Il drammatico episodio avvenuto oggi, 4 febbraio 2024, riapre il dibattito sui Centri di permanenza per il rimpatrio un tempo noti come Cie, Centri di identificazione ed espulsione. Appunto in uno di questi centri, il Cpr di Ponte Galeria, a Roma, alle 6 di oggi si è tolto la vita un giovane di 22 anni di origini guineane. Disordini sono successivamente scoppiati: in pratica “il fischio” di una pentola a pressione ad annunciare che il “punto di ebollizione” è bello che raggiunto.
Cosa sono e come lavorano i Cpr?
Questa è la situazione all’interno della struttura capitolina. Come descrive lo stesso acronimo, all’interno dei Cpr si trovano i migranti che, già formalmente espulsi o privi di documenti di soggiorno, vengono prima identificati e poi rimpatriati. Si tratta difatti di strutture di detenzione amministrativa. A differenza del carcere, il loro scopo non è il reinserimento sociale nonostante la difficoltà dei rimpatri.
Parliamo della “evoluzione” dei vecchi Centri di permanenza temporanea istituiti nel 1998 dalla legge Turco-Napolitano, poi appunto Cie (2002, Bossi-Fini) fino all’ultima versione voluta dalla Menniti-Orlando del 2017. Diversi pertanto i colori di politici e governi che hanno portato al “format” attuale.
Gli attuali Cpr sono l'”evoluzione” dei Cpt istituiti nel ’98 con la Turco-Napolitano
Tanto si dice sui 10 Cpr, gestiti da società private e presenti sul territorio nazionale a Bari – Palese, Brindisi – Restinco, Caltanissetta – Pian del Lago, Gorizia – Gradisca d’Isonzo, Nuoro – Macomer, Milano – via Corelli, Potenza – Palazzo San Gervasio, Roma – Ponte Galeria, Torino – corso Brunelleschi e Trapani – Milo. Il decreto legge del 19 settembre scorso varato dal governo Meloni ha esteso a 180 giorni la permanenza massima all’interno delle strutture: 6 mesi, prorogabili però fino ad altri 12.