che hanno iniziato a scandagliare all’interno della piattaforma. Una volta riscontrato quanto accaduto è arrivato il normale epilogo: la procura di Seoul ha infatti spiccato un mandato d’arresto per Shin. La sua carriera di truffatore è, di fatto, conclusa.
Il momento particolare delle criptovalute
Il caso Bitsonic arriva in un momento abbastanza particolare. Bitcoin ha nuovamente oltrepassato quota 50mila dollari e questo potrebbe essere il segnale di una nuova bull run. Una corsa sfrenata cui, presumibilmente, molti trader vorranno partecipare.
Per farlo, però, dovranno garantirsi un ambiente trasparente e privo di rischi. Il contrario di ciò che si è rivelato Bitsonic, e prima ancora le molte altre piattaforme di scambio che lo hanno preceduto in pratiche illegali.
Basta leggere le carte relative al processo contro Shin per capire meglio i pericoli collegati alla scelta di aziende che operano spesso sulla linea di confine tra lecito e illecito. La corte di Seoul, infatti, ha evidenziato l’abuso delle posizioni ricoperte dal CEO e dal CTO al fine di disabilitare le funzioni essenziali di elaborazione delle informazioni all’interno di Bitsonic.
In pratica, il duo ha creato l’illusione di un’attività commerciale legittima, andando a gonfiare in maniera significativa i volumi relativi agli scambi. Una pratica ingannevole che ha aperto al strada per l’appropriazione indebita di ingenti somme, dai conti aperti dai clienti. Una pratica che è andata avanti a lungo, prima di deflagrare in tutta la sua gravità.
I problemi normativi
Il caso Bitsonic va ad inserirsi in un quadro di sfide normative di non poco conto. Il settore degli asset virtuali, infatti, è ancora in attesa di un quadro organico di regole e leggi in cui operare. Se l’Unione Europea ha varato il MiCA (Markets in Crypto Assets) per fornire risposte in tal senso, in altre parti del mondo non è così.
In questo vuoto normativo si vanno ad inserire realtà che fanno della decentralizzazione, spesso solo vantata, il proprio mantra. Tanto da vedere negli interventi delle autorità di controllo un attacco teso a smantellare la criptosfera.
Purtroppo la realtà è molto diversa: troppi attori varcano la linea della legalità, proprio confidando nell’assenza di un quadro preciso. Costringendo gli enti governativi a cercare di tappare le falle che emergono sempre più spesso.
Una parte dell’innovazione finanziaria ha compreso l’importanza di un quadro normativo in grado di dare sicurezze agli investitori. In particolare ha compreso che proprio da esso dipende la fidelizzazione di coloro che vorrebbero poter fare trading senza timore di vedere qualcuno scappare coi propri soldi.
Proprio le vicende come quella sudcoreana segnalano la necessità di maggior rigore, che dovrebbe essere preteso anche da chi si ripropone di fare affari in maniera onesta. Soprattutto, da parte degli investitori, i quali dovrebbero comprendere che prima di puntare i propri soldi su un determinato asset dovrebbero investigare a lungo sui suoi fondamentali. In caso contrario, la truffa è sempre dietro l’angolo.