Nella notte tra il 24 e il 25 luglio 1943, Benito Mussolini fu deposto dal Gran Consiglio del Fascismo e immediatamente destituito dal re Vittorio Emanuele III. I giorni successivi furono tumultuosi, carichi di intrighi, tradimenti e vendette.
Destituzione Mussolini, la lunga notte tra il 24 e il 25 luglio 1943
La notizia esplose nel paese come un fulmine a ciel sereno, scatenando manifestazioni di gioia e spontanei cortei che festeggiavano quanto sembrava essere la fine della guerra. Bandiere sventolavano, si esaltavano le immagini di re Vittorio Emanuele III e del maresciallo Badoglio, e si inneggiava alla pace con canti e slogan.
Le case del fascio subirono numerosi attacchi, luoghi in cui erano avvenute sopraffazioni, bastonamenti e violenze durante il regime fascista. Tuttavia, questa gioia fu di breve durata, come definì lo storico Spriano, una “vacanza di libertà” che si esaurì in poche ore.
Nonostante le manifestazioni di giubilo, la circolare emanata dal generale Roatta svelò la realtà sulla pubblica sicurezza, ordinando una repressa cruenta di qualsiasi atto disturbante l’ordine pubblico, persino autorizzando l’uso delle armi contro chi si dimostrasse sfacciato nei confronti del nuovo governo.
Come avvenne la caduta del Duce?
La decisione del Gran Consiglio fu influenzata anche dallo sbarco degli Alleati in Sicilia il 10 luglio 1943, che minò la fiducia tedesca nell’Italia come alleato. In patria, si diffuse un senso di ineluttabile sconfitta.
Il proclama letto da Badoglio sottolineò che “la guerra continua”. Il nuovo governo emanò provvedimenti significativi il 27 luglio 1943, sciogliendo il Partito Nazionale Fascista e tutte le organizzazioni ad esso collegate, integrando la Milizia nelle forze dello stato, sopprimendo il Tribunale Speciale per la difesa dello Stato e vietando la ricostituzione dei partiti politici per tutta la durata della guerra. Erano in vigore divieti sulle manifestazioni pubbliche e sull’esposizione di simboli fascisti.
L’Italia si trovò in una situazione drammatica, confusa e affamata. Gli esiti militari avevano svelato l’inconsistenza della retorica fascista. La monarchia, le forze economiche e la chiesa cercarono un’uscita dalla guerra con la rimozione di Mussolini. Tuttavia, l’esperienza fascista non fu cancellata così facilmente, dando vita alla Repubblica Sociale Italiana poche settimane dopo, un fatto che dimostra la complessità dell’interazione degli italiani con il regime e le loro responsabilità che continuarono a pesare sulla democrazia negli anni successivi.
Anche a Reggio Emilia e nei dintorni, la caduta di Mussolini fu accolta con espressioni di gioia popolare, alimentando la speranza che la fine del regime portasse anche alla pace. In vari comuni della provincia, si verificarono eventi di notevole importanza.
Il giorno stesso, un corteo pressò il palazzo della Prefettura per manifestare contro la detenzione dei prigionieri politici. Gli operai alle Officine Reggiane dichiararono uno sciopero il 26 luglio, richiedendo la fine della guerra e la partenza dei tedeschi dalla Germania. Inoltre, si organizzò una manifestazione davanti alle carceri di San Tommaso per chiedere e ottenere la liberazione dei detenuti politici.
Tuttavia, due giorni dopo, un grave episodio si verificò alle Reggiane. Gli operai in sciopero, intenzionati a manifestare in città, trovarono le uscite bloccate da un reparto militare che aprì il fuoco, causando la morte di 9 persone e il ferimento di altre 50.
Cosa accadde dopo la caduta di Mussolini?
La domenica successiva alla caduta di Mussolini, il primo agosto, la città sperimentò il volto del governo militare. I giornali subirono una rigorosa censura, i cinema chiusero in anticipo, pattuglie militari sorvegliavano gli edifici pubblici. Le strade erano deserte di sera, con poche luci visibili dalle finestre, mentre la popolazione cercava notizie alla radio.
Le biciclette, molto popolari tra i reggiani, vennero proibite in pubblico per evitare raduni di più di tre persone. Il colonnello Francesco De Marchi, comandante del Presidio militare, ordinò il mantenimento dell’ordine a ogni costo e minacciò di fucilare gli instigatori del disordine. Coloro che non riprendevano il lavoro subito dopo l’eccidio alle Reggiane erano minacciati di arresto e processo immediato.
Il clima generale era di terrore, con la stampa che invitava a tenere chiuse le finestre durante il coprifuoco, nonostante le stanze fossero oscurate per lo stato d’assedio. Il caldo soffocante di agosto, l’insicurezza legata alla dittatura militare, alle norme alimentari, agli allarmi aerei e all’ansia per i familiari dispersi in Europa contribuirono a una crescente volontà di porre fine alla presenza tedesca nel territorio.
In questo contesto di malcontento generale, si stavano creando le condizioni che avrebbero portato all’armistizio dell’8 settembre e alle gravi conseguenze che avrebbero colpito l’intera Italia, segnando l’inizio della resistenza armata contro il nazifascismo.