Ha 51 anni, è figlio dell’ex ministro delle Finanze Vincenzo Visco e fino a pochi mesi fa era dirigente pubblico di Invitalia: ecco chi è Gabriele Visco, l’uomo finito in manette nel corso della mattinata di martedì 6 febbraio 2024 con l’accusa di corruzione. Egli è stato arrestato assieme ad altre tre persone. Ora tutti e quattro i soggetti sono chiamati a rispondere ad accuse molto pesanti.

Chi è Gabriele Visco?

Gabriele Visco, classe 1972, è il figlio dell’ex ministro delle Finanze Vincenzo. Egli, originario di Roma, è stato arrestato dai finanzieri del nucleo speciale Polizia valutaria su richiesta dalla Procura della Capitale. Con lui sono finiti in manette anche due imprenditori e un avvocato romano. Le accuse che vengono mosse nei loro confronti vanno dalla corruzione al traffico di influenze illecite.

Visco è stato una figura di spicco di Invitalia per svariati anni. Prima di ricoprire l’incarico di dirigente pubblico – ruolo che ha occupato fino a poco tempo fa – egli ha avuto un’esperienza nella celeberrima società Telecom. In questi anni abbiamo sentito parlare di lui proprio per gli incarichi professionali ricoperti.

Oggi invece se ne torna a parlare proprio alla luce dell’arresto avvenuto nel corso della mattinata di martedì 6 febbraio 2024. La notizia ha suscitato parecchio scalpore non solo perché si tratta di un uomo che ha svolto impieghi in pubbliche società, ma anche perché appunto lui è figlio di un ex ministro.

Il padre, nato a Foggia il 18 marzo, è un economista e politico italiano. È stato ministro delle Finanze dal 1996 al 2000. Qualche anno prima, nel 1993, lui era stato per pochi giorni anche sotto il governo Ciampi. Ha ricoperto importanti ruoli anche sotto il governo Amato II e Prodi II.

Gabriele Visco invece oggi ha 51 anni. Nel luglio del 2007 era entrato a far parte dell’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa Spa Invitalia. Qui ricopriva il ruolo di responsabile degli investimenti esteri e della programmazione controllo di innovazione e competitività.

Le indagini e l’accusa di corruzione

Secondo quanto spiegato dalla Procura di Roma in una nota, nel corso delle indagini condotte dagli esperti è emerso che ci sarebbe stato un sistema di relazioni illecite “diffuso e consolidato”. Sistema nel quale un ex dirigente pubblico (il figlio dell’ex ministro Visco, appunto) avrebbe favorito l’aggiudicazione di un bando di gara dal valore di oltre 4 milioni di euro ad una determinata società.

Gli investigatori hanno ipotizzato che Gabriele Visco, grazie alla mediazione di un imprenditore romano, posso aver fatto in modo che una particolare azienda vincesse un bando specifico. Secondo le accuse che vengono mosse dai suoi confronti, egli avrebbe agito in tal modo “a fronte di denaro e di altre utilità”.

La società che si sarebbe aggiudicata il bando – forse appunto in modo illegale ed illecito – sarebbe riconducibile ad un preciso costruttore. Lo si legge nella nota della Procura del capoluogo laziale diffusa questa mattina in merito agli arresti.

Sempre secondo quanto scritto nel documento, lo stesso potrebbe aver tentato di agevolare l’assunzione presso una partecipata pubblica di un soggetto a lui vicino. Oltre all’ipotesi di aver pilotato la gara, si parla anche della possibilità che egli abbia favorito l’assunzione di un conoscente in modo illecito.

Cosa succede adesso?

Per il momento comunque è bene precisare che quelle che vengono mosse nei confronti di Gabriele Visco sono delle accuse. Egli è stato arrestato al termine delle indagini ma non necessariamente per questo è colpevole.

Il 51enne ora si trova a dover rispondere ad una serie di domande precise sarà poi un giudice all’interno di un tribunale a stabilire la colpevolezza o l’innocenza di quest’ultimo.

I finanzieri del Nucleo Speciale Polizia Valutario hanno eseguito l’ordinanza di arresto anche nei confronti di due imprenditori e un avvocato romano, procedendo con un sequestro preventivo per un ammontare di 230mila euro.

Questo perché, nelle indagini, è emersa una presunta vicenda corruttiva nella quale l’ex dirigente pubblico avrebbe affidato una consulenza, per un importo di appunto 230mila euro

presso l’ente in cui era impiegato a un avvocato di sua conoscenza, ottenendo la retrocessione di parte dei compensi fatturati dal legale per prestazioni in realtà mai effettuate.

Lo si legge nella nota della Procura.

Le accuse che vengono mosse nei loro confronti sono, a vario titolo e a seconda delle posizioni, di corruzione e di traffico di influenze.