Quando mancano ormai pochi mesi all’appuntamento elettorale, molti dettagli, anche importanti, devono essere definiti, ma la foto di gruppo del centrodestra comincia ad apparire nitida ai nastri di partenza della corsa verso le europee del 9 giugno. Giorgia Meloni parte dal blocco dei Conservatori europei, Ecr party, di cui è presidente, e cerca l’asse con i Popolari per spostare verso destra il bilancino del futuro governo europeo. E magari ottenere grazie all’amica Ursula Von der Leyen (che punta alla riconferma alla guida della commissione europea) un commissario europeo di peso. Giorgetti, ad esempio, potrebbe essere l’uomo giusto per guidare l’economia. Malgrado il segnale arrivato dalle politiche spagnole, con il calo degli alleati di Vox, la premier va avanti sulla strada intrapresa, forte dei consensi che ritiene solidi del blocco di centrodestra (anche in Spagna, i numeri assoluti premiano i Popolari, primo partito nel Paese). Di fianco a lei corre quindi Antonio Tajani, che punta forte sul Congresso di FI del 24 e 25 febbraio, ed è, anche all’interno del Ppe, tra i primi e principali sostenitori dell’alleanza con Ecr (Zemmour permettendo).
Tajani punta ad accrescere i consensi di Forza Italia
Il vicepremier ha detto più volte che vorrebbe allargare l’alleanza ai liberali europei. E su questo occorre vedere cosa deciderà Meloni. Tutto dipenderà dai consensi che registreranno i due gruppi del centrodestra, che però difficilmente dovrebbero avere i numeri per ottenere la maggioranza. Meloni rinvia ogni ragionamento serio a dopo il voto. Anche se nel suo partito – rivelano diverse fonti qualificate a Strasburgo e a Roma – non si esclude allo stato alcuna ipotesi. Non vi sarebbero quindi chiusure a priori nei confronti dei Liberali, malgrado le distanze politiche che separano FdI dal partito di Emmanuel Macron. Difficilmente, allo stato, si ritiene però che Meloni possa invece sostenere una soluzione ‘von der Leyen bis’, aperta anche ai Socialisti. Eventualmente, potrebbe non ostacolare la nascita di un esecutivo di questo tipo, lasciando che FI lo sostenga, “un pò come avvenne, all’inizio, quando FdI decise di non entrare nel governo M5s-Lega ma ne permise la nascita”, viene spiegato. Per quanto riguarda la corsa verso le europee, Meloni non ha ancora deciso cosa farà ma è possibile l’ipotesi di una sua candidatura come capolista in tutte le cinque circoscrizioni (come fece Silvio Berlusconi nel 2009, ma non Matteo Renzi nel 2014). Sarebbe fondata anche l’ipotesi di una candidatura di alcuni ministri di FdI ma solo nel tentativo di trascinare consensi. In FdI, per esempio, si fanno i nomi di Raffaele Fitto, Adolfo Urso e Francesco Lollobrigida. Su quest’ultimo le versioni sono pero’ discordanti nel partito. Alcuni dirigenti ritengono che una eventuale candidatura di Lollobrigida sarebbe finalizzata a una futura nomina di un commissario forte, di fiducia. Mentre altri sostengono che Meloni non voglia in alcun modo rinunciare al ruolo che Lollobrigida ha nel governo a Roma.
Matteo Salvini vuole un’alleanza europea di tutte le forze di centrodestra
Più in là rispetto ai blocchi di Meloni e Tajani è la partenza della Lega di Matteo Salvini. A Strasburgo i leghisti siedono nel gruppo Identità e democrazia con il Rassemblement national di Marine Le Pen e i tedeschi di Alternative fur Deutschland. In vista delle europee, la posizione del partito di via Bellerio sulla carta è chiara: l’obiettivo dichiarato piu’ volte da Salvini e’ la costruzione di una maxi-alleanza in Europa, uno schieramento che auspicabilmente comprenda tutte le forze di centrodestra, da Ecr a Id. Allo stato, però, il dialogo, soprattutto con il Ppe, è in stallo, non tanto per colpa della Lega ma per i veti che questo partito pone a eventuali intese con alcuni alleati degli ex lumbard in Europa (Le Pen e Afd, in primis). I leghisti hanno affrontato il tema del collocamento in Europa in diverse riunioni, a più riprese. L’orientamento allo stato sembrerebbe quello di restare in Id e rinviare ogni riflessione sulle alleanze a dopo il voto. Sullo sfondo ci sono i rapporti, al momento solidi, tra i tre principali partiti di maggioranza, ma che una campagna elettorale in cui ognuno corre per sé rischia di mettere in difficoltà.