Volano letteralmente i proverbiali ‘stracci’ al Giurì d’onore della Camera, con Stefano Vaccari e Filiberto Zaratti, rispettivamente del Partito democratico e dell’Allenaza Verdi Sinistra, che annunciano le proprie dimissioni dall’organo. Il motivo? La mancanza di imparzialità nel giudicare il caso che vede coinvolti la presidente del Consiglio Meloni e il leader del M5S Conte, sul Mes.
Giurì d’onore, le dimissioni dei due esponenti e le loro ragioni espresse al presidente della Camera Fontana
Se ne sono andati sbattendo la porta, almeno in senso figurato. I deputati Vaccari e Zaratti si sono dimessi dal Giurì d’onore, contestando la mancanza di imparzialità dell’organo sulla questione che vede contrapposti la premier Meloni e Giuseppe Conte.
Riavvolgiamo brevemente il nastro.
È il 13 dicembre 2023 e la presidente del Consiglio sta tenendo le sue comunicazioni per l’imminente Consiglio Europeo. Parlando del Mes, Meloni mostra un fax che inchioderebbe l’allora ministro degli Esteri Luigi Di Maio e il governo guidato da Giuseppe Conte, dimissionario all’epoca dei fatti, colpevoli di aver autorizzato la ratifica del Meccanismo Europeo di Stabilità “col favore delle tenebre”.
Passano pochi giorni, e il leader pentastellato contrattacca, dicendo che la premier “ha mentito” e chiedendo l’intervento del Giurì d’onore per “ristabilire la verità dei fatti“.
Completato il necessario ‘riassunto delle puntate precedenti’, adesso, però, emerge questo nuovo colpo di scena che getta un’ombra sull’operato dell’organismo chiamato a dirimere il contenzioso, con i deputati che hanno espresso, tramite due lettere, le loro ragioni al presidente della Camera Lorenzo Fontana.
Vaccari (Pd): “Prevalse valutazioni politiche che contrastano con la realtà dei fatti”
Nella sua lettera, Stefano Vaccari del Partito democratico richiama l’articolo 58 dello statuto della Camera che specifica come il Giurì debba “mantenere un profilo di terzietà“ e accertare se le accuse mosse da un parlamentare a un suo collega abbiano o meno fondamento.
Un principio seguito solamente nella prima parte del testo elaborato dalla Commissione, secondo Vaccari, che ricostruisce la cronologia dei passaggi istituzionali svolti dai vari governi tra il 2017 e il 2021, in merito alla ratifica del Trattato del Mes.
Quando, però, si è dovuto procedere a una valutazione delle accuse mosse dalla presidente Meloni a Giuseppe Conte, tale principio sarebbe venuto meno.
“Nel testo della seconda parte della relazione che ci è stato sottoposto dal Presidente, che abbiamo iniziato a discutere, sono prevalse alcune motivazioni, ancorché significative, di ordine politico e interpretative che contrastano con la realtà dei fatti accertati e rendono evidente la volontà della maggioranza di avvalorare la versione accusatoria della Presidente Meloni”.
Il deputato dem sottolinea come vi sia stato un comportamento “contrario al rigore ed al senso di responsabilità” da parte della premier, che la Commissione dovrebbe poter evidenziare e denuncia l’impossibilità di farlo.
Giurì d’onore, le dimissioni di Zaratti (Avs): “Limiti dell’organismo, serve maggiore terzietà”
Le stesse ‘mancanze’ e contraddizioni vengono denunciate dal deputato di Alleanza Verdi Sinistra Filiberto Zaratti.
Anche dal suo punto di vista, infatti, l’accertamento fattuale e documentale che compone la prima parte della relazione, viene subordinata a una seconda parte in cui emergono “motivazioni di ordine unicamente politico“.
Nell’esprimere il proprio rammarico per la decisione di dimettersi, Zaratti mette in evidenza quelli che definisce “limiti” del Giurì, chiedendo una riflessione per un eventuale modifica delle sue caratteristiche, in particolare per la sua composizione.
“La composizione del Giurì, dove siedono rappresentanti di diversi gruppi parlamentari in un numero che salvaguardia i rapporti di maggioranza e di opposizione, mostra tutta una serie di limiti. Servirebbe un organismo più ‘terzo’, magari prevedendo un voto finale con maggioranza qualificata oppure con una composizione paritaria tra maggioranza ed opposizione. Nonostante gli sforzi da parte del Presidente Mulè e di tutti i colleghi, lo strumento del Giurì, nella sua peculiare modalità di conclusione, che non prevede una relazione di minoranza, rischia di impedire una definizione effettivamente ‘super partes'”.