È una storia per certi versi ancora aperta, quella di Desirée Piovanelli, la 14enne originaria di Leno, Brescia, attirata in un casolare di campagna abbandonato e uccisa da quattro persone, di cui tre minorenni, nel settembre del 2002. Una storia che sconvolse l’opinione pubblica e che, a distanza di oltre vent’anni, resta, secondo molti, tra le più atroci delle pagine di cronaca del nostro Paese.

La storia di Desirée Piovanelli: dalla scomparsa al ritrovamento del corpo

Tutto iniziò il 28 settembre 2002. Dopo essere uscita di casa dicendo alla madre che avrebbe raggiunto l’amica Marika, che viveva a pochi metri di distanza dalla sua abitazione di via Romagna, a Leno, Desirée Piovanelli scomparve improvvisamente nel nulla.

La stessa sera, preoccupati, i genitori allertarono i carabinieri, che si misero immediatamente sulle sue tracce. Attorno alle 8.46 del giorno successivo, una domenica, sul cellulare del fratello arrivò un sms.

So che mi state cercando, ma non vi dovete preoccupare. Io sto bene e sono con Tony, non torno a casa, voglio stare con lui,

c’era scritto. Era una bugia: Tony, un coetaneo per cui Desirée provava una certa simpatia, già ascoltato in caserma, aveva raccontato di non averla incontrata. Analizzando i tabulati telefonici, si arrivò, però, al mittente del misterioso messaggio.

Si capì che era stato scritto da una cabina telefonica di Leno con la tessera appartenente a una donna di Trieste che, interrogata, spiegò di averla smarrita ad agosto al campeggio Waikiki di Jesolo. Un’informazione importantissima, che permise di stringere, finalmente, il cerchio.

Il giorno successivo, il 3 ottobre, un vicino di casa della giovane, Nicola Bertocchi, di 16 anni – che Desirée in un suo diario aveva additato come “persona da non frequentare” – fu interrogato, perché aveva trascorso le vacanze a Jesolo. Sulle braccia aveva dei graffi.

Messo alle strette, confessò di aver ucciso la coetanea in uno scatto di rabbia, perché lei lo aveva insultato dicendogli di essere “uno scemo” e di non valere nulla. Poi condusse gli inquirenti sul luogo del delitto: un casolare abbandonato poco distante dalla casa della vittima.

Gli arresti e i processi per omicidio

Il corpo di Desirée giaceva a terra, nudo, martoriato dalle coltellate (33, avrebbe stabilito l’autopsia). Tutt’intorno c’erano vistose macchie di sangue, impronte e segni di trascinamento. Poco più in là, l’arma del delitto: un coltello da cucina dalla lama di circa venti centimetri.

Si pensò subito che il 16enne non potesse aver fatto tutto da solo. In effetti, poco dopo, fece il nome di altre due persone: Mattia Franco, di 14 anni, e Nicola “Nico” Vavassori, di 16. Tutti e tre furono arrestati con l’accusa di sequestro di persona, violenza sessuale e omicidio volontario e finirono in carcere.

Poi l’inchiesta individuò un quarto sospettato: si trattava del 36enne Giovanni Erra, operaio per una fonderia. Conosceva Desirée perché viveva nell’abitazione di fronte alla sua e perché la ragazza faceva da baby-sitter per il figlio di 8 anni; ma conosceva anche i minorenni fermati perché, nonostante l’ampia differenza d’età, li frequentava. Secondo gli inquirenti aveva avuto un ruolo nell’omicidio.

Ad incastrarlo, gli accertamenti tecnico-scientifici, che permisero di stabilire che la ragazza era stata brutalmente uccisa dopo un tentativo di stupro e che i suoi assassini, per tentare di disfarsi del corpo, avevano addirittura provato a farlo a pezzi, prima di abbandonarlo. Il primo arrestato, colui che aveva attirato Desirée nella cascina con la scusa di mostrarle dei gattini, fu condannato a 18 anni di carcere; gli altri due a 15 e 10 anni. Erra a 30. Come Vavassori si è sempre proclamato innocente.

Gli interrogativi ancora aperti

Nel 2018 la famiglia di Desirée aveva presentato un esposto, chiedendo alla Procura di tornare ad indagare.

Nonostante siano stati individuati da parte degli inquirenti coloro che potevano essere i colpevoli dell’uccisione di Desirée, da parte mia così come della mia famiglia non ho mai smesso di pensare che in realtà ci sia un mandante e che il movente sia un altro e non certamente l’omicidio a sfondo sessuale, ma che mia figlia sia stata uccisa per altre finalità e progetti,

scriveva Maurizio Piovanelli nell’atto. Una delle ipotesi è che la 14enne possa essere finita in un giro di prostituzione minorile e che nel suo omicidio siano coinvolte altre persone. Sulla spalla e sulla manica del giubbino che indossava erano stati isolati, in effetti, profilici genetici appartenenti a due individui di sesso maschile diversi dagli imputati e mai identificati. La sensazione è che manchi ancora un pezzo di verità, ma nel 2021 anche la nuova inchiesta è stata archiviata.