Recentemente, l’Italia è finita sotto i riflettori della Commissione Europea per il mancato rispetto di alcune direttive comunitarie relativamente a contesti di caccia e pesca, innescando in particolare un acceso dibattito sulle politiche ambientali e di conservazione della fauna selvatica. Al centro della questione vi sono due distinti fronti di inadempienza: da un lato, il non allineamento alle direttive europee in materia di caccia e, dall’altro, la mancata implementazione di misure efficaci per la salvaguardia di specie marine durante le attività di pesca.
Caccia e pesca: due procedure d’infrazione contro l’Italia
La Commissione Europea ha avviato due procedure d’infrazione contro l’Italia, evidenziando una serie di criticità che necessitano di urgenti correzioni. Il primo fronte riguarda la legislazione italiana sulla caccia, ritenuta non conforme alle direttive europee, in particolare per quanto attiene alla protezione degli uccelli selvatici e alla limitazione dell’uso di munizioni al piombo. Il secondo fronte si concentra sul rispetto della direttiva Habitat, con specifico riferimento alla tutela di cetacei, tartarughe e uccelli marini, spesso vittime di catture accidentali durante le pratiche di pesca.
Caccia e pesca: quali sono le violazioni dell’Italia secondo la Commissione Ue
Secondo la Commissione, a cui già non era piaciuta la norma per estendere le autorizzazioni di caccia ai cinghiali, diversi atti legislativi italiani si discostano significativamente dai principi stabiliti a livello europeo. In particolare, la legislazione nazionale consente alle regioni di autorizzare la caccia di specie protette, anche in aree dove questa attività è vietata, come le zone protette, e durante periodi dell’anno in cui la caccia dovrebbe essere sospesa. Queste disposizioni contravvengono sia alla direttiva Uccelli, volta a proteggere tutte le specie di uccelli selvatici e i loro habitat, sia al regolamento REACH, che limita l’uso di pallini al piombo per salvaguardare gli uccelli acquatici, l’ambiente e la salute umana.
Infatti, la Direttiva Uccelli si prefigge di tutelare tutte le specie di uccelli selvatici presenti sul territorio europeo, stabilendo regole precise per la loro protezione. Nonostante ciò, l’Italia ha concesso alle proprie Regioni l’autorità di permettere l’uccisione o la cattura di tali specie, anche in aree dove la caccia dovrebbe essere proibita, come le zone protette, e durante periodi di divieto stagionale. Queste deroghe, in contrasto con gli obiettivi della Direttiva, hanno portato alla messa in mora del paese da parte della Commissione Europea, che ora richiede adeguamenti normativi urgenti.
Parallelamente, la questione dell’uso di pallini al piombo nelle aree umide si pone in violazione del regolamento REACH, che mira a limitarne l’impiego per proteggere gli uccelli acquatici, l’ambiente e la salute umana. La mancata adesione a questa prescrizione, che prevede il divieto di utilizzare munizioni al piombo nelle zone umide dal 2023, evidenzia un ulteriore divario tra le politiche italiane e gli standard europei, incidendo negativamente sulla biodiversità e sulla conservazione delle specie.
La procedura d’infrazione evidenzia anche carenze nell’adozione di misure per prevenire le catture accidentali di specie marine protette, un problema che minaccia la conservazione della biodiversità e delle specie a rischio. Nonostante le richieste della direttiva Habitat del 1992, l’Italia non ha condotto ricerche adeguate né adottato interventi efficaci per mitigare l’impatto negativo di tali catture sulla conservazione delle specie protette. Inoltre, è stato rilevato un mancato intervento per evitare disturbi a diverse specie acquatiche e volatili all’interno dei siti Natura 2000, aree designate per la loro tutela e conservazione.
E adesso cosa succede?
La situazione attuale pone l’Italia davanti alla necessità di rivedere e adeguare la propria legislazione in materia di caccia e tutela ambientale. Le critiche mosse dall’Organizzazione Internazionale Protezione Animali (OIPA) e la contestazione alla proposta di legge Bruzzone, che mira a estendere i periodi di caccia, sottolineano l’urgenza di un cambiamento che allinei il paese agli standard europei di protezione della fauna selvatica e dell’ambiente.
All’Italia è stato concesso un termine di due mesi per fornire risposte soddisfacenti alle questioni sollevate dalla Commissione Europea. In assenza di misure correttive adeguate, potrebbe seguire l’emissione di un parere motivato, marcando così l’avanzamento verso la seconda fase della procedura d’infrazione. Questa situazione solleva preoccupazioni non solo per le possibili sanzioni economiche, ma anche per l’impatto sulla reputazione dell’Italia in termini di politiche ambientali e di conservazione della fauna selvatica.