L’esodo giuliano-dalmata, noto anche come esodo istriano, costituisce una dolorosa tragedia nazionale. Si tratta della migrazione forzata della maggioranza dei cittadini di nazionalità e lingua italiana dalla regione della Venezia Giulia, che include il Friuli Orientale, l’Istria e il Quarnaro (ovvero l’area di Fiume), oltre alla Dalmazia. Questa popolazione ha dovuto fuggire a causa delle persecuzioni ordinate dal maresciallo Josip Broz Tito, futuro presidente della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia. Minacciati di finire nelle foibe o di diventare apolidi, centinaia di migliaia di italiani hanno abbandonato le proprie case sia prima che dopo la firma del Trattato di Parigi nel 1947, che ha modificato effettivamente i confini dell’Italia ad est.
Quanti furono gli esuli istriani?
Gli esuli istriani, fiumani e dalmati furono circa 350mila.
La quantificazione dell’Esodo giuliano-dalmata è un compito per nulla agevole, poiché si è verificato in fasi diverse e attraverso canali vari, non sempre facilmente tracciabili.
La città di Zara, capoluogo della Dalmazia, fu la prima a svuotarsi a causa di 53 bombardamenti anglo-americani che si susseguirono tra il 2 novembre 1943 e il 31 ottobre 1944, distruggendo l’85% degli edifici di una località priva di valore strategico e con una presenza militare minima. Di circa 22.000 abitanti, 2.000 persero la vita durante i bombardamenti (una percentuale di vittime civili sotto i bombardamenti senza precedenti in una città italiana), mentre 15.000 fuggirono in Italia. Così, le truppe dell’Armata Popolare della Jugoslavia trovarono le rovine di Zara e iniziarono la ricostruzione di Zadar nel novembre del ’44.
Tra la fine della guerra e la firma del Trattato di Pace, gli abitanti di Fiume e dell’Istria, che si trovavano nella Zona B sotto amministrazione militare jugoslava, emigrarono in massa, secondo l’accordo di Belgrado del 9 giugno 1945.
Esperendo le atrocità delle foibe e delle deportazioni nel settembre del ’43 e nella primavera del ’45 e vivendo in un clima continuo di terrore, molti italiani che vivevano in queste terre da secoli (circa il 90% della comunità) scelsero l’esilio in Italia. Successivamente, molti di loro emigrarono nelle Americhe, in Australia e in Sudafrica.
Dove andarono gli esuli istriani?
Durante l’esodo, i profughi trovarono rifugio in 109 Centri Raccolta Profughi, distribuiti su tutto il territorio italiano, isole comprese.
I centri più significativi furono a Trieste (Silos, Risiera di San Sabba), Padriciano, Villa Opicina, Santa Croce, Gorizia, Udine (che fungeva anche da centro di smistamento), Venezia, Vicenza, Padova, Rovigo, Ceregnano, Bolzano, Rovereto, Bogliaco, Brescia, Verona, Mantova, Ferrara, Fossoli, Carpi, Ravenna, Bologna, Modena, Cremona, Chiari, Milano, Monza, Pavia, Tortona, Aosta, Novara, Torino, Asti, Alessandria, Cuneo, Genova, Chiavari, La Spezia, Carrara, Massa, Marina di Carrara, Marina di Massa, Forte dei Marmi, Tirrenia, Calambrone, Livorno, Pisa, Lucca, Firenze, Caterina, Arezzo, Jesi, Fabriano, Servigliano, Ancona, Fermo, Ascoli Piceno, Viterbo, Caprarola, Rieti, L’Aquila, Chieti, Roma (Cinecittà e Centocelle), Alatri, Aprilia, Frosinone, Latina, Ponza, Gaeta, Capua, Ducenta, Aversa, Bagnoli, Napoli, Cava de’ Tirreni, Salerno, Pontecagnano, Gargano, Barletta, Trani, Bari, Altamura, Santeramo, Brindisi, Calopezzati, Reggio Calabria, La Maddalena, Fertilia, Sassari, Cagliari, Palermo, Termini Imerese, Catania (Cibali e Fontanarossa) e Siracusa.
Molte città subirono una significativa perdita di popolazione: 54.000 fiumani su 60.000, 8.000 abitanti di Rovigno su 10.000, 6.000 su 7.000 a Dignano, solo per citarne alcune. Questi numeri delineano la portata del fenomeno che il governo italiano aveva cercato di arginare, sia per la sua incapacità di affrontare un’emergenza umanitaria di tale portata, sia per mantenere una solida presenza italiana nella speranza di una futura ridiscussione dei confini.
Un’intera società scomparve, lasciando le proprie case, i propri beni e le abitudini di una vita. L’ultimo momento sereno della comunità italiana di Pola fu il veglione di Capodanno del 31 dicembre 1946 al teatro “Ciscutti”. Ormai consapevole che il 10 febbraio 1947 l’Italia avrebbe firmato un trattato imponendole la cessione di gran parte delle terre conquistate a costo di immensi sacrifici nella Prima Guerra Mondiale, ebbe inizio ufficialmente l’esodo da Pola. Più di 28.000 abitanti su circa 32.000 si diressero verso i Centri Raccolta Profughi, e a questi si unirono altri 5.000 connazionali provenienti dall’entroterra sotto controllo jugoslavo.
All’inizio, vennero utilizzate due piccole motonavi per la rotta Pola-Trieste, seguite da motovelieri e pescherecci lungo le coste dell’Alto Adriatico. Dal febbraio al marzo 1947, il governo italiano mise a disposizione il piroscafo Toscana, che faceva scalo alternativamente a Venezia e ad Ancona. Da qui, gli esuli intrapresero il triste viaggio in treno nel gelido inverno 1946-47, con tappe lente per non ostacolare il normale traffico ferroviario. L’arrivo in Italia fu spesso accolto con sospetto e diffidenza, poiché alcuni vedevano i profughi, inclusi donne, anziani e bambini, come fascisti in fuga dal “paradiso socialista” di Tito.