Le criptovalute sono largamente minoritarie nell’ambito del riciclaggio di denaro rispetto al denaro contante. Ad affermarlo, confermando quanto asserito da sempre dai criptofans, è il Ministero del Tesoro degli Stati Uniti.
Un’affermazione che deriva dalla lettura di tre distinti rapporti sul riciclaggio di denaro, il finanziamento del terrorismo e il finanziamento della proliferazione. Se venisse applicata la logica che molti politici e uomini d’affari legati alla finanza tradizionale hanno riservato agli asset virtuali, si potrebbe quindi chiedere la messa al bando del denaro cash. Per fortuna, nessuno ha ancora proposto provvedimenti in tal senso.
I rapporti del Tesoro USA
I tre rapporti formulati dal Tesoro statunitense sono stati elaborati con l’intento di illustrare il panorama che vede le organizzazioni criminali acquisire, riciclare e spostare ingenti fondi, sia a livello locale che verso l’estero.
La conclusione cui arrivano è molto chiara: le organizzazioni criminali transnazionali continuano a preferire l’uso del contante nell’ambito delle proprie attività. Una conclusione che può essere considerata sorprendente soltanto per chi, da anni, indica nelle criptovalute lo strumento ideale per il riciclaggio e l’evasione fiscale.
A spingere la criminalità, organizzata e non, in tale direzione, sono le caratteristiche del contante, ovvero l’anonimato, la stabilità e l’ubiquità che sono in grado di garantire. Un utilizzo molto più ampio di quello riguardante il denaro virtuale, tale da sfatare gli anatemi rivolti a quest’ultimo da anni.
Il sistema che caratterizza il continuo traffico di contanti è il trasporto degli stessi tra gli Stati Uniti e l’estero, con il deposito finale su conti bancari. Un trasporto il quale viene condotto in particolare tramite aeromobili. Proprio questi mezzi, infatti, hanno minori probabilità di essere ispezionati dalle forze dell’ordine. Senza contare che i piccoli aeroporti disseminati lungo il confine tra Stati Uniti e Messico sono solitamente privi di personale addetto alla sicurezza.
La sezione riguardante le criptovalute
Naturalmente, anche gli asset digitali rappresentano uno strumento per l’economia criminale. Il loro impiego avviene soprattutto nell’ambito del ransomware, nei traffici di stupefacenti ed esseri umani e nei riscatti legati al ransomware.
I documenti pubblicati dal Tesoro USA vanno a concentrarsi in particolare sul problema rappresentato dagli exchange di criptovalute. Com’è noto, queste piattaforme dovrebbero mettere in campo la verifica dei documenti collegata alle normative KYC (Know Your Customer). Spesso, però, non lo fanno o lo fanno in maniera lacunosa.
In tal modo lasciano una porta aperta in cui sono lesti a infilarsi tutti coloro che hanno interesse a impedire il tracciamento dei fondi. Il caso limite, indicato proprio nei rapporti del Tesoro USA, è quello di Binance. L’exchange centralizzato fondato da Changpeng Zhao, infatti, proprio di recente ha dovuto adeguarsi ad un accordo con le autorità statunitensi. Un accordo che insieme al pagamento di una multa pari a 4,3 miliardi di dollari ha comportato l’allontanamento del suo fondatore dal ponte di comando.
Non manca, infine, un accenno al ruolo assunto in tale ambito dai protocolli di finanza decentralizzata (DeFi). I DEX (Decentralized Exchange), infatti, non presuppongono procedure di iscrizione. Nessuna verifica KYC e, di conseguenza, la possibilità per i criminali di usarli facilmente per le proprie attività.
A questo si aggiungono i mixer di criptovalute, i quali sono in grado di rendere possibile a chiunque sia intenzionato a spostare fondi illecitamente la schermatura delle operazioni. In pratica, riescono a nascondere gli estremi di una transazione, impedendo il tracciamento delle risorse impiegate.
Una conclusione non sorprendente
Quanto affermato dal Tesoro statunitense non rappresenta certo una novità. Da più parti, infatti, era già stato sostenuto che se gli asset virtuali possono essere uno strumento per l’economia criminale, non rappresentano certo l’ideale per il riciclaggio di denaro sporco.
Se è vero che le criptovalute si propongono di assicurare privacy ai propri utenti, l’anonimato nella stragrande maggioranza dei casi è praticamente impossibile. Le transazioni, infatti, vengono registrate all’interno della blockchain e restano a disposizione di chiunque voglia consultarle. Bastano semplici indagini condotte con un minimo di attenzione per risalire agli estremi di ogni operazione.
Il discorso muta per quanto riguarda i mixer, ma in questo caso l’approccio delle autorità è stato il più corretto possibile. Invece di indicare nelle criptovalute il pericolo, si sta procedendo alla messa al bando dei mixer, come accaduto nell’ambito della vicenda Tornado Cash.
In definitiva, quindi, si può dire che il Tesoro USA ha finalmente apportato un minimo di chiarezza, togliendo terreno sotto ai piedi di chi continua a proporre la messa al bando delle criptovalute, per motivi legati al contrasto nei confronti della criminalità.