Le stablecoin rappresentano una presenza sempre più consolidata, in ambito blockchain. Il motivo del gradimento di molti trader è da individuare nel fatto che sono in grado di assicurare quella stabilità che è assolutamente fuori dalle corde delle criptovalute tradizionali.
Quando si decide di optare per uno strumento finanziario di queto genere, però, occorre muoversi con molta circospezione. E, soprattutto, occorre conoscere bene questo particolare ambito. Se le stablecoin si propongono di dare risposte in termini di stabilità, infatti, non tutte ci riescono. Come dimostra in maniera eloquente il clamoroso crac di Terra (LUNA), il progetto di Do Kwon che aveva sollevato grandi entusiasmi tra gli investitori. Gli stessi che poi si sono ritrovati praticamente senza nulla in mano una volta che l’azienda è collassata sulle sue contraddizioni e su comportamenti truffaldini.
Tra le stablecoin che sono emerse nel corso degli ultimi anni, c’è anche YAM. Un protocollo che non si discosta dagli altri, se non per il modo in cui si propone di mantenere la stabilità del suo prezzo. Andiamo a vedere come lo fa e, soprattutto, il suo livello di sicurezza.
YAM: cos’è e cosa si propone
YAM è una stablecoin, ovvero una criptovaluta che si propone di conseguire stabilità tramite l’ancoraggio ad un asset reale, nel suo caso il dollaro statunitense. Per conseguire il suo obiettivo modifica l’offerta di token YAM in modo da tenere conto dell’andamento del mercato.
Il processo che viene messo in campo per tenere in equilibrio il sistema è il rebasing. Un processo estremamente semplice il quale avviene ogni 12 ore e che propone due possibili opzioni:
- nel caso in cui il prezzo di ogni token YAM inizia a salire e raggiunge il livello di 1,05 dollari, la sua offerta viene aumentata in maniera tale da ricondurre il prezzo in perfetto equilibrio;
- ove invece il prezzo prenda la strada contraria, sino a toccare l’asticella di 0,95 dollari, l’offerta di asset viene diminuita, in modo da far salire il prezzo e riportarlo alla parità con il biglietto verde.
Gli aggiustamenti del rebasing, peraltro, lasciano inalterata la percentuale di token detenuta da ogni utente. Se prima di uno di essi tale dato si attestava al 2%, dopo la percentuale rimane inalterata.
Altro elemento interessante del sistema congegnato è quello relativo alla parità con yUSD, la stablecoin di yEarn Finance che si propone a sua volta di massimizzare il rendimento quando viene depositata nel suo protocollo. In pratica, gli utenti di YAM sono in grado di guadagnare facendo da liquidity provider (LP) per il pool yUSD/YAM presente sulla blockchain di Uniswap. Gli aderenti a questa soluzione sono ricompensati con una parte delle ricompense che sono distribuite settimanalmente.
Qual è il problema di questa stablecoin?
Se questo è il funzionamento di YAM, occorre comunque sottolineare che il progetto si muove in un ambito molto controverso. Stiamo parlando in pratica delle stablecoin algoritmiche, la stessa categoria che includeva Terra prima del crollo.
A renderle tali il fatto che queste criptovalute prevedono alcune condizioni per realizzare l’ancoraggio che possono saltare con molta facilità. A partire da una domanda minima che deve essere a sua volta stabile e dalla presenza di investitori indipendenti e motivati a condurre arbitraggi.
Nel caso di YAM, e di altri progetti analoghi, è difficile capire se queste condizioni si realizzino effettivamente. Anche perché già dopo il primo giorno dal lancio l’emersione di un bug critico ha in pratica bloccato per sempre all’interno del protocollo i fondi che dovevano essere distribuiti.
Un evento cui i fondatori, Brock e Trent Elmore, Clinton Bembry, Dan Elitzer e Will Price, hanno cercato di ovviare lanciando un nuovo token, denominato YAMv2, per poi passare ad una terza versione del protocollo, con il ritorno di YAM. Una serie di vicissitudini che hanno naturalmente frenato i piani di sviluppo.