Terzo film alla regia per Blitz Bazawule, il regista e poliedrico artista ghanese, che dirige un affascinante adattamento cinematografico del musical “Il Colore Viola” candidato ai Critics’ Choice Awards e ai Black Reel Awards.

Recensione “Il Colore Viola”, trama

Primi del ‘900, lungo i meravigliosi paesaggi della Georgia crescono due sorelle, Celie (Phylicia Mpasi e Fantasia Barrino) e Nettie (Halle Bailey e Ciara), unite da un legame viscerale.
Prati fioriti di un verde brillante vengono illuminati da un sole caldo e prepotente, spiagge dalle acque cristalline e dalla sabbia chiarissima contrastano con scuri tronchi d’albero, bellissimi fiori d’un viola fulgente si mostrano generosi, viali alberati dai colori accecanti incorniciano il cammino delle due sorelle.
Sono questi gli splendidi scenari dalle tinte vibranti che contrastano con lo straziante racconto di due giovani ragazze, orfane di madre, che non soltanto hanno la disgrazia di nascere donne in un’epoca in cui il sesso femminile era vissuto come una condanna e una ghiotta occasione per gli uomini di abusarne a piacimento, ma portano anche il fardello di essere nere negli anni della schiavitù.

Celie, a soli quattordici anni, viene ripetutamente violata dal padre Alfonso (Deon Cole).
Rimane due volte incinta, dando alla luce gli incestuosi frutti di un unione carnale tanto disgustosa quanto insopportabile.
Costretta a subire un’ulteriore violenza, entrambi i figli le vengono strappati via a forza mentre li culla nel caloroso abbraccio materno per essere venduti a fini d’adozione.
Come se l’incesto e la separazione dai propri figli non fosse sufficiente, viene anche data in sposa a un uomo meschino, malvagio, impetuoso: Albert Jhonson (Colman Domingo) conosciuto da tutti come Mister. Si ritrova così serva in casa di uno sconosciuto, forzata a saziarne gli appetiti sessuali, a sbrigare faccende e a crescere i tre figli di lui.

Quando la sorella Nettie viene attenzionata dal padre con le medesime pulsioni lascive, cerca riparo in casa di Mister e Celie.
Viene così accolta, trasferendosi da loro, ma di lì a poco Albert tenta di stuprarla.
Ella, ribellandosi, scatena le ire del signor Jhonson che la caccia di casa separando per sempre le due sorelle. Celie rimane sola a fare da serva a un uomo crudele, che la picchia e la umilia sfruttandola in ogni modo.

Passato qualche anno Harpo (Corey Hawkins), uno dei tre figli di Mister, ormai cresciuto si fidanza con Sofia (Danielle Brooks), giovane dal carattere forte e indomabile.
Tra le due donne si instaura da subito una grande amicizia, caratterizzata dal contrasto tra l’indole ribelle di Sofia e l’accondiscendenza di Celie.
Quest’ultima, abituata a subire e a soccombere perché per tutta la vita non le è stato insegnato altro, inizierà a provare un senso di ammirazione ma anche di sana invidia per la nuora, riscoprendo il bisogno di sognare un destino migliore.

Ma sarà solo quando conoscerà Shug Avery (Taraji Penda Henson), eccentrica cantante figlia del pastore locale e un tempo promessa sposa di Mister, che inizierà lentamente a provare dentro di sé un istinto di ribellione e un irrefrenabile desiderio di rinascita. Sarà proprio l’amica Shug a spingerla oltre i confini della sua prigionia matrimoniale per farle riscoprire l’indipendenza, il diritto al mostrare la sua femminilità con orgoglio e a ritrovare la sorella perduta.

“Il Colore Viola”, critica

Blitz Bazawule, al suo terzo lavoro come regista, riporta in scena un grande classico facendone un film musicale con la produzione di Oprah Winfrey, Quincy Jones, Scott Sanders e dello stesso Steven Spielberg, che nell’85 portò per la prima volta sul grande schermo questa storia tratta da uno dei romanzi americani più discussi: “il Colore Viola” di Alice Walker.
Da qui prende il nome anche questo musical dalle tinte fiabesche, con una coinvolgente colonna sonora a cura di Brenda Russell, Allee Willis e Stephen Bray.

Il Colore Viola è un film che avrebbe avuto tutti i mezzi per poter diventare un capolavoro contemporaneo: dalla fotografia, alla regia, ai vivaci colori pastello di cui si tinge l’intero film che spiccano a contrasto con le splendide carnagioni brune, calde, ambrate dei protagonisti.
Le incredibili voci del cast rendono ogni canzone un’incantevole esperienza che regala note d’entusiasmante commozione. L’interpretazione di tutti i personaggi, nessuno escluso, fa trasparire un evidente, notevole talento recitativo.
Riprese, scenografie, abiti di scena: tutto curato nel minimo dettaglio per donarci un’esperienza visiva esaltante.

Purtroppo però questa pellicola non scava fino in fondo nello struggente racconto di un’epoca che ha distrutto le vite di migliaia di donne nere e del popolo afroamericano.
Ѐ come se l’intero spettacolo rimanesse sospeso in una realtà trasognata, quasi fosse la rappresentazione di una fiaba per bambini, non mostrando il cuore di quegli anni di terrore e di rassegnata accondiscendenza delle donne, che non soltanto non avevano diritto alla loro stessa dignità, ma neanche alla semplice umana compassione.
I dialoghi, a volte un po’ forzati, fanno risultare a tratti questa pellicola estremamente caricaturale.
Il regista coglie solo a metà l’occasione di farci assaporare il dolore e la miseria di essere una donna nera durante i primi del novecento, di cosa significasse davvero non essere considerati umani ma solo veri e propri beni di consumo da usare e logorare fino all’estremo limite.

Bazawule confeziona una bellissima serie di immagini dal carattere forte, di riprese che sembrano affreschi, restando purtroppo concentrato quasi del tutto sull’estetica più che sulla sostanza.
Ciò nonostante questa versione de “Il Colore Viola” sa commuovere ed emozionare, ma il finale eccessivamente ottimistico, che non racconta molto della schiavitù e degli anni della repressione nera, lo lascia incatenato a poco più che a uno spettacolo per ragazzi dove il lieto fine deve essere soltanto leggero senza mostrare neanche una punta di vaga amarezza.

Consiglio comunque la visione di questo film che purtroppo è stato per me molto triste guardare in una sala pressoché vuota, sintomo che come popolo siamo ancora ben lontani dal dare la giusta considerazione a certi temi e che conferma la necessità di dragare più a fondo per smuovere la coscienza collettiva sul tema della discriminazione razziale e sul sessismo.