Con il messaggio n. 531/2024, l’Inps rende noto che l’importo del ticket di licenziamento è aumentato nel 2024. Quindi, ai datori di lavoro costerà ancora di più licenziare un dipendente.

Complice e causa dell’aumento è, come sempre, l’inflazione. Bisogna considerare, infatti, che l’importo è dipendente da quello della Naspi, che subisce la rivalutazione annuale in base al costo della vita. Si tratta di un’operazione che porta qualche vantaggio ai disoccupati, ma è svantaggiosa per i datori di lavoro.

Qual è lo scopo del ticket di licenziamento? Questo strumento ha l’obiettivo di disincentivare i licenziamenti e, al contempo, contribuire alla spesa di cui si fa carico lo Stato, per il pagamento delle disoccupazioni.

Vediamo come cambia nel 2024, quando deve essere pagato e quando no.

Cos’è il ticket di licenziamento 2024

Il ticket di licenziamento è una forma di contributo a carico del datore di lavoro. Introdotto dalla riforma Fornero, è dovuto in caso di licenziamento di lavoratori con contratto a tempo indeterminato, quando la causa della risoluzione sia da imputare al datore di lavoro.

Il contributo è stato introdotto per perseguire due obiettivi: scoraggiare i licenziamenti e finanziare la disoccupazione che l’Inps riconosce a chi perde involontariamente il lavoro.

Importo aumentato nel 2024

Il ticket di licenziamento deve essere corrisposto tenendo conto dell’anzianità del dipendente.
Nel 2024, il datore di lavoro deve pagare il 41% del massimale mensile Naspi per ogni 12 mesi di anzianità del dipendente negli ultimi 3 anni.

Se consideriamo il massimale della Naspi, allora per il 2024, l’importo è pari a 1.573,86 euro, mentre il contributo dovuto dal datore di lavoro è di 645,28 euro per gli ultimi 12 mesi di lavoro, per un importo massimo di 1.935,84 euro (per i rapporti lavorativi pari o superiori ai 36 mesi.

Nei casi in cui la durata sia inferiore ad un anno, allora il contributo deve essere rideterminato. Il datore di lavoro deve pagare 53,77 euro mensili, moltiplicati per il numero di mesi in cui ha avuto luogo il rapporto di lavoro. Inoltre, affinché si possa considerare come un mese di lavoro è necessario che il rapporto si sia protratto per almeno 15 giorni. Nel 2024, quindi, l’importo del ticket di licenziamento è aumentato.

Quando si paga

Questo contributo deve essere pagato alla cessazione dei rapporti di lavoro di quei dipendenti che potrebbero avere diritto alla Naspi.

La disoccupazione spetta a chi perde involontariamente il lavoro ed è in possesso dei requisiti previsti dalla legge. Per questo motivo, non hanno diritto alla disoccupazione di lavoratori che si dimettono, ad eccezione delle dimissioni per giusta causa.

L’Inps ha riepilogato tutti i casi in cui è dovuto il ticket di licenziamento, con la pubblicazione della circolare n. 40/2020.

È dovuto nei seguenti casi di licenziamento:

  • Per crisi finanziaria dell’impresa;
  • Per giusta causa;
  • Per giustificato motivo oggettivo o soggettivo;
  • Del lavoratore con contratto a chiamata;
  • Collettivo, in assenza di un accordo sindacale;

Inoltre, deve essere corrisposto anche per:

  • Mancata trasformazione del contratto di apprendistato in contratto a tempo indeterminato;
  • Dimissioni per giusta causa;
  • Dimissioni della dipendente in maternità;
  • Risoluzione consensuale con conciliazione obbligatoria effettuata presso la Direzione territoriale del lavoro.

Quando non è dovuto

Il ticket non deve essere pagato nei casi di risoluzione di un contratto a tempo determinato, quando la risoluzione avviene in anticipo e neppure alla scadenza naturale del contratto.

Inoltre, non è dovuto nei seguenti casi di licenziamento:

  • Di un collaboratore domestico;
  • Di un operaio agricolo;
  • Di un operaio extracomunitario stagionale.

I datori di lavoro non sono neppure tenuti a pagarlo nel caso di dimissioni volontarie oppure per decesso del dipendente.