Nel 2021 a Vignola, nella provincia di Modena, un uomo di 74 anni uccise la moglie, che era malata terminale. Oggi, secondo quanto stabilito dai giudici, tale gesto non si può non considerare come un gesto “altruistico”. A stabilirlo sono stati gli esperti della Corte di Assise, che hanno riconosciuto all’anziano l’attenuante dei motivi morali e sociali. Lui poi è stato condannato a sei anni e due mesi di reclusione.
Modena, marito uccise la moglie malata terminale: la condanna
Al centro di questa vicenda c’è un signore di nome Franco, di 74 anni. Fu lui che il 14 aprile del 2021 a Vignola, piccola località in provincia di Modena, uccise la moglie Laura. La donna era affetta da una gravissima malattia che non le aveva lasciato scampo.
La signora infatti era malata terminale. Non le restava ancora molto da vivere. Così il marito aveva deciso di porre fine alla vita della donna, mosso da un forte sentimento di tristezza e compassione. L’uomo poi aveva confessato sin da subito di aver commesso il delitto.
Oggi è arrivata la notizia che i giudici della Corte di assise di Modena hanno deciso, dopo aver analizzato documenti, testimonianze ed elementi di varia tipologia, di condannare il signor Franco a 6 anni e 2 mesi di reclusione.
I giudici hanno riconosciuto all’uomo l’attenuante dei motivi morali e sociali. Secondo tali professionisti infatti il delitto compiuto dall’uomo non può essere considerato come isolato rispetto alla condotta dello stesso quando la moglie era in vita.
Perché si parla di “altruismo”?
I giudici hanno analizzato non solo il gesto compiuto dall’uomo col 14 aprile del 2021 nella provincia modenese, ma anche il suo comportamento da quando lui e la moglie avevano scoperto della malattia.
Secondo quanto emerso dalle varie testimonianze raccolte all’interno del tribunale durante il processo, il signor Franco è sempre stato vicino alla moglie dimostrando “dedizione, vicinanza e il sostegno umano” per tutta la durata della lunga malattia.
I giudici hanno affermato che il 74enne ha assicurato alla propria consorte sostegno ed appoggio continuo nell’affrontare il brutto male. Proprio alla luce del suo comportamento negli anni precedenti al delitto, i professionisti del settore hanno deciso di riconoscere la mentalità altruistica di questo uomo nel compiere ciò.
Lo hanno stabilito principalmente sulla base di numerose testimonianze e diversi elementi che attestavano il comportamento adottato da Franco. A parlare in difesa dell’uomo sono stati il medico che aveva in cura la signora, la sorella della vittima e altri conoscenti
I giudici hanno spiegato di aver tenuto conto anche nel fatto che l’omicidio da parte del signore, difeso dall’avvocato Simone Bonfante, avvenne con “modalità consone allo scopo”. Il marito infatti uccise la moglie con un cuscino mentre lei stava dormendo.
Secondo la Corte, “l’altruismo” del 74enne
riflette un sentire sociale ormai sempre più presente in larghi settori della società civile che hanno vissuto o sono chiamati a vivere la drammaticità del fine vita di loro congiunti all’esito di malattie irreversibili, sempre più propensi a riconoscere nella condotta osservata dall’imputato la manifestazione di uno stato affettivo di amore pietoso. Esso trova la propria legittimazione interiore nella lunga e assoluta compartecipazione emotiva per le sofferenze della vittima, ormai deprivata di ogni condizione di vita relazionale per l’incedere della malattia e l’ormai prossimo esito letale.
Questo è si legge nella sentenza di condanna diffusa oggi, giovedì 1 febbraio 2024.
La vita insieme e la scoperta della malattia
Come abbiamo già affermato, l’uomo aveva sin dal primo momento confessato di aver compiuto il gesto. Aveva spiegato di averlo fatto per un sentimento di compassione nei confronti della moglie, la cui malattia si trovava agli ultimi stadi.
Franco aveva detto di non riuscire più a vederla in quel modo. Era stata poi la stessa signora, in passato, quando era venuta a conoscenza del male che l’aveva colpita, a dire al marito di non voler essere portata in una casa di riposo.
La coppia stava insieme da 45 anni. I due avevano scoperto della malattia nel 2016 e da quel momento lui aveva seguito e assistito la moglie “con assoluta costanza e inesauribile dedizione”, scrivono i giudici. Aveva portato la donna giornalmente in ospedale e poi di nuovo a casa, stando sempre al suo fianco.
La vicenda riaccende i riflettori su un tema molto discusso in Italia (e non solo): quello del fine-vita. Il suicidio assistito è legale in Paesi come la Svizzera.