Dopo il suicidio di Ousmane Sylla, giovane migrante 22enne levatosi la vita nel Cpr romano di Ponte Galeria, il dibattito pubblico torna a volgere l’attenzione alle condizioni in cui versano i Centri di permanenza per il rimpatrio in Italia.

Queste strutture, destinate al “trattenimento degli stranieri irregolari” in attesa di esecuzione di provvedimenti di espulsione, dovrebbero infatti assicurare la “necessaria assistenza e il pieno rispetto della dignità” dei migranti destinati al rimpatrio.

La realtà, come emerge dalle diverse testimonianze raccolte nei dieci diversi Cpr presenti attualmente in Italia, sembra tuttavia ben diversa, tanto da aver fatto guadagnare ai Centri di permanenza la definizione di veri e propri “buchi neri dello Stato di diritto“.

Vitale (A Buon Diritto): “Il sistema dei Cpr in Italia non funziona: meno del 50% dei migranti sono rimpatriati”

Per comprendere meglio quale sia la realtà dei Cpr in Italia, la redazione di TAG24 ha deciso di rivolgersi a Rita Vitale, responsabile area immigrazione e asilo di A Buon Diritto, onlus che dal 2001 lavora per garantire i diritti fondamentali della persona, offrendo tra le altre cose assistenza legale a chi è privato della propria libertà, che sia in carcere o, appunto, in un Centro di permanenza per il rimpatrio.

Dottoressa Vitale, dopo il suicidio avvenuto nel Cpr di Ponte Galeria si torna a parlare delle gravi condizioni in cui versano i Centri di permanenza per i rimpatri in Italia. Qual è il vostro punto di vista sul tema?

«Il problema, come sappiamo, non è soltanto il Cpr di Roma, ma tutti i Cpr esistenti. La situazione in cui versano questi centri è un tema che riguarda tutto il sistema della detenzione amministrativa in Italia. Un sistema che, nel caso dei Cpr, continua peraltro a essere implementato con normative che aumentano i tempi di trattenimento, come dimostrano le iniziative più recenti.

Come si evince dai dati pubblicati dal Garante nazionale delle persone private della libertà, il sistema dei Cpr, con le sue caratteristiche puramente afflittive, non funziona assolutamente. Meno del 50% delle persone che sono trattenute nei nostri Cpr, infatti, vengono poi effettivamente rimpatriate.

Qual è allora il senso di questa detenzione? Il suicidio avvenuto nel Cpr di Ponte Galeria domenica non è altro che una tragedia annunciata, date le condizioni in cui vengono detenute le persone all’interno di queste strutture. Nei Cpr, infatti, il trattenimento è addirittura peggiore di quello delle carceri, dove almeno esistono regole e servizi a tutela dei detenuti.

I Cpr, invece, sono solo luoghi di sospensione, dove la vita delle persone è bloccata in un tempo in cui non succede nulla, solo il rimanere rinchiusi in situazioni di promiscuità assolutamente inaccettabili.

Queste considerazioni, purtroppo, valgono per tutto il sistema dei Centri di permanenza per i rimpatri. Tutte le testimonianze disponibili vanno infatti in questa direzione, nonostante non sia facilissimo effettuare una visita all’interno di queste strutture».

Cpr, Vitale (A Buon Diritto): “I rimpatri avvengono raramente”

Molte descrizioni parlano di vere e proprie “gabbie” per la detenzione. Come è possibile che questi luoghi siano così disumani?

«Purtroppo è possibile perché nel tempo si è pensato che la detenzione e il trattenimento – privati di qualsiasi finalità rieducativa – fossero il miglior modo per gestire la questione dell’immigrazione. Anche perché, nel frattempo, le nuove norme introdotte hanno ristretto decisamente la possibilità di regolarizzarsi.

Ci sono persone che fanno mesi e mesi di Cpr, salvo poi uscire e rimanere esposte al rischio di un nuovo trattenimento, data la mancanza di un permesso di soggiorno. Raramente l’esito dei trattenimenti è il rimpatrio.

I rimpatri, infatti, possono essere effettuati soltanto in presenza di accordi con i Paesi di provenienza. Attualmente, ad esempio dal Cpr di Roma, i rimpatri vengono effettuati prevalentemente verso la Tunisia, la Nigeria e qualche volta verso l’Egitto. Verso gli altri Paesi è davvero raro che il rimpatrio sia concluso.

Ecco allora un altro problema. Per quale motivo queste persone vengono trattenute se non c’è la possibilità nemmeno di rimpatriarle, come da finalità stessa dei Cpr?».

Vitale (A Buon Diritto): “I migranti che non vengono rimpatriati escono dai Cpr e rimangono irregolari”

Esaurito il tempo massimo di permanenza nei Cpr, i migranti tornano nelle strade se non rimpatriati?

«Nello sportello legale per le persone straniere di A Buon Diritto abbiamo incontrato tante persone che nei Cpr sono finite più di una volta. Un caso particolare, ad esempio, è dato dalle persone Rom che, non essendo riconosciute da nessuna ambasciata come cittadini o cittadine, non sono rimpatriabili».

Questa dinamica aumenta la possibilità che le persone, una volta uscite dai Cpr, possano avere una maggior propensione all’illegalità?

«A contare, più che altro, è l’assenza di una prospettiva effettiva. Uscire dal Cpr senza la possibilità di ottenere un permesso di soggiorno significa dover vivere da irregolari, incontrando quelle fasce di emarginazione che, chiaramente, vanno ad alimentare dinamiche criminali.

Anche perché nei Cpr finiscono persone che, come nel caso di Ousmane Sylla, hanno un background migratorio importante. I problemi dei migranti, che spesso vivono disturbi da stress post traumatico, finiscono solo per essere esacerbati in questi luoghi».

Vitale (A Buon Diritto): “No a un Cpr in ogni regione di Italia: questi Centri devono essere chiusi”

Il Governo ha espresso l’intenzione di aprire un Cpr in ogni regione d’Italia. Si tratta, per A Buon Diritto, di una proposta ricevibile?

«Assolutamente no. Al di là del tragico episodio verificatosi a Ponte Galeria, noi abbiamo sempre detto che i Cpr non devono essere migliorati, ma chiusi. La prospettiva politica attuale, tuttavia, è diversa e tende verso l’apertura di più carceri e di più Cpr, come confermato anche oggi dalla presidente del Consiglio.

Peraltro, il Governo ha già aumentato i tempi di trattenimento nei Cpr fino a 18 mesi, con una scelta che si riflette in modo importante sulla salute dei migranti in attesa di espulsione.

Le proroghe stabilite dal giudice che convalida il trattenimento, che prima avvenivano ogni 30 giorni, ora sono ora decise ogni 90 giorni. Le conseguenze sono immaginabili. Pensiamo a come possano sentirsi le persone che, prima di successive decisioni, sanno che dovranno aspettare almeno altri tre mesi. È evidente che possano esserci degli sconforti, se così possiamo chiamarli..».