Ci sono storie di cronaca che suscitano un interesse quasi morboso nel pubblico. Storie che, per i dettagli e i personaggi che le animano, corrono sulla bocca di tutti, facendo parlare di sé per molto tempo, prima di venire dimenticate. Come quella che coinvolse il marchese Camillo Casati Stampa Di Soncino, la moglie Anna Fallarino e il giovane amante Massimo Minorenti. Una storia iniziata con l’amore e culminata nel sangue, a cui fece da sfondo la “Roma bene”. Per raccontarla bisogna fare un passo indietro.

Il delitto Casati Stampa

Camillo Casati Stampa e Anna Fallarino

Camillo Casati Stampa Di Soncino e Anna Fallarino si erano sposati nel 1959. Lui era il nobile rampollo di una delle più antiche casate patrizie milanesi; lei, originaria di Benevento, si era trasferita a Roma alla ricerca di fortuna come attrice e modella, ma era finita a fare la commessa.

Si erano conosciuti qualche anno prima, a Cannes, quando entrambi erano sposati. “Camillino”, come lo chiamavano tutti, era molto amico dell’allora marito di lei, l’ingegnere Giuseppe “Peppino” Drommi, che più avanti sarebbe convolato a nozze con Patrizia De Blanck.

A farli innamorare, un episodio abbastanza curioso: una sera Anna era stata avvicinata dal famoso playboy brasiliano Porfirio Rubirosa, che in tutti i modi aveva cercato di sedurla, scatenando la gelosia del marito e di Camillo, che erano arrivati addirittura alle mani con il pretendente.

Si erano scambiati degli sguardi; dopo aver ottenuto l’annullamento dei rispettivi matrimoni da parte della Sacra Rota erano diventati marito e moglie. Così aveva avuto inizio la loro vita insieme: una vita fatta di agi e di privilegi, che agli occhi di tutti doveva sembrare “da film”.

Vivevano in un lussuoso attico di via Puccini, nel quartiere Pinciano, a pochi passi dalla famosa via Veneto, teatro de “La dolce vita” felliniana. Per Anna, che in cuor suo aveva sempre sognato un’ascesa sociale di quel tipo, doveva trattarsi di un gran traguardo.

Il candaulesimo

La loro relazione – iniziata da un colpo di fulmine – nascondeva, però, insospettabili segreti. Segreti che d’un tratto, a un certo punto, avrebbero riempito le pagine dei giornali e fatto scandalo. Segreti che Camillo e Anna si erano confessati la prima notte di nozze.

Si trovavano in una camera d’albergo: un cameriere aveva bussato alla porta per lasciar loro una bottiglia di champagne, ma Camillo lo aveva invitato ad entrare, chiedendogli di assistere al loro rapporto sessuale.

I menage a trois, da quel momento, sarebbero diventati una consuetudine, nel loro rapporto: spesso era Camillo a restare a guardare, mentre Anna si intratteneva con uomini giovani e di bell’aspetto che lui stesso sceglieva e pagava. Era una pratica che lo soddisfaceva. Una pratica che in gergo tecnico viene definita “candaulesimo”.

Anna Fallarino e Massimo Minorenti

Poi qualcosa cambiò. Era il 1970. A una festa Anna conobbe Massimo Minorenti. Aveva 25 anni, studiava Scienze Politiche: era bello, ma senza una lira. Per qualche ragione, se ne innamorò. Camillo se ne accorse presto. Nel suo diario quell’anno scrisse:

È la prima volta che mia moglie mi tradisce con il cuore.

Ma anche:

La più grande delusione della mia vita. Vorrei essere morto e sepolto, che schifo, piccineria, voltastomaco, quello che mi ha fatto Anna. Pensavo che fossimo l’unica coppia legata veramente, e invece…

Aveva capito che Anna, con Massimo, faceva sul serio: fino ad allora era stato lui muovere i fili, non poteva sopportare di diventare il burattino. Ad agosto, mentre si trovava a casa Marzotto, in Veneto, chiamò Anna a Roma, ma a rispondergli fu Massimo: li sorprese. E intuì che sarebbe tutto finito, che la donna lo avrebbe lasciato.

Il delitto di via Puccini

Il pomeriggio del giorno dopo, il 30 agosto del 1970, dopo aver cacciato 183 anatre e aver raggiunto Roma da Venezia, Camillo entrò nel suo appartamento, intimando ai domestici di non aprire la porta del salotto per nessuna ragione, qualunque cosa fosse successa.

Verso le 19.15 attirò in una trappola Anna e Massimo, che si erano rifugiati a casa di un amico di lui. Quando arrivarono, impugnò un fucile Browning numero 12, sparando tre colpi alla moglie e due al suo amante. Poi si puntò l’arma al volto e si uccise a sua volta.

L’allarme fu dato solo il giorno successivo dalla sorella di Anna, avvisata dai camerieri di Casati Stampa. In un’intervista rilasciata a L’Europeo uno dei poliziotti che per primi intervennero, l’agente Domenico Scoli, avrebbe poi raccontato:

Il primo corpo che vidi fu quello di Anna Fallarino. Mi sembrò ancora viva. Era seduta sul divano con le gambe incrociate sopra uno sgabello. Aveva le mani in grembo e il volto sereno. La nota stonata era una macchia scura di sangue sulla camicetta. Vicino a lei, accanto al divano, c’era il giovane Minorenti. Giaceva mezzo raggomitolato per terra, con indosso una maglietta leggera e dei pantaloni, seminascosto da un tavolino con cui aveva tentato a quanto pare un’estrema difesa. Avanzai e vidi anche il terzo corpo, quello del marchese. Non era un bello spettacolo.

L’autopsia stabilì che la prima a morire era stata Anna. L’eredità dell’omicida passò, quindi, alla figlia che aveva avuto con l’ex moglie Letizia Izzo, Annamaria che, consigliata dal tutore legale Cesare Previti, avrebbe praticamente svenduto la villa di Arcore del papà cedendola a Silvio Berlusconi, che ne avrebbe fatto il simbolo del suo impero.

Ne hanno parlato Fabio Camillacci e Gabriele Raho insieme al sociologo della comunicazione dell’Unicusano e criminologo Marino D’Amore per la serie “Italia in giallo e in nero” della trasmissione “Crimini e criminologia, andata in onda su Cusano Italia Tv (canale 122 del digitale terrestre) domenica scorsa.