Resta in carcere a Trento l’assassino di Mara Fait, la 62enne uccisa a colpi di accetta davanti alla sua abitazione di Noriglio, a Rovereto, il 28 luglio scorso: secondo i giudici del tribunale del Riesame, Ilir Shehi Zyba, questo il suo nome, non meriterebbe gli arresti domiciliari – che l’avvocato difensore aveva richiesto per lui affinché potesse tornare a lavorare e a mantenere la sua famiglia – perché “incontrollabile e pericoloso“.

Resta in carcere l’assassino di Mara Fait, uccisa a Rovereto la scorsa estate

L’uomo, 48 anni, confessò subito l’omicidio della vicina di casa 62enne, spiegando agli inquirenti di aver agito perché esasperato dalla situazione di “forte conflittualità” che era venuta a crearsi tra loro, ma sarebbe ancora “incontrollabile e pericoloso” e quindi non meritevole di accedere a una misura cautelare meno aflittiva del carcere.

Lo hanno deciso i giudici del tribunale del Riesame, rigettando la richiesta dei domiciliari avanzata dal suo legale, l’avvocato Franco Busana, che aveva già incontrato il parere negativo del gip di Rovereto Consuelo Pasquale, del pm Viviana Del Tedesco e dell’avvocato Nicola Canestrini, che rappresenta il figlio della vittima, Lorenzo Giori.

Fin dall’inizio la difesa sostiene che il delitto di cui Ilir Shei Zyba si è macchiato sia stato un delitto d’impeto. E che nel giudicarlo bisognerà tenere conto non solo delle liti che da mesi intercorrevano tra lui e la vittima, ma anche della vita dell’uomo, giunto in Italia su un barcone quando era appena un ragazzino.

Secondo i consulenti nominati dal gip era, però, perfettamente capace di intendere e di volere. Sarà la Procura a tirare le conclusioni in vista della chiusura dell’inchiesta. Poi potrà chiederne il rinvio a giudizio.

La ricostruzione dell’omicidio

I fatti risalgono al 28 luglio 2023. Mara Fait era stata colpita ripetutamente con un’accetta di ritorno da una passeggiata con la madre anziana dal killer che, dopo averla aspettata armato dietro a una siepe, l’aveva colta di sorpresa e aggredita.

Mentre lei giaceva esanime a terra, lui si era dato alla fuga. Poco dopo si era presentato in una caserma e aveva confessato tutto, parlando di un “raptus”, di un “delitto d’impeto”. Originario dell’Albania, era stato, in passato, un affittuario della donna, che nella palazzina di via Fontana possedeva altri quattro appartamenti.

Sembra che litigassero in continuazione, per i motivi più svariati: dal volume della musica al ritardo nel pagamento delle bollette. E sembra che l’uomo si fosse fatto più aggressivo, spingendo la 62enne a denunciarlo.

Le denunce e il codice rosso

Non è tutto: poco prima di essere uccisa aveva chiesto che fosse attivato, nei suoi confronti, il “codice rosso”, che prevede una sorta di protezione dei soggetti deboli che subiscono violenze. Il suo caso, però, non era stato ritenuto “urgente” o “meritevole d’attenzione” e quindi tralasciato.

Se si fosse intervenuti, forse la donna sarebbe ancora viva. Dopo essere stata colpita era morta davanti agli occhi della madre. Il figlio si era accorto dell’accaduto poco dopo, quando, sentendo le urla della nonna, era sceso a controllare cosa stesse succedendo, notando il suo corpo senza vita.

Era in pensione da poco più di un anno. Prima aveva lavorato come infermiera di sala operatoria presso l’ospedale di Rovereto. Da un po’, a causa dei continui litigi con il vicino, la sua vita si era fatta più buia: aveva paura. Temeva che l’uomo le avrebbe fatto del male. Come alla fine è accaduto.

La sua vicenda aveva preceduto di qualche giorno quella altrettanto tragica di Iris Setti, la 61enne uccisa da un senzatetto di 37 in un parco di Rovereto.