Il tragico suicidio avvenuto ieri nel Centro di Permanenza per il Rimpatrio di Ponte Galeria (Roma) riaccende, almeno per un momento, l’attenzione sulla realtà dei Cpr e sulle condizioni di detenzione dei migranti in attesa di espulsione dall’Italia.
La morte del giovanissimo migrante guineano Ousmane Sylla e la successiva rivolta scoppiata nel Cpr romano – dove gli ospiti hanno lanciato sassi contro il personale di Polizia, tentando anche di dar fuoco all’auto di servizio – ha infatti permesso ai Garanti delle persone private delle libertà di Roma e del Lazio, Valentina Calderone e Stefano Anastasia, e ai deputati Magi (+Europa) e D’Elia (Pd) di effettuare una visita nel Centro.
L’esito dell’ispezione è stato inequivocabile: i garanti e i parlamentari hanno descritto una situazione dove il rispetto dei diritti umani sembra totalmente assente, sottolineando la necessità che questo Centro di permanenza per il rimpatrio venga chiuso al più presto.
Cpr di Ponte Galeria, ma non solo. La denuncia di Don Massimo Biancalani sulle condizioni di trattenimento dei migranti
Quanto emerso sulla condizione del Cpr di Ponte Galeria – già nota da tempo, ancor prima del tragico suicidio di Ousmane Sylla, impiccatosi nel centro all’alba di domenica 4 febbraio – non costituisce tuttavia un caso isolato, come da anni denunciano le associazioni e le persone impegnate nell’assistenza ai migranti.
Tra le figure che negli ultimi anni si sono maggiormente espresse contro il sistema dei Centri per il rimpatrio, vi è sicuramente Don Massimo Biancalani, parroco che a Vicofaro (Pistoia) gestisce da anni un centro di accoglienza per i migranti. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente per parlare di quanto accaduto ieri nel Cpr di Ponte Galeria, trovandolo in partenza per il Gambia, dove intende lavorare a un nuovo progetto a favore della formazione dei giovani.
Don Biancalani: “I migranti fuori dai circuiti di accoglienza possono prendere strade sbagliate”
Don Massimo Biancalani, a che tipo di progetto sta lavorando?
«In Gambia incontrerò il vescovo di Banjul per avviare un progetto di formazione che, con l’aiuto degli stessi ragazzi, possa dare loro la possibilità sia di rimanere nel loro Paese, sia di partire. Stiamo pensando a un’attestazione che, in accordo con l’ambasciata, permetta gli ingressi in Italia con i canali stabiliti dal decreto flussi.
Un altro scopo del viaggio è incontrare le famiglie di due ragazzi che attualmente si trovano in carcere a Firenze per reati di piccolo spaccio. Purtroppo è questa la sorte di tanti migranti: mentre alcuni si inseriscono, altri si perdono in strade sbagliate e finiscono in carcere. Questo capita soprattutto quando si rimane fuori dai percorsi si accoglienza: ecco che chi rimane in strada, purtroppo, si “arrangia”. Il risultato è quello che vediamo: sacche di marginalità sempre più grandi».
Cpr, Don Biancalani: “I centri per il rimpatrio sono buchi neri da cui non si riesce a vedere nulla”
Ieri, dopo il suicidio di Ousmane Sylla, migrante toltosi la vita nel Centro per il rimpatrio di Ponte Galeria, si è tornato a parlare dei Cpr. Lei da tempo denuncia l’inumanità di questi luoghi.
«I Cpr dovrebbero essere semplicemente dei luoghi di transito in vista dell’espulsione. Il problema è che spesso le operazioni di rimpatrio dei migranti non riescono; nel frattempo le persone sono lasciate lì per alcuni mesi in condizioni che sono molto molto precarie, per usare un eufemismo.
Da luoghi di passaggio i Cpr finiscono infatti per essere delle vere e proprie carceri, ma con caratteristiche ancor peggiori. Noi sappiamo infatti che, nonostante i problemi esistenti, nelle carceri esistono determinate garanzie di controllo; un esempio è la figura del Garante dei detenuti, invece assente per il Cpr.
I Centro di Permanenza per il Rimpatrio sono purtroppo dei buchi neri dove non si riesce a entrare e vedere. Io stesso ho avuto un’esperienza con un ragazzo nel Cpr di Palazzo San Gervasio, a Potenza, dove esistono delle situazioni di violenza e maltrattamenti molto contestate, recentemente documentate anche da Striscia la notizia. Ho più volte fatto richiesta alla Questura per entrare e fare delle visite, ma nessuno mi ha mai risposto. Anche gli avvocati entrano con il contagocce. E così si creano vere e proprie zone off-limits, gestite da cooperative in cui magari le professionalità sono un po’ sommarie».
Don Biancalani: “I Cpr sono luoghi dove nessun diritto viene garantito ai migranti”
Il rispetto dei diritti fondamentali è garantito nei Cpr?
«No: per tutta una serie di fattori, i Centri per il rimpatrio dei migranti diventano luoghi dove i diritti fondamentali sono sospesi. Dopo anni di esperienza, ho capito che questo sistema è pensato proprio per bypassare le tutele normalmente riconosciute ai detenuti.
Faccio un esempio: ogni mese i migranti hanno la possibilità di fare ricorso e chiedere la revisione tramite gli avvocati. L’istanza, tuttavia, viene esaminata da un Giudice di pace, il cui intervento ha chiaramente una forza minore rispetto alla volontà di una Questura o di una Prefettura.
Nel frattempo, tuttavia, le persone detenute in un Cpr sono lasciate a vivere in condizioni veramente terribili, in luoghi che sono delle vere e proprie gabbie. Per non parlare dell’uso che si fa degli psicofarmaci».
Lettera Ousmane Sylla, Don Biancalani: “Nei Cpr i migranti vivono una terribile esperienza di fallimento”
Nell’ultimo messaggio lasciato da Ousmane Sylla e nelle testimonianze dei migranti che lo avevano incontrato emerge la grave frustrazione provata dal giovane, emigrato ma incapace di dare supporto alla propria famiglia. Cosa ne pensa?
«Purtroppo tante di queste persone entrano nei Cpr senza aver commesso alcun reato, domandandosi cosa abbiano fatto per meritarsi tanto. Questo messaggio riflette il motivo per cui questi ragazzi arrivano: emigrano non per fare turismo, ma per aiutare i loro familiari. Non riuscendo, è chiaro che vivano un’esperienza di fallimento davvero terribile.
Anche perché, spesso, non si considera un altro aspetto: questa sensazione di fallimento si ripercuote anche nel proprio Paese di provenienza e tanti, al ritorno, finiscono con il loro stigma a vivere in strada».