Le criptovalute dovrebbero essere bandite dalla National Basketball Association: ad affermarlo è John Reed Stark, ex funzionario della SEC. Lo ha fatto in un messaggio pubblicato l’8 febbraio su X, in appoggio agli investitori che hanno dato vita ad una class action contro la lega. A motivare tale azione la collaborazione tra i Dallas Maverick e il fallito exchange crypto Voyager Digital. Una partnership caratterizzata dal rilascio di dichiarazioni false da parte dello scambio.

Criptovalute: la NBA dovrebbe bandirle secondo ex funzionario SEC

John Reed Stark è stato molto chiaro nel suo messaggio, accusando i Mavs, nota franchigia NBA in cui milita la stella slovena Luka Doncic, di aver sfruttato spudoratamente i propri fan. E, di conseguenza, sono anche colpevoli della vera e propria devastazione derivata dal fallimento di Voyager, che ha inghiottito i soldi investiti al suo interno.

Stark ha poi proseguito affermando che l’NBA non ammette collaborazioni tra propri team e aziende che che producono eroina o commercializzano diamanti estratti illegalmente. Non si capisce, quindi, perché lo fa nei confronti delle aziende crypto. Tanto da spingerlo ad affermare che la lega dovrebbe essere citata in giudizio per il ruolo ricoperto nella frode di Voyager.

Un parere che è del resto condiviso da 108 investitori, i quali hanno deciso di portare in tribunale la maggiore lega cestistica del mondo. Una citazione che potrebbe avere conseguenze di largo raggio, almeno negli Stati Uniti.

Va sottolineato come John Reed Stark rappresenti una voce autorevole, dall’alto dei 18 anni di servizio prestati all’interno della Securities and Exchange Commission. Al suo interno ha infatti ricoperto le mansioni di avvocato e diretto l’Office of Internet Enforcement. Una volta uscito dall’autorità ha fondato la John Reed Stark Consulting.

Voyager Capital: cos’è accaduto

La vicenda Voyager risale al luglio del 2022. L’exchange di criptovalute, infatti, proprio in quel periodo è stato costretto a presentare istanza di fallimento ai sensi del Chapter 11, la legge che regola questi casi negli Stati Uniti.

Un atto arrivato al culmine della crisi che stava colpendo il mercato delle criptovalute e otto mesi dopo la firma di un accordo con i Dallas Maverick. La vicenda ha poi avuto strascichi legali, derivanti dalle dichiarazioni fraudolente del suo CEO, Stephen Ehrlich, le quali hanno spinto la Commodity Futures Trading Commission degli Stati Uniti e la Federal Trade Commission, nell’ottobre passato, ad intentare cause parallele contro di lui.

Nel mese successivo Voyager ha aderito ad un accordo con la FTC per un risarcimento da 1,65 miliardi di dollari, meno della metà delle risorse inghiottite dal suo crac. Un accordo che, a quanto sembra, non basta a coloro che hanno deciso di dare luogo alla class action presentata contro la NBA.

La causa relativa a Voyager è stata presentata presso il tribunale fallimentare degli Stati Uniti per il Distretto Sud di New York ed è ancora in corso. Il piano di ristrutturazione presentato nel passato mese di maggio propone il recupero iniziale, da parte dei clienti danneggiati da Voyager, del 35,7% dei crediti, in valuta virtuale o contanti.

Criptovalute e sport: cosa potrebbe cambiare

La causa intentata contro la NBA è molto interessante. A renderla tale è il fatto che il connubio tra criptovalute e sport è stato molto intenso nel corso degli ultimi anni. Tanto da coinvolgere anche altre discipline sportive, a partire dal calcio e dall’automobilismo.

Molte società calcistiche, ad esempio, hanno aderito entusiasticamente alle proposte allettanti giunte dalla criptosfera. Basti pensare agli accordi siglati tra Inter e Roma da una parte e DigitalBits dall’altra. Accordi che si sono però rivelati fallimentari per le due società della Serie A, a causa dei mancati pagamenti dell’azienda crypto.

Il basket professionistico statunitense è stato però il maggior beneficiario di questo trend. Non solo i Maverick, ma anche altre franchigie hanno attinto a piene mani dall’innovazione finanziaria. Basti pensare all’accordo tra Miami Heat e FTX, per ribattezzare con il nome dell’exchange fallito di Sam Bankman-Fried l’arena in cui la squadra gioca le sue gare casalinghe.

Se il tribunale preposto accoglierà la tesi di Stark, condannando la NBA, potrebbe verificarsi una rottura nei rapporti instaurati tra sport e criptovalute. Questo almeno negli Stati Uniti, mentre un’ipotesi simile sembra al momento lontana sul suolo europeo.